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sezione III civile; sentenza 8 aprile 1997, n. 3046; Pres. ed est. Sciolla Lagrange Pusterla, Rel.Talevi, P.M. Nardi (concl. diff.); Veneziani (Avv. Carlevaris, Cieri) c. Amendola. Cassa App.Milano 15 febbraio 1994Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 6 (GIUGNO 1997), pp. 1801/1802-1803/1804Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192016 .
Accessed: 25/06/2014 08:24
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 8 aprile
1997, n. 3046; Pres. ed est. Sciolla Lagrange Pusterla, Rei. Talevi, P.M. Nardi (conci, diff.); Veneziani (Avv. Car
lev aris, Cieri) c. Amendola. Cassa App. Milano 15 febbraio 1994.
Professioni intellettuali — Sanitario — Responsabilità — Chi
rurgia plastica — Obbligo di informazione — Limiti (Cod. civ., art. 2236).
L'obbligo di informazione gravante sul professionista chiamato
ad una operazione di chirurgia plastica c.d. ricostitutiva (nel la specie, rimozione di tatuaggi) è limitato agli eventuali esiti
che, contrariamente agli intenti del paziente, potrebbero ren
dere vana l'operazione, non comportando un effettivo mi
glioramento rispetto alla situazione preesistente. (1)
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
il 26 marzo 1982 Renato Amendola Gravanzola conveniva in
nanzi al Tribunale di Milano il chirurgo plastico dr. Aldo Vene
ziani esponendo: che nell'aprile 1981 si era rivolto a quest'ulti mo per la rimozione di tatuaggi dalle braccia e dalle gambe; che era stato da lui sottoposto a sei interventi ambulatoriali
e, nel luglio successivo, ad un intervento con ricovero per l'a
sportazione ed il trapianto di cute; che sussisteva responsabilità
professionale del chirurgo in relazione ad esiti cicatriziali antie
stetici; che aveva pagato solo un anticipo, ma non il saldo del
l'onorario richiesto dal convenuto. Chiedeva pertanto che il con
tratto venisse dichiarato risolto per inadempimento del conve
nuto e che quest'ultimo venisse condannato al risarcimento dei
danni, ed al rimborso dell'anticipo predetto. Resisteva in giudizio il convenuto, chiedendo in via riconven
zionale la condanna dell'attore alla corresponsione del saldo.
Con sentenza 23 marzo 1990-24 gennaio 1991 il tribunale adi
to dichiarava risolto il contratto per inadempimento del Vene
ziani consistente nel non aver adeguatamente informato il clien
te dei rischi connessi con gli interventi di asportazione di ta
tuaggi e condannava detto chirurgo al risarcimento dei danni.
Proponeva appello il dr. Veneziani.
La Corte d'appello di Milano, con sentenza in data 15 feb
braio 1994, rigettava l'appello condannando il Veneziani alla
rifusione delle spese. Nella motivazione detta corte esponeva le seguenti argomen
tazioni.
