sezione III civile; sentenza 9 marzo 1993, n. 2813; Pres. Cherubini, Est. Giuliano, P.M.Romagnoli (concl. conf.); Soc. La Edilcabum (Avv. Jannetti Del Grande) c. Gizzi e altro (Avv.Pazienza). Cassa Trib. Roma 30 marzo 1989Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 12 (DICEMBRE 1993), pp. 3303/3304-3307/3308Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188579 .
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3303 PARTE PRIMA 3304
È lo stesso tenore letterale della legge («. . . il personale in
ruolo organico appartenente ai servizi amministrativi ed allo stato
maggiore navigante, compreso il personale dirigente . . .»: art.
58, 1° comma, 1. 658/67, cit.)» infatti, ad includere il «persona le dirigente», appunto, quale componente sia del personale am
ministrativo che di quello dello stato maggiore navigante. Lo «sganciamento», poi, di quel «personale dirigente» — dal
previsto regime speciale di previdenza marinara (sul quale, vedi,
per tutte, Cass. 9202/87, id., Rep. 1987, voce Lavoro (rappor
to), nn. 504, 505) — risulta, bensì, avviato contestualmente (arg. ex art. 59, penultimo e ultimo comma, 1. 658/67, cit.), ma si
conclude, tuttavia, solo in epoca successiva.
In sede di riordinamento pensionistico dei lavoratori maritti
mi (1. 26 luglio 1984 n. 413), infatti, è stato stabilito (art. 6, 1° comma, lett. a) che «sono iscritti esclusivamente all'Inpdai»
(anche) quei dirigenti che — in forza della disciplina pregressa — risultavano ancora iscritti alla gestione speciale.
Affidata, come è, al rinvio — disposto dalla disciplina spe ciale in tema, appunto, di previdenza marinara (art. 6 1. 413/84,
cit.) — l'applicazione, che ne risulta, del regime previdenziale
per i dirigenti di imprese industriali (di cui alla 1. 967/53 e 44/73, cit.) — al personale di stato maggiore navigante, che eserciti
mansioni dirigenziali — pare in perfetta coerenza, quindi, con
il sistema delle fonti di diritto della navigazione (art. 1 c. nav.:
vedi, per tutte, Cass. 383/87, id., 1987, I, 1765). La precedenza — che ne risulta attribuita (oltre che al codice)
alle leggi «speciali» in materia di navigazione — non può non
estendersi, infatti, alle parti — di diritto «comune» — che for
mino oggetto, come nella specie, di rinvio (formale o materia
le), disposto da quelle leggi «speciali». Le stesse fonti di diritto «comune» (quali, nella specie, le
leggi 967/53, 44/73, cit., appunto) soccorrono, tuttavia, per col
mare le lacune delle leggi «speciali» (ai sensi dell'art. 1, 2° com
ma, c. nav.: vedi Cass. 383/87, cit.) — in tema di previdenza del personale dello stato maggiore navigante, che eserciti man
sioni dirigenziali — per quello, di tal personale, che non dipen da da società di navigazione di preminente interesse nazionale
(o da aziende esercenti servizi marittimi sovvenzionati, conte
stualmente contemplate da disposizioni in tema di previdenza marinara: art. 58 e 59 1. 658/67; 6 1. 413/84, cit.).
Pertanto, il regime previdenziale per i dirigenti di imprese industriali (leggi 967/53, 44/77, cit.) si applica — in forza di rinvio (oppure per colmare «lacune») delle leggi «speciali» in
materia di navigazione — al personale dello stato maggiore na
vigante — che eserciti mansioni dirigenziali — quale che ne sia
il datore di lavoro.
Risulta fugato, cosi, qualsiasi dubbio di legittimità costituzio
nale (in tal senso, vedi Cass. 4068/92, 840/90, cit.) — in riferi
mento al principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) — una volta
esclusa, per quanto si è detto, qualsiasi diversificazione — nel
trattamento previdenziale del «personale dirigente», di cui si di scute — in dipendenza, appunto, della diversa «tipologia» del
datore di lavoro.
