sezione III civile; sentenza 6 ottobre 2004, n. 19947; Pres. Nicastro, Est. Finocchiaro, P.M. Russo(concl. conf.); S. e altro (Avv. Manzi) c. T. e altri (Avv. Ferri, Morrone). Conferma App. Torino31 luglio 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 2 (FEBBRAIO 2005), pp. 391/392-393/394Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200523 .
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PARTE PRIMA 392
so la medesima società — credito sia pure ancora illiquido e
non esigibile, ma almeno certo — che abbia ad oggetto il paga mento di una somma di denaro corrispondente al valore della
quota. Di null'altro il socio può dirsi titolare al riguardo che di
una mera aspettativa, legata all'eventualità che, al momento
dello scioglimento del rapporto sociale, il patrimonio della so
cietà abbia consistenza attiva sufficiente a giustificare l'attribu
zione pro quota al socio stesso di valori proporzionali alla sua
partecipazione. Né potrebbe addursi in contrario l'espressione usata dall'art.
2350 c.c. (peraltro neppure espressamente richiamato in tema di
cooperative) circa il «diritto alla quota di liquidazione» spet tante al socio: espressione che pur sempre fa riferimento ad un
diritto meramente potenziale, al pari del diritto all'utile enun
ciato nel medesimo articolo. E perciò, come con riferimento al
diritto all'utile comunemente si afferma che, pur essendo gene ricamente insito nello status di socio, esso non acquista in realtà
natura e sostanza di vero e proprio diritto di credito se non in
quanto il bilancio d'esercizio faccia effettivamente registrare l'esistenza di utili e l'assemblea sociale ne deliberi la distribu
zione ai soci, ond'è che solo da quel momento un simile diritto
può dirsi acquisito al patrimonio del socio (cfr. Cass. 28 maggio 2004, n. 10271, id., Mass., 762; 11 marzo 1993, n. 2959, id., 1994, I, 958), così, allo stesso modo, non sembra possibile rav
visare in capo al socio un diritto alla quota di liquidazione, se
non in quanto — ed a partire da quando
— la società sia stata
posta in liquidazione e sia stato depositato il bilancio finale da
cui risulti l'esistenza di un eventuale residuo attivo da ripartire tra i soci. Tanto meno, quindi, la citata espressione dell'art.
2350 c.c. potrebbe essere posta a fondamento di un diritto (non
già alla quota di liquidazione, bensì) alla liquidazione della
quota di cui il socio sarebbe titolare già solo in forza della sua
adesione al contratto sociale.
Stando così le cose, deve quanto meno escludersi che il cre dito per liquidazione della quota abbia, sin da epoca anteriore al
verificarsi del fallimento del socio di società cooperativa, quel requisito di certezza che, pur prescindendosi dagli ulteriori re
quisiti dell'esigibilità e liquidità, è pur sempre indispensabile perché possa operare la compensazione con contrapposti debiti del fallito. Quel credito, viceversa, nasce (o quanto meno acqui sta certezza) solo per effetto della medesima dichiarazione di
fallimento e dello scioglimento del rapporto sociale che, per il
fallito, ne deriva: esso dunque non trova causa in un fatto ante riore al fallimento o, comunque, non acquisisce certezza se non
a causa del fallimento stesso. Donde, appunto, alla stregua dei
principi generali già prima enunciati, la non operatività in un simile caso della dedotta compensazione.
È infine appena necessario aggiungere che neppure si potreb be in contrario invocare la tesi, sostenuta da una parte della dottrina ed in qualche misura avallata dalle sezioni unite nella
citata sentenza 755/SU/99, che reputa ammissibile la compensa zione dei crediti reciproci derivanti dallo scioglimento dei con tratti a prestazioni corrispettive in corso alla data del fallimento di uno dei contraenti. Quella tesi soprattutto fa leva sulla corri
spettività delle contrapposte prestazioni, pattuite in epoca ante riore al fallimento, e sul fatto che, sciolto il contratto, ne restano retroattivamente travolti tutti gli effetti e, con essi, anche la cau sa giustificativa delle prestazioni in precedenza eseguite dal fal
lito, il cui credito restitutorio risulta quindi indissolubilmente
legato alla vicende del contratto pregresso. Ma è chiaro che uno schema argomentativo siffatto non è applicabile al contratto di società (che ovviamente non ha natura corrispettiva), né dunque allo scioglimento del vincolo sociale facente capo al fallito ed al
conseguente credito per liquidazione della quota, perché questo non ha ad oggetto la restituzione di importi precedentemente versati di cui sia venuta poi a mancare l'originaria ragione giu stificativa.
