sezione III civile; sentenza 7 maggio 1996, n. 4236; Pres. Sciolla Lagrange Pusterla, Est. Sabatini,P.M. Morozzo Della Rocca (concl. conf.); Storelli (Avv. Troccoli, M. Leone) c. Lazazzera (Avv.Raimondo). Conferma Trib. Bari 5 maggio 1993Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1996), pp. 2379/2380-2383/2384Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190073 .
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2379 PARTE PRIMA 2380
al provvedimento in questione (sent. 31 luglio 1965, n. 1861, Foro it., 1965, I, 1764; 4 febbraio 1988, n. 1103, id., Rep. 1988, voce Comunione e condominio, n. 117), ha escluso la possibili tà di proporre ricorso per cassazione ex art. Ill Cost, contro
di esso, in quanto insuscettivo di produrre giudicato, tanto che
le parti interessate possono nuovamente ricorrere al giudice per chiedere l'emissione di un nuovo provvedimento in senso dif
forme da quello precedentemente emesso (sent. 31 luglio 1965,
cit.; 5 marzo 1969, n. 697, id., Rep. 1969, voce cit., n. 168; 4 febbraio 1988, cit.; 20 febbraio 1992, n. 2085, id., Rep. 1992, voce cit., n. 165; 25 agosto 1993, n. 8994, id., Rep. 1994, voce
cit., n. 188), per cui in tali casi la garanzia del controllo di
legittimità sarebbe priva della sua ragion d'essere (sent. 31 lu
glio 1965, cit.; 25 agosto 1993, cit.).
Va, infatti, in primo luogo osservato che appare contraddit
torio riconoscere il carattere decisorio di un provvedimento e
negare contemporaneamente allo stesso la attitudine a passare in giudicato.
In senso contrario alla inidoneità del provvedimento di revo
ca dell'amministratore a passare in giudicato (con conseguente sua revocabilità) va osservato che secondo autorevole dottrina
l'efficacia di un provvedimento e la sua revocabilità od irrevo
cabilità dipendono dal suo contenuto, dalla natura dell'attività
che l'organo giurisdizionale ha svolto nel pronunciarlo, per cui
se l'organo ha deciso una lite tra le due parti, attuando il diritto
a favore dell'uno o dell'altro, le ragioni politico-sociali che so
no all'origine dell'istituto della cosa giudicata impongono di at
tribuire al provvedimento (qualunque sia il suo nome e la sua
forma) un'efficacia che valga a porre un termine definitivo alla
controversia.
Con riferimento specifico al provvedimento previsto dall'art.
64 disp. att. c.c., va ricordato che con esso il giudice non so
spende l'amministratore, ma cioè pone in uno stato di quiescen za temporaneo il rapporto tra condominio e amministratore, ma revoca quest'ultimo, cioè pone definitivamente termine ante
tempus al rapporto in questione. A prescindere, poi, dalla possibilità teorica che il giudice ri
pristini un rapporto contrattuale al quale in precedenza ha po sto termine, la possibilità pratica per le parti di ricorrere nuova
mente al giudice per ottenere un provvedimento di senso diffor
me da quello di revoca dell'amministratore in precedenza emesso
è spesso da escludere.
A seguito della revoca, infatti, il condominio potrebbe (e nel
caso di condominio con più di quattro partecipanti dovrebbe) avere nominato un nuovo amministratore, oppure tale ammini
stratore potrebbe essere stato nominato dallo stesso giudice adi
to da uno dei condomini ex art. 1129, 1° comma, c.c.
Nella prima ipotesi alla revoca osterebbe il disposto dell'art.
742 c.p.c., il quale fa salvi i diritti acquisiti in buona fede dai
terzi in forza di convenzioni anteriori alla revoca stessa. Nella seconda ipotesi la revoca sarebbe inefficace, se non ac
compagnata anche dalla revoca della nomina del nuovo ammi
nistratore, in relazione alla quale mancherebbero, però, i pre
supposti di legge. Con il primo motivo del ricorso Francesco Fraioli denuncia
violazione e falsa applicazione dell'art. 64, 2° comma, disp. att. c.c. e deduce che la corte di appello non avrebbe considera
to che la norma di cui si denunzia la violazione espressamente
prevede che il termine per proporre reclamo contro il provvedi mento con il quale il tribunale si è pronunciato sulla richiesta
di revoca dell'amministratore decorre dalla notificazione di tale
provvedimento. La doglianza è fondata, in quanto la corte di appello non
ha tenuto conto del fatto che l'art. 64, 2° comma, disp. att.
c.c. contiene una deroga alla disciplina generale di cui all'art.
