sezione III civile; sentenza 8 agosto 1995, n. 8685; Pres. Sciolla Lagrange Pusterla, Est. Marletta,P.M. Amirante (concl. conf.); Simonelli e altri (Avv. Cinquetti) c. Soc. Rosamin (Avv. Manunza).Conferma App. Bologna 25 giugno 1992Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 4 (APRILE 1996), pp. 1345/1346-1351/1352Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190306 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
ratio della norma in esame, ma non muove da una esauriente e corretta esegesi della norma medesima.
Dispone l'art. 26, lett. c), che la disciplina dettata dal capo primo della 1. 392/78 non si applica alle locazioni relative agli
alloggi soggetti alla disciplina dell'edilizia convenzionata (il cui canone, per effetto della sentenza 155/88 della Corte costituzio
nale, Foro it., 1988, I, 1051, non può comunque essere superio re all'equo canone).
Ora, gli alloggi soggetti alla disciplina dell'edilizia convenzio nata menzionati dall'art. 26, lett. e), sono solo quelli realizzati sulla base di convenzioni (quali sono quelle previste dall'art.
35 1. 865/71, che ha introdotto la figura dell'edilizia convenzio nata nel nostro ordinamento, e dagli art. 7 e 8 1. 10/77, che
ne ha esteso l'ambito), con le quali i comuni o i consorzi di
comuni concedono a soggetti pubblici o privati, per fini edifica tori, con diritto di superficie o in proprietà, aree comprese nei
piani urbanistici speciali previsti dalla 1. 167/62 ed interamente
espropriate dai comuni, ovvero anche aree esterne ai detti pia ni, determinando non solo le caratteristiche costruttive e tipolo
giche ed i termini di inizio ed ultimazione dei lavori di costru zione degli edifici, ma anche i criteri di determinazione e revi
sione dei canoni di locazione (cfr. sent. 6680/92, id., Rep. 1992, voce Locazione, n. 106).
Ed è opportuno precisare che l'edilizia convenzionata, come
sopra definita, si inserisce nel più ampio quadro dell'edilizia residenziale pubblica, e si caratterizza, quindi, come edilizia che prevede canoni controllati e quindi accessibili alle categorie me
no abbienti (cfr. Corte cost. 155/88, cit.). I suindicati principi, non considerati dalla corte territoriale,
consentono quindi di individuare la essenziale e determinante
ragione della non riconducibilità nella suindicata tipologia delle locazioni in oggetto: esse infatti, come è pacifico (ciò risultando
sia dal ricorso che dalla sentenza impugnata), riguardano im
mobili acquistati nel 1948 dalla A.a.i., sicché è palese la loro
estraneità alla figura dell'edilizia convenzionata, all'epoca ignota. 2. - In conclusione, il ricorso va rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 8 ago sto 1995, n. 8685; Pres. Scioiaa Lagrange Pusterla, Est.
Marietta, P.M. Amirante (conci, conf.); Simonelli e altri
(Avv. Cinquetti) c. Soc. Rosamin (Aw. Manunza). Confer ma App. Bologna 25 giugno 1992.
Contratti agrari — Affitto a coltivatore diretto — Rinuncia del
l'originario affittuario a favore dei figli — Durata del con
tratto (L. 3 maggio 1982 n. 203, norme sui contratti agrari, art. 2).
Il contratto di affitto a coltivatore diretto sorto nel 1939, per cui v'è stata rinuncia da parte dell'originario affittuario a fa vore dei figli, ai sensi dell'art. 2 l. 203/82, ha la ulteriore durata di undici anni, ove non vi sia stata novazione del con
tratto stesso, con scadenza pertanto alla fine dell'annata agraria 1991-92. (1)
(1) L'art. 2 1. 203/82, per i contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge, ha disposto la cessazione del contratto con riferi mento alla data di inizio del rapporto. Per quel che qui interessa, per i contratti che hanno avuto inizio prima dell'annata agraria 1939-40, o nel corso della medesima annata, l'ulteriore durata è di undici anni, e quindi con la scadenza alla fine dell'annata agraria 1991-92. Per i contratti sorti nelle annate successive a quella del 1939-40, l'art. 2 ha
previsto una maggiore ed ulteriore durata, sino a quindici anni, con la cessazione graduata del contratto alla fine delle annate agrarie suc cessive a quella del 1991-92.
È stata affrontata dalla giurisprudenza la questione se la stipula di un nuovo contratto tra le parti in data successiva a quello iniziale, o
Il Foro Italiano — 1996.
Svolgimento del processo. — La s.r.l. Rosamin, proprietaria e concedente del fondo rustico «Offanengo» di complessivi Ha.
22,30,07 circa, condotto in affitto da Simonelli Agostino e dai suoi familiari Lorenzetti Lidia, moglie, e Simonelli Carmela,
Angelo e Antonella, figli, adiva la sezione specializzata agraria del Tribunale di Crema e, premesso che il contratto, inizialmen te stipulato tra l'allora proprietario del fondo e la fraterna Si
monelli, fra cui Simonelli Angelo, padre dell'attuale condutto
re, era in corso sin dal 1939 con scadenza, quindi, ex art. 2 1. 203/82, all'11 novembre 1992, non avendo avuto esito positi vo il prescritto tentativo di conciliazione, chiedeva dichiararsi
cessato il contratto alla data indicata, con condanna dei conve nuti al rilascio del fondo.