6. - Resta da scrutinare, quindi, se il personale di stato mag
giore navigante, del quale si discute nel presente giudizio, eser
citi effettivamente — secondo l'accertamento dei giudici di me
rito — mansioni corrispondenti alla categoria «legale» di diri
gente (art. 2095 c.c.), a prescindere dalla circostanza — affatto
irrilevante, per quanto si è detto, ai fini di che trattasi — che
la stessa categoria non sia stata — oppure, addirittura, non possa essere — conferita nell'ambito dei dedotti rapporti di lavoro
nautico, in quanto soggetti ad un diverso sistema di inquadra mento del personale (di cui agli art. 114 ss. c. nav. ed ai con
tratti collettivi). In tale prospettiva, tuttavia, il carattere dirigenziale delle man
sioni — che risultino assegnate, di regola, a quel personale —
può, quantomeno, fondare la presunzione semplice (praesump tio hominis, iuris tantum) di esercizio effettivo delle mansioni stesse, dispensando chi vi abbia interesse dall'onere di offrirne
la prova. La prova contraria, poi, deve avere per oggetto l'esercizio
effettivo di mansioni — diverse da quelle dirigenziali che, in ipotesi, risultino di regola assegnate a quel personale — oppure altre circostanze (quali: dimensioni della nave, «tipo» di navi
gazione, ecc.), che risultino, comunque, incompatibili con la
preposizione — alla nave stessa — di personale con mansioni,
appunto, dirigenziali.
Il Foro Italiano — 1993.
Si pensi — a mero titolo di esempio — alle distinzioni (di cui all'art. 136 c. nav. ed ai chiarimenti relativi, di cui al punto 89 della relazione del guardasigilli allo stesso codice) tra navi
maggiori, navi minori — a seconda del tipo di navigazione cui
sono destinate (di alto mare, costiera, interna, al servizio marit
timo dei porti) — e galleggianti (sul punto vedi, per tutte, Cass.
636/89, id., Rep. 1989, voce Previdenza sociale, n. 263). 7. - Dei principi di diritto enunciati ha fatto buon governo
la sentenza impugnata. Non merita, quindi, le censure che le
vengono mosse con il ricorso.
L'accertamento del carattere dirigenziale — che connota, di
regola, le mansioni del comandante di navi — riposa, essenzial
mente, sui poteri (di direzione nautica, di rappresentanza del
l'armatore, di preposizione all'equipaggio, ecc.) che risultano, al medesimo, attribuiti dallo stesso codice della navigazione (art. 295 ss.), oltreché da altre fonti (vedi Cass. 4068/92 e la costante
giurisprudenza conforme, cit.).
Peraltro, non risulta neanche dedotto — né, tantomeno, pro vato — che i comandanti, di cui si discute, siano stati preposti a navi che — per la modesta dimensione, il tipo di navigazione od altre circostanze — risultino incompatibili con l'esercizio, da parte dei preposti, di mansioni dirigenziali.
8. - Le medesime considerazioni possono essere estese, tutta
via, ai direttori di macchina.
Preposti ad un settore essenziale della nave (quali, appunto, le «macchine»), risultano adibiti, di regola, a mansioni che —
secondo la giurisprudenza costante di questa corte (oltre le sen
tenze già citate, vedi Cass. 4069/92) — sono proprie dei diri
genti tecnici.
Infatti — nell'esercizio, appunto, di «discrezionalità tecnica»
—, i direttori di macchina, con le loro mansioni, non influisco
no, bensì, sull'amministrazione dell'impresa di navigazione, ma
svolgono, tuttavia, un ruolo rilevante ai fini della esistenza e
della sicurezza dell'impresa stessa o, quantomeno, di un suo
ramo (quale, appunto, la nave alla quale sono preposti).
Peraltro, non è stata dedotta — né, tantomeno, provata —
alcuna delle circostanze che, nel caso concreto, possano risulta
re incompatibili — per quanto si è detto — con il carattere
dirigenziale di dette mansioni.