739 c.p.c. (confermando indirettamente la natura sostanzialmente
contenziosa del provvedimento di revoca dell'amministratore di
condominio).
L'accoglimento del primo motivo comporta l'assorbimento
del secondo, con il quale Francesco Fraioli deduce che anche
volendo far decorrere il termine per la proposizione dalla co
municazione del decreto del tribunale occorre tenere conto della
sospensione del termine stesso durante il periodo feriale.
La sentenza impugnata va, pertanto, cassata, con rinvio, per un nuovo esame, ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
Il Foro Italiano — 1996.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 7 mag
gio 1996, n. 4236; Pres. Sciolla Lagrange Pusterla, Est.
Sabatini, P.M. Morozzo Della Rocca (conci, conf.); Sto
relli (Avv. Troccoli, M. Leone) c. Lazazzera (Avv. Raimon
do). Conferma Trib. Bari 5 maggio 1993.
Locazione — Legge 392/78 — Canone — Aumenti illegittimi — Azione di ripetizione — Termine semestrale di decadenza — Decorrenza — «Dies ad quem» (L. 27 luglio 1978 n. 392,
disciplina delle locazioni di immobili urbani, art. 44, 45, 79).
Il dies a quo e il dies ad quem del termine di sei mesi entro
cui, a norma dell'art. 79, 2° comma, l. 392/78, il conduttore
di immobile urbano deve proporre, a pena di decadenza, l'a
zione di ripetizione delle somme eventualmente corrisposte al
locatore in eccedenza rispetto a quanto previsto dalla legge,
coincidono, rispettivamente, con il momento in cui l'immobi
le locato viene posto concretamente nella disponibilità del lo
catore e con la data di deposito in cancelleria del ricorso in
troduttivo del giudizio, non rilevando, a quest'ultimo riguar
do, che per gli effetti c.d. sostanziali della domanda debba
tenersi conto della data di notifica del ricorso (nella specie, come si rileva in motivazione, si era formato il giudicato in
terno in ordine alla irrilevanza, ai fini dell'art. 79, cpv., I.
392/78, della domanda di conciliazione ex art. 44 stessa
legge). (1)
(1) I. - L'elemento di novità della sentenza è dato dalla precisazione che, in caso di proposizione mediante ricorso della domanda di ripeti zione delle somme indebitamente versate dal conduttore, perché in vio lazione delle norme imperative della 1. 392/78, per valutare l'osservanza del termine ex art. 79, cpv., 1. 392/78 occorre fare riferimento alla data di deposito del ricorso stesso nella cancelleria del giudice adito, e non alla data della sua notificazione al locatore convenuto. La Cassazione osserva come tale soluzione (adottata anche ai fini della valutazione della tempestività delle azioni possessorie: cfr. Cass. 4 novembre 1993, n. 10936, Foro it., Rep. 1994, voce Possesso, n. 64) appaia «del tutto aderente» al combinato disposto degli art. 2966 c.c. e 79, cpv., cit.
(dal quale si ricava che nel termine semestrale in discorso l'azione di
ripetizione deve essere «proposta»), e richiama il principio, affermato con riferimento al rito del lavoro, secondo cui la pendenza della lite si determina con il deposito del ricorso introduttivo nella cancelleria del giudice, ancorché della sua notifica si debba tenere conto per i c.d. effetti sostanziali della domanda (v. Cass., sez. un., 11 maggio 1992, n. 5597 e 16 aprile 1992, n. 4676, id., 1992, I, 2089, con nota di G.
Costantino). Tra le (sporadiche) pronunzie di merito soffermatesi sul
punto specifico, dello stesso avviso è Pret. Venezia 19 luglio 1993, id., Rep. 1994, voce Locazione, n. 154 (e Arch, locazioni, 1994, 148); men
tre, invece, per Pret. Molfetta 16 febbraio 1990, Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 594 (e Arch, locazioni, 1990, 594), il dies ad quem del termine in discorso coincide in ogni caso con il «momento della instau razione del contraddittorio» sulla domanda di ripetizione dell'indebito.