Si costituiva il solo Simonelli Agostino, deducendo che il con tratto in corso all'entrata in vigore della 1. 203/82 non era quel lo del novembre 1939, bensì' quello stipulato nel 1963 con Simo
le modificazioni soggettive del contratto stesso, possano dare luogo allo
spostamento della data di cessazione come graduata dall'art. 2 della legge. Trib. Padova 19 settembre 1992, Foro it., Rep. 1993, voce Contratti
agrari, n. 74, e Dir. e giur. agr. e ambiente, 1993, 117, con commento di G. Bellantuono, ha ritenuto che sussiste la novazione ed il conse
guente differimento della scadenza del rapporto, qualora il concedente e il concessionario stipulino un nuovo contratto, nel quale il fondo con cesso in affitto risulti in parte diverso e di estensione notevolmente su
periore. App. Bologna 22 novembre 1991, Foro it., Rep. 1992, voce cit., n.
155, e Dir. e giur. agr., 1992, 307, pur accogliendo il criterio interpreta tivo dell'altra decisione richiamata, giunge tuttavia ad opposte conclu sioni ritenendo che la novazione sia esclusa in caso di variazione del
gruppo familiare degli affittuari, di riduzione del fondo e canone ade
guato, tutti elementi questi che non incidono sull'identità essenziale del
rapporto. Trib. Crotone 28 febbraio 1994, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n.
66, e Dir. e giur. agr. e ambiente, 1994, 634, con riferimento ad un contratto sorto nel 1932, per il quale vi era stato rinnovo ad ogni sca denza e nel quale alla morte del precedente affittuario erano subentrati
gli eredi, con la conclusione dell'ultimo contratto al novembre 1956, ha ritenuto la novazione del contratto e quindi rigettato la domanda di cessazione alla fine dell'annata agraria 1991-92.
Nel caso di cui alla sentenza che si riporta, il contratto era sorto nel 1939 e nel 1975 l'originario affittuario aveva «rinunciato» all'affitto a favore dei figli. La corte del merito aveva ritenuto la continuità del
rapporto tra padre e figli, e ai sensi dell'art. 2 1. 203/82 aveva confer mato la decisione dei giudici di primo grado, che avevano disposto la cessazione alla fine dell'annata agraria 1991-92.
Con il ricorso per cassazione, gli affittuari hanno dedotto che la cor te del merito aveva dato rilievo ad una nozione di rapporto intesa quale relazione di fatto con il fondo, senza considerare che il rapporto in corso intercorreva tra soggetti diversi da quelli tra cui era stato stipula to il contratto del 1939. E la «rinuncia» da parte dell'originario affit tuario a favore dei figli, doveva considerarsi «cessione» del contratto, come tale vietata dall'art. 21 1. 11/71: di conseguenza, secondo i ricor
renti, la presenza dei cessionari sul fondo sarebbe stata illegittima, se il locatore non avesse instaurato con essi un nuovo rapporto, che come tale dava luogo al differimento della scadenza.
La sentenza riportata, pur affermando che se le modificazioni inter venute nel contratto sono tali da comportare la estinzione e la nascita di un nuovo contratto si fa luogo al differimento della scadenza, con riferimento al caso in esame ha escluso la novazione per via delle modi ficazioni soggettive intervenute, e quindi confermato la decisione della corte di merito.
A sostegno della soluzione adottata, è stato ritenuto che la «rinun cia» dell'originario affittuario a favore dei figli doveva considerarsi «re
cesso», che non giustificava il sorgere di un nuovo contratto, essendovi stata la continuazione dell'originario rapporto da parte dei figli.
Se «rinuncia» e «recesso» rimandano alla dismissione di un diritto da parte di chi ne è titolare, nel caso di cui alla sentenza riportata non solo dismissione del diritto vi era stata da parte dell'originario af
fittuario, ma anche «cessione» del contratto a favore dei figli, e la «ces sione» dell'affitto, prima dell'entrata in vigore della 1. 203/82, era vie tata (art. 1 d.l.lgt. 5 aprile 1945 n. 156). La cessione del contratto di
affitto, a particolari condizioni, è stata introdotta dal 3° comma del l'art. 48 1. 203/82.
La questione, alla luce di quanto precede, è pertanto se la «cessione» del contratto, al di là della nullità al tempo in cui fu effettuata, costi tuisca novazione che come tale possa dare luogo al differimento della scadenza.
Per quel che risulta dalla odierna sentenza, non sembra che la que stione della novazione abbia avuto un adeguato approfondimento, es sendo stato affermato genericamente che la successione tra padre e figli comportava unicità del rapporto, senza indagare se la «cessione» avesse anche avuto effetto novativo.