3. - La conclusione alla quale si è pervenuti è dunque nel sen so della non compensabilità del credito avente ad oggetto la li
quidazione della quota del socio fallito, escluso a causa del fal limento da una società cooperativa, con contrapposti crediti della società nei confronti del medesimo fallito.
L'impugnata sentenza della corte d'appello, che ha invece af fermato il principio opposto, deve perciò essere cassata.
Per la risoluzione della controversia, che si è sviluppata in torno alla suindicata questione di diritto, non appaiono necessari ulteriori accertamenti di fatto. Pertanto, questa corte è in grado
Il Foro Italiano — 2005.
di pronunciare nel merito, come contemplato dall'art. 384, 1°
comma, c.p.c., in termini del tutto corrispondenti (fatta salva la
conversione in euro degli importi in lire) a quelli della sentenza
di primo grado poi riformata in appello dalla pronuncia ora cas
sata, ossia rigettando le opposizioni allo stato passivo dei falli
menti proposte dalla Banca popolare di Luino e Varese ed acco
gliendo le domande riconvenzionali proposte dalla curatela dei
fallimenti convenuti nel giudizio di opposizione. È appena il ca
so di aggiungere che la condanna pronunciata nei confronti della
banca in accoglimento di tali domande muove dal presupposto che i relativi importi, già a suo tempo versati nel corso del giu dizio di primo grado, siano stati poi restituiti dal fallimento a
seguito della sentenza d'appello ora annullata, non dovendosi
altrimenti far luogo al pagamento di somme già incassate dal
creditore e rimaste nella sua disponibilità.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 6 ot
tobre 2004, n. 19947; Pres. Nicastro, Est. Finocchiaro, P.M.
Russo (conci, conf.); S. e altro (Avv. Manzi) c. T. e altri
(Avv. Ferri, Morrone). Conferma App. Torino 31 luglio 2000.
Famiglia (regime patrimoniale della) — Bisogni familiari — —
Obbligazioni assunte separatamente da un coniuge —
Obbligazione solidale dell'altro coniuge — Esclusione —
Apparenza giuridica — Ambito di operatività (Cod. civ., art. 143, 144, 1372, 1388, 1704).
Anche con riferimento alle obbligazioni assunte nell'interesse
della famiglia, il coniuge non contraente è responsabile per sonalmente, oltre che nei casi in cui abbia conferito all'altro
coniuge, in forma espressa o tacita, una procura a rappre sentarlo, solo quando sia configurabile una situazione tale da
far ritenere, alla stregua del principio dell'apparenza giuri dica, che l'obbligazione sia stata assunta in suo nome. (1)
(1) Nello stesso senso della sentenza in rassegna, cfr. Cass. 28 aprile 1992, n. 5063, Foro it., 1992. I, 3000, con nota di richiami, e, successi vamente, 7 luglio 1995, n. 7501, id., Rep. 1996, voce Matrimonio, n. 112, e, per esteso, Famiglia e dir., 1996, 140, con nota di Sesta, citata in motivazione. Di particolare interesse, a proposito dell'individuazione di un caso di solidale responsabilità del coniuge non contraente, è Cass. 8 gennaio 1998, n. 87, Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 118, la quale, pur prendendo atto che il marito separato non aveva partecipato alle trattative intercorse tra la moglie ed il gestore di uno stabilimento bal neare, per il rinnovo della locazione stagionale di una cabina e di una tenda da sole, che da molti anni erano adoperate dalla moglie stessa e dalla figlia minore, ha confermato la rilevanza del fatto che egli da
tempo aderisse di fatto a tale utilizzo, così inducendo il ragionevole af fidamento del gestore e ciò anche in ragione del fatto che il primo non aveva contestato la richiesta del gestore ed aveva contestualmente pro messo di pagare.