In precedenza, la Cassazione non aveva avuto occasione di esaminare sotto il profilo ora considerato il problema della individuazione del dies ad quem del termine di decadenza posto dal 2° comma dell'art. 79 1. 392/78, principalmente a motivo del fatto che nell'assetto normativo di indebito previsto dalla citata disposizione veniva proposto con ricor so (anziché con atto di citazione) soltanto quando il conduttore chiede va contestualmente la determinazione del canone di locazione, ai sensi dell'art. 45 della stessa legge; e in tal caso, come non si manca di ram mentare nella motivazione, secondo l'opinione dominante della corte di legittimità (contestata, peraltro, da una parte della giurisprudenza di merito e della dottrina: v. Trib. Milano 13 gennaio 1994, Foro it., 1994, I, 2538, con nota di richiami, annotata da N. Izzo, in Giust.
civ., 1994, I, 1447, e da R. Frasca, in Arch, locazioni, 1995, 163), ad impedire il verificarsi della decadenza di cui al citato art. 79 era sufficiente che il conduttore proponesse, entro sei mesi dal rilascio del l'immobile locato, la domanda per il tentativo obbligatorio di concilia zione prescritto dagli art. 43-44 1. 392/78: in questo senso, v., da ulti
mo, Cass. 9 dicembre 1994, n. 10541, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 155; 13 ottobre 1995, n. 10884, id., Mass., 1139.
La questione su cui è intervenuta Cass. 4236/96 ha acquistato, peral tro, notevole rilevanza sul piano concreto per i giudizi promossi, ai sensi dell'art. 79 1. 392/78, dopo il 30 aprile 1995, giacché a partire da tale data con l'entrata in vigore della riforma processuale della 1. 353/90 (e successive modifiche), le domande giudiziali in materia di locazioni di immobili urbani vanno proposte, per regola generale, con ricorso (ex art. 447 bis c.p.c., che altresì, in combinato disposto con l'art. 8, n. 3, ha attribuito la materia funzionalmente al pretore del
luogo in cui l'immobile è sito), e la domanda di determinazione del
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo, la ricor
rente denuncia, con riferimento all'art. 360, n. 2, c.p.c., la vio
lazione degli art. 9, 10 e 14 c.p.c. e sostiene che, avendo il
Lazazzerra esercitato una comune azione di ripetizione d'inde
bito, e non già, come i giudici del merito hanno ritenuto —
pertanto, afferma, erratamente —, l'azione tipica di cui all'art.
79 1. 392/78, di competenza funzionale del pretore, essa era
assoggettata alle ordinarie regole della competenza ratione valoris.
Il motivo è infondato. Il potere-dovere di qualificare giuridi camente la domanda sulla base dei fatti prospettati e dedotti
dalla parte, che l'ha proposta, appartiene, infatti, al giudice del merito, ed il relativo esercizio è sindacabile in sede di legitti mità nel solo caso di vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c. (da ultimo, nn. 398, 2010, 9166 del 1994, Foro it., Rep. 1994, voce Procedimento civile, nn. 115, 114, 111; n. 10188
del 1993, ibid., n. 116). Nella specie, non vengono dedotti vizi logici o giuridici di
tale qualificazione, manifestamente esclusi, anzi, dal rilievo che, nel ricorso introduttivo — che la ricorrente trascura di esamina
re, e di valore interpretativo evidentemente superiore al pro
spetto contabile, cui la stessa, invece, si richiama —, il Lazaz
zerra aveva affermato di aver «dovuto erogare aumenti non do
vuti» ed aveva conseguentemente richiesto in restituzione la
«differenza tra somme pagate ed aumenti non dovuti», facendo
altresì esplicito riferimento al 2° comma dell'art. 79 1. 392/78:
elementi, questi, alla stregua dei quali non può revocarsi in dub
bio la correttezza della operata qualificazione giuridica.
L'affermazione, poi, secondo la quale non era in contestazio
ne l'entità del canone, dovuto per legge, è in contrasto, oltre
che con il già richiamato contenuto dell'atto introduttivo, altre
sì con le stesse argomentazioni, svolte dalla ricorrente a soste
gno del quinto motivo di ricorso.