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1347 PARTE PRIMA 1348
nelli Angelo, onde la scadenza andava fissata al 1997; chiedeva,
pertanto, in via riconvenzionale l'accertamento della anzidetta
scadenza e la condanna dell'attrice al pagamento degli inden
nizzi dovuti ai sensi degli art. 17 e 50 1. 203/82, 12 e 17 1.
865/71, nonché al rimborso dei canoni eccedenti la misura legale.
L'adito tribunale, con sentenza del 30 gennaio 1992, accoglie va la domanda dell'attrice e dichiarava improcedibile la ricon
venzionale del convenuto costituito.
Avverso tale sentenza tutti i convenuti proponevano appello,
che veniva rigettato dalla Corte d'appello di Brescia, sezione
specializzata agraria, con sentenza del 25 giugno 1992.
Rilevava la corte territoriale che, distinguendo il legislatore del 1982 tra «contratto in corso» e «rapporto (che ha) avuto
inizio», al fine di stabilire l'anteriorità del «rapporto» rispetto
all'annata agraria 1939/40, occorreva fare riferimento al «rap
porto» — inteso come relazione intersoggettiva tra due persone
e non come relazione di fatto col bene — posto in essere a
seguito del contratto che risulti essere in corso al 1982 e non,
anche, a quello nato da un contratto precedente — nella specie,
quello del novembre 1939 —, e che, quindi, poteva condividersi
la tesi espressa in detti termini.
Ne conseguiva che, se le modificazioni intervenute nel con
tratto fossero state tali da comportarne l'estinzione e la nascita
ex novo di altro contratto, la continuità ipotizzata dal legislato re tra i due contratti non era configurabile.
Nella fattispecie, peraltro, il rapporto di affitto con i Simo
nelli si protraeva ininterrottamente dalla stipulazione del primo
contratto, avvenuta I'll novembre 1939, con l'allora proprieta
rio Brambilla Angelo. Il contratto era stato rinnovato, alla sca
denza, fino al 1952 con Simonelli Angelo e Battista; dal 1952
al 1957 risultavano quali affittuari Simonelli Giovanni e Gio
seppe, ma ciò non implicava l'estraneità rispetto al contratto
di Angelo, significando solo che le parti non si erano preoccu
pate di indicare con precisione, come già avvenuto nei prece
denti contratti, i componenti della fraterna Simonelli. Successi
vamente, Simonelli Angelo risultava presente nelle denunzie ver
bali di contratto, da solo o insieme ad altri familiari, fino al 1974.
La rinuncia alla conduzione operata dal Simonelli Angelo nel
1975 in favore dei figli non poteva poi considerarsi una cessione
di contratto nulla ex art. 21 1. 11/71, integrando un semplice
recesso, che lasciava in vita il contratto tra il concedente e i
figli del recedente.
Conseguentemente, il contratto dal 1939 in poi aveva avuto
i rinnovi e le modificazioni soggettive necessari per il decorso
del tempo, rimanendo sostanzialmente immutato.
In proposito, soccorre la riflessione civilistica sulla novazione, richia
mata nel commento a Trib. Padova 19 settembre 1992, cit. V'è dottrina che ravvisa il fondamento della novazione nel mutamen
to oggettivo del rapporto (Breccia, Le obbligazioni, Milano, 1991, 693;
Magazzù, Novazione (dir. civ.), voce dell 'Enciclopedia del diritto, Mi
lano, 1978, XXVIII, 811 ss.; Rescigno, Novazione, voce del Nuovo
digesto, Torino, 1965, XI, 435). Attraverso l'effetto estintivo-costitutivo
di cui all'art. 1230 c.c., le parti concordano la trasformazione del nu
cleo fondamentale dei loro interessi e la realizzazione di esigenze diver se da quelle poste a base dell'originario contratto (v. Magazzù, cit.). Altra dottrina ritiene che la novazione non si verifica se i mutamenti
introdotti non incidono sull'identità del rapporto (Zaccaria, La presta zione in luogo dell'adempimento, Milano, 1987, 190 ss.; Perlingieri, Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall'adempimento, in
Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1975, 113 ss.). E la dot
trina che ammette la novazione anche quando la nuova obbligazione non sia sostanzialmente diversa rispetto a quella originaria, riconosce
comunque la necessità di una dichiarazione espressa in tale senso (Bian
ca, Diritto civile. L'obbligazione, Milano, 1991, 4, 452; Buccisano,
Novazione, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1990, XXI,
7; Di Prisco, I modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall'adem
pimento, in Trattato diretto da Rescigno, Torino, 1984, 9, 275). Va aggiunto che a sostegno delle censure dedotte, i ricorrenti aveva
no richiamato l'art. 22 1. 203/82, che per l'affitto a conduttore non
coltivatore diretto prevede la durata minima di quindici anni, sia nel
caso di nuova convenzione sottoscritta e sia nel caso di tacita rinnova
zione e proroga del precedente contratto.
