sezione III civile; sentenza 8 gennaio 2001, n. 189; Pres. Giuliano, Est. Vittoria, P.M. Sepe (concl.conf.); Bernardini (Avv. Paoletti, Del Carlo) c. Soc. Artigianfin leasing (Avv. Scoccini).Conferma App. Roma 24 luglio 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 4 (APRILE 2001), pp. 1191/1192-1199/1200Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196985 .
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PARTE PRIMA 1192
ramente passare con comandante e l'equipaggio, prestandole
ogni possibile aiuto e soccorso».
A queste considerazioni di carattere generale, tratte dal diritto
della navigazione, da cui si deduce la stretta correlazione tra
passavanti provvisorio ed iscrizione, se ne devono aggiungere altre, ulteriormente decisive, attinenti alla previdenza dei marit
timi ed al correlato regime contributivo.
La 1. 26 luglio 1984 n. 413 (riordinamento pensionistico dei lavoratori marittimi), all'art. 5 definisce la nozione di nave ai
fini della previdenza marinara, disponendo testualmente «agli effetti delle disposizioni di cui alla presente legge si considera
no navi: a) quelle iscritte nelle 'matricole delle navi maggiori'». Ora, costituisce fondamentale canone ermeneutico che la
stessa espressione, contenuta nello stesso contesto normativo di
settore, debba avere il medesimo significato giuridico, se non
diversamente disposto dal legislatore, o se tale diverso signifi cato non emerga incontestabilmente dalla trama normativa.
Nella specie la stessa espressione «navi iscritte» contenuta nella
legge testé citata e nell'art. 1, comma 6 bis, d.l. 29 giugno 1984
n. 277, aggiunto dalla 1. di conversione 4 agosto 1984 n. 430, va interpretata in senso unitario. Nessuno dubita, la s.p.a. Cen
tro leasing non contesta, e tantomeno ovviamente l'Inps, che nel
periodo controverso in cui la nave in questione ha navigato sulla
base del passavanti provvisorio, essa fosse soggetta all'obbligo contributivo previsto dall'art. 7 citata 1. 26 luglio 1984 n. 413, in quanto «nave iscritta» nella matricola delle navi maggiori.
Costituendo il beneficio degli sgravi contributivi una esen
zione parziale dall'obbligazione contributiva (art. 59 d.p.r. 6
marzo 1978 n. 218), è evidente che se la nave in questione è
soggetta all'obbligo contributivo per il periodo controverso in
quanto nave iscritta (pur essendo ancora in fieri, attraverso il
passavanti provvisorio, il procedimento culminante con la for
male iscrizione nella matricola), egualmente va considerata na
ve iscritta ai fini degli sgravi. Si deve, infine, per completezza, indicare la fonte normativa
della qualificazione del compartimento di Livorno come zona
del Mezzogiorno, che non risalta ictu oculi, per ovvie questioni di latitudine.
Il principio, ricordato anche nel messaggio Inps 23 aprile 1986, n. 3608, è che vanno considerati compartimenti marittimi
ubicati nel Mezzogiorno anche quelli comprendenti località solo
in parte rientranti in tale territorio.
Il compartimento marittimo di Livorno comprende l'isola del
Giglio (d.p.r. 9 agosto 1956 n. 1250), il cui territorio è stato in serito dalla 1. 5 gennaio 1955 n. 13 nella lista originaria dei ter
ritori indicati nell'art. 3 1. 10 agosto 1950 n. 646, istitutiva della
Cassa per opere straordinarie di pubblico interesse nell'Italia
meridionale (Cassa per il Mezzogiorno), la quale lista, arricchita
anche con l'isola di Capraia, è ora trasfusa nell'art. 1 d.p.r. 6
marzo 1978 n. 218 (t.u. delle leggi sugli interventi nel Mezzo
giorno) definitorio della sfera di applicazione. La sentenza impugnata, il cui dispositivo è conforme a diritto,
seppure la prima parte della motivazione sia da correggere ai
sensi dell'art. 384, 2° comma, c.p.c., resiste dunque alle censure
dell'istituto ricorrente.
La reiezione del ricorso per i motivi che precedono esime la
corte dall'esame degli ulteriori motivi di contrasto della resi stente.
Il Foro Italiano — 2001.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 8 gen naio 2001, n. 189; Pres. Giuliano, Est. Vittoria, P.M. Sepe
(conci, conf.); Bernardini (Avv. Paoletti, Del Carlo) c. Soc.
Artigianfin leasing (Avv. Scoccini). Conferma App. Roma 24
luglio 1997.
Giudizio (rapporto tra il giudizio civile o amministrativo e il penale) e pregiudizialità penale — Sentenza civile di meri to di primo grado — Appello — Proposizione dell'azione civile nel processo penale
— Prosecuzione del processo ci
vile — Mancata pronuncia in sede penale sull'azione ci
vile — Validità della sentenza civile di appello (Cod. proc. pen., art. 75).
Proposta azione civile nel processo penale dopo che il processo civile si è concluso in primo grado con sentenza di accogli mento della domanda ed in pendenza del giudizio d'appello, la sentenza di merito resa in secondo grado non è viziata se il
processo penale si è chiuso senza una decisione sul merito
dell'azione civile. (1)
Svolgimento del processo. — 1.1. -
L'Artigianfin leasing
s.p.a. (in seguito l'Artigianfin), con ricorso al presidente del
Tribunale di Roma, depositato il 6 novembre 1991, chiedeva
fosse emesso in confronto di Marcello Bernardini ed in partico lare della ditta individuale Coral di Bernardini Marcello un de
creto d'ingiunzione.
Esponeva i seguenti fatti.
