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Sezione III civile; sentenza 6 marzo 1954, n. 656; Pres. Curcio P., Est. Marcone, P. M. Maccarone(concl. conf.); Pidutti (Avv. Sormano, Soro) c. Berruto (Avv. Mosca, Negretti)Source: Il Foro Italiano, Vol. 77, No. 6 (1954), pp. 763/764-765/766Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23144454 .
Accessed: 28/06/2014 08:59
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PARTE PÈIMA ^64
la norma corporativa nè attraverso accordo tra le parti. Nel difetto di tali elementi obiettivi o subiettivi di fatto
che nel caso ricorreva, come in seguito si dirà, affida al
giudice la facoltà e commette il compito di determinare
la retribuzione dovuta.
Attesa la dizione letterale della disposizione e l'in
terpretazione logica che ad essa deve conferirsi, non è
dato comprendere per quali ragioni essa debba ritenersi
travolta ed abrogata per essere venuto meno il sistema cor
porativo, quando invece era dedotta appunto anche per il caso che mancasse l'ausilio della norma collettiva o di
quella individuale. Ed appunto, ripudiando implicitamente una così audace tesi, fin ora da niuno mai prospettata,
questa Corte ha recentemente e più volte (sent. n. 2790
del 18 aprile 1950, Foro it., 1951,1, 301 ; e n. 461 del 21 feb
braio 1952, id., 1952, I, 718) fatto concreta applicazione dell'art. 2099 cod. civile.
Ed è vano far richiamo all'art. 36 della Costituzione,
giacché questo riconosce espressamente al lavoratore un
diritto soggettivo alla minima retribuzione idonea ad as
sicurare a lui ed alla famiglia una esistenza libera e digni
tosa, e perciò stesso non esclude che qualora essa non sia
stata fissata in sede sindacale o per accordo delle parti, la
determinazione sia affidata al criterio equitativo del giu
dice, onde non sussiste veruna inconciliabilità tra i due
principi. In ordine alla seconda proposizione, osservasi che può
anche consentirsi nel concetto che di regola le mance, sia
perchè provengono da soggetti diversi dall'imprenditore, e
sono corrisposte per una causa occasionata dal rapporto di
lavoro, ma che resta estranea al contenuto di questo, sia
perchè non obbligatorie e perciò incerte, eventuali, sal
tuarie,' non determinate nè determinabili a priori, non
vanno comprese nella retribuzione, intesa questa nella sua
accetta nozione.
Ma allorché come nel caso, per la specialità e singolarità della impresa (case da giuoco) in considerazione della co
stante abitudine di corresponsione di tali mance, e della
prevedibile entità, quale suggerita da operazioni statistiche,
esse finiscono per costituire un incasso ordinario e normale e,
sono perciò state, nei contratti individuali con i dipen
denti, conglobate ed incluse nel relativo trattamento eco
nomico in aggiunta alla paga fissa, torna irrefutabile la
illazione che esse fanno parte della retribuzione stessa, ne
costituiscono, per espresso volere delle parti non ostaco
lato in ciò da verun divieto di legge, uno degli elementi
apposti espressamente ad integrazione degli altri. Nel caso
tale situazione, con rigorosa aderenza alle risultanze di
causa, e soprattutto per effetto d'incensurabile interpre
tazione del contratto, venne positivamente accertata ed
"affermata con la sentenza di primo grado per tal punto non
impugnata, ed anzi può dirsi perfino che era, ed è tut
t'ora, incontroversa, giacché la contestazione verte non
tanto sulla spettanza o meno di una percentuale delle
mance a complemento della retribuzione bensì nell'attri
buzione della percentuale globale, ovvero di quella in
dividuale.
Deriva da ciò che se detta parte costitutiva della
retribuzione, rappresentata dalle mance, è stata nel con
tratto soltanto genericamente compresa, ma non pure pre
cisata nei suoi necessari estremi, e perciò si contende in
ordine al suo calcolo ed importo, il giudice per risolvere
la controversia correttamente fa uso della potestà conces
sagli dall'art. 2099 cod. civ., la cui applicazione, se è pos sibile quando la mancata specificazione convenzionale con
cerne tutta la retribuzione, a fortiori deve ritenersi con
sentita quando riflette solo alcune delle unità che per
patto espresso concorrono alla formazione della retribu
zione stessa.