La sentenza riportata, ha in proposito affermato che l'art. 22 realizza
una tutela parzialmente diversa da quella dell'affittuario coltivatore di
retto, senza che ne risulti una complessiva posizione dell'affittuario col tivatore diretto «apprezzabilmente deteriore rispetto a quella del non
coltivatore diretto», sotto l'aspetto del principio di uguaglianza di cui
all'art. 3 Cost. [D. Bellantuono]
Il Foro Italiano — 1996.
Proprio la contrapposizione tra i termini «contratto» e «rap
porto» voluta dal legislatore del 1982 esprimeva la irrilevanza
dei fenomeni di successione nel contratto intervenuti nel tempo,
dando invece rilievo, agli effetti dell'art. 2 1. 203/82, al «rap porto», la cui continuità non era interrotta dalle modificazioni
soggettive sopra considerate.
Peraltro, in difetto di un normale avvicendamento soggettivo
nell'ambito dell'unico rapporto iniziato nel 1939, gli appellanti
difficilmente avrebbero potuto giustificare il loro attuale inse
diamento sul fondo.
Rilevava l'improcedibilità della riconvenzionale perché non
preceduta dal tentativo di conciliazione che, ai sensi dell'art.
46 della legge in esame, doveva ritenersi obbligatorio in funzio
ne non del giudizio da instaurare, bensì della domanda da far
valere in giudizio, già instaurato da altri.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso Si
monelli Agostino, Angelo, Antonella, Carmela e Lorenzetti Li
dia, sulla base di due motivi, illustrati da successiva memoria.
Resiste con controricorso la Rosamin s.r.l.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo i ricorrenti,
denunciando violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2 1.
203/82, censurano la sentenza impugnata per avere, ai fini del
l'individuazione dei «contratti in corso» la cui durata è discipli
nata dall'art. 2 1. cit., attribuito al termine «rapporto» di cui
al 1° comma della stessa norma un'accezione del tutto fuor
viarne rispetto alla «ratio della norma» ed avulsa dalla necessa
ria base intersoggettiva, si da ipotizzare la rilevanza, ai fini con
siderati, di un «rapporto» con soggetti diversi da quelli tra cui
esso intercorre al momento dell'entrata in vigore della legge:
dando rilievo, in definitiva, ad una nozione di rapporto intesa
quale relazione di fatto con il fondo, qualificata dall'insedia
mento materiale di una determinata famiglia colonica su un de
terminato terreno.
Ne consegue che la data di inizio del rapportro tra Simonelli
Agostino — capo dell'odierna famiglia colonica — con la Ro
samin s.r.l. non potrebbe farsi risalire a quella dell'originario
rapporto Simonelli Angelo - Brambilla Angelo.
D'altra parte, Simonelli Angelo — padre di Agostino — ri
sultava parte del rapporto solo nel contratto dell'11 novembre
1959, ed unico titolare solo dal 1963 e sino alla «rinuncia» al
contratto in favore dei figli, da lui operata con lettera del 22
ottobre 1975 e con effetto dall'I 1 novembre successivo.
Tale «rinuncia», posta in essere in favore di chi non era con
titolare dell'affitto, era da configurare come una «cessione» del
contratto, nulla in virtù dell'art. 21 1. 11/71. Sicché, la perma
nenza dei cessionari sarebbe stata illegittima ed abusiva se il
locatore non avesse instaurato con loro un nuovo rapporto: il
che risultava dalle successive denunce di contratto verbale sot
toscritte dall'ing. Silvio Valdameri «per incarico delle parti»,
e quindi anche della «proprietà».
Conseguentemente, l'affermazione per cui, al di fuori di un
normale avvicendamento soggettivo nell'ambito di un unico rap
porto iniziato nel 1939, i componenti della famiglia Simonelli
ben difficilmente avrebbero potuto giustificare il loro attuale
insediamento sul fondo, era frutto di un travisamento del detta
to normativo dell'art. 2 della legge in esame. Laddove, poi, il riferimento alla «famiglia» dell'attuale conduttore urtava contro
l'ineccepibile considerazione che solo con l'entrata in vigore della
1. 203/82 (art. 48) l'impresa familiare coltivatrice era assurta
al ruolo di parte essenziale del rapporto agrario, sicché prima di tale data non era riconoscibile alla famiglia Simonelli alcuna
legittimazione nel rapporto de quo. Il motivo è infondato. L'interpretazione della norma dell'art.
2 1. 203/82 data dalla corte di merito appare, invero, corretta.
