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sezione III civile; sentenza 8 gennaio 2001, n. 189; Pres. Giuliano, Est. Vittoria, P.M. Sepe...

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sezione III civile; sentenza 8 gennaio 2001, n. 189; Pres. Giuliano, Est. Vittoria, P.M. Sepe (concl. conf.); Bernardini (Avv. Paoletti, Del Carlo) c. Soc. Artigianfin leasing (Avv. Scoccini). Conferma App. Roma 24 luglio 1997 Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 4 (APRILE 2001), pp. 1191/1192-1199/1200 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23196985 . Accessed: 28/06/2014 07:37 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.81 on Sat, 28 Jun 2014 07:37:47 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione III civile; sentenza 8 gennaio 2001, n. 189; Pres. Giuliano, Est. Vittoria, P.M. Sepe (concl.conf.); Bernardini (Avv. Paoletti, Del Carlo) c. Soc. Artigianfin leasing (Avv. Scoccini).Conferma App. Roma 24 luglio 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 4 (APRILE 2001), pp. 1191/1192-1199/1200Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196985 .

Accessed: 28/06/2014 07:37

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PARTE PRIMA 1192

ramente passare con comandante e l'equipaggio, prestandole

ogni possibile aiuto e soccorso».

A queste considerazioni di carattere generale, tratte dal diritto

della navigazione, da cui si deduce la stretta correlazione tra

passavanti provvisorio ed iscrizione, se ne devono aggiungere altre, ulteriormente decisive, attinenti alla previdenza dei marit

timi ed al correlato regime contributivo.

La 1. 26 luglio 1984 n. 413 (riordinamento pensionistico dei lavoratori marittimi), all'art. 5 definisce la nozione di nave ai

fini della previdenza marinara, disponendo testualmente «agli effetti delle disposizioni di cui alla presente legge si considera

no navi: a) quelle iscritte nelle 'matricole delle navi maggiori'». Ora, costituisce fondamentale canone ermeneutico che la

stessa espressione, contenuta nello stesso contesto normativo di

settore, debba avere il medesimo significato giuridico, se non

diversamente disposto dal legislatore, o se tale diverso signifi cato non emerga incontestabilmente dalla trama normativa.

Nella specie la stessa espressione «navi iscritte» contenuta nella

legge testé citata e nell'art. 1, comma 6 bis, d.l. 29 giugno 1984

n. 277, aggiunto dalla 1. di conversione 4 agosto 1984 n. 430, va interpretata in senso unitario. Nessuno dubita, la s.p.a. Cen

tro leasing non contesta, e tantomeno ovviamente l'Inps, che nel

periodo controverso in cui la nave in questione ha navigato sulla

base del passavanti provvisorio, essa fosse soggetta all'obbligo contributivo previsto dall'art. 7 citata 1. 26 luglio 1984 n. 413, in quanto «nave iscritta» nella matricola delle navi maggiori.

Costituendo il beneficio degli sgravi contributivi una esen

zione parziale dall'obbligazione contributiva (art. 59 d.p.r. 6

marzo 1978 n. 218), è evidente che se la nave in questione è

soggetta all'obbligo contributivo per il periodo controverso in

quanto nave iscritta (pur essendo ancora in fieri, attraverso il

passavanti provvisorio, il procedimento culminante con la for

male iscrizione nella matricola), egualmente va considerata na

ve iscritta ai fini degli sgravi. Si deve, infine, per completezza, indicare la fonte normativa

della qualificazione del compartimento di Livorno come zona

del Mezzogiorno, che non risalta ictu oculi, per ovvie questioni di latitudine.

Il principio, ricordato anche nel messaggio Inps 23 aprile 1986, n. 3608, è che vanno considerati compartimenti marittimi

ubicati nel Mezzogiorno anche quelli comprendenti località solo

in parte rientranti in tale territorio.

Il compartimento marittimo di Livorno comprende l'isola del

Giglio (d.p.r. 9 agosto 1956 n. 1250), il cui territorio è stato in serito dalla 1. 5 gennaio 1955 n. 13 nella lista originaria dei ter

ritori indicati nell'art. 3 1. 10 agosto 1950 n. 646, istitutiva della

Cassa per opere straordinarie di pubblico interesse nell'Italia

meridionale (Cassa per il Mezzogiorno), la quale lista, arricchita

anche con l'isola di Capraia, è ora trasfusa nell'art. 1 d.p.r. 6

marzo 1978 n. 218 (t.u. delle leggi sugli interventi nel Mezzo

giorno) definitorio della sfera di applicazione. La sentenza impugnata, il cui dispositivo è conforme a diritto,

seppure la prima parte della motivazione sia da correggere ai

sensi dell'art. 384, 2° comma, c.p.c., resiste dunque alle censure

dell'istituto ricorrente.

La reiezione del ricorso per i motivi che precedono esime la

corte dall'esame degli ulteriori motivi di contrasto della resi stente.

Il Foro Italiano — 2001.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 8 gen naio 2001, n. 189; Pres. Giuliano, Est. Vittoria, P.M. Sepe

(conci, conf.); Bernardini (Avv. Paoletti, Del Carlo) c. Soc.

Artigianfin leasing (Avv. Scoccini). Conferma App. Roma 24

luglio 1997.

Giudizio (rapporto tra il giudizio civile o amministrativo e il penale) e pregiudizialità penale — Sentenza civile di meri to di primo grado — Appello — Proposizione dell'azione civile nel processo penale

— Prosecuzione del processo ci

vile — Mancata pronuncia in sede penale sull'azione ci

vile — Validità della sentenza civile di appello (Cod. proc. pen., art. 75).