L'affermata esistenza in Amendola di problemi psicologici col
legati alla presenza dei tatuaggi, e di forti motivazioni alla ri
mozione degli stessi (che è stata riferita dai testi Carcano, Cafa
ro e Cajani, abituali collaboratori dell'appellante professioni
sta; di segno contrario le dichiarazioni di Cesario, suocero
dell'appellato, e dell'amica di famiglia La Rosa), non risulta
comunque essersi confrontata realisticamente con la probabilità di esiti cicatriziali quali quelli in concreto residuati: nessuno in
fatti ha potuto riferire che il medico avesse chiaramente pro
spettato al paziente tale non peregrina possibilità, mentre da
più parti (La Rosa, Marchi, Cesario) si ricorda che Veneziani, anche dopo l'operazione più impegnativa di trapianto, conti nuava a rassicurare Amendola circa il sicuro esito positivo delle
terapie chirurgiche adottate. La stessa infermiera Balotta, che
più dettagliatamente riferisce delle spiegazioni previamente for
nite dal medico al cliente («. . . gli interventi sui tatuaggi dove
vano differenziarsi . . . cicatrice residua sia nel punto tatuato
sia nel punto di prelevamento della cute»), e ricorda che «l'A
mendola si mostrò perplesso ... poi nel corso nella stessa se
duta . . . disse che in ogni modo voleva liberarsi dei tatuaggi», conferma infine che «il dr. Veneziani disse all'Amendola che
(1) Sulle problematiche concernenti il consenso del paziente all'attivi
tà medico-chirurgica ed il correlato obbligo di informazione a carico
del sanitario, v., da ultimo, Cass. 15 gennaio 1997, n. 364, Foro it.,
1997, I, 771, con nota di A. Palmieri, Relazione medico-paziente tra consenso «globale» e responsabilità del professionista (commentata al
tresì da V. Carbone, Il consenso all'operazione vale come consenso
all'anestesia?, in Danno e resp., 1997, 180). Con specifico riferimento alla chirurgia estetica, v. Cass. 25 novem
bre 1994, n. 10014, Foro it., 1995, I, 2913, con nota di E. Scoditti,
Chirurgia estetica e responsabilità contrattuale (nonché in Nuova giur. civ., 1995, I, 937, con nota di G. Ferrando, Chirurgia estetica, «con
senso informato» del paziente e responsabilità del medico).
Il Foro Italiano — 1997 — Parte /-34.
l'intervento era possibile e che sarebbe residuato "poco segno"»: il che è in netto contrasto con quel dovere di informare realisti
camente il cliente che si deve affermare in capo a un professio nista richiesto di un intervento di chirurgia plastica.
Il c.t.u. non rileva elementi che permettano di affermare che
le pratiche effettuate dal dr. Veneziani siano state contrassegna te da materiale esecuzione tecnica scorretta, e argomenta che
l'instaurarsi (come nella fattispecie) di un aspetto cheloideo di
talune cicatrici e di una discromia della cute innestata, può veri
ficarsi anche se il trattamento è stato corretto.
Tale conclusione evidenzia la necessità di fornire al paziente tutte le informazioni anche in ordine alla possibilità di tali esiti in modo da permettergli una valutazione comparativa realistica
dei rischi e dei benefici. È chiaro che quando il medico ha assicurato che sarebbe resi
duato poco segno (teste Balotta), in una situazione che presen tava la non remota od eccezionale possibilità di rilevanti esiti
antiestetici, tale doverosa informazione è stata negata in radice, sì che nessuna rilevanza può poi attribuirsi al fatto che il cliente
abbia insistito per effettuare l'intervento (testi1 Balotta, Cajani). Sulla base di tali motivi la corte di merito concludeva che
doveva essere confermata l'affermazione di responsabilità pro fessionale del Veneziani.
Contro questa decisione ricorre per cassazione il Veneziani
formulando un unico motivo di annullamento e presentando memoria.
Motivi della decisione. — Il ricorrente lamenta la violazione
degli art. 2043 c.c. e 50, 59, ultimo comma, e 582 c.p., espo nendo le seguenti argomentazioni.
È vero che nel caso di interventi di chirurgia estetica deve
ricorrere il requisito della massima consapevolezza dei rischi del
l'intervento, ma nella fattispecie si deve parlare non di chirur
gia plastica estetica ma di chirurgia plastica «ricostitutiva».
Infatti, una volta prese le distanze dal Renato Amendola Gra
vanzola che si era fatto tatuare figure e simboli osceni e ripu gnanti, l'attuale Renato Amendola Gravanzola ebbe a provare un tale disagio psico-fisico da venirsi a trovare in uno stato
di vera e propria malattia.
Pertanto, la serie di interventi in questione aveva natura non
meramente estetica ma «ricostitutiva» e non richiedeva pertanto informazioni (sulle possibili conseguenze dell'intervento) ecce denti l'esito probabilisticamente prevedibile.
Il ricorrente assume poi che sulla base delle risultanze proces suali, ed in particolare della deposizione della teste Ballotta, deve concludersi che l'Amendola fu sufficientemente informato.