La distinzione tra «contratto» e «rapporto» posta dal 1° com
ma dell'art. 2 cit. comporta, in effetti, la necessità di un colle
gamento del «rapporto» cui occorre fare riferimento al fine di
stabilirne la data di inizio — rapporto inteso nella sua accezio
ne strettamente giuridica di relazione intersoggettiva tra due per sone e non come relazione di fatto tra un soggetto e un bene — con il «contratto» che lo ha posto in essere, sicché, al di
fuori del «contratto», una situazione di fatto caratterizzata dal
la coltivazione del fondo rustico da parte di un soggetto, con
l'eventuale collaborazione dei suoi familiari, non può rilevare
agli effetti della determinazione della data d'inizio del rapporto
agrario.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
La corte territoriale ha, proprio su tale premessa, avvertito
che, se le modificazioni successivamente intervenute sono state
tali da comportare l'estinzione dell'originario contratto e la co
stituzione ex novo di altro contratto, la continuità ipotizzata
dal legislatore tra i due contratti non è giuridicamente configu
rabile. Una siffatta configurazione è pienamente rispondente alla ra
tio della norma, che è quella di tutelare la situazione di fatto
concretantesi nell'insediamento nel fondo del conduttore, se «le
gittimata» da una corrispondente situazione di diritto — dipen
denza di un contratto agrario, quale che ne sia la forma —
indipendentemente dai mutamenti soggettivi o oggettivi interve
nuti in corso di rapporto (cfr. Cass. 12069/91, Foro it., Rep.
1991, voce Contratti agrari, n. 173, ecc.).
In tale ordine di idee, è comprensibile — anzi inevitabile —
che rilevi l'unicità del rapporto, non nel senso della sua assolu
ta identità soggettiva e oggettiva nel corso del tempo, bensì nel
senso del suo perdurare malgrado qualsiasi modificazione inter
venuta. Sicché, qualsiasi successivo accordo contrattuale non
esclude la «continuità» di rapporto se non ne derivi l'estinzione
del precedente rapporto e la costituzione di un rapporto del
tutto nuovo.
Anche il mutamento di soggetti non rileva, quindi, se venga
ad innestarsi nell'originario rapporto contrattuale, senza dar vi
ta ad un rapporto autonomo in virtù di un accordo novativo
che faccia venir meno gli effetti dell'originario contratto e ne
ponga in essere uno diverso.
Né può dirsi che in tal modo si dia rilievo ad una nozione
di rapporto inteso come relazione del soggetto con il bene, e
che tale sia il senso dell'impostazione seguita dalla sentenza im
pugnata; ovvero che si assuma come rilevante una situazione
di mero fatto: cioè l'insediamento di un soggetto nel fondo.
È agevole rilevare, infatti, che l'impostazione sopra delinea
ta, e seguita dalla sentenza impugnata, riconosce pur sempre
la rilevanza del «rapporto» inteso quale relazione intersoggetti
va, dando, però, rilievo ad esso nella sua continuità in quanto discendente dall'originario «contratto», indipendentemente dai
mutamenti intervenuti, se questi non siano tali da configurare
un contratto, e quindi un rapporto, giuridicamente «nuovo».
Si è, poi, già detto che l'insediamento del conduttore nel fon
do rileva, nell'interpretazione seguita dall'art. 2 1. 203/82, solo
in quanto «legittimato» da un rapporto contrattuale.
Non può fondatamente invocarsi la diversa disciplina dettata
dall'art. 22 della stessa legge in tema di affitto a conduttore
non coltivatore diretto — che individua l'ultimo contratto in
corso con riferimento anche alla tacita riconvenzione o proroga
del contratto —, per ricavarne una diversità di trattamento in
contrasto con il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) e con
1 principi di tutela del lavoro consacrati nell'art. 35 Cost. —
per la più penetrante tutela che verrebbe assicurata al condutto
re non coltivatore diretto, rispetto a colui che impiega nel fon
do il lavoro proprio e della famiglia —.
Premesso che proprio l'espressa previsione della rinnovazione
o della proroga tacita ai fini del computo della durata del con
tratto — con inizio, quindi, dalla data della proroga o rinnova
zione —, contenuta nel citato art. 22, dà la riprova che, in
difetto di tale previsione, la nozione di «contratto» e quella
collegata di «rapporto» non può che essere nel senso sopra chia
rito, non è dato ravvisare alcun sospetto di incostituzionalità
con riguardo alla rilevata diversità di disciplina della durata dei
contratti di affìtto a conduttore che sia o meno coltivatore diretto.
La disciplina dell'uno e dell'altro tipo di contratti, anche con
riguardo al periodo transitorio tra la vecchia e la nuova norma
tiva, va, infatti, presa in considerazione nel suo complesso, e
quindi anche negli aspetti — di indubbia rilevanza — attinenti,
soprattuto, alla determinazione del canone, nonché agli effetti
sul contratto della morte dell'affittuario — ove si ritenga appli
cabile all'affittuario non coltivatore la norma dell'art. 1627 c.c.
e non quella dell'art. 49, ultimo comma, 1. 203/82 (cfr., in ter
mini, Cass. 6852/88, id., Rep. 1988, voce cit., n. 201). Nel loro complesso, quindi, le due discipline realizzano una
tutela parzialmente diversa, senza che ne risulti una complessiva
posizione del conduttore coltivatore diretto apprezzabilmente de
teriore rispetto a quella del non coltivatore diretto.
Tanto più se si considera che la diversa formulazione dell'art.