In particolare, non è stato (neanche) dedotto che il coman
dante — la cui sovraordinazione gerarchica non è, di per sé,
incompatibile con il carattere dirigenziale (sia pure di livello in
feriore) delle mansioni del direttore di macchina (v. Cass.
4069/92, cit.) — abbia, nelle dedotte fattispecie, privato di qual siasi «discrezionalità» i direttori di macchina, dei quali si discu te, esaurendo — nel proprio «comando» esclusivo, appunto —
le sole mansioni dirigenziali esercitate sulla nave.
9. - Il ricorso, pertanto, va rigettato.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 9 marzo
1993, n. 2813; Pres. Cherubini, Est. Giuliano, P.M. Roma
gnoli (conci, conf.); Soc. La Edilcabum (Avv. Jannetti Del
Grande) c. Gizzi e altro (Avv. Pazienza). Cassa Trib. Roma
30 marzo 1989.
Locazione — Legge 392/78 — Canone — Aumenti illegittimi
— Azione di ripetizione — Termine semestrale di decadenza — Estinzione del giudizio — Conseguenze (Cod. proc. civ., art. 310; 1. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urbani, art. 79).
L'estinzione del giudizio proposto dal conduttore di immobile urbano, ai sensi dell'art. 79 I. 392/78, per ottenere la restitu
zione di somme corrisposte al locatore in violazione dei divie
ti e dei limiti previsti dalla stessa legge, pur non precludendo la riproposizione della medesima azione (ex art. 310 c.p.cj,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
non vale a sanare la eventuale decadenza dall'azione stessa,
ove nel frattempo sia trascorso il termine di sei mesi dalla
riconsegna stabilito dal 2° comma del citato art. 79. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 20 feb braio 1993, n. 2071; Prese. Scala, Est. Varrone, P.M. Di
Salvo (conci, conf.); Lorenzoni (Aw. Lorenzoni) c. Braz
zelli (Avv. Cauti, Laterza). Conferma Trib. Busto Arsizio
20 gennaio 1989.
Locazione — Legge 392/78 — Canone — Aumenti illegittimi — Azione di ripetizione — Termine semestrale di decadenza — Decorrenza (L. 27 luglio 1978 n. 392, art. 79).
La riconsegna dell'immobile locato, a partire dalla quale decor
re il termine di sei mesi previsto dall'art. 79, 2° comma, l.
392/78 per la proposizione dell'azione di ripetizione delle som
me corrisposte indebitamente dal conduttore, si verifica con
la restituzione delle chiavi o con una incondizionata messa
(1) I. - Non constano precedenti. Il principio enunciato dalla corte è la logica conseguenza del fatto
che entro il termine semestrale indicato dall'art. 79 1. 392/78 il condut tore deve far valere il proprio diritto, a pena di decadenza, necessaria mente per via giudiziale (sul principio generale, cfr., oltre a Cass. 2407/82, Foro it., 1982, I, 2241, richiamata in motivazione, Cass. 3 luglio 1980, n. 4214, id., 1981, I, 128, con nota di R. Oriani).
Ciò vale ad accomunare, sotto il profilo qui considerato, il termine
in questione a quello (di tre mesi) previsto per la proposizione dell'azio ne di risoluzione contrattuale ex art. 80 1. 392/78 in caso di mutamento
dell'uso pattuito dell'immobile locato da parte del conduttore, con rife rimento al quale si è puntualizzato che, una volta instaurato tempesti vamente il giudizio attraverso la notifica dell'atto di citazione, la man
cata iscrizione della causa a ruolo non determina la decadenza dell'a
zione, qualora la causa sia riassunta entro il termine annuale di cui all'art. 307, 1° comma, c.p.c. (v. Cass. 3 luglio 1989, n. 3176, id.,
Rep. 1990, voce Locazione, n. 375); e la conclusione non sembra possa essere diversa nel caso di cancellazione della causa dal ruolo per manca ta comparizione delle parti all'udienza, ai sensi degli art. 181 e 309
c.p.c. (applicabili, secondo il più recente orientamento della Cassazio
ne, anche nel rito del lavoro, cui si rifanno gli art. 45-46 1. 392/78
[e al quale saranno soggette, con l'entrata in vigore della riforma del
c.p.c. ex 1. 353/90, tutte le controversie in materia di locazioni urbane]: v. Cass., sez. un., 25 maggio 1993, n. 5839, id., 1993, I, 2161).