Proposta azione civile nel processo penale dopo che il processo civile si è concluso in primo grado con sentenza di accogli mento della domanda ed in pendenza del giudizio d'appello, la sentenza di merito resa in secondo grado non è viziata se il

processo penale si è chiuso senza una decisione sul merito

dell'azione civile. (1)

Svolgimento del processo. — 1.1. -

L'Artigianfin leasing

s.p.a. (in seguito l'Artigianfin), con ricorso al presidente del

Tribunale di Roma, depositato il 6 novembre 1991, chiedeva

fosse emesso in confronto di Marcello Bernardini ed in partico lare della ditta individuale Coral di Bernardini Marcello un de

creto d'ingiunzione.

Esponeva i seguenti fatti.

Il 1° novembre 1989 aveva stipulato un contratto di leasing. La Coral aveva preso in godimento un macchinario (Pre

monta S.4. con TC F), che avrebbe dovuto esserle consegnato dal fornitore, la Mita s.r.l. con sede in Firenze.

L'importo complessivo della fornitura era di lire 38.000.000:

oltre il primo corrispettivo di lire 5.700.000, con inizio dal 1° gennaio 1989 e per trentacinque mesi avrebbe dovuto essere pa

gato il canone mensile di lire 1.405.509; il prezzo di opzione era

di lire 380.000. La Coral aveva ricevuto la consegna del macchinario, come

risultava dai verbali di consegna e collaudo da essa sottoscritti.

Dal mese di luglio 1990 i canoni non erano stati versati ed al

1° febbraio 1991 il debito complessivo della Coral per canoni

scaduti e non pagati, comprensivo di un residuo dei mesi di

cembre 1989 e gennaio 1990, ammontava a lire 12.649.581.

In un sopralluogo eseguito presso la Coral era risultato che

questa non aveva presso di sé il macchinario e Bernardini aveva

dichiarato che si trovava presso il fornitore.

(1) V., in senso analogo, Cass. 8 settembre 1997, n. 8737, Foro it.,

Rep. 1997, voce Giudizio (rapporto), n. 33, per la quale «la costituzione di parte civile in sede penale non determina la perdita della giurisdizio ne del giudice civile davanti al quale l'azione risarcitoria sia stata pro posta prima della definizione del processo penale, ma solo impedisce, al giudice civile, la cognizione dell'azione civile derivante dal reato, per il duplice ostacolo rappresentato dalla pendenza della lite e dalla

pregiudizialità del giudizio penale rispetto a quello civile; trattandosi di due cause ostative che possono venire a mancare nel corso dello stesso

giudizio penale, la proponibilità e la procedibilità dell'azione risarcito ria in sede civile resta condizionata alla sussistenza di esse e tale condi zione è superata dalla loro cessazione».

Quindi ad avviso della Cassazione «il trasferimento dell'azione ci vile dal processo civile a quello penale va considerato non già fatto che

estingue il primo, quanto un fatto che ne impedisce il proseguimen to ...», con la conseguenza che si tratta di una «preclusione che ha ra

gione d'essere dichiarata in quanto sussiste nel momento in cui è rap presentata al giudice, ma non richiede eccezione di parte ...».

La Cassazione, dunque, nella decisione in epigrafe dà decisivo rilie vo alla circostanza che il processo penale si era concluso, dopo la sen tenza d'appello pronunciata nel processo civile, sentenza oggetto del ricorso in Cassazione, senza che sull'azione civile fosse stata resa alcu na decisione, rispetto all'altra circostanza, considerata dalla corte ad

abundantìam, della proposizione dell'azione civile nel processo penale dopo la pronuncia della sentenza definitiva di primo grado, di accogli mento della domanda. Al riguardo va ricordato il 1° comma dell'art. 75

c.p.c., secondo cui «l'azione civile proposta davanti al giudice civile

può essere trasferita nel processo penale fino a quando in sede civile non sia stata pronunciata sentenza di merito anche non passata in giudi cato».

Sul trasferimento dell'azione civile in sede penale, v., da ultimo, Cass. 9 giugno 1998, n. 5656, id., 1999,1, 959, con osservazioni di Tri sorio Liuzzi, ed ivi richiami di giurisprudenza e dottrina. [G. Trisorio

Liuzzi]

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Per l'art. 11 delle condizioni generali di contratto, il cliente, in caso di perdita del bene, era tenuto a corrispondere una som

ma pari al totale del corrispettivo ancora dovuto, attualizzato al

tasso ufficiale di sconto vigente al momento, maggiorato del

prezzo di opzione: questo importo era pari a lire 26.539.975.

La ricorrente chiedeva fosse quindi ingiunto a Marcello Ber

nardini di pagare le somme di lire 12.649.581 e di lire

26.539.975, aumentate di interessi.

Il decreto era emesso e notificato.

1.2. - Marcello Bernardini proponeva opposizione e conveni

va in giudizio l'Artigianfin, con la citazione a comparire davanti

al Tribunale di Roma, notificata il 7 febbraio 1992. Esponeva questi fatti.

I canoni successivi al giugno 1990 non erano stati pagati per ché avrebbero dovuto esserlo dalla Coral s.r.l., che, con il con

senso dell'Artigianfin era subentrata nel contratto, come risulta

va da due lettere del 18 luglio e 1° ottobre 1990: la pretesa per i

canoni dovuti a partire dal luglio 1990 avrebbe dovuto essere

perciò fatta valere contro la cessionaria.

Non aveva mai ricevuto la consegna del macchinario, che for

se non era mai esistito o era rimasto presso il fornitore od era

stato consegnato non a lui, ma alla Coral s.r.l.