Nella specie, appunto per la carenza di elementi de
sumibili dal contratto individuale, ed in difetto di con
tratto collettivo e di usi, la Corte di merito, con insinda
cabile apprezzamento di circostanze di fatto, senza incorrere
in contraddizioni, giacché il riconoscimento della esistenza
del contratto non faceva ovviamente escludere la lacuna
in esso riscontrata circa la determinazione delle mance
previste a complemento della retribuzione ; e tanto meno in
omissioni, giacché anzi con diffuso ragionamento ha illu
strato il proprio pensiero e convincimento, ha emesso la
sua statuizione alla stregua di facoltà positivamente san
cite nella legge, onde la denunciata decisione si sottrae
a riforma.
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE.
Sezione III civile ; sentenza 6 marzo 1954, n. 656 ; Pres.
Curcio P., Est. Marcone, P. M. Maccarone (conci,
conf.) ; Pidutti (Avv. Sormano, Soro) c. Berruto (Avy.
Mosca, Negretti).
(Sent, denunciata : Trib. Biella 12 dicembre 1951)
Locazione ili cose — Locali adibiti a farmacia — All
inditi lei/ali — Misura (L. 23 maggio 1950 n. 253,
disposizioni sulle locazioni, art. 13).
Il canone di locazione per gli immobili adibiti ad uso di far macia è soggetto agli aumenti previsti per i locali desti
nati allo svolgimento di attività commerciale. (1)
La Corte, ecc. — Si duole la ricorrente che il Tribunale
di Biella non abbia riconosciuto che il dott. Berruto nell'im
mobile locatogli ed adibito a farmacia svòlgesse attività
prevalentemente commerciale, consistente nella rivendita
delle specialità medicinali, preparate dalle ditte produttrici e di altri generi di profumeria e drogheria ed abbia, quindi, disatteso la sua richiesta di aumento del canone nella mi
sura del 100% in base all'art. 13 legge n. 253 del 1950.
La censura è giuridicamente fondata. Vigendo il co
dice di commercio del 1882 più volte il Supremo collegio ha avuto occasione di risolvere la questione, se il farmaci
sta pòtesse essere considerato commerciante e l'ha decisa
nel senso che il medesimo era un semplice esercente la pro fessione sanitaria, quando si limitava all'esercizio della pro fessione, consistente nella prestazione dei suoi servigi ai
clienti e nell'acquisto di sostanze medicamentose, per com
binarle e mescolarle, secondo le ricette dei medici, ma rive
stiva la qualità di commerciante e poteva essere dichiarato
anche fallito, se, oltre a dette prestazioni professionali, ri
vendeva al pubblico le specialità farmaceutiche preparate dalle ditte produttrici, quando ciò fosse stato fatto per
professione abituale, non importa se in via principale o
secondaria (sent. n. 939 del 22 marzo 1934, Foro it., Rep.
19:?4, voce Commerciante, n. 20; n. 558 del 15 febbraio
1935, id., lìep. 1935, voce cit., nn. Il, 28 ; e n. 1801 del
29 maggio 1939, id., 1939, I, 1444). La rivendita ai clienti, sebbene riservata dalle leggi sanitarie ai soli farmacisti, co
stituiva infatti atto obiettivo di commercio, a sensi del
l'art. 3, n. 1, cod. comm. abr., e poiché veniva fatto per pro fessione abituale, attribuiva al farmacista la qualità di com
merciante, giusta l'art. 8 dello stesso codice.
Ritiene la Suprema corte che la stessa soluzione si debba
adottare col nuovo codice civile, che ha assorbito il codice
di commercio, pur avendo il medesimo apportato notevoli
innovazioni nella disciplina dell'impresa. Questa non viene
più considerata quale atto obiettivo di commercio e non
viene limitata all'attività industriale, come era prima, ma
è stata estesa a quella commerciale, agricola, bancaria ed
assicurativa. Non dà il nuovo codice la definizione dell'im
presa, che dalla dottrina è diversamente concerta, ma
espressamente qualifica l'imprenditore nell'art. 2082 cod.
civ. in chi esercita professionalmente un'attività economica
organizzata, al fine della produzione o dello scambio di
(1) La Cassazione, rifoimando la sentenza Tiib. Biella 12 di cembre 1951 (Foro it., 1952, I, 809), ribadisce, con ampia motiva
zione, l'indirizzo giurisprudenziale già espresso nella decisione 16 ottobre 1953, retro, 456, con nota di richiami.