Il 1° novembre 1989 aveva stipulato un contratto di leasing. La Coral aveva preso in godimento un macchinario (Pre
monta S.4. con TC F), che avrebbe dovuto esserle consegnato dal fornitore, la Mita s.r.l. con sede in Firenze.
L'importo complessivo della fornitura era di lire 38.000.000:
oltre il primo corrispettivo di lire 5.700.000, con inizio dal 1° gennaio 1989 e per trentacinque mesi avrebbe dovuto essere pa
gato il canone mensile di lire 1.405.509; il prezzo di opzione era
di lire 380.000. La Coral aveva ricevuto la consegna del macchinario, come
risultava dai verbali di consegna e collaudo da essa sottoscritti.
Dal mese di luglio 1990 i canoni non erano stati versati ed al
1° febbraio 1991 il debito complessivo della Coral per canoni
scaduti e non pagati, comprensivo di un residuo dei mesi di
cembre 1989 e gennaio 1990, ammontava a lire 12.649.581.
In un sopralluogo eseguito presso la Coral era risultato che
questa non aveva presso di sé il macchinario e Bernardini aveva
dichiarato che si trovava presso il fornitore.
(1) V., in senso analogo, Cass. 8 settembre 1997, n. 8737, Foro it.,
Rep. 1997, voce Giudizio (rapporto), n. 33, per la quale «la costituzione di parte civile in sede penale non determina la perdita della giurisdizio ne del giudice civile davanti al quale l'azione risarcitoria sia stata pro posta prima della definizione del processo penale, ma solo impedisce, al giudice civile, la cognizione dell'azione civile derivante dal reato, per il duplice ostacolo rappresentato dalla pendenza della lite e dalla
pregiudizialità del giudizio penale rispetto a quello civile; trattandosi di due cause ostative che possono venire a mancare nel corso dello stesso
giudizio penale, la proponibilità e la procedibilità dell'azione risarcito ria in sede civile resta condizionata alla sussistenza di esse e tale condi zione è superata dalla loro cessazione».
Quindi ad avviso della Cassazione «il trasferimento dell'azione ci vile dal processo civile a quello penale va considerato non già fatto che
estingue il primo, quanto un fatto che ne impedisce il proseguimen to ...», con la conseguenza che si tratta di una «preclusione che ha ra
gione d'essere dichiarata in quanto sussiste nel momento in cui è rap presentata al giudice, ma non richiede eccezione di parte ...».
La Cassazione, dunque, nella decisione in epigrafe dà decisivo rilie vo alla circostanza che il processo penale si era concluso, dopo la sen tenza d'appello pronunciata nel processo civile, sentenza oggetto del ricorso in Cassazione, senza che sull'azione civile fosse stata resa alcu na decisione, rispetto all'altra circostanza, considerata dalla corte ad
abundantìam, della proposizione dell'azione civile nel processo penale dopo la pronuncia della sentenza definitiva di primo grado, di accogli mento della domanda. Al riguardo va ricordato il 1° comma dell'art. 75
c.p.c., secondo cui «l'azione civile proposta davanti al giudice civile
può essere trasferita nel processo penale fino a quando in sede civile non sia stata pronunciata sentenza di merito anche non passata in giudi cato».
Sul trasferimento dell'azione civile in sede penale, v., da ultimo, Cass. 9 giugno 1998, n. 5656, id., 1999,1, 959, con osservazioni di Tri sorio Liuzzi, ed ivi richiami di giurisprudenza e dottrina. [G. Trisorio
Liuzzi]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Per l'art. 11 delle condizioni generali di contratto, il cliente, in caso di perdita del bene, era tenuto a corrispondere una som
ma pari al totale del corrispettivo ancora dovuto, attualizzato al
tasso ufficiale di sconto vigente al momento, maggiorato del
prezzo di opzione: questo importo era pari a lire 26.539.975.
La ricorrente chiedeva fosse quindi ingiunto a Marcello Ber
nardini di pagare le somme di lire 12.649.581 e di lire
26.539.975, aumentate di interessi.
Il decreto era emesso e notificato.
1.2. - Marcello Bernardini proponeva opposizione e conveni
va in giudizio l'Artigianfin, con la citazione a comparire davanti
al Tribunale di Roma, notificata il 7 febbraio 1992. Esponeva questi fatti.
I canoni successivi al giugno 1990 non erano stati pagati per ché avrebbero dovuto esserlo dalla Coral s.r.l., che, con il con
senso dell'Artigianfin era subentrata nel contratto, come risulta
va da due lettere del 18 luglio e 1° ottobre 1990: la pretesa per i
canoni dovuti a partire dal luglio 1990 avrebbe dovuto essere
perciò fatta valere contro la cessionaria.
Non aveva mai ricevuto la consegna del macchinario, che for
se non era mai esistito o era rimasto presso il fornitore od era
stato consegnato non a lui, ma alla Coral s.r.l.
II caso faceva peraltro parte di una più complessa vicenda, di
cui era stata protagonista un'altra persona, Genio Vurro, rappre sentante legale della Coral s.r.l.; contro di questi aveva presen tato denuncia e querela il 28 giugno 1991 al procuratore della
repubblica presso la Pretura di Lucca, davanti alla quale, per la
stessa vicenda, già pendeva un altro procedimento penale. Sosteneva che, in ogni caso, l'unico credito certo dell'Arti
gianfin poteva essere rappresentato dalla differenza tra il prezzo da essa pagato per l'acquisto del macchinario e l'ammontare
della somma già corrispostale.
L'opponente concludeva per la revoca del decreto d'ingiun zione ed in ogni caso per la riduzione della somma domandata.