II caso faceva peraltro parte di una più complessa vicenda, di

cui era stata protagonista un'altra persona, Genio Vurro, rappre sentante legale della Coral s.r.l.; contro di questi aveva presen tato denuncia e querela il 28 giugno 1991 al procuratore della

repubblica presso la Pretura di Lucca, davanti alla quale, per la

stessa vicenda, già pendeva un altro procedimento penale. Sosteneva che, in ogni caso, l'unico credito certo dell'Arti

gianfin poteva essere rappresentato dalla differenza tra il prezzo da essa pagato per l'acquisto del macchinario e l'ammontare

della somma già corrispostale.

L'opponente concludeva per la revoca del decreto d'ingiun zione ed in ogni caso per la riduzione della somma domandata.

1.3. - L'Artigianfin si costituiva in giudizio e resisteva all'ac

coglimento dell'opposizione.

Esponeva dal canto suo questi argomenti. Aveva bensì ricevuto una comunicazione della società Coral

di Bernardini s.r.l. in cui le si comunicava che l'azienda indivi

duale s'era trasformata in società e le si chiedeva di subentrare

nel contratto di leasing, ma alla propria richiesta della docu

mentazione necessaria per attuare tale operazione non era stata

data risposta. Perciò, parte del contratto era rimasto Marcello Bernardini.

Questi aveva sottoscritto i verbali di consegna e collaudo, non

aveva disconosciuto la propria firma e dunque era provato che

avesse ricevuto il macchinario, sicché in base al contratto, era

obbligato a custodirlo per poterlo restituire in caso di sciogli mento del rapporto, mentre era risultato che ne avesse dismesso

la detenzione e per questo era stato denunciato per appropria zione indebita.

Le somme dovute, a parte quelle per i corrispettivi non paga

ti, erano state liquidate in base al contratto ed a quanto vi era

previsto per il caso di perdita del bene ricevuto in godimento. 2. - Il tribunale rigettava l'opposizione, dopo aver osservato

che l'Artigianfin aveva provato i fatti costitutivi del proprio di

ritto, mentre l'opponente non aveva provato fatti impeditivi o

estintivi. 3.1. - La decisione veniva impugnata. Bernardini deduceva che il tribunale aveva sbagliato nel va

lutare i fatti; riproponeva le conclusioni di merito prese nella

citazione in opposizione e sviluppava uno degli argomenti posti a base della stessa opposizione, richiamandosi al riguardo a

sentenze pronunziate in processi penali. Sosteneva che sia lui sia l'Artigianfin erano stati vittime di

una truffa compiuta da alcune persone, tra le quali Genio Vurro,

che, avvalendosi dell'organizzazione della società Mita, li ave

vano indotti alla conclusione del contratto di leasing, ricevendo

dall'Artigianfin il prezzo di acquisto dei macchinari, che non

avevano poi consegnato: perciò, i beni oggetto del contratto non

erano mai esistiti e il contratto di leasing era nullo per illiceità

della causa ed inesistenza dell'oggetto.

Aggiungeva che l'Artigianfin non era in buona fede quando insisteva nel chiedere la sua condanna al pagamento dell'equi valente del valore residuo del macchinario, come se fosse stato

lui a perderlo, quando oramai sapeva che egli non lo aveva mai

ricevuto.

3.2. - L'Artigianfin resisteva all'appello.

Il Foro Italiano — 2001.

Obiettava che, quando una delle parti tra cui è concluso un

contratto è indotta a farlo dal comportamento truffaldino di un

terzo, il contratto non è nullo; è bensì annullabile, a norma del

l'art. 1439 c.c., se i raggiri sono noti all'altra parte che se ne

avvantaggia, ma di questi raggiri essa non aveva saputo nulla.

4. - La corte d'appello ha rigettato l'impugnazione con sen

tenza del 24 luglio 1997.

Ha svolto le seguenti considerazioni.

La conclusione del contratto di leasing era provata. Di tale contratto non poteva essere pronunziato l'annulla

mento a norma dell'art. 1439 c.c., perché non era stato provato, invece, che l'Artigianfin fosse a conoscenza del raggiro usato in

danno del Bernardini.

Questi aveva dichiarato, almeno formalmente, d'aver ricevuto

il macchinario e per un primo periodo aveva anche versato i ca

noni.

Infine, andava respinta l'eccezione di estinzione del processo

per rinuncia agli atti del giudizio, che si sarebbe avuta perché

l'Artigianfin s'era costituita parte civile nel processo penale contro Bernardini, svoltosi davanti al Pretore di Lucca per il

reato di appropriazione indebita del macchinario.

L'eccezione era inammissibile: era stata infatti proposta per la prima volta nella comparsa conclusionale e comunque dei

fatti allegati non era stata data prova. 5. - Bernardini ha proposto ricorso per cassazione.

La società Artigianfin ha resistito con controricorso.

Il ricorrente ha depositato una memoria.

Motivi della decisione. — 1. - Il ricorso contiene quattro mo

tivi. 2. - Il primo deduce vizi di violazione di norme di diritto e di

norme sul procedimento (art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c., in relazione

all'art. 2697 c.c., all'art. 75 c.p.p., agli art. 113, 115, 116 e 307

c.p.c.). 2.1. - Il ricorrente sostiene che l'Artigianfin, che già aveva

proposto domanda di condanna in suo confronto con il ricorso

per decreto d'ingiunzione, ha poi proposto la stessa domanda

nel processo penale che era stato promosso contro di lui per il

delitto di appropriazione indebita, processo nel quale si era co

stituita parte civile.

Di ciò aveva dato prova nell'udienza del 21 dicembre 1995

davanti al giudice d'appello, producendo l'atto di costituzione

di parte civile allegato al verbale dell'udienza penale del 10 lu

glio 1995 ed i documenti erano stati discussi dalla controparte nell'udienza del 28 marzo 1996.