2 rispetto all'art. 22 1. cit. non solo inerisce ad una disciplina
Il Foro Italiano — 1996.
transitoria, ma, a ben vedere, più che dare una diversa defini
zione di «contratti in corso», attribuisce un diverso rilievo, ai
fini della determinazione del dies a quo in tema di durata, al
l'ultimo contratto, indipendentemente dal suo carattere «nova
tivo». Il che costituisce una ragionevole proiezione dei diversi
ambiti di tutela della famiglia coltivatrice e del lavoro diretto
del conduttore e dei suoi familiari da un lato, dell'impresa col
tivatrice dall'altro, in funzione della tendenziale maggiore «con
tinuità» assicurata alla conduzione del fondo nel primo caso
rispetto al secondo e di una più adeguata tutela degli investi
menti del conduttore «capitalista». Ciò premesso, la sentenza impugnata, con logica e adeguata
motivazione, ha dato conto della «continuità» del rapporto nel
l'ambito dei diversi mutamenti soggettivi intervenuti e, in parti
colare, della permanenza quale affittuario di Simonelli Angelo
dal 1952 al 1957 e nel periodo successivo sino al 1975, a seguito
della di lui rinuncia alla conduzione in favore dei figli, motiva tamente qualificata come recesso, che taneva in vita il contratto
con questi ultimi che già ne erano parte.
Peraltro, la «prosecuzione» del rapporto dal 1975 in poi con
i conduttori Simonelli Agostino e Bernardo sino al 1987 e quin
di con il solo Agostino dal 1988 in poi è stata affermata senza
alcun riferimento alla qualità di parte del rapporto in capo alla
famiglia Simonelli in epoca anteriore all'entrata in vigore della
1. 203/82. Quanto, poi, all'affermazione circa il nuovo rapporto che sa
rebbe stato instaurato con i «cessionari» figli di Simonelli An
gelo per effetto delle diverse denunce di contratto verbale sotto
scritte dall'ing. Silvio Valdameri, essa è conseguente ad una va
lutazione dei fatti diversa da quella compiuta dal giudice di
appello, la motivazione della quale non è, però, idonea ad infir
mare, e di una qualificazione giuridica della dichiarazione di
Simonelli Angelo in data 22 ottobre 1975 diversa da quella adot
tata dallo stesso giudice, che appare giuridicamente corretta ed
incensurabile quanto ai presupposti di fatto.
Con il secondo motivo i ricorrenti, denunciando violazione
e/o falsa applicazione dell'art. 46 1. 203/82, si dolgono che la
sentenza impugnata abbia ritenuto improcedibile le loro domande
rinconvenzionali erroneamente ritenendo anche per esse neces
sario l'esperimento del tentativo di conciliazione, che peraltro,
se necessario, dovrebbe precedere l'udienza di trattazione della
causa e non il deposito della memoria di costituzione.
Anche tale motivo è infondato. Secondo un orientamento di
questa corte ormai consolidato — salvo qualche sporadica deci
sione in senso contrario — la necessità del previo tentativo di
conciliazione a norma dell'art. 46 1. n. 203 del 1982 sussiste
anche per le domande in tema di contratti agrari proposte in
via riconvenzionale, atteso che l'onere suddetto attiene non al
l'instaurazione del processo ed al soggetto che lo promuove,
bensì alla domanda da fare valere in giudizio (cfr. Cass. 8558/91,
id., Rep. 1991, voce cit., n. 240; 13766/91, ibid., n. 243; 2753/92, id., Rep. 1992, voce cit., n. 217; 6684/92, ibid., n. 220; 3397/94, id., Rep. 1994, voce cit., n. 211, ecc.).
Solo nell'ipotesi in cui la domanda riconvenzionale si colleghi direttamente al contrasto tra le parti e alla pretesa fatta valere
dall'attore che abbia esperito la procedura di cui all'art. 46 del
la legge in esame, ovvero il convenuto abbia comunque già de
dotto le relative richieste nel procedimento sperimentato dall'at
tore, può ritenersi, in conformità alla ratio della norma, non
necessario un successivo tentativo di conciliazione (cfr. Cass.
9451/92, id., Rep. 1992, voce cit., n. 228; 8657/91, id., Rep. 1991, voce cit., n. 241).
Tali ipotesi non ricorrono nella fattispecie, in cui le domande
riconvenzionali degli odierni ricorrenti riguardano l'accertamento
della scadenza del contratto al 1997 — e sotto tale profilo, spe
culare rispetto alla domanda dell'attrice, i giudici di merito hanno
pronunciato, trattandosi di accertamento comunque loro deman
dato sulla base di tale domanda — e il pagamento degli inden
nizzi dovuti ai sensi degli art. 17 e 50 1. 203/82, 12 e 17 1.
865/71, nonché il rimborso dei canoni corrisposti in eccedenza
rispetto alla misura legale; capi di domanda chiaramente indi
pendenti dalla domanda principale e dall'accertamento della sca
denza del contratto che essa imponeva. In via subordinata, i ricorrenti deducono, poi, che il momen
to processuale che dovrebbe essere preceduto dall'adempimento
richiesto dal citato art. 46, è quello dell'udienza di trattazione
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1351 PARTE PRIMA 1352
della causa e non quello precedente del deposito della memoria
di costituzione, nell'ipotesi di domanda riconvenzionale.