1.3. - L'Artigianfin si costituiva in giudizio e resisteva all'ac
coglimento dell'opposizione.
Esponeva dal canto suo questi argomenti. Aveva bensì ricevuto una comunicazione della società Coral
di Bernardini s.r.l. in cui le si comunicava che l'azienda indivi
duale s'era trasformata in società e le si chiedeva di subentrare
nel contratto di leasing, ma alla propria richiesta della docu
mentazione necessaria per attuare tale operazione non era stata
data risposta. Perciò, parte del contratto era rimasto Marcello Bernardini.
Questi aveva sottoscritto i verbali di consegna e collaudo, non
aveva disconosciuto la propria firma e dunque era provato che
avesse ricevuto il macchinario, sicché in base al contratto, era
obbligato a custodirlo per poterlo restituire in caso di sciogli mento del rapporto, mentre era risultato che ne avesse dismesso
la detenzione e per questo era stato denunciato per appropria zione indebita.
Le somme dovute, a parte quelle per i corrispettivi non paga
ti, erano state liquidate in base al contratto ed a quanto vi era
previsto per il caso di perdita del bene ricevuto in godimento. 2. - Il tribunale rigettava l'opposizione, dopo aver osservato
che l'Artigianfin aveva provato i fatti costitutivi del proprio di
ritto, mentre l'opponente non aveva provato fatti impeditivi o
estintivi. 3.1. - La decisione veniva impugnata. Bernardini deduceva che il tribunale aveva sbagliato nel va
lutare i fatti; riproponeva le conclusioni di merito prese nella
citazione in opposizione e sviluppava uno degli argomenti posti a base della stessa opposizione, richiamandosi al riguardo a
sentenze pronunziate in processi penali. Sosteneva che sia lui sia l'Artigianfin erano stati vittime di
una truffa compiuta da alcune persone, tra le quali Genio Vurro,
che, avvalendosi dell'organizzazione della società Mita, li ave
vano indotti alla conclusione del contratto di leasing, ricevendo
dall'Artigianfin il prezzo di acquisto dei macchinari, che non
avevano poi consegnato: perciò, i beni oggetto del contratto non
erano mai esistiti e il contratto di leasing era nullo per illiceità
della causa ed inesistenza dell'oggetto.
Aggiungeva che l'Artigianfin non era in buona fede quando insisteva nel chiedere la sua condanna al pagamento dell'equi valente del valore residuo del macchinario, come se fosse stato
lui a perderlo, quando oramai sapeva che egli non lo aveva mai
ricevuto.
3.2. - L'Artigianfin resisteva all'appello.
Il Foro Italiano — 2001.
Obiettava che, quando una delle parti tra cui è concluso un
contratto è indotta a farlo dal comportamento truffaldino di un
terzo, il contratto non è nullo; è bensì annullabile, a norma del
l'art. 1439 c.c., se i raggiri sono noti all'altra parte che se ne
avvantaggia, ma di questi raggiri essa non aveva saputo nulla.
4. - La corte d'appello ha rigettato l'impugnazione con sen
tenza del 24 luglio 1997.
Ha svolto le seguenti considerazioni.
La conclusione del contratto di leasing era provata. Di tale contratto non poteva essere pronunziato l'annulla
mento a norma dell'art. 1439 c.c., perché non era stato provato, invece, che l'Artigianfin fosse a conoscenza del raggiro usato in
danno del Bernardini.
Questi aveva dichiarato, almeno formalmente, d'aver ricevuto
il macchinario e per un primo periodo aveva anche versato i ca
noni.
Infine, andava respinta l'eccezione di estinzione del processo
per rinuncia agli atti del giudizio, che si sarebbe avuta perché
l'Artigianfin s'era costituita parte civile nel processo penale contro Bernardini, svoltosi davanti al Pretore di Lucca per il
reato di appropriazione indebita del macchinario.
L'eccezione era inammissibile: era stata infatti proposta per la prima volta nella comparsa conclusionale e comunque dei
fatti allegati non era stata data prova. 5. - Bernardini ha proposto ricorso per cassazione.
La società Artigianfin ha resistito con controricorso.
Il ricorrente ha depositato una memoria.
Motivi della decisione. — 1. - Il ricorso contiene quattro mo
tivi. 2. - Il primo deduce vizi di violazione di norme di diritto e di
norme sul procedimento (art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c., in relazione
all'art. 2697 c.c., all'art. 75 c.p.p., agli art. 113, 115, 116 e 307
c.p.c.). 2.1. - Il ricorrente sostiene che l'Artigianfin, che già aveva
proposto domanda di condanna in suo confronto con il ricorso
per decreto d'ingiunzione, ha poi proposto la stessa domanda
nel processo penale che era stato promosso contro di lui per il
delitto di appropriazione indebita, processo nel quale si era co
stituita parte civile.
Di ciò aveva dato prova nell'udienza del 21 dicembre 1995
davanti al giudice d'appello, producendo l'atto di costituzione
di parte civile allegato al verbale dell'udienza penale del 10 lu
glio 1995 ed i documenti erano stati discussi dalla controparte nell'udienza del 28 marzo 1996.
Dopo aver osservato che l'art. 75, 1° comma, c.p.p. qualifica
questo comportamento come rinunzia agli atti, il ricorrente so
stiene che il giudice civile deve in questo caso dichiarare di uf
ficio l'improcedibilità dell'azione civile. 2.2. -
L'Artigianfin obietta che la costituzione di parte civile
è avvenuta il 10 luglio 1995, dopo che già era stata pronunciata, il 24 gennaio 1995, la sentenza di rigetto dell'opposizione da
parte del Tribunale di Roma.