Dopo aver osservato che l'art. 75, 1° comma, c.p.p. qualifica

questo comportamento come rinunzia agli atti, il ricorrente so

stiene che il giudice civile deve in questo caso dichiarare di uf

ficio l'improcedibilità dell'azione civile. 2.2. -

L'Artigianfin obietta che la costituzione di parte civile

è avvenuta il 10 luglio 1995, dopo che già era stata pronunciata, il 24 gennaio 1995, la sentenza di rigetto dell'opposizione da

parte del Tribunale di Roma.

Quindi, la costituzione di parte civile, in base all'art. 75, 1°

comma, c.p.p., non era ammissibile e perciò non poteva deter

minare l'effetto di rinuncia agli atti del giudizio civile. Aggiunge che, in ogni caso, la fattispecie descritta dall'art. 75

del vigente codice di procedura penale non si sottrae all'appli cazione della regola generale per cui i fatti che determinano l'e

stinzione del processo civile debbono essere dedotti dalla parte che vi ha interesse prima di ogni altra difesa.

2.3. - Il motivo, per le ragioni di seguito esposte, non è fon

dato.

2.3.1. - La corte deve pronunciarsi su un motivo di violazione

di norme che disciplinano il procedimento (art. 360, n. 4, c.p.c.). I suoi poteri comprendono quindi anche la valutazione dei

fatti del processo rilevanti per la decisione.

I fatti sono i seguenti. La resistente, Artigianfin, parte di un contratto di leasing co

me concedente, mediante il ricorso per decreto d'ingiunzione, ha proposto una domanda di condanna fondata sul contratto.

Oggetto di tale domanda è stato anche l'equivalente del resi

duo valore del bene dato in godimento, di cui la parte ha soste

nuto che l'utilizzatore avesse perduto la detenzione.

La domanda è stata accolta con sentenza del tribunale, perché

l'opposizione proposta contro il decreto è stata rigettata. Successivamente, l'attuale resistente si è costituita parte ci

vile nel processo penale promosso nei confronti dell'utilizzatore

per appropriazione indebita.

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PARTE PRIMA

Costituendosi parte civile ha chiesto, a titolo di risarcimento

del danno, la condanna al pagamento del valore del bene dato in

leasing. L'avvenuta costituzione di parte civile,è stata documentata

davanti alla corte d'appello dal ricorrente, Bernardini, utilizza

tore del bene.

Bernardini, che aveva impugnato la sentenza di primo grado, non ha proposto nel giudizio d'appello un'eccezione di estin

zione.

Il processo penale, dopo la sentenza d'appello pronunciata nel processo civile e qui impugnata, si è concluso con una sen

tenza di assoluzione di Bernardini dall'imputazione e senza che

sull'azione civile sia stata resa alcuna decisione — il fatto è al

legato dallo stesso ricorrente, che non deduce essere stata la

sentenza penale impugnata neppure per le statuizioni relative

all'azione civile.

2.3.2. - Delle ragioni su cui è stata fondata la decisione,

quella che non fosse stata data prova della costituzione di parte civile non è fondata.

Si tratta allora di stabilire se lo è l'altra, che l'eccezione di

estinzione era inammissibile perché proposta per la prima volta

nella comparsa conclusionale.

2.3.3. - L'art. 75 del vigente codice di procedura penale, co

me già l'art. 24 c.p.p. del 1930, disciplina il rapporto tra com

petenza del giudice civile e competenza del giudice penale

quanto all'esercizio della giurisdizione sull'azione civile per le

restituzioni e per il risarcimento del danno da reato, quando l'a

zione sia stata proposta davanti ad ambedue i giudici. Il caso che si è presentato può essere posto in relazione alla

fattispecie, che rientra tra quelle considerate dal 1° comma dei

due articoli e che si determina quando il danneggiato propone l'azione civile davanti al giudice civile — in un momento in cui

il processo penale non è ancora iniziato od anche in pendenza di tale processo, ma prima che sia pervenuto ad una fase in cui l'a

zione civile non vi può più essere esaminata nel merito — ed il

danneggiato ripropone poi la stessa domanda al giudice penale costituendosi parte civile nel processo penale.

L'art. 75, 1° comma, contiene al riguardo due disposizioni. La prima consente appunto che la domanda di condanna al ri

sarcimento dei danni determinati da un fatto costituente reato,

proposta davanti al giudice civile, sia trasferita mediante costi

tuzione di parte civile nel processo penale; lo consente con il

limite che sulla domanda non sia stata già pronunciata una sen

tenza di merito.

Pur diversamente formulato, l'art. 75, 1° comma, ripropone qui quanto al riguardo già era stabilito nell'art. 24.

Merita osservare — su questo punto, del resto, s'incentra uno

degli argomenti di resistenza opposti al motivo di ricorso — che

nel caso l'azione civile è stata proposta nel processo penale, do

po che il processo civile s'era chiuso in primo grado con la

sentenza che aveva accolto la domanda. La seconda disposizione regola gli effetti di tale trasferimen

to.

Lo fa dicendo che «L'esercizio di tale facoltà comporta ri

nuncia agli atti del giudizio; il giudice penale provvede anche sulle spese del procedimento civile».

La formula impiegata registra qualche scarto lessicale rispetto alla precedente: il 1° comma dell'art. 24 diceva, infatti, che «L'esercizio di tale facoltà produce di diritto la rinuncia del l'attore al giudizio civile. Il giudice penale provvede anche sulle

spese del procedimento civile».

In altra occasione (sentenza 7 aprile 1994, n. 3289, Foro it.,

Rep. 1994, voce Giudizio (rapporto), n. 6), peraltro senza inci denza sulla ragione del decidere, è stato affermato che la disci

plina della fattispecie attuata con l'art. 75, 1° comma, differisce da quella a suo tempo dettata dal 1° comma dell'art. 24 del co

dice abrogato. Perché questo problema possa essere convenientemente ri

solto è necessario soffermarsi sul fenomeno del trasferimento dell'azione civile, dal processo civile a quello penale, e sull'e laborazione che l'argomento ha avuto nella giurisprudenza for matasi sul codice del 1930.