È vero, poi, che, come costei sottolinea, la domanda di resti
tuzione dei canoni pagati in più del dovuto appartiene alla com
petenza del pretore solo quando essa comporti l'accertamento
del canone o degli aggiornamenti dovuti, che l'art. 45 stessa
1. n. 392 attribuisce alla competenza per materia di detto giudi ce (Cass. 7551/93, id., Rep. 1993, voce Competenza civile, n.
29; vedansi, anche, sez. un. 1442/95, id., 1995, I, 1162, e sez.
Ili 4124/95, id., Mass., 509): e tuttavia ella trascura di conside
rare che, essendo stata proposta la domanda il 4 maggio 1990,
dopo, quindi, la riconsegna dell'immobile, avvenuta nel novem
bre precedente, tale accertamento, in mancanza di prosecuzione del rapporto, e seppur privo di ogni autonomia, nondimeno
costituiva un necessario ed implicito antecedente della doman
da, di competenza funzionale del giudice adito.
2. - Manifestamente infondato è il secondo motivo, con il
quale si deduce la violazione dell'art. 414 c.p.c. e vizio di moti
vazione circa un punto decisivo della controversia, avendo il
tribunale rettamente rilevato che la domanda specificava il peti tum (i canoni pagati in più) e la causa petendi (art. 79 1. n. 392).
Il motivo, che attiene essenzialmente alla asserita omessa spe cificazione del secondo requisito, è, infatti, perfino in contrad
dizione con il primo, con il quale, ai diversi effetti della compe
tenza, la stessa ricorrente aveva sottolineato, sia pure infonda
tamente per quanto sopra osservato, essere «evidente» che si
era inteso spiegare una comune azione di ripetizione d'indebito.
3. - Con il terzo motivo, si allega la violazione e falsa appli cazione dell'art. 79, 2° comma, 1. 392/78, nonché vizio di moti
vazione, e si sostiene che il Lazazzera era incorso nella decaden
za, sancita da detta norma, avendo egli notificato il ricorso do
canone di locazione non deve essere più preceduta dal tentativo di con
ciliazione, essendo state abrogate le norme che lo prevedevano (e cioè
gli art. 43, 44 e 45, 1° comma, 1. 392/78: v. l'art. 89 1. 353/90, e successive modifiche).
II. - Circa la decorrenza del termine semestrale di decadenza di cui
all'art. 79, 2° comma, 1. 392/78, la pronunzia in epigrafe ribadisce un
principio ormai acquisito, sul quale, v., da ultimo, Cass. 27 ottobre
1995, n. 11185, id., 1996, I, 595, con nota di richiami (dove è riportata anche Pret. Milano 20 aprile 1995, concernente l'applicazione della norma
nell'ipotesi particolare in cui il conduttore sia deceduto senza lasciare aventi diritto a succedergli nella locazione).
Viene confermato, d'altra parte, in motivazione, l'assoggettamento del termine in discorso al regime di sospensione in periodo feriale, già affermato da Cass. 4 ottobre 1994, n. 8077, id., 1995, I, 1918.
Il Foro Italiano — 1996.
po lo spirare del termine semestrale di legge, decorrente non
già, come ritenuto dal tribunale, dalla materiale riconsegna del
l'immobile, sibbene dalla acquisizione, da parte del conduttore, della certezza che il rapporto di locazione era ormai venuto de
finitivamente a cessare.
Il motivo è infondato. Premessa la natura processuale del
termine, con conseguente applicazione, ad esso, della sospen sione in periodo feriale ai sensi della 1. 742/69 — come affer
mato da questa Corte suprema con sentenza 8077/94 (id., 1995,
I, 918); sospensione che, peraltro, non viene nella specie in con
siderazione — deve, infatti, osservarsi, quanto al dies a quo, che la tesi del ricorrente è contrastata dalla giurisprudenza, al
riguardo formatasi (sentenze 2071/93, id., 1993, I, 3305; 2205/94,
id., Rep. 1994, voce Locazioni, n. 151, e 8077/94, cit.), che
fa decorrere il termine dalla data in cui l'immobile viene posto concretamente nella effettiva disponibilità del locatore: indiriz
zo, questo, che va qui confermato, non solo perché non contra
stato da pertinenti contrarie argomentazioni, ma anche perché basato sulla lettera della legge, la quale non si presta ad equivo ci interpretativi, e trova la sua ratio nella esigenza di evitare
ogni incertezza al riguardo, incertezza invece immanente alla
tesi, di contenuto psicologico, della ricorrente, e che il legislato
re, ad evidenti fini, ha inteso evitare.