Quindi, la costituzione di parte civile, in base all'art. 75, 1°
comma, c.p.p., non era ammissibile e perciò non poteva deter
minare l'effetto di rinuncia agli atti del giudizio civile. Aggiunge che, in ogni caso, la fattispecie descritta dall'art. 75
del vigente codice di procedura penale non si sottrae all'appli cazione della regola generale per cui i fatti che determinano l'e
stinzione del processo civile debbono essere dedotti dalla parte che vi ha interesse prima di ogni altra difesa.
2.3. - Il motivo, per le ragioni di seguito esposte, non è fon
dato.
2.3.1. - La corte deve pronunciarsi su un motivo di violazione
di norme che disciplinano il procedimento (art. 360, n. 4, c.p.c.). I suoi poteri comprendono quindi anche la valutazione dei
fatti del processo rilevanti per la decisione.
I fatti sono i seguenti. La resistente, Artigianfin, parte di un contratto di leasing co
me concedente, mediante il ricorso per decreto d'ingiunzione, ha proposto una domanda di condanna fondata sul contratto.
Oggetto di tale domanda è stato anche l'equivalente del resi
duo valore del bene dato in godimento, di cui la parte ha soste
nuto che l'utilizzatore avesse perduto la detenzione.
La domanda è stata accolta con sentenza del tribunale, perché
l'opposizione proposta contro il decreto è stata rigettata. Successivamente, l'attuale resistente si è costituita parte ci
vile nel processo penale promosso nei confronti dell'utilizzatore
per appropriazione indebita.
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PARTE PRIMA
Costituendosi parte civile ha chiesto, a titolo di risarcimento
del danno, la condanna al pagamento del valore del bene dato in
leasing. L'avvenuta costituzione di parte civile,è stata documentata
davanti alla corte d'appello dal ricorrente, Bernardini, utilizza
tore del bene.
Bernardini, che aveva impugnato la sentenza di primo grado, non ha proposto nel giudizio d'appello un'eccezione di estin
zione.
Il processo penale, dopo la sentenza d'appello pronunciata nel processo civile e qui impugnata, si è concluso con una sen
tenza di assoluzione di Bernardini dall'imputazione e senza che
sull'azione civile sia stata resa alcuna decisione — il fatto è al
legato dallo stesso ricorrente, che non deduce essere stata la
sentenza penale impugnata neppure per le statuizioni relative
all'azione civile.
2.3.2. - Delle ragioni su cui è stata fondata la decisione,
quella che non fosse stata data prova della costituzione di parte civile non è fondata.
Si tratta allora di stabilire se lo è l'altra, che l'eccezione di
estinzione era inammissibile perché proposta per la prima volta
nella comparsa conclusionale.
2.3.3. - L'art. 75 del vigente codice di procedura penale, co
me già l'art. 24 c.p.p. del 1930, disciplina il rapporto tra com
petenza del giudice civile e competenza del giudice penale
quanto all'esercizio della giurisdizione sull'azione civile per le
restituzioni e per il risarcimento del danno da reato, quando l'a
zione sia stata proposta davanti ad ambedue i giudici. Il caso che si è presentato può essere posto in relazione alla
fattispecie, che rientra tra quelle considerate dal 1° comma dei
due articoli e che si determina quando il danneggiato propone l'azione civile davanti al giudice civile — in un momento in cui
il processo penale non è ancora iniziato od anche in pendenza di tale processo, ma prima che sia pervenuto ad una fase in cui l'a
zione civile non vi può più essere esaminata nel merito — ed il
danneggiato ripropone poi la stessa domanda al giudice penale costituendosi parte civile nel processo penale.
L'art. 75, 1° comma, contiene al riguardo due disposizioni. La prima consente appunto che la domanda di condanna al ri
sarcimento dei danni determinati da un fatto costituente reato,
proposta davanti al giudice civile, sia trasferita mediante costi
tuzione di parte civile nel processo penale; lo consente con il
limite che sulla domanda non sia stata già pronunciata una sen
tenza di merito.
Pur diversamente formulato, l'art. 75, 1° comma, ripropone qui quanto al riguardo già era stabilito nell'art. 24.
Merita osservare — su questo punto, del resto, s'incentra uno
degli argomenti di resistenza opposti al motivo di ricorso — che
nel caso l'azione civile è stata proposta nel processo penale, do
po che il processo civile s'era chiuso in primo grado con la
sentenza che aveva accolto la domanda. La seconda disposizione regola gli effetti di tale trasferimen
to.
Lo fa dicendo che «L'esercizio di tale facoltà comporta ri
nuncia agli atti del giudizio; il giudice penale provvede anche sulle spese del procedimento civile».
La formula impiegata registra qualche scarto lessicale rispetto alla precedente: il 1° comma dell'art. 24 diceva, infatti, che «L'esercizio di tale facoltà produce di diritto la rinuncia del l'attore al giudizio civile. Il giudice penale provvede anche sulle
spese del procedimento civile».
In altra occasione (sentenza 7 aprile 1994, n. 3289, Foro it.,
Rep. 1994, voce Giudizio (rapporto), n. 6), peraltro senza inci denza sulla ragione del decidere, è stato affermato che la disci
plina della fattispecie attuata con l'art. 75, 1° comma, differisce da quella a suo tempo dettata dal 1° comma dell'art. 24 del co
dice abrogato. Perché questo problema possa essere convenientemente ri
solto è necessario soffermarsi sul fenomeno del trasferimento dell'azione civile, dal processo civile a quello penale, e sull'e laborazione che l'argomento ha avuto nella giurisprudenza for matasi sul codice del 1930.