2.4. - Quando la parte, dopo aver proposto davanti al giudice

civile domanda per le restituzioni ed il risarcimento, per conse

guirli si costituisce parte civile nel processo penale, si determina una situazione che si caratterizza per la pendenza della stessa causa davanti a due giudici diversi.

Il Foro Italiano — 2001.

A questo tipo di situazione, il codice di procedura civile ri

spondeva e risponde con la disciplina sulla litispendenza: l'art.

39 attribuisce al giudice davanti al quale la causa è riproposta di

dichiarare la litispendenza anche di ufficio in ogni stato e grado del processo, disponendo la cancellazione dal ruolo della causa

pendente davanti a lui, iniziata una seconda volta.

Ciò dimostra che l'ordinamento privilegia l'interesse a che

sulla medesima causa più giudici non si pronuncino contempo raneamente e con esiti che possono contraddirsi.

La disciplina della litispendenza è derogata da quella sul tra

sferimento dell'azione civile nel processo penale. È derogata nel senso che, volendo l'ordinamento consentire e

privilegiare il congiunto esame del fatto e dei suoi effetti penali e civili, da un lato permette al danneggiato di proporre di nuovo

la propria domanda nel processo penale, dall'altro è il processo civile in precedenza iniziato a doversi chiudere, lasciando che

sull'azione civile provveda il giudice penale. Il fenomeno del trasferimento dell'azione civile nel processo

penale presenta altri due tratti.

Il danneggiato, spendendo la facoltà di spostare dal processo civile a quello penale la propria domanda, non rinuncia a perse

guire la soddisfazione del suo diritto, ma, in un sistema di rap porti tra processo penale e processo civile, per cui questo do

vrebbe segnare il passo sino alla conclusione dell'altro (art. 3

c.p.p. del 1930 e 295 c.p.c. del 1942), opta per la via che gli consente di vedere esaminata l'azione civile nel medesimo tem

po in cui si svolge il processo penale. Questo, tuttavia, può chiudersi con esiti che non consentono

al giudice penale di pronunciare sull'azione civile, anche se non sono destinati a determinare preclusioni da giudicato rispetto al

merito della pretesa, sicché per il danneggiato si prospetta la

possibilità, ma anche la necessità di dover tornare davanti al

giudice civile. 2.4.1. - A questa complessa situazione processuale, come si è

visto, l'art. 24 c.p.p. aveva inteso dare disciplina con la seconda

delle disposizioni prima richiamate, affermando che l'esercizio

della facoltà di trasferire l'azione civile nel processo penale

«produce di diritto la rinuncia dell'attore al giudizio civile».

La giurisprudenza formatasi nel vigore dell'art. 24 ha ritenuto

che, in questo modo, il trasferimento dell'azione civile nel pro cesso penale fosse stato regolato dal legislatore alla stregua di

un fatto idoneo a determinare l'estinzione del processo civile, ma ha poi trovato difficoltà ad inquadrare il fenomeno nella di

sciplina di uno dei due tipi di fatti estintivi previsti dal codice di procedura civile, e perciò nella disciplina propria della rinuncia

agli atti del processo (art. 306 c.p.c.) od in quella dell'inattività delle parti (art. 307 c.p.c.).

La prima soluzione si trova affermata in un certo numero di

decisioni, anche se non sempre con effettiva incidenza sulla so

luzione del caso (così nelle sentenze 27 febbraio 1958, n. 650,

id., 1958, I, 864; 16 luglio 1964, n. 1913, id., 1965, I, 113; 25 maggio 1981, n. 3439, id., Rep. 1981, voce cit., n. 19; 30 gen naio 1982, n. 595, id., Rep. 1982, voce cit., n. 29; 27 luglio 1983, n. 5180, id., Rep. 1983, voce cit., n. 27); la seconda in al tre numerose (così, da ultimo, nelle sentenze 11 maggio 1995, n.

5167, id., Rep. 1995, voce Procedimento civile, n. 322, e 9 giu gno 1998, n. 5656, id., 1999,1, 959).

Propria di tale giurisprudenza è stata però l'enunciazione di un principio di diritto, che presenta una stretta aderenza ai tratti che caratterizzano il fenomeno del trasferimento dell'azione ci vile nel processo penale.

Si tratta dell'affermazione per cui una decisione di contenuto

preclusivo non avrebbe potuto essere pronunciata né dal giudice di primo grado né da quello dell'impugnazione, quante volte la

situazione pregiudiziale impediente dell'ulteriore svolgimento del processo civile si fosse nel frattempo esaurita (Cass. 8 set

tembre 1997, n. 8737, id., Rep. 1997, voce Giudizio (rapporto), n. 33).

2.4.2. - Questa affermazione di principio mostra che il feno meno del trasferimento dell'azione civile nel processo penale,

più che all'area dell'estinzione del processo, civile, attiene al l'area dei rapporti tra processi, nel caso tra processo civile e pe nale.

Sicché il trasferimento dell'azione civile del processo civile a

quello penale va considerato non già un fatto che estingue il

primo, quanto un fatto che ne impedisce il proseguimento, per ché non possono pendere davanti a giudici diversi più processi per la stessa causa e perché l'ordinamento consente alla parte di

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

chiedere che sul merito della domanda già proposta al giudice civile, provveda ormai il giudice penale.

Preclusione che ha ragione d'essere dichiarata in quanto sus

siste nel momento in cui è rappresentata al giudice, ma che non

richiede eccezione di parte, perché attiene, come si è visto per la

litispendenza, ad un interesse all'ordinato esercizio della giuris dizione che sovrasta il potere dispositivo delle parti.