In senso contrario, da ultimo, App. Palermo 14 luglio 1953
(nella motivazione), infra, col. 826.
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765 GIURISPRUDENZA CIVILE 766
beni o di servizi. Da tale definizione si desume chiaramente, che è imprenditore chi svolge un'attività diretta a soddis
fare bisogni altrui. È poi imprenditore commerciale chi
esplica un'attività diretta non alle trasformazioni dei beni, ma all'intermediazione tra produttori, industriali od agricol tori e consumatori.
Per risolvere la- questione relativa dell'aumento del ca
none dovuto dal farmacista dott. Berruto, il Tribunale di
Biella avrebbe dovuto indirizzare ed approfondire le inda
gini, nel senso di stabilire se il medesimo avesse organiz zato nei locali tolti in locazione un'impresa commerciale, con capitali propri o altrui e col lavoro proprio o di altri, al fine di effettuare lo scambio di beni ed in particolare, delle specialità farmaceutiche, che venivano fabbricate
dalle imprese produttrici e rivendute ai clienti. Al riguardo
già l'agenzia delle imposte aveva accertato, a carico del
Berruto, ai fini dell'imposta di ricchezza mobile, redditi co
stituiti da investimenti di capitale e lavoro.
L'ultima legge sulle locazioni di immobili urbani n. 253
del 23 maggio 1950 ha assimilato agli immobili ad uso di
abitazione quelli adibiti all'attività lavorativa di artigiani e professionisti (art. 12), ai fini della determinazione della
misura degli aumenti. La norma non distingue tra artigiani e professionisti, che esplicano il loro lavoro in casa, come
attività complementare ed artigiani e professionisti, che
svolgono il loro lavoro in locali appositi (negozi, studi, bot
teghe). Il legislatore ha ravvisato meritevoli di particolare tutela gli artigiani e professionisti, consentendo nei loro con
fronti una minore maggiorazione del canone locativo, che
può essere aumentato nella stessa misura di quella stabilita
per le abitazioni, che è del 50%, mentre per i locali destinati
ad uso diverso dall'abitazione e dall'attività artigiana e
professionale ha determinato l'aumento nella misura del
100% (art. 13). Ora la minore maggiorazione, intanto si
rende applicabile, in quanto nei locali locati si svolge sem
plicemente attività lavorativa artigiana o professionale. Se
l'esercizio della professione costituisce invece elemento di
un'attività organizzata in forma di impresa, il professio nista deve essere considerato imprenditore e, come tale, è
tenuto a corrispondere il canone, Con l'aumento stabilito
per le locazioni di immobili adibiti a uso diverso dall'abita
zione e dall'attività artigiana e professionale (art. 2238, 2082 cod. civ. ; 13 legge n. 253 del 1950).
Nella Relazione all'art. 2238 è detto che « se il profes sionista », oltre all'attività meramente professionale, ne
spiega altra più complessa, per modo che la prima rappre senti solo un elemento della seconda, non può negarsi la
esistenza di un'impresa, se ricorrono i requisiti di organiz zazione indicati nell'art. 2082. Ciò si verifica, continua la
Relazione, anche se la sua più complessa attività ha per
presupposto l'esercizio della professione, come nel caso di
medico, che all'attività professionale aggiunga la gestione di una clinica organizzata in forma di impresa.
Lo stesso può ripetersi anche per il farmacista, il quale
se, nei locali concessigli in locazione, oltre alla sua attività
sanitaria, consistente nella manipolazione e nella mistura
delle sostanze medicamentose, secondo le prescrizioni me
diche, svolge anche attività commerciale mediante la ri
vendita delle specialità medicinali, preparate dalle ditte
produttrici e di generi di libero commercio di profumeria e
drogheria, deve essere considerato imprenditore e, come
tale, è tenuto all'aumento del canone nella misura del 100%. In tali sensi si è pronunziato il Supremo collegio recente
mente nella sentenza 16 ottobre 1953 emessa nella causa
Cavaggioni-Pessina (Foro it., 1954, I, 456). Non rileva la circostanza che, per la gestione della far
macia, sia necessario il possesso di un titolo professionale, rilasciato dalla pubblica autorità, poiché la questione deve
essere risolta dal lato strettamente giuridico, alla stregua delle richiamate disposizioni di legge per le quali è indif
ferente che l'imprenditore cumuli nella sua persona anche la
qualità di professionista. Poi, secondo le leggi sanitarie, che
disciplinano anche l'attività farmaceutica, il farmacista può
essere dichiarato anche fallito, salva in tal caso la deca
denza dall'esercizio della farmacia. Dette norme rivelano
che il farmacista può compiere attività commerciale, che
non è ravvisata incompatibile con l'esercizio della profes sione. La sentenza impugnata non si sottrae all'annulla
mento, avendo i Giudici di merito non esattamente ritenuto
che l'attività professionale del farmacista dovesse senza
altro prevalere di fronte all'altra di natura commerciale, mentre essa è un semplice elemento della complessa attività
del farmacista, come si ricava dalla stessa disposizione dell'art. 2238 cod. civile.