Tale censura, implicitamente disattesa dalla corte di merito
con l'esplicito riferimento al momento della «proposizione» della
domanda riconvenzionale — nella sua ovvia accezione letterale — è priva di fondamento.
Dal tenore letterale e dalla ratio dell'art. 46 1° comma, 1.
203/82 appare evidente che il tentativo di conciliazione deve
essere esperito prima della «proposizione» della domanda in giu dizio: proposizione che si attua, per la parte convenuta, con
il deposito in cancelleria, a norma degli art. 416 e 418 c.p.c.
(per le controversie, come quella in esame, assoggettate al rito del lavoro), della memoria di costituzione, in tale momento rea
lizzandosi la «sottoposizione» al giudice della pretesa fatta vale
re nei confronti della parte attrice.
È prima di tale momento che il tentativo di conciliazione, attesa la sua finalità di «prevenzione» della lite, deve essere «per fezionato» mediante la redazione di processo verbale a norma del 4° comma dell'art. 46 che attesti il suo esito negativo, e
non nel successivo momento della trattazione della causa, che
presuppone una lite già radicata.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 20 luglio
1995, n. 7890; Pres. Cantillo, Est. Milani, P.M. Dettori
(conci, conf.); Soc. Cofindi fiduciaria (Avv. Libonati, Jae
ger, Lo Cuoco) c. Soc. Sasa - assicurazioni e riassicurazioni
(Avv. Volli); Soc. Sasa - assicurazioni e riassicurazioni c.
F. Gelmi Mattiazzo di Caporiacco e Banca Euromobiliare.
Conferma App. Trieste 11 maggio 1990.
Società — Società per azioni — Trasferimento delle azioni —
Clausola di gradimento — Rifiuto — Designazione di altro
acquirente — Validità della clausola (Cod. civ., art. 2355; 1. 4 giugno 1985 n. 281, disposizioni sull'ordinamento della
commissione nazionale per le società e la borsa; norme per l'identificazione dei soci delle società con azioni quotate in
borsa e delle società per azioni esercenti il credito; norme di
attuazione delle direttive Cee 79/279, 80/390 e 82/121 in ma
teria di mercato dei valori mobiliari e disposizioni per la tute
la del risparmio, art. 22) Società — Società per azioni — Trasferimento delle azioni —
Clausola di gradimento — Richiesta di autorizzazione al tra
sferimento — Legittimazione del socio — Rifiuto illegittimo di autorizzazione — Legittimazione del terzo acquirente (Cod.
civ., art. 2355; 1. 4 giugno 1985 n. 281, art. 22).
È valida ed efficace la clausola dello statuto di una società per azioni che rimette al giudizio degli organi sociali il potere di
autorizzare o vietare il trasferimento delle azioni, quando, pur senza prevedere che l'esercizio di tale potere sia correlato a
criteri prestabiliti, la clausola prescriva che, in caso di rifiuto di autorizzazione, la società debba designare altro acquirente delle medesime azioni in luogo di quello non gradito (nella specie, la clausola di gradimento stabiliva che, in caso di man
cato assenso, il consiglio di amministrazione avrebbe dovuto
indicare uno o più compratori disposti ad acquistare le azioni al prezzo di mercato o, in mancanza, al prezzo determinato
dal locale comitato degli agenti di borsa). (1)
(1) Sembra proprio che da un po' di tempo i modelli francesi siano tornati ad essere di gran moda dalle nostre parti. Questa volta, però, non si tratta di alte questioni di ingegneria costituzionale e di semipresi denzialismo, bensì', più modestamente, del regime delle cosiddette clau sole di gradimento negli statuti delle società per azioni. E, infatti, è
proprio alla legislazione francese che la Suprema corte ha dichiarato di ispirarsi nel giudicare della validità di una clausola di gradimento
li Foro Italiano — 1996.
Nel caso in cui una clausola di gradimento contenuta nello sta
tuto di una società per azioni debba ritenersi valida ed ope rante, la legittimazione a promuovere la procedura per la ri
chiesta dell'assenso al consiglio di amministrazione spetta esclu
sivamente al socio; ma, se la richiesta sia stata respinta in
base ad una clausola di gradimento illegittima, o con una
deliberazione altrimenti viziata da invalidità, il terzo acqui rente è legittimato ad ottenere una pronuncia giudiziale che
elimini l'ostacolo all'inopponibilità del trasferimento delle azio
che, rimettendo alla discrezionalità del consiglio di amministrazione della società la scelta se autorizzare o meno il socio a trasferire proprie azio ni a terzi, senza predeterminare i criteri ai quali tale scelta avrebbe do vuto soggiacere né imporre al riguardo un qualche obbligo di motiva
zione, stabiliva tuttavia che all'eventuale rifiuto del placet dovesse ac
compagnarsi la designazione di altri possibili compratori delle stesse azioni.