2.4.3. - Le modificazioni intervenute, con il codice di proce dura penale del 1989, nella disciplina dei rapporti tra processo

penale e processo civile, non hanno tolto al danneggiato la fa

coltà di trasferire l'azione civile nel processo penale e neppure ne hanno alterato i fondamentali aspetti di struttura, avendone

solo accentuato l'aspetto della facoltatività, perché l'azione ci

vile può proseguire in sede civile se non è trasferita nel processo

penale (art. 75, 2° comma, c.p.p.) ed il processo civile deve es

sere sospeso solo quando è iniziato dopo che il danneggiato ha

già proposto l'azione civile nel processo penale o dopo che in

questo è stata già pronunciata sentenza penale di primo grado

(art. 75, 3° comma, c.p.p.). Sicché, nella costanza dei tratti strutturali del fenomeno, nep

pure è da riconoscere portata innovativa alla formula, apparen temente caratterizzata da maggiore tecnicismo (rinuncia agli atti

del giudizio, anziché rinuncia al giudizio), contenuta nella se conda parte del 1° comma dell'art. 75.

2.4.4. - L'interpretazione dell'art. 24 c.p.p. del 1930 (già del resto affacciata in questi termini in dottrina) ed ora dell'art. 75, 1° comma, c.p.p. del 1989 avvalora sul piano sistematico l'at

teggiamento, che è stato assunto dalla generalità della dottrina

ed anche in giurisprudenza, in un diverso campo. Entrata in vigore con la 1. 26 novembre 1990 n. 353 la nuova

disciplina dei procedimenti cautelari, si è posto il problema co

stituito dal porre in rapporto la disciplina del trasferimento del

l'azione civile nel processo penale, con quella dell'efficacia del

provvedimento cautelare autorizzato dal giudice civile prima di

tale trasferimento.

La risposta è stata di negare che il provvedimento perda effi

cacia, come invece deriverebbe dal doversi applicare quanto di

spone il 1° comma dell'art. 669 novies («Se il procedimento di

merito ... successivamente al suo inizio si estingue, il provve dimento cautelare perde efficacia»), in base al solo fatto della

qualificazione del trasferimento dell'azione civile nel processo

penale come rinuncia agli atti, così negandogli il valore di una

vicenda estintiva.

2.5. - Le osservazioni svolte autorizzano la seguente conclu

sione.

L'argomento su cui si è fondata la sentenza impugnata, bensì

conforme all'orientamento che nella giurisprudenza di questa corte è stato sin qui prevalente, non è idoneo a sorreggerlo.

La parte non ha però interesse a denunciare tale vizio.

Questo perché la prosecuzione del processo civile con la pro nuncia della sentenza di merito sulla domanda non è contraria a

diritto, una volta che il processo penale si è chiuso senza che su

di esso sia stata resa una decisione sul merito dell'azione civile.

2.5.1. - Altre due considerazioni debbono essere fatte, con ri

guardo al presente processo. La prima è che la domanda proposta al giudice civile lo è

stata facendo valere l'inadempimento di obbligazioni nascenti

dal contratto, tra le quali quella di mancata restituzione della co

sa data in godimento, mentre la domanda proposta nel processo

penale lo è stata per far valere una responsabilità da fatto illeci

to, costituito dall'indebita appropriazione della cosa.

Di qui il problema se nel processo penale fosse stata fatta

valere o no, sia pure in parte, la stessa domanda o una domanda

affatto diversa.

La seconda è che, se trasferimento dell'azione civile nel pro cesso penale v'è stato, esso è avvenuto dopo che il processo ci

vile s'era chiuso in primo grado e in pendenza del processo

d'appello. Orbene, l'art. 75, 1° comma, dell'attuale codice di procedura

penale non consente il trasferimento dopo che nel processo ci

vile sia resa una sentenza di merito anche non passata in giudi cato.

Alla costituzione di parte civile tuttavia compiuta dal dan

neggiato, rimasto vincitore nel giudizio civile di primo grado, non si potrebbe attribuire il valore di un fatto estintivo del giu dizio civile di appello promosso dal convenuto rimasto soccom

bente, perché altrimenti l'attore disporrebbe dell'interesse del

Il Foro Italiano — 2001.

convenuto alla modificazione di quella sentenza, che passerebbe in giudicato (art. 338 c.p.c.).

Gli si dovrebbe allora prestare il valore di un comportamento di rinuncia all'intero giudizio ed agli effetti della sentenza già

pronunciata. Ma questo è un tipo di effetto, equiparabile alla cessazione

della materia del contendere, che può solo derivare da un accor

do tra le parti del processo. Accordo che avrebbe richiesto il consenso manifestato perso

nalmente della parte. 3. - Il secondo motivo denunzia un vizio di violazione di

norme di diritto (art. 360, n. 3, c.p.c., in relazione all'art. 1418

c.c.). Il ricorrente osserva che dalle sentenze pronunciate dai giudi

ci penali era risultato che il macchinario oggetto del contratto di

leasing non era mai esistito.

Perciò il contratto avrebbe dovuto essere dichiarato nullo.

Il motivo non è fondato.

Il contratto è stato concluso con riferimento ad un oggetto, individuato in base alla sua conformità ad un tipo esistente.

Dunque aveva un oggetto possibile e determinato.

Questo oggetto, acquistato presso il fornitore dalla società di

leasing, avrebbe poi dovuto essere consegnato dal fornitore al

l'utilizzatore, l'attuale ricorrente.