La causa deve essere rinviata davanti ad altro tribunale, il quale applicherà il principio di diritto affermato in questa sentenza, che il farmacista è imprenditore, se non si limita
ad acquistare sostanze medicamentose per combinarle insie
me, ma acquista per rivendere specialità farmaceutiche e
generi di libero commercio di profumeria e drogheria. Non ha pregio il rilievo del resistente, che il Tribunale di
Biella abbia accertato che la rivendita dei generi di profu meria era minima, in confronto dell'altra attività eserci
tata dal farmacista dott. Berruto. Infatti i Giudici di me
rito dovevano esaminare se l'attività del-detto farmacista
relativa alla rivendita delle specialità farmaceutiche fosse
minima e non prevalente, in confronto dell'attività mera mente sanitaria e professionale esplicata dal dott. Berruto.
Non avendo il Tribunale di Biella esattamente impostato la causa, non ha rivolto le indagini nel giusto senso e per tanto è pervenuto ad una soluzione non conforme al diritto.
È notorio oggi che la gran parte dei medicinali è rap
presentata dalle specialità farmaceutiche, la cui produzione aumenta continuamente, per cui normalmente l'attività di
interposizione del farmacista oggi finisce per prevalere ed
assorbe l'attività meramente professionale sanitaria.
In sede di rinvio i magistrati di merito esamineranno
anche la questione della prevalenza delle varie attività espli cate dal dott. Berruto nei locali tolti in locazione, appli cando il principi di diritto richiamati in questa decisione.
Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE.
Sezioni unite civili ; sentenza 1 marzo 1954, n. 603 ; Pres.
Acampora P., Est. Di Macco, P. M. De Martini
(conci, conf.) ; Consorzio utenti della Roggia Barclieg
giana (Avv. Passeri) c. Albertario (Avv. Moschella) e Ministero lavori pubblici.
(Regolamento di competenza)
Aeque pubbliche e privale .— Azioni possessorie —
Competenza del pretore (Cod. proc. civ., art. 8 ; r.
d. 11 dicembre 1933 n. 1775, t. u. sulle acque e sugli
impianti elettrici, art. 140, 141).
Il pretore, adito per azione possessoria relativa ad acque
pubbliche, è competente, oltre che per la emanazione dei
provvedimenti immediati, anche per la trattazione del me
rito della controversia. (1)
La Corte, ecc. — Nei provvedimenti di denuncia di
nuova opera e di danno temuto, il pretore, dopo aver
pronunciato i provvedimenti necessari, procede, se è com
petente, alla trattazione della causa, altrimenti rimette le
parti al giudice competente (art. 689, ult. comma ; 690, ult.
comma, cod. proc. civ.). Nella specie, il Pretore di Pavia, ritenendo che la causa
non fosse di sua competenza, ha rimesso le parti avanti al
tribunale competente per materia e cioè, deve intendersi, avanti al tribunale regionale delle acque pubbliche. Ma è
(1) Nello stesso senso, Cass. 15 marzo 1952, n. 697, Foro
it., Rep. 1952, voce Acque, n. 55 ; e 7 aprile 1948, n. 518, id., Rep.
1948, voce cit., n. 43 ; genericamente attribuisce la competenza in
materia al tribunale ordinario, invece che a quello delle acque, anche Cass. 19 giugno 1952, n. 1783, id., Rep. 1952, voce cit.,
nn. 56, 57. Conforme, in dottrina, Berri, Limiti alla competenza del giudice specializzato nelle azioni possessorie in materia di acque
pubbliche, in Acque, bonif. e costruz., 1952, 200.
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