2.4. - Quando la parte, dopo aver proposto davanti al giudice
civile domanda per le restituzioni ed il risarcimento, per conse
guirli si costituisce parte civile nel processo penale, si determina una situazione che si caratterizza per la pendenza della stessa causa davanti a due giudici diversi.
Il Foro Italiano — 2001.
A questo tipo di situazione, il codice di procedura civile ri
spondeva e risponde con la disciplina sulla litispendenza: l'art.
39 attribuisce al giudice davanti al quale la causa è riproposta di
dichiarare la litispendenza anche di ufficio in ogni stato e grado del processo, disponendo la cancellazione dal ruolo della causa
pendente davanti a lui, iniziata una seconda volta.
Ciò dimostra che l'ordinamento privilegia l'interesse a che
sulla medesima causa più giudici non si pronuncino contempo raneamente e con esiti che possono contraddirsi.
La disciplina della litispendenza è derogata da quella sul tra
sferimento dell'azione civile nel processo penale. È derogata nel senso che, volendo l'ordinamento consentire e
privilegiare il congiunto esame del fatto e dei suoi effetti penali e civili, da un lato permette al danneggiato di proporre di nuovo
la propria domanda nel processo penale, dall'altro è il processo civile in precedenza iniziato a doversi chiudere, lasciando che
sull'azione civile provveda il giudice penale. Il fenomeno del trasferimento dell'azione civile nel processo
penale presenta altri due tratti.
Il danneggiato, spendendo la facoltà di spostare dal processo civile a quello penale la propria domanda, non rinuncia a perse
guire la soddisfazione del suo diritto, ma, in un sistema di rap porti tra processo penale e processo civile, per cui questo do
vrebbe segnare il passo sino alla conclusione dell'altro (art. 3
c.p.p. del 1930 e 295 c.p.c. del 1942), opta per la via che gli consente di vedere esaminata l'azione civile nel medesimo tem
po in cui si svolge il processo penale. Questo, tuttavia, può chiudersi con esiti che non consentono
al giudice penale di pronunciare sull'azione civile, anche se non sono destinati a determinare preclusioni da giudicato rispetto al
merito della pretesa, sicché per il danneggiato si prospetta la
possibilità, ma anche la necessità di dover tornare davanti al
giudice civile. 2.4.1. - A questa complessa situazione processuale, come si è
visto, l'art. 24 c.p.p. aveva inteso dare disciplina con la seconda
delle disposizioni prima richiamate, affermando che l'esercizio
della facoltà di trasferire l'azione civile nel processo penale
«produce di diritto la rinuncia dell'attore al giudizio civile».
La giurisprudenza formatasi nel vigore dell'art. 24 ha ritenuto
che, in questo modo, il trasferimento dell'azione civile nel pro cesso penale fosse stato regolato dal legislatore alla stregua di
un fatto idoneo a determinare l'estinzione del processo civile, ma ha poi trovato difficoltà ad inquadrare il fenomeno nella di
sciplina di uno dei due tipi di fatti estintivi previsti dal codice di procedura civile, e perciò nella disciplina propria della rinuncia
agli atti del processo (art. 306 c.p.c.) od in quella dell'inattività delle parti (art. 307 c.p.c.).
La prima soluzione si trova affermata in un certo numero di
decisioni, anche se non sempre con effettiva incidenza sulla so
luzione del caso (così nelle sentenze 27 febbraio 1958, n. 650,
id., 1958, I, 864; 16 luglio 1964, n. 1913, id., 1965, I, 113; 25 maggio 1981, n. 3439, id., Rep. 1981, voce cit., n. 19; 30 gen naio 1982, n. 595, id., Rep. 1982, voce cit., n. 29; 27 luglio 1983, n. 5180, id., Rep. 1983, voce cit., n. 27); la seconda in al tre numerose (così, da ultimo, nelle sentenze 11 maggio 1995, n.
5167, id., Rep. 1995, voce Procedimento civile, n. 322, e 9 giu gno 1998, n. 5656, id., 1999,1, 959).
Propria di tale giurisprudenza è stata però l'enunciazione di un principio di diritto, che presenta una stretta aderenza ai tratti che caratterizzano il fenomeno del trasferimento dell'azione ci vile nel processo penale.
Si tratta dell'affermazione per cui una decisione di contenuto
preclusivo non avrebbe potuto essere pronunciata né dal giudice di primo grado né da quello dell'impugnazione, quante volte la
situazione pregiudiziale impediente dell'ulteriore svolgimento del processo civile si fosse nel frattempo esaurita (Cass. 8 set
tembre 1997, n. 8737, id., Rep. 1997, voce Giudizio (rapporto), n. 33).
2.4.2. - Questa affermazione di principio mostra che il feno meno del trasferimento dell'azione civile nel processo penale,
più che all'area dell'estinzione del processo, civile, attiene al l'area dei rapporti tra processi, nel caso tra processo civile e pe nale.
Sicché il trasferimento dell'azione civile del processo civile a
quello penale va considerato non già un fatto che estingue il
primo, quanto un fatto che ne impedisce il proseguimento, per ché non possono pendere davanti a giudici diversi più processi per la stessa causa e perché l'ordinamento consente alla parte di
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
chiedere che sul merito della domanda già proposta al giudice civile, provveda ormai il giudice penale.
Preclusione che ha ragione d'essere dichiarata in quanto sus
siste nel momento in cui è rappresentata al giudice, ma che non
richiede eccezione di parte, perché attiene, come si è visto per la
litispendenza, ad un interesse all'ordinato esercizio della giuris dizione che sovrasta il potere dispositivo delle parti.