Quanto, poi, al dies ad quem, l'affermazione del tribunale, secondo la quale esso coincide con la data di deposito del ricor
so, è in contrasto, ancorché solo implicito, con il prevalente
indirizzo, per il quale, essendo la domanda di ripetizione (delle somme versate in eccesso rispetto alla misura legale) e la pre ventiva istanza di conciliazione componenti di un'unica doman
da giudiziale, introduttiva di un unitario processo di cognizio
ne, la decadenza in questione non si verifica allorquando la con
ciliazione venga richiesta nel termine di legge, con la conseguenza che la domanda di ripetizione può essere avanzata anche suc
cessivamente alla scadenza di esso (sez. Ili 10541/94, ibid., n.
155). Avendo in tal modo il termine aderito, sia pure, ripetesi, solo
implicitamente, all'indirizzo minoritario, il quale nega, invece,
ogni rilevanza alla data della domanda di conciliazione quanto alla decorrenza del termine, da calcolare con esclusivo riguardo a quella di ripetizione (in tal senso, sez. Ili, 11 gennaio 1989, n. 71, id., 1989, I, 2542), in difetto di ricorso incidentale si
è formato il giudicato interno in ordine alla irrilevanza, agli effetti in esame, della domanda di conciliazione, talché tale que stione non può essere qui riesaminata.
Tanto precisato, e precisato altresì che, per conseguenza, la
corte è chiamata a pronunciarsi esclusivamente sul punto se il
dies a quem del termine in questione coincida, come i giudici del merito hanno affermato, con la data del deposito in cancel
leria del ricorso di merito, ovvero con la consecutiva notifica
zione, come invece sostiene la ricorrente, deve osservarsi che
la prima soluzione appare del tutto aderente al combinato di
sposto degli art. 2966 c.c. — in forza del quale la decadenza
è impedita, per quel che qui interessa, dal compimento dell'at
to, previsto dalla legge —, 79, 2° comma, 1. 392/78 e 414, pri ma parte, c.p.c., per il quale, nel rito del lavoro, con il quale è stata e dovevasi trattare la causa, la domanda si propone con
ricorso: il cui deposito, come hanno precisato le sezioni unite
(nn. 4676 e 5597 del 1992, id., 1992, I, 2089) determina la liti
spendenza.
Parimenti, il termine di decadenza, fissato dalla legge per la
proposizione, nello stesso rito, del ricorso in appello, va calco
lato con riferimento alla data del deposito di esso in cancelleria
(art. 434, cpv., c.p.c.), e salvo l'ulteriore termine di legge (art.
435, 2° comma, c.p.c.) per la notifica all'appellato del ricorso
e pedissequo decreto presidenziale. È ben vero che, come la ricorrente sottolinea, le stesse sezioni
unite hanno evidenziato che della notifica del ricorso deve poi tenersi conto per gli effetti c.d. sostanziali della domanda.
E, tuttavia, non attiene a tali effetti il rispetto del termine, di cui al 2° comma dell'art. 79 1. 392/78, avendo esso natura
soltanto processuale. Né la decadenza può ritenersi impedita, come la stessa ricor
rente anche afferma, solo dal compimento di un atto, che sia
portato a conoscenza della parte, che di essa si giova. Tale esigenza è stata, infatti, sancita dal legislatore all'art.
2943 c.c. a proposito degli atti interruttivi (inapplicabili alla de
cadenza: art. 2964 c.c.) del corso della prescrizione, laddove
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2383 PARTE PRIMA 2384
il successivo art. 2966 stabilisce che la decadenza è impedita solo dal compimento dell'atto, previsto dalla legge o dal con
tratto, senza, quindi, alcun riferimento alla necessità che l'atto
sia, sempre ed in ogni caso, portato a conoscenza dell'altra par te: il diverso modo di disporre delle due norme è, dunque, in
contrasto con la tesi della ricorrente.