Al di là delle erronee citazioni di norme del tutto estranee
alla fattispecie, nella quale si tratta in realtà di una responsabi lità contrattuale e non extracontrattuale, in sostanza il ricorren
te lamenta che la corte di merito non ha preso in esame la que stione concernente la diversa ampiezza dell'obbligo di informa zione gravante sul chirurgo Veneziani in relazione alla natura estetica o non estetica dell'intervento; e propone tale censura sia sotto il profilo della violazione di legge, sia sotto il profilo dell'omessa o insufficiente motivazione.
Occorre ricordare a questo punto che questa corte nella sen tenza n. 4394 del giorno 8 agosto 1985 (Foro it., 1986, I, 121) ha affermato: «Nel contratto di prestazione di opera contrat
tuale, il dovere d'informazione gravante sul professionista —
la cui violazione è fonte di responsabilità contrattuale (...) —
investe non solo le potenziali cause d'invalidità o d'inefficacia
della prestazione professionale ma anche le ragioni che questa rendano inutile, in rapporto al risultato (. . .) sperato dal clien
te, o addirittura dannosa. In particolare, nel rapporto fra pa ziente e chirurgo praticante la chirurgia estetica, detto dovere
non è limitato — come nel rapporto tra cliente e terapeuta in
genere (chirurgo o medico che sia) — alla progettazione dei pos sibili rischi del trattamento suggerito (in quanto tale da porre in pericolo la vita o l'incolumità fisica del paziente), ma concer
ne anche la conseguibilità o meno, attraverso un determinato
intervento, del miglioramento estetico perseguito dal cliente in
relazione alle esigenze della sua vita professionale e di relazio
ne» (cfr. Cass. n. 3604 del 12 giugno 1982, id., Rep. 1982, voce Professioni intellettuali, n. 46).
Si tratta di una questione che ha fatto parte dei punti dibat
tuti in secondo grado. Infatti, nella sentenza di primo grado il tribunale aveva parlato di intervento di chirurgia estetica, aveva
quindi affermato l'applicabilità dei predetti principi (nella sen
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1803 PARTE PRIMA 1804
tenza erano state citate proprio le due decisioni ora indicate) ed aveva poi valutato sulla base dei medesimi se nella fattispe cie il suddetto dovere di informazione era stato adempiuto.
Nell'atto di appello (che ha investito sostanzialmente l'intera
decisione di primo grado), il Veneziani ha lamentato che erro neamente il primo giudice non aveva ritenuto che il paziente fosse stato informato «adeguatamente», dopo aver ricordato che
«. . . Secondo l'impugnata sentenza, nel corso (per evidente er
rore materiale si cita la parola "corso" invece della parola "ca
so" usata dal tribunale) di prestazione di chirurgia plastica gra va sul professionista "un particolare dovere d'informazione nel
riguardo del cliente" (in grassetto nell'atto di appello) . . .».
Tale doglianza ha dunque avuto per oggetto la tesi del tribu
nale secondo la quale detto «particolare dovere di informazio
ne» doveva ritenersi sussistente — data la natura estetica del
l'intervento — nella fattispecie. Nella comparsa conclusionale il Veneziani, ha ulteriormente
trattato l'argomento, citando la giurisprudenza che ritiene il chi
rurgo estetico assoggettato ad obblighi di informazione partico larmente ampi, e negandone l'applicabilità nella fattispecie in
cui si tratta (sempre secondo l'assunto dell'appellante) di
«. . . chirurgia ricostruttiva sotto il profilo più stretto (rimozio ne di strati di pelle alterati con inchiostri non idonei) quindi con un risultato richiesto diverso da quello preteso nel caso del
la chirurgia plastica estetica . . .».
La questione dell'applicabilità alla fattispecie di tale giurispru denza (risolta — come già detto — in senso positivo dal giudice di primo grado) e quindi dell'inquadrabilità dell'intervento in questione tra gli interventi di chirurgia estetica (inquadrabilità ritenuta dal predetto tribunale) doveva dunque ritenersi parte della materia in questione nel giudizio di secondo grado.