Il divieto delle cosiddette clausole di «mero» gradimento, inizialmen te sancito in via giurisprudenziale (a partire dalla nota pronuncia della Cassazione 2365/78, citata in motivazione — che può leggersi in Foro
it., 1978, I, 2781, e 1979, I, 2721, con nota critica di G. Ferri —, la quale operò un clamoroso revirement rispetto all'orientamento prece dente, testimoniato da Cass. 4432/76 — pure richiamata in motivazio ne — id., Rep. 1976, voce Società, n. 271), è stato poi ripreso dal
legislatore nel disposto dell'art. 22 1. 4 giugno 1985 n. 281 (variamente commentato da A. Gambino, Le clausole di gradimento dopo la l. 4
giugno 1985 n. 281 in Giur. comm., 1986, I, 5 ss.; F. Corsi, Il fanta sma della clausola di gradimento, ibid., 20 ss.; A. Borgioli, Le clauso le di gradimento nella l. 4 giugno 1985 n. 281, ibid., 35 ss.). Tale nor ma espressamente definisce «inefficaci» le clausole degli statuti delle società per azioni volte a subordinare gli effetti del trasferimento azio nario al mero gradimento degli organi sociali; e però non precisa in che cosa consista esattamente una clausola di «mero gradimento», e come essa si distingua da una clausola di gradimento non «mero» (per un'analisi delle più frequenti formulazioni adoperate negli statuti delle società azionarie italiane, si veda G. Zamperetti, Le clausole di gradi mento nella recente prassi statutaria, id., 1988, I, 915 ss.), di modo che molto si è discusso per stabilire se la validità di una tal clausola
dipenda dalla rigorosa predeterminazione dei criteri ai quali gli organi deputati ad esprimere il gradimento debbono attenersi (per l'insuffi cienza di clausole di stile, che facciano semplicemente riferimento al l'interesse sociale, vedi Trib. Napoli 9 febbraio 1993, Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 756, e Società, 1993, 967), se invece sia sufficiente stabilire statutariamente l'obbligo degli amministratori di motivare di volta in volta l'eventuale rifiuto del placet (come sembra richiedere il Tribunale di Milano in una delle sue «massime» di giurisprudenza ono raria: cfr. Giurisprudenza societaria milanese, a cura di B. Quatraro, Milano, 1994, 280), o se, come ha ora ritenuto la Suprema corte, si
possa prescindere tanto dalla predeterminazione dei criteri quanto dalla motivazione del rifiuto, purché si assicuri comunque al socio la possibi lità di cedere le proprie azioni, sia pure a persona diversa da quella da lui inizialmente prescelta come acquirente (contra, Trib. Udine 10
luglio 1989, Foro it., 1990, I, 664; vedi però, in dottrina, C. Angelici, La circolazione della partecipazione azionaria, in Trattato delle società per azioni diretto da Colombo e Portale, Torino, 1991, 166, il quale avanza il dubbio che una clausola cosi formulata si ponga al di fuori dei temi propri della clausola di gradimento e si avvicini piuttosto al l'ambito della prelazione). Soluzione, quest'ultima, espressamente con
templata dal legislatore francese (cfr. gli art. 275-277 della legge 66-537; ma vedi altresì' l'art. 174 del progetto D'Amelio per la riforma dei codi
ci, risalente al 1925), alla cui saggezza — fante de mieux — anche la nostra Suprema corte ha fatto dichiaratamente ricorso nel giudicare va lida la clausola sottoposta al suo esame. E ciò perché, se la ragione dell'illegittimità delle clausole di «mero gradimento» — che altrimenti dovrebbero ritenersi conciliabili con la previsione dell'art. 2355, ultimo
comma, c.c. — sta nella necessità di non lasciare il socio «prigioniero della società», ovvero di non consentire agli organi sociali di sopprime re di fatto a proprio piacimento la stessa possibilità di circolazione del titolo azionario (quanto meno con effetti verso la società), quella ragio ne non ricorre, e dunque la clausola per ciò stesso è valida, ogni qual volta sia previsto un meccanismo che comunque consenta al socio di liberarsi delle proprie azioni, non importa se cedendole all'acquirente da lui stesso designato o ad altro soggetto più gradito agli organi sociali.
La soluzione adottata dalla Suprema corte — già adombrata, ma solo in un obiter dictum, da Cass. 2365/78, cit. — non ha precedenti nella giurisprudenza di legittimità, ma è conforme all'indirizzo preva lente della dottrina (per il quale vedi la nota redazionale a Trib. Udine, cit., cui adde, Angelici, op. cit., 161 ss.; M. Casella, Clausole di
gradimento, in Sindacati di voto e sindacati di blocco a cura di Bonelli e Jaeger, Milano, 1993, 342 ss.; V. Salafia, Le clausole relative alla circolazione di azioni e quote, in Società, 1991, 448 ss.; e, da ultimo, M.P. D'Arezzo, a commento della medesima sentenza 7890/95 della Cassazione, id., 1996, 157 ss.; contra, G.F. Campobasso, Diritto com merciale - Diritto delle società, Torino, 1991, 228).
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