Con la quale contrasta altresì il rilievo che, quand'anche vi
fosse costituzione in mora del debitore, ai sensi dell'art. 2943, 4° comma, c.c., la decadenza, di cui al 2° comma dell'art. 79
citato, non sarebbe nondimeno impedita, non solo per la già rilevata inapplicabilità ad essa delle cause di interruzione della
prescrizione, ma anche perché la costituzione in mora, nono
stante la conoscenza, che di essa acquisisce il debitore, è nozio
ne diversa dall'azione, tassativamente prevista dallo stesso art.
70 per evitare la decadenza.
La affermata necessità che l'atto sia portato a conoscenza
del debitore sicuramente non ricorre nell'ipotesi, di cui al men
zionato 2° comma dell'art. 434, così come non ricorre in quel
la, per quanto desueta, disciplinata dall'art. 924 c.c.: il brevissi
mo termine di decadenza di due giorni, posto da quest'ultima norma a carico del proprietario di sciami di api per l'insegui mento di queste nel fondo altrui — il proprietario del quale ben può trovarsi anche a notevole distanza — prescinde infatti,
evidentemente, da notifiche o comunicazioni del compimento di tale attività materiale.
Tale conclusione — conforme alla decisione che, nei giudizi
possessori, momento rilevante per impedire il decorso del termi
ne annuale e la conseguente decadenza dall'azione è quello del
deposito in cancelleria del ricorso al giudice: sez. II 4 novembre
1993, n. 10936 (id., Rep. 1994, voce Possesso, n. 64) — non
può ritenersi invece contrastata dalla già citata sentenza n. 71
del 1989, dal momento che l'affermazione, in essa contenuta,
del calcolo del termine con riferimento alla data di notificazio
ne dell'atto introduttivo, riguarda una fattispecie, in cui il pro cedimento era stato proposto con citazione ordinaria, invece che
con ricorso: la corte era allora chiamata a decidere se il termine
andasse computato con riguardo alla domanda ovvero alla pre ventiva istanza di conciliazione, talché la effettiva ratio deci
dendi è nel primo senso, e la dianzi accennata ulteriore precisa zione costituisce un obiter dictum, riferito alla specificità della
fattispecie. 4. - In ordine alla dedotta improcedibilità della domanda per
mancanza del tentativo di conciliazione, il tribunale ha osserva
to che tale tentativo in realtà venne espletato, avendo il Lazaz
zera presentato il 10 aprile 1990 un'istanza, che non riguarda solo l'anticipazione dell'udienza, ma atteneva anche al merito
della controversia.
Con il quarto motivo la ricorrente, pur non contestando che
la domanda di conciliazione venne in effetti presentata, sostiene
tuttavia che, dovendo essa necessariamente vertere sul medesi
mo petitum e sulla medesima causa petendi dell'azione di ripeti zione di indebito, la procedibilità avrebbe dovuto essere valuta
ta con esclusivo riferimento all'originaria istanza del 1° marzo
1990.
Il motivo è infondato. Proprio, infatti, sulla base dei principi
giuridici dedotti, il collegamento va limitato alle domande di
conciliazione (10 aprile 1990) e di merito (5 maggio successivo), sulle quali il pretore, prima, ed il tribunale, poi, hanno provve duto: domande che, entrambe, indicano in lire 37.013.350 l'am
montare del credito, fatto valere, e sono, dunque, del tutto cor
rispondenti tra loro.
Non a ragione, poi, la ricorrente nega che la domanda del
10 aprile 1990 pesentasse i requisiti, richiesti dall'art. 44 1. n.
392 del 1978: anche al riguardo, deve infatti ribadirsi che la
qualificazione della domanda compete al giudice del merito, che, nella specie, in tal senso rettamente ebbe a decidere, posto che
l'istanza faceva espresso riferimento alla fase conciliativa, già in corso.
Né vi fu violazione del diritto di difesa, posto che il pretore
dispose la notificazione dell'istanza all'altra parte: notificazione
che non si contesta essere avvenuta.
5. - Il pretore, prima, ed il tribunale, poi, hanno determinato
l'ammontare del credito del Lazazzerra alla stregua ed in con
formità della espletata consulenza tecnica d'ufficio, la quale, accertati gli importi delle somme effettivamente versate dal con
duttore, e di quelle, invece, dovute per legge nel corso del rap
ii- Foro Italiano — 1996.
porto locativo sulla base del canone convenzionale, aveva deter
minato in lire 14.399.986 il credito stesso.