Sul piano dei rapporti interni fra coniugi, cfr. Cass. 4 giugno 1999, n. 5487, id., Rep. 1999, voce Famiglia (regime patrimoniale), n. 74, la
quale, dopo avere ribadito l'esclusione di un'obbligazione solidale del
coniuge non contraente, ha precisato che, vigente il regime di comu nione legale, il coniuge personalmente obbligatosi ha diritto alla resti
tuzione, da parte dell'altro coniuge, della metà della somma versata. In dottrina, cfr.. oltre gli autori citati nella nota di richiami a Cass.
5063/92, Galasso, Regime patrimoniale della famiglia, in Commenta rio Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 2003, 392; Minneci, Responsabi lità patrimoniale dei coniugi in regime di comunione legale, in Trattato di diritto di famiglia. III. Regime patrimoniale della famiglia diretto da Zatti, Milano, 2002, 354; Di Martino, La responsabilità, in II diritto di famiglia. II. Il regime patrimoniale della famiglia diretto da Bonili ni e Cattaneo, Torino. 1997, 221.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con atto 27 marzo 1992 G.D., titolare di una impresa di trasporti, ha convenuto in giudizio in
nanzi al Tribunale di Torino S.S. chiedendone la condanna al
pagamento della somma di lire 8.830.000 oltre Iva a titolo di
corrispettivo per un trasloco di mobili in Torino, dall'abitazione
di corso B. a quella di via V.
Costituitosi in giudizio il convenuto ha eccepito la propria ca
renza di legittimazione passiva, atteso che il contratto descritto
nella citazione introduttiva era stato stipulato dal G. con T.A.,
moglie — in regime di separazione dei beni — di esso conclu
dente.
La T., intervenuta volontariamente in giudizio, per suo conto,
da un lato ha eccepito l'intervenuta prescrizione della pretesa
avversaria, dall'altro ha chiesto, in via riconvenzionale, la con
danna del G. al risarcimento dei danni arrecati al mobilio in oc
casione del trasloco.
Svoltasi l'istruttoria del caso l'adito tribunale con sentenza
11 ottobre 1996 ha accolto la domanda attrice, rigettata la ri
convenzionale.
Gravata tale pronunzia in via principale dal soccombente S. e
in via incidentale dalla T., la Corte d'appello di Torino con
sentenza 28 aprile - 31 luglio 2000, da una parte ha dichiarato
inammissibile l'appello incidentale della T. per inammissibilità
dell'intervento svolto in primo grado, dall'altra, in accogli mento dell'appello principale e in riforma della pronunzia del
primo giudice, ha rigettato la domanda proposta dal G. contro lo
S., atteso che unico stipulante del contratto era la T. e che non
esisteva alcuna prova che quest'ultima avesse agito come man
dataria rappresentante dello S., con condanna dell'appellato al
pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio. Per la cassazione di tale ultima pronunzia hanno proposto ri
corso, affidato a tre motivi, S.L. e G.M., nella loro qualità di
eredi del defunto G.D.
Resistono, con controricorso, T.A., S.D., S.C.M.S. in qualità di eredi di S.S.
Tutte le parti hanno presentato memoria.
Motivi della decisione. — (Omissis). 7.4. - Assolutamente ir
rilevanti e non pertinenti, al fine del decidere e di pervenire a
una diversa soluzione della controversia, infine, appaiono tutte
le considerazioni svolte dai ricorrenti circa la presunta respon sabilità di un coniuge per le obbligazioni relative al ménage fa
miliare contratte dall'altro.