Mette conto altresì' rilevare che, secondo la recente Corte cost. 4 giu
gno 1993, n. 268, ibid., 2408, la locuzione «termini processuali», ado
perata dall'art. 1 1. 742/69 ai fini della sospensione nel periodo feriale, deve essere ormai correttamente interpretata in modo «tale da non limi
tarne la portata nell'ambito del compimento degli atti successivi all'in
troduzione del processo», ma da comprendere, invece, anche «il ristret to termine iniziale entro il quale il processo deve essere introdotto, quando la proposizione della domanda costituisca l'unico rimedio per la tutela
del diritto che si assume leso»; sicché, al pari del termine trimestrale
di cui all'art. 80, 1° comma, 1. 392/78 (cui si riferisce la pronunzia testé richiamata), anche il termine semestrale ex art. 79, cpv., sarebbe
soggetto a sospensione in periodo feriale, sempre che lo si possa consi derare «breve».
II. - Sulla dibattuta questione (che si riconnette a quella concernente la natura del procedimento di conciliazione ex art. 44 1. 392/78) se ad
impedire la decadenza dall'azione di ripetizione di indebito ex art. 79,
cpv., 1. 392/78 sia sufficiente la proposizione — entro sei mesi dalla
riconsegna dell'immobile locato — della domanda per il tentativo di
conciliazione ex art. 44 stessa legge, v. in senso affermativo, qualora l'azione di ripetizione di indebito venga proposta unitamente a quella di determinazione del canone legale: Cass. 2 aprile 1992, n. 4014, id.,
1992, I, 2700, con nota di A. Cappabianca.
Successivamente v., nello stesso senso, Cass. 30 ottobre 1992, n. 11841,
id., Rep. 1992, voce cit., n. 140 e Trib. Bergamo 15 marzo 1993, Arch,
locazioni, 1993, 316. Contra, per la necessità che entro il termine di
sei mesi stabilito dalla norma citata venga proposto il giudizio conten
zioso per la restituzione delle somme indebitamente versate, v. Trib.
Udine 24 giugno 1991, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 544; Pret.
Molfetta 16 febbraio 1990, id., Rep. 1990, voce cit., n. 594 (secondo cui il dies ad quem del termine in discorso coincide in ogni caso con
il momento della instaurazione del contraddittorio sulla domanda di
restituzione); Pret. Napoli 13 giugno 1991, id., Rep. 1992, voce cit., n. 141.
III. - Nel senso che la decadenza dall'azione di ripetizione prevista dall'art. 79, 2° comma, 1. 392/78 deve essere specificamente eccepita dalla parte (con la memoria di costituzione, ai sensi dell'art. 416 c.p.c.,
Il Foro Italiano — 1993.
a disposizione del locatore dell'immobile, non rilevando che
già in precedenza il conduttore si sia trasferito altrove o ab
bia invitato il locatore a procedere alle formalità della ri
consegna. (2)
I
Svolgimento del processo. — Con ricorso ex art. 45 1. 27
luglio 1978 n. 392 depositato il 14 dicembre 1984 Gizzi Mario, Verginelli Stefano ed altri, conduttori di unità immobiliari di proprietà della società Edilcabum s.r.l., premesso che essi ave
vano già proposto un precedente giudizio avente il medesimo
oggetto e che esso era stato dichiarato estinto, chiedevano nuo
vamente al Pretore di Frascati la determinazione del canone le
gale dovuto alla società locatrice e la restituzione delle somme
pagate in eccedenza.