2.4.3. - Le modificazioni intervenute, con il codice di proce dura penale del 1989, nella disciplina dei rapporti tra processo
penale e processo civile, non hanno tolto al danneggiato la fa
coltà di trasferire l'azione civile nel processo penale e neppure ne hanno alterato i fondamentali aspetti di struttura, avendone
solo accentuato l'aspetto della facoltatività, perché l'azione ci
vile può proseguire in sede civile se non è trasferita nel processo
penale (art. 75, 2° comma, c.p.p.) ed il processo civile deve es
sere sospeso solo quando è iniziato dopo che il danneggiato ha
già proposto l'azione civile nel processo penale o dopo che in
questo è stata già pronunciata sentenza penale di primo grado
(art. 75, 3° comma, c.p.p.). Sicché, nella costanza dei tratti strutturali del fenomeno, nep
pure è da riconoscere portata innovativa alla formula, apparen temente caratterizzata da maggiore tecnicismo (rinuncia agli atti
del giudizio, anziché rinuncia al giudizio), contenuta nella se conda parte del 1° comma dell'art. 75.
2.4.4. - L'interpretazione dell'art. 24 c.p.p. del 1930 (già del resto affacciata in questi termini in dottrina) ed ora dell'art. 75, 1° comma, c.p.p. del 1989 avvalora sul piano sistematico l'at
teggiamento, che è stato assunto dalla generalità della dottrina
ed anche in giurisprudenza, in un diverso campo. Entrata in vigore con la 1. 26 novembre 1990 n. 353 la nuova
disciplina dei procedimenti cautelari, si è posto il problema co
stituito dal porre in rapporto la disciplina del trasferimento del
l'azione civile nel processo penale, con quella dell'efficacia del
provvedimento cautelare autorizzato dal giudice civile prima di
tale trasferimento.
La risposta è stata di negare che il provvedimento perda effi
cacia, come invece deriverebbe dal doversi applicare quanto di
spone il 1° comma dell'art. 669 novies («Se il procedimento di
merito ... successivamente al suo inizio si estingue, il provve dimento cautelare perde efficacia»), in base al solo fatto della
qualificazione del trasferimento dell'azione civile nel processo
penale come rinuncia agli atti, così negandogli il valore di una
vicenda estintiva.
2.5. - Le osservazioni svolte autorizzano la seguente conclu
sione.
L'argomento su cui si è fondata la sentenza impugnata, bensì
conforme all'orientamento che nella giurisprudenza di questa corte è stato sin qui prevalente, non è idoneo a sorreggerlo.
La parte non ha però interesse a denunciare tale vizio.
Questo perché la prosecuzione del processo civile con la pro nuncia della sentenza di merito sulla domanda non è contraria a
diritto, una volta che il processo penale si è chiuso senza che su
di esso sia stata resa una decisione sul merito dell'azione civile.
2.5.1. - Altre due considerazioni debbono essere fatte, con ri
guardo al presente processo. La prima è che la domanda proposta al giudice civile lo è
stata facendo valere l'inadempimento di obbligazioni nascenti
dal contratto, tra le quali quella di mancata restituzione della co
sa data in godimento, mentre la domanda proposta nel processo
penale lo è stata per far valere una responsabilità da fatto illeci
to, costituito dall'indebita appropriazione della cosa.
Di qui il problema se nel processo penale fosse stata fatta
valere o no, sia pure in parte, la stessa domanda o una domanda
affatto diversa.
La seconda è che, se trasferimento dell'azione civile nel pro cesso penale v'è stato, esso è avvenuto dopo che il processo ci
vile s'era chiuso in primo grado e in pendenza del processo
d'appello. Orbene, l'art. 75, 1° comma, dell'attuale codice di procedura
penale non consente il trasferimento dopo che nel processo ci
vile sia resa una sentenza di merito anche non passata in giudi cato.
Alla costituzione di parte civile tuttavia compiuta dal dan
neggiato, rimasto vincitore nel giudizio civile di primo grado, non si potrebbe attribuire il valore di un fatto estintivo del giu dizio civile di appello promosso dal convenuto rimasto soccom
bente, perché altrimenti l'attore disporrebbe dell'interesse del
Il Foro Italiano — 2001.
convenuto alla modificazione di quella sentenza, che passerebbe in giudicato (art. 338 c.p.c.).
Gli si dovrebbe allora prestare il valore di un comportamento di rinuncia all'intero giudizio ed agli effetti della sentenza già
pronunciata. Ma questo è un tipo di effetto, equiparabile alla cessazione
della materia del contendere, che può solo derivare da un accor
do tra le parti del processo. Accordo che avrebbe richiesto il consenso manifestato perso
nalmente della parte. 3. - Il secondo motivo denunzia un vizio di violazione di
norme di diritto (art. 360, n. 3, c.p.c., in relazione all'art. 1418
c.c.). Il ricorrente osserva che dalle sentenze pronunciate dai giudi
ci penali era risultato che il macchinario oggetto del contratto di
leasing non era mai esistito.
Perciò il contratto avrebbe dovuto essere dichiarato nullo.
Il motivo non è fondato.
Il contratto è stato concluso con riferimento ad un oggetto, individuato in base alla sua conformità ad un tipo esistente.
Dunque aveva un oggetto possibile e determinato.
Questo oggetto, acquistato presso il fornitore dalla società di
leasing, avrebbe poi dovuto essere consegnato dal fornitore al
l'utilizzatore, l'attuale ricorrente.
Questi, lungo tutto l'arco del giudizio, ha sostenuto che il
macchinario, sebbene egli avesse dichiarato il contrario sotto
scrivendo verbali che ne attestavano la consegna e collaudo, non
gli era stato mai consegnato. Orbene, rispetto a questo tipo di situazione, in altre analoghe
occasioni la corte ha affermato che il rischio della mancata con
segna della cosa dal fornitore all'utilizzatore ricade sulla società
di leasing e che patti in contrario sono nulli (Cass. 30 giugno 1998, n. 6412, id., 1998, I, 3082; 2 novembre 1998, n. 10926, ibid., 3081).