Questi, lungo tutto l'arco del giudizio, ha sostenuto che il

macchinario, sebbene egli avesse dichiarato il contrario sotto

scrivendo verbali che ne attestavano la consegna e collaudo, non

gli era stato mai consegnato. Orbene, rispetto a questo tipo di situazione, in altre analoghe

occasioni la corte ha affermato che il rischio della mancata con

segna della cosa dal fornitore all'utilizzatore ricade sulla società

di leasing e che patti in contrario sono nulli (Cass. 30 giugno 1998, n. 6412, id., 1998, I, 3082; 2 novembre 1998, n. 10926, ibid., 3081).

La corte ha però aggiunto che, quando la consegna deve esse

re eseguita dal fornitore e non è il concedente a sottoporre al

l'utilizzatore, perché li sottoscriva, dichiarazioni che attestino

una consegna che lo stesso concedente sa non essere avvenuta

(Cass. 19 novembre 1998, n. 11669, id., Rep. 1998, voce Con

tratto in genere, n. 298), è onere dell'utilizzatore a tutela degli interessi suoi e del concedente rifiutare la sottoscrizione di

analoghe dichiarazioni sottopostegli dal fornitore e non corri

spondenti alla realtà, dovendo altrimenti sopportare lui il rischio

dell'inadempimento del fornitore (Cass. 2 novembre 1998, n.

10926, cit.). È ciò che si è appunto verificato nel caso in esame.

4. - Il quarto motivo, che precede nell'ordine logico il terzo, denuncia un vizio di violazione di norme sul procedimento (art.

360, n. 4, c.p.c., in relazione agli art. 88 e 112 stesso codice). La corte d'appello ha negato rilievo ai raggiri esercitati sul

l'attuale ricorrente per indurlo a concludere il contratto di lea

sing. I giudici di secondo grado hanno ricondotto il caso all'ipotesi

del contratto concluso per effetto del dolo del terzo, disciplinata dal 2° comma dell'art. 1439 c.c. ed hanno detto che l'eccezione

di annullabilità non poteva essere accolta, perché non v'era pro va che la Artigianfin fosse stata a conoscenza del dolo dei terzi

e ne avesse tratto vantaggio. Obietta il ricorrente che egli non aveva chiesto l'annulla

mento del contratto, ma aveva sostenuto che l'Artigianfin veni

va violando l'obbligo di lealtà, quando insisteva nell'ottenere da

lui il residuo controvalore del macchinario, che sapeva oramai

non essergli stato consegnato. II motivo non è fondato.

È ben vero che impugnando la sentenza di primo grado l'at

tuale ricorrente aveva sottoposto alla corte d'appello anche que sto argomento, che essa non ha invece esaminato.

Però, una volta escluso dalla corte d'appello che il contratto

di leasing fosse annullabile, punto sul quale il ricorrente non

svolge censura, la domanda dell'Artigianfin, proposta sulla base

del contratto contro Bernardini, non avrebbe potuto essere ri

gettata per il motivo non esaminato.

Se l'Artigianfin era stata anch'essa vittima di una truffa, per ché era stata anch'essa indotta con raggiri a concludere l'acqui sto del macchinario ed a pagarlo, senza che fosse poi conse

gnato, aveva diritto al risarcimento del danno verso gli autori

del reato, ma aveva anche diritto all'esecuzione del contratto di

leasing, contro l'utilizzatore che non aveva rifiutato la sottoscri

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PARTE PRIMA 1200

zione della dichiarazione attestante una consegna in effetti non

avvenuta.

Orbene, la parte che ha a disposizione più mezzi giuridici per la tutela di un suo interesse e ne impiega uno a preferenza di un

altro, non abusa del suo diritto e non può per questo vedersene

rifiutato il riconoscimento, se non viola norme che le impongo no di tenere uno specifico comportamento a salvaguardia del

l'interesse del proprio debitore (com'è ad esempio nel caso del

creditore nei suoi rapporti col fideiussore: art. 1957 c.c.) e se

non aggrava la posizione del debitore contro cui si rivolge oltre

quanto è necessario per la soddisfazione del suo diritto.

Ma non è questo che si verifica quando, come nel caso in

esame, il creditore sceglie uno tra più debitori della stessa pre stazione, potendo il debitore rivalersi verso gli altri debitori so

lidali (art. 1299 c.c.), anche avvalendosi dei diritti spettanti al

creditore (art. 1203, n. 3, c.c.). 5. - Il terzo ed ultimo motivo denunzia un vizio di violazione

di norme di diritto (art. 360, n. 3, c.p.c., in relazione agli art.

1173, 1175 e 1218 c.c.). Il ricorrente sostiene che, se il bene non gli era mai stato con

segnato, neppure poteva avere l'obbligo di custodirlo e quindi non poteva essere obbligato a pagare la penale conseguente alla

mancata restituzione.

Anche questo motivo è infondato.

Si è già visto che chi nel contratto di leasing assume la posi zione di utilizzatore è tenuto, a protezione del suo, ma anche

dell'interesse del concedente ad avvisare quest'ultimo del fatto

che il bene non gli viene consegnato o che gliene viene conse

gnato uno diverso o che presenta vizi e che deve rifiutare di ri

lasciare attestazioni relative alla consegna e collaudo del bene, se l'una o l'altra non siano effettivamente avvenuti.

Se non tiene questo comportamento non può opporre al con

cedente che la consegna è mancata, non può ottenere la risolu

zione del contratto e quindi è tenuto alle obbligazioni che da

questo scaturiscono

6. - Il ricorso è rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 7 di

cembre 2000, n. 15514; Pres. Spanò, Est. Cuoco, P.M. Rai mondi (conci, diff.); Lecca (Avv. Giua, Filanti) c. Inail (Avv. Catania, Raspanti). Cassa Trib. Cagliari 6 aprile 1998.