Come ripetutamente affermato da questa corte — infatti —
deve ribadirsi che la moglie, di regola, è responsabile in proprio
per le obbligazioni da lei contratte nell'interesse della famiglia. Il marito è responsabile delle obbligazioni contratte in suo
nome dalla moglie, oltre che nei casi in cui egli le abbia confe
rito, in forma espressa o tacita, una procura a rappresentarlo, tutte le volte in cui sia stata posta in essere una situazione tale
da far ritenere, alla stregua del principio dell'apparenza giuridi
ca, che la moglie abbia contratto una determinata obbligazione non già in proprio, ma in nome del marito (Cass. 7 luglio 1995,
n. 7501, Foro it., Rep. 1996, voce Matrimonio, n. 112). Pacifico che nella specie non è emerso né che la T. abbia as
sunto l'obbligazione di cui si discute in nome del marito, né che
la stessa avesse ricevuto alcun mandato da costui né, infine, che
sussisteva una situazione di apparenza giuridica che facesse ri
tenere che questa operasse —
pur senza spenderne il nome —
per conto del marito, è di palmare evidenza che correttamente i
giudici del merito hanno rigettato la domanda proposta dal G.
contro lo S.
Specie tenuto presente, da un lato, che — come si precisa in
ricorso — lo S. è stato assente per tutto il periodo in cui si sono
svolte le operazioni di trasloco (per cui nulla escludeva che que sto fosse stato realizzato a sua insaputa o contro la sua volontà),
dall'altro, che è assolutamente irrilevante che sul campanello della casa in cui sono stati trasportati i mobili fosse scritto il co
gnome dello S. (potendo, per ipotesi, il campanello recare il
nome del precedente occupante l'appartamento o, anche, il co
gnome dei figli dei coniugi S.-T., giudizialmente o anche di me ro fatto separati).
7.5. - Stante la testuale previsione dell'art. 1372, 2° comma,
c.c. (secondo cui «il contratto non produce effetto rispetto ai
terzi che nei casi previsti dalla legge»), deve escludersi, decisa
li. Foro Italiano — 2005.
mente, ancora, che sia configurabile — nel vigente ordinamento
— una tacita procura del marito in favore della moglie. Come ricordato nello stesso ricorso la più che risalente giuris
prudenza che aveva avuto occasione di ritenere la responsabilità del marito per le obbligazioni assunte dalla moglie per le esi
genze della famiglia aveva giustificato una tale conclusione
sulla base del dovere spettante al marito, quale capo della fami
glia, di provvedere al soddisfacimento delle esigenze di questa ultima.
Certo, per contro, che a seguito della riforma del diritto di
famiglia (1. 19 maggio 1975 n. 151) il «marito» non è più il «capo della famiglia» è di palmare evidenza l'inapplicabilità del
riferito principio. Al riguardo, inoltre, per completezza di esposizione, non può
tacersi che le pronunzie puntualmente richiamate in ricorso sono
state totalmente disattese dalla giurisprudenza successiva.
Anche a prescindere da quanto precede, comunque, si osserva
che pur ritenendo — in contrasto con le norme positive che non
contengono, neppure rispetto ai coniugi (specie con riferimento
ai coniugi in regime di separazione dei beni) alcuna deroga alla
regola di cui all'art. 1372, 2° comma, c.c. — l'ammissibilità di una tacita procura rilasciata dal marito alla moglie per provve dere alle esigenze della famiglia, la circostanza è irrilevante e
non pertinente, al fine del decidere.
È stato, infatti, accertato — come sopra evidenziato — in li
nea di fatto, che nella specie non vi è stata, da parte della T., al
momento della conclusione del contratto con il G. la spendita del nome del proprio marito.
E palese, pertanto, che — anche sotto tale profilo — la censu
ra è manifestamente infondata.
7.6. - Deve escludersi, ancora, che i giudici del merito siano
incorsi in violazione e falsa applicazione degli art. 143 e 144 c.c. per non avere considerato la responsabilità dello S. per ob
bligazioni relative al ménage familiare assunte dall'altro in at
tuazione dell'indirizzo concordato.
A prescindere dal considerare che non risulta, in alcun modo,
che i coniugi avessero «concordato» il trasloco da un alloggio
all'altro, si osserva che, comunque il G., in tanto avrebbe potuto invocare la responsabilità del terzo, non contraente (cioè dello
S.) in quanto avesse dedotto di essere a conoscenza della deci
sione, assunta dai coniugi, di procedere al trasloco da un appar tamento all'altro.
8. - Risultato infondato in ogni sua parte, il proposto ricorso,
in conclusione, deve essere rigettato.
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