La corte ha però aggiunto che, quando la consegna deve esse
re eseguita dal fornitore e non è il concedente a sottoporre al
l'utilizzatore, perché li sottoscriva, dichiarazioni che attestino
una consegna che lo stesso concedente sa non essere avvenuta
(Cass. 19 novembre 1998, n. 11669, id., Rep. 1998, voce Con
tratto in genere, n. 298), è onere dell'utilizzatore a tutela degli interessi suoi e del concedente rifiutare la sottoscrizione di
analoghe dichiarazioni sottopostegli dal fornitore e non corri
spondenti alla realtà, dovendo altrimenti sopportare lui il rischio
dell'inadempimento del fornitore (Cass. 2 novembre 1998, n.
10926, cit.). È ciò che si è appunto verificato nel caso in esame.
4. - Il quarto motivo, che precede nell'ordine logico il terzo, denuncia un vizio di violazione di norme sul procedimento (art.
360, n. 4, c.p.c., in relazione agli art. 88 e 112 stesso codice). La corte d'appello ha negato rilievo ai raggiri esercitati sul
l'attuale ricorrente per indurlo a concludere il contratto di lea
sing. I giudici di secondo grado hanno ricondotto il caso all'ipotesi
del contratto concluso per effetto del dolo del terzo, disciplinata dal 2° comma dell'art. 1439 c.c. ed hanno detto che l'eccezione
di annullabilità non poteva essere accolta, perché non v'era pro va che la Artigianfin fosse stata a conoscenza del dolo dei terzi
e ne avesse tratto vantaggio. Obietta il ricorrente che egli non aveva chiesto l'annulla
mento del contratto, ma aveva sostenuto che l'Artigianfin veni
va violando l'obbligo di lealtà, quando insisteva nell'ottenere da
lui il residuo controvalore del macchinario, che sapeva oramai
non essergli stato consegnato. II motivo non è fondato.
È ben vero che impugnando la sentenza di primo grado l'at
tuale ricorrente aveva sottoposto alla corte d'appello anche que sto argomento, che essa non ha invece esaminato.
Però, una volta escluso dalla corte d'appello che il contratto
di leasing fosse annullabile, punto sul quale il ricorrente non
svolge censura, la domanda dell'Artigianfin, proposta sulla base
del contratto contro Bernardini, non avrebbe potuto essere ri
gettata per il motivo non esaminato.
Se l'Artigianfin era stata anch'essa vittima di una truffa, per ché era stata anch'essa indotta con raggiri a concludere l'acqui sto del macchinario ed a pagarlo, senza che fosse poi conse
gnato, aveva diritto al risarcimento del danno verso gli autori
del reato, ma aveva anche diritto all'esecuzione del contratto di
leasing, contro l'utilizzatore che non aveva rifiutato la sottoscri
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PARTE PRIMA 1200
zione della dichiarazione attestante una consegna in effetti non
avvenuta.
Orbene, la parte che ha a disposizione più mezzi giuridici per la tutela di un suo interesse e ne impiega uno a preferenza di un
altro, non abusa del suo diritto e non può per questo vedersene
rifiutato il riconoscimento, se non viola norme che le impongo no di tenere uno specifico comportamento a salvaguardia del
l'interesse del proprio debitore (com'è ad esempio nel caso del
creditore nei suoi rapporti col fideiussore: art. 1957 c.c.) e se
non aggrava la posizione del debitore contro cui si rivolge oltre
quanto è necessario per la soddisfazione del suo diritto.
Ma non è questo che si verifica quando, come nel caso in
esame, il creditore sceglie uno tra più debitori della stessa pre stazione, potendo il debitore rivalersi verso gli altri debitori so
lidali (art. 1299 c.c.), anche avvalendosi dei diritti spettanti al
creditore (art. 1203, n. 3, c.c.). 5. - Il terzo ed ultimo motivo denunzia un vizio di violazione
di norme di diritto (art. 360, n. 3, c.p.c., in relazione agli art.
1173, 1175 e 1218 c.c.). Il ricorrente sostiene che, se il bene non gli era mai stato con
segnato, neppure poteva avere l'obbligo di custodirlo e quindi non poteva essere obbligato a pagare la penale conseguente alla
mancata restituzione.
Anche questo motivo è infondato.
Si è già visto che chi nel contratto di leasing assume la posi zione di utilizzatore è tenuto, a protezione del suo, ma anche
dell'interesse del concedente ad avvisare quest'ultimo del fatto
che il bene non gli viene consegnato o che gliene viene conse
gnato uno diverso o che presenta vizi e che deve rifiutare di ri
lasciare attestazioni relative alla consegna e collaudo del bene, se l'una o l'altra non siano effettivamente avvenuti.
Se non tiene questo comportamento non può opporre al con
cedente che la consegna è mancata, non può ottenere la risolu
zione del contratto e quindi è tenuto alle obbligazioni che da
questo scaturiscono
6. - Il ricorso è rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 7 di
cembre 2000, n. 15514; Pres. Spanò, Est. Cuoco, P.M. Rai mondi (conci, diff.); Lecca (Avv. Giua, Filanti) c. Inail (Avv. Catania, Raspanti). Cassa Trib. Cagliari 6 aprile 1998.
Infortuni sul lavoro e malattie professionali — Silicosi e asbestosi — Rendita — Revisione per aggravamento
(D.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, t.u. delle disposizioni sull'as sicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, art. 104, 137, 146).