Infortuni sul lavoro e malattie professionali — Silicosi e asbestosi — Rendita — Revisione per aggravamento

(D.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, t.u. delle disposizioni sull'as sicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, art. 104, 137, 146).

L'assicurato che richieda la revisione della rendita per aggra vamento della silicosi o dell'asbestosi non ha l'onere di alle

gare la certificazione prevista a corredo della domanda di re

visione della rendita per le altre malattie professionali, così

come a seguito della reiezione amministrativa della richiesta,

differentemente da quanto previsto per le altre malattie pro fessionali, non soggiace alle disposizioni previste dall'art. 104 d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124. (1)

(1) Revirement della corte rispetto alla precedente sent. 2 maggio 1995, n. 4808, Foro it., Rep. 1996, voce Infortuni sul lavoro, n. 124, che aveva ritenuto l'allegazione di un certificato medico con l'indica zione della nuova misura della riduzione dell'attitudine lavorativa ri

spondente ad un principio generale applicabile a tutti i casi di domanda di revisione delle rendite per malattie professionali, non attribuendo al cuna rilevanza alla specificità delle discipline che il t.u. 1124/65 (art. 140-177) detta per la silicosi e l'asbestosi e che, invece, ha indotto la

Il Foro Italiano — 2001.

Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore di Ca

gliari in funzione di giudice del lavoro Tarcisio Lecca, titolare di rendita per riduzione della capacità lavorativa (causata da si

licosi) nella misura del settantacinque per cento, sostenendo che

l'infermità che determinava l'indicata riduzione si era aggrava ta, chiese il riconoscimento del diritto alla maggiore rendita, con

la condanna dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail) al pagamento delle maggiori conse

guenti somme, con rivalutazione ed interessi.

Il pretore, attraverso parere tecnico d'ufficio, accolse la do

manda, riconoscendo il diritto alla rendita per riduzione della

capacità lavorativa nella misura dell'ottantadue per cento.

Con sentenza del 6 aprile 1998 il Tribunale di Cagliari, acco gliendo l'appello dell'Inail, dichiarò l'improponibilità della domanda. A questa decisione il tribunale giunge affermando che

in applicazione di un principio generale, deducibile dalla com plessiva disciplina della revisione delle rendite, la domanda di

revisione dell'inabilità permanente da silicosi deve essere cor

redata da un certificato medico e dall'indicazione della maggio re misura dell'inabilità, i quali consentono all'istituto di deliba

re amministrativamente la non manifesta infondatezza della ri

chiesta e di orientare il conseguente accertamento; e, nel caso in

esame, alla domanda amministrativa ed all'amministrativa op

posizione (alla relativa reiezione) erano stati allegati solo i ri

sultati di due accertamenti strumentali (una spirometria ed un

referto cardiologico). Per la cassazione di questa sentenza ricorre Tarcisio Lecca,

percorrendo le linee di due motivi. Resiste l'Inail con controri

corso.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo, denunciando

per l'art. 360, n. 3, c.p.c. violazione e falsa applicazione del

l'art. 12 disp. prel. c.c. e dell'art. 137, 2° comma, d.p.r. 30 giu

gno 1965 n. 1124, il ricorrente sostiene che l'aggravamento e la

maggiore misura d'inabilità non devono essere indicati nella

domanda, bensì «risultare» dalla certificazione medica, ed è

pertanto sufficiente che siano deducibili dal relativo contenuto; di ciò era riscontro la diversa dizione dell'art. 104, 1° comma

dello stesso d.p.r. ove si esige una «precisazione». Con il secondo motivo, denunciando per l'art. 360, n. 5, c.p.c.

omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, il ricorrente

sostiene che egli nella memoria di costituzione aveva indicato

l'interpretazione da dare agli art. 137 e 104 d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, e che le certificazioni allegate alla domanda am

ministrativa consentivano non solo di ritenere non manifesta

mente infondata la richiesta, bensì di dedurre l'aggravamento della silicosi e di orientare l'attività di accertamento.

Con il controricorso si sostiene che non è sufficiente l'allega zione dei referti di accertamenti strumentali, poiché è necessario

allegare la certificazione medica che di questi certificati dia lettura ed interpretazione.

I motivi, che per la loro interconnessione devono essere con

giuntamente esaminati, sono fondati. È da premettere che il d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124 (d'ora

innanzi implicitamente richiamato attraverso singoli articoli)

prevede, dopo il capo settimo (disposizioni speciali per le ma lattie professionali), il capo ottavo, che contiene disposizioni speciali per la silicosi e l'asbestosi.

Nell'ambito di queste speciali disposizioni, l'art. 141 dispone che «per la silicosi e l'asbestosi, ferma l'osservanza, in quanto applicabili, delle disposizioni concernenti gli infortuni sul lavo ro e le altre malattie professionali, valgono le disposizioni parti colari contenute nel presente capo».

Fra queste «disposizioni particolari», l'art. 146 disciplina in modo specifico la revisione della rendita «in caso di diminuzio ne o di aumento dell'attitudine al lavoro».

Questa disposizione è parziale letterale risonanza di quanto, per la revisione, dispongono l'art. 137, in materia di malattie

professionali, e l'art. 83, in materia di infortuni sul lavoro. In

particolare, l'art. 146:

a) nel 1° comma riproduce quanto dispongono l'art. 83, 1°

comma, e l'art. 137, 1° comma;

decisione che si riporta a pronunciarsi nel senso riassunto nella massi ma in epigrafe.

Per riferimenti, da ultimo, in tema di revisione della rendita Inail, cfr. Cass. 13 gennaio 2001, n. 417, id., Mass., 37, unitamente a Cass. 13

gennaio 2001, n. 435, ibid., 38, sulla rettifica della rendita per errore, che saranno ambedue riportate in un prossimo fascicolo.

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