Il quinto motivo di ricorso, con il quale si allega, al riguardo, violazione di legge e vizio di motivazione, è inammissibile.
Premesso, infatti, che, in mancanza di censure, che in modo
specifico deducano vizi logici o giuridici delle consulenze tecni
che, espletate nel corso del giudizio di merito, la relativa valuta
zione non è sindacabile in sede di legittimità (sez. lav. 1145/94,
id., Rep. 1994, voce Consulente tecnico, n. 25), deve, infatti,
rilevarsi il carattere generico delle censure.
Né specifiche queste possono considerarsi con riferimento al
le dedotte violazioni di legge: non basta, infatti, a travolgere una consulenza contabile, l'asserita violazione di norme, se questa non venga posta a confronto, come nella specie, con i criteri, di natura giuridica, seguiti dal c.t.u.
6. — Alla stregua delle esposte considerazioni, il ricorso va
respinto.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 6 mag
gio 1996, n. 4196; Pres. Taddeucci, Est. Giustiniani, P.M.
Tondi (conci, conf.); Di Lauro (Avv. Leu) c. Loiaconi; Loia
coni (Avv. Bovio) c. Di Lauro. Conferma App. Milano 1°
ottobre 1993.
Professioni intellettuali — Avvocato — Domanda giudiziale —
Proposizione tardiva — Responsabilità professionale — Esclu
sione — Fattispecie (Cod. civ., art. 1176, 1223, 2230). Mediazione e mediatore — Opera prestata dal mediatore — Con
clusione dell'affare — Efficacia determinante — Esclusione — Fattispecie (Cod. civ., art. 1754, 1755).
Va esclusa la responsabilità professionale dell'avvocato per la
tardiva proposizione di una domanda giudiziale, qualora sia
accertata la sussistenza di elementi tali per cui essa sarebbe
stata rigettata nel merito. (1)
L'opera prestata dal mediatore è priva di efficacia determinante
rispetto alla conclusione di un affare che abbia natura giuri dica diversa da quello proposto, che sia stato stipulato dopo
(1) La vicenda approdata all'esame del Supremo collegio scaturisce
dall'accoglimento dell'eccezione di prescrizione opposta alla domanda con cui un mediatore chiedeva il riconoscimento delle provvigioni a lui spettanti per aver prestato la propria opera in una fase delle lunghe trattative aventi ad oggetto la cessione di un complesso immobiliare
milanese, prima interrotte e poi sfociate nella conclusione di un con tratto di compravendita per il prezzo di ottanta miliardi. Il mediatore, allora, instaurava un nuovo giudizio nei confronti del legale cui si era
precedentemente affidato, lamentando la colpa professionale di que st'ultimo per non aver dato tempestivamente corso all'incarico confe
ritogli. Dopo che nei due gradi del giudizio di merito era stata esclusa la
responsabilità del professionista in questione, anche la corte di legitti mità è approdata alla medesima conclusione, sul presupposto decisivo che difettava la prova del nesso causale tra la condotta del professioni sta ed il danno del quale era stato chiesto il risarcimento.
È, infatti, consolidato il principio secondo cui la responsabilità del
prestatore d'opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per ne
gligente svolgimento dell'attività professionale presuppone la prova del danno e del rapporto di causalità tra la inadeguata prestazione profes sionale e la lesione patrimoniale subita: cfr. Cass. 28 aprile 1994, n.
4044, Foro it., Rep. 1994, voce Professioni intellettuali, n. 110, e 8
maggio 1993, n. 5325, id., 1994, I, 3188, con osservazioni di C.M.
Barone; nonché Trib. S. Maria Capua Vetere 6 febbraio 1989, id., 1990, I, 3315, con nota di richiami.
Per un quadro riassuntivo sulla problematica dell'accertamento del nesso eziologico tra inadempimento del professionista e danno, v L.
Sburlati, La responsabilità civile del professionista intellettuale, in Resp. civ., 1995, 69 ss., dove, tra l'altro, si sottolinea che, quando l'azione risarcitoria è proposta nei confronti di avvocati e procuratori, viene richiesta dalla giurisprudenza una prova più rigorosa.
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