L'assicurato che richieda la revisione della rendita per aggra vamento della silicosi o dell'asbestosi non ha l'onere di alle
gare la certificazione prevista a corredo della domanda di re
visione della rendita per le altre malattie professionali, così
come a seguito della reiezione amministrativa della richiesta,
differentemente da quanto previsto per le altre malattie pro fessionali, non soggiace alle disposizioni previste dall'art. 104 d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124. (1)
(1) Revirement della corte rispetto alla precedente sent. 2 maggio 1995, n. 4808, Foro it., Rep. 1996, voce Infortuni sul lavoro, n. 124, che aveva ritenuto l'allegazione di un certificato medico con l'indica zione della nuova misura della riduzione dell'attitudine lavorativa ri
spondente ad un principio generale applicabile a tutti i casi di domanda di revisione delle rendite per malattie professionali, non attribuendo al cuna rilevanza alla specificità delle discipline che il t.u. 1124/65 (art. 140-177) detta per la silicosi e l'asbestosi e che, invece, ha indotto la
Il Foro Italiano — 2001.
Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore di Ca
gliari in funzione di giudice del lavoro Tarcisio Lecca, titolare di rendita per riduzione della capacità lavorativa (causata da si
licosi) nella misura del settantacinque per cento, sostenendo che
l'infermità che determinava l'indicata riduzione si era aggrava ta, chiese il riconoscimento del diritto alla maggiore rendita, con
la condanna dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail) al pagamento delle maggiori conse
guenti somme, con rivalutazione ed interessi.
Il pretore, attraverso parere tecnico d'ufficio, accolse la do
manda, riconoscendo il diritto alla rendita per riduzione della
capacità lavorativa nella misura dell'ottantadue per cento.
Con sentenza del 6 aprile 1998 il Tribunale di Cagliari, acco gliendo l'appello dell'Inail, dichiarò l'improponibilità della domanda. A questa decisione il tribunale giunge affermando che
in applicazione di un principio generale, deducibile dalla com plessiva disciplina della revisione delle rendite, la domanda di
revisione dell'inabilità permanente da silicosi deve essere cor
redata da un certificato medico e dall'indicazione della maggio re misura dell'inabilità, i quali consentono all'istituto di deliba
re amministrativamente la non manifesta infondatezza della ri
chiesta e di orientare il conseguente accertamento; e, nel caso in
esame, alla domanda amministrativa ed all'amministrativa op
posizione (alla relativa reiezione) erano stati allegati solo i ri
sultati di due accertamenti strumentali (una spirometria ed un
referto cardiologico). Per la cassazione di questa sentenza ricorre Tarcisio Lecca,
percorrendo le linee di due motivi. Resiste l'Inail con controri
corso.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo, denunciando
per l'art. 360, n. 3, c.p.c. violazione e falsa applicazione del
l'art. 12 disp. prel. c.c. e dell'art. 137, 2° comma, d.p.r. 30 giu
gno 1965 n. 1124, il ricorrente sostiene che l'aggravamento e la
maggiore misura d'inabilità non devono essere indicati nella
domanda, bensì «risultare» dalla certificazione medica, ed è
pertanto sufficiente che siano deducibili dal relativo contenuto; di ciò era riscontro la diversa dizione dell'art. 104, 1° comma
dello stesso d.p.r. ove si esige una «precisazione». Con il secondo motivo, denunciando per l'art. 360, n. 5, c.p.c.
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, il ricorrente
sostiene che egli nella memoria di costituzione aveva indicato
l'interpretazione da dare agli art. 137 e 104 d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, e che le certificazioni allegate alla domanda am
ministrativa consentivano non solo di ritenere non manifesta
mente infondata la richiesta, bensì di dedurre l'aggravamento della silicosi e di orientare l'attività di accertamento.
Con il controricorso si sostiene che non è sufficiente l'allega zione dei referti di accertamenti strumentali, poiché è necessario
allegare la certificazione medica che di questi certificati dia lettura ed interpretazione.
I motivi, che per la loro interconnessione devono essere con
giuntamente esaminati, sono fondati. È da premettere che il d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124 (d'ora
innanzi implicitamente richiamato attraverso singoli articoli)
prevede, dopo il capo settimo (disposizioni speciali per le ma lattie professionali), il capo ottavo, che contiene disposizioni speciali per la silicosi e l'asbestosi.
Nell'ambito di queste speciali disposizioni, l'art. 141 dispone che «per la silicosi e l'asbestosi, ferma l'osservanza, in quanto applicabili, delle disposizioni concernenti gli infortuni sul lavo ro e le altre malattie professionali, valgono le disposizioni parti colari contenute nel presente capo».
Fra queste «disposizioni particolari», l'art. 146 disciplina in modo specifico la revisione della rendita «in caso di diminuzio ne o di aumento dell'attitudine al lavoro».
Questa disposizione è parziale letterale risonanza di quanto, per la revisione, dispongono l'art. 137, in materia di malattie
professionali, e l'art. 83, in materia di infortuni sul lavoro. In
particolare, l'art. 146:
a) nel 1° comma riproduce quanto dispongono l'art. 83, 1°
comma, e l'art. 137, 1° comma;
decisione che si riporta a pronunciarsi nel senso riassunto nella massi ma in epigrafe.
Per riferimenti, da ultimo, in tema di revisione della rendita Inail, cfr. Cass. 13 gennaio 2001, n. 417, id., Mass., 37, unitamente a Cass. 13
gennaio 2001, n. 435, ibid., 38, sulla rettifica della rendita per errore, che saranno ambedue riportate in un prossimo fascicolo.
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