La corte di merito avrebbe pertanto dovuto affrontare espres samente detto punto, stabilendo sulla base di una adeguata di
samina, dell'oggetto delle operazioni eseguite se si era trattato
di chirurgia plastica estetica o di chirurgia plastica ricostruttiva.
È infatti evidente che la ben diversa situazione che si presenta nel caso di chi intende, attraverso una operazione chirurgica sul proprio corpo, migliorare le proprie apparenze estetiche, da
quella di chi intende porre rimedio ad uno stato, da esso stesso
voluto e provocato, ma da esso stesso successivamente ritenuto
ripugnante, ponendo quindi rimedio ad una situazione conside
rata insopportabile. Se nel primo caso l'obbligo d'informazione da parte del me
dico investe, come statuito da questa Suprema corte nelle citate
sentenze, non soltanto le cause potenziali di invalidità o di inef
ficacia delle prestazioni professionali, ma anche le ragioni che
queste rendono eventualmente inutili in rapporto al risultato spe rato dal cliente, o addirittura dannosi, nel secondo caso, carat
terizzato — come si è visto — dall'intento di rimuovere una
situazione dallo stesso paziete considerata insopportabile, non
vi è dubbio che il predetto obbligo d'informazione circa i possi bili esiti dell'operazione venga ad essere affievolito, essendo li
mitato a quegli eventuali esiti che, contrariamente agli intenti
del paziente, potrebbero rendere vana l'operazione non com
portando in sostanza un effettivo miglioramento rispetto alla
situazione preesistente all'operazione. La disamina di tale problema — differenza fra obbligo di
informazione nel caso di operazione estetica o in caso di opera zione ricostruttiva — peraltro indubbiamente dedotto in sede
di gravame del ricorrente, non ha fatto oggetto di pronuncia dalla sentenza impugnata che, sotto il profilo dell'omesso esa
me di tal punto, merita pertanto di essere cassata, con rinvio
ad altro giudice di merito, che si designa in altra sezione della
Corte di appello di Milano che, attenendosi al principio sopra
enunciato, dovrà procedere al riesame del caso.
Le considerazioni che precedono appaiono assorbenti in ordi
ne alle altre censure mosse alla sentenza.
Il Foro Italiano — 1997.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 7 aprile
1997, n. 2996; Pres. R. Sgroi, Est. Sotgiu, P.M. Lo Cascio
(conci, parz. diff.); Consiglio interregionale ordine giornalisti Lazio e Molise (Avv. Vaccari), Proc. gen. App. Roma c.
Consiglio nazionale ordine giornalisti e Livolsi (Avv. D'Ama ti). Conferma App. Roma 8 febbraio 1994.
Giornalista — Registro dei praticanti — Iscrizione — Delibera
zione del consiglio nazionale dell'ordine — Reclamo all'auto
rità giudiziaria — Consiglio regionale dell'ordine — Legitti mazione — Esclusione (L. 3 febbraio 1963 n. 69, ordinamen
to della professione di giornalista, art. 63, 64, 65). Giornalista — Registro dei praticanti — Iscrizione — Pratica
giornalistica — Estremi (L. 3 febbraio 1963 n. 69, art. 34).
Il consiglio regionale (o interregionale) dell'ordine dei giornali sti, ancorché parte necessaria nel correlativo procedimento, non è legittimato a proporre reclamo all'autorità giudiziaria ordinaria ex art. 63 I. 3 febbraio 1963 n. 69 avverso le delibe
razioni del consiglio nazionale dell'ordine in materia di iscri
zione nell'albo, negli elenchi o nel registro o di cancellazione
dagli stessi, né a proporre i gravami (ricorso alla corte di ap
pello e ricorso per cassazione) avverso le decisioni che ne con
seguono. (1) L'art. 34, 1 ° comma, l. 69/63, nella parte in cui prevede che
la pratica giornalistica può utilmente svolgersi (oltre che nelle
altre ipotesi ivi previste) presso un periodico a diffusione na
zionale con almeno sei giornalisti professionisti redattori or
dinari, va interpretato nel senso che nel numero minimo di
giornalisti professionisti «redattori ordinari» sono computa
bili, ai fini dell'utile svolgimento della pratica, anche quei
professionisti, i quali, sebbene non prestatori di lavoro su
bordinato nell'impresa giornalistica, abbiano tuttavia instau
rato con questa un rapporto di collaborazione concretantesi
in una prestazione d'opera continuativa e coordinata preva lentemente personale. (2)
(1) Negli stessi termini, v. Cass. 19 febbraio 1997, n. 1545, Foro
it., Mass., 148. In sintonia con i precedenti richiamati in motivazione, la pronunzia
basa l'affermata esclusione di ogni potere d'azione del consiglio regio nale (o interregionale) dell'ordine dei giornalisti in relazione alle delibe
re del consiglio nazionale in materia di iscrizione nell'albo, negli elenchi
o nel registro professionali o di cancellazione dagli stessi, sulla sottordi
nazione del primo nell'ambito dell'ordinamento professionale, quale or
gano di amministrazione attiva il cui operato è sottoposto al controllo
ed alla revisione del secondo. Quale organo cui la legge professionale demanda la tenuta dell'albo, degli elenchi e del registro e, quindi, desti natario ultimo delle pretese del privato e delle deliberazioni del consi
glio nazionale in materia, il consiglio regionale (o interregionale) è, co
munque, ritenuto contraddittore necessario (abilitato a proporre difese
ed eccezioni) sia nel giudizio di primo grado davanti all'autorità giudi ziaria ordinaria (in relazione al quale il potere di azione è riservato al soggetto privato interessato ed al pubblico ministero competente) sia nei correlativi giudizi di appello e di cassazione (in relazione ai quali il potere d'impugnazione è riservato, oltre che al soggetto privato inte
ressato ed al pubblico ministero competente, anche al consiglio nazio nale soccombente nel grado di giudizio precedente).
In senso conforme, quanto alla carenza di legittimazione del consi
glio regionale (o interregionale) a proporre reclamo all'autorità giudi ziaria ordinaria avverso le deliberazioni del consiglio nazionale (ancor ché contraddittore necessario nel correlativo giudizio), v. Cass. 19 mar zo 1993, n. 3295, id., Rep. 1994, voce Giornalista, n. 11, e 25 maggio 1985, n. 3184, id., 1985, I, 2919, con nota di richiami, nonché Cass., sez. un., 9 ottobre 1972, n. 2932, id., 1973, I, 1203. Nel senso che il consiglio regionale (o interregionale) dell'ordine dei giornalisti, in quanto contraddittore necessario nel giudizio di primo grado sui reclami avver
so le deliberazioni del consiglio nazionale nella materia considerata, è,
tuttavia, legittimato a proporre gravame avverso la sentenza del tribu
nale, v. Cass. 9 marzo 1982, n. 1496, id., Rep. 1982, voce cit., n. 12. In tema di legittimazione ad impugnare in sede giurisdizionale le deli
bere degli organi professionali in materia d'iscrizione o cancellazione, ma con specifico riguardo alla complessa problematica sulla legittima zione ad impugnare il provvedimento d'iscrizione nel registro dei gior nalisti (o praticanti giornalisti) da parte dell'editore-datore di lavoro
pregiudicato dal provvedimento, cfr. Corte cost. 8 febbraio 1991, n.
71, id., 1992, I, 600; Cass. 30 dicembre 1991, n. 14021, ibid., 349; ord. 14 febbraio 1990, n. 84, id., 1990, I, 864; 29 giugno 1984, n.
3849, id., 1984, I, 2147, con note di richiami; adde Trib. Milano 29
gennaio 1994, id.. Rep. 1994, voce cit., n. 7.
(2) In termini di sostanziale identità, v. Cass. 19 febbraio 1997, n.
1545, cit., e 29 novembre 1996, n. 10673, Foro it., Mass., 943.
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