Il pretore adito, con sentenza non definitiva in data 16 aprile-23
maggio 1985, limitava la propria decisione ad alcune questioni
pregiudiziali. Il Tribunale di Roma, con sentenza in data 14-30 marzo 1989,
rigettava l'appello della società locatrice.
ove l'azione sia proposta unitamente alla domanda di determinazione
del canone, ex art. 45 1. n. 392), e non è quindi rilevabile di ufficio dal giudice, v. Cass. 4 novembre 1992, n. 11949, ibid., n. 143 e Trib. Genova 19 dicembre 1989, id., Rep. 1990, voce cit., n. 592.
Circa gli effetti della decadenza in discorso, secondo Trib. Roma 19
novembre 1991, id., Rep. 1992, voce cit., n. 303 (per esteso in Rass.
equo canone, 1992, 438, con nota di F. Trifone) essa comporta che
eventuali pagamenti indebiti non possono più essere dedotti dal condut
tore neppure in via di eccezione, in compensazione, qualora il locatore
agisca per ottenere il pagamento di canoni non corrisposti. Trib. Milano 23 marzo 1992, Foro it., Rep. 1992, voce cit., n. 118
(e Rass. equo canone, 1992, 426, con nota di P. Ferrone) rileva peral tro che, nonostante il verificarsi della decadenza ex art. 79 cit., il con
duttore potrebbe pur sempre far valere la nullità della pattuizione del
canone contra legem al fine di paralizzare una eventuale domanda del locatore diretta ad ottenere l'adempimento proprio di quel patto; sicché non viene meno l'interesse del conduttore all'accertamento, con effetto di giudicato, della nullità della pattuizione.
Per riferimenti sulle varie posizioni emerse in giurisprudenza circa il rapporto tra il termine di decadenza ex art. 79, cpv., 1. 392/78 e
la prescrizione dei crediti del conduttore, v. la nota di D. Piombo a Corte cost. 3/90, id., 1990, I, 1127; cui adde (nel senso che il termine
ex art. 79 «supera» i termini prescrizionali eventualmente già consuma tisi per talune somme, ma, per converso, «assorbe» i termini di prescri zione ancora pendenti), Pret. Udine 6 ottobre 1989, id., Rep. 1990, voce cit., n. 591.
(2) Non constano precedenti in termini.
Quanto al concetto di «riconsegna» dell'immobile locato, la Cassa
zione si rifà a principi consolidati, su cui v. le pronunzie richiamate
in motivazione. Per ulteriori riferimenti, v.: D. Piombo (E. Fiore - P. Lo Cascio - L. Pignatelli), La morosità del conduttore, Giuffrè, 1990, 199 ss.; M. Dogliotti - A. Figone, La locazione, Giuffrè, 1993, 109
ss. Sull'ipotesi in cui il locatore rifiuti la riconsegna, sostenendo la dif
formità dello stato dell'immobile rispetto a quello esistente all'inizio
del rapporto, v., da ultimo, Cass. 18 giugno 1993, n. 6798, Foro it., 1993, I, 2819.
Circa il dies a quo del termine semestrale utile per la proposizione dell'azione di ripetizione di indebito da parte del conduttore, Corte cost., ord. 2 gennaio 1990, n. 3 (id., 1990, I, 1127, con osservazioni di D.
Piombo) ha dichiarato la manifesta infondatezza — in riferimento al
l'art. 3 Cost. — della questione di costituzionalità dell'art. 79, 2° com
ma, 1. 392/78, nella parte in cui non equipara alla «riconsegna dell'im
mobile locato» l'ipotesi in cui, pur mancando una riconsegna, si verifi
chi comunque la cessazione di diritto e di fatto della locazione, come nel caso di vendita dell'immobile locato; ciò in base al rilievo che, per ché si abbia una sostanziale omogeneità tra quest'ultima ipotesi e quella di riconsegna dell'immobile, non basta il venire meno del rapporto tra
conduttore e locatore originario, ma occorre che il conduttore (oltre al locatore) «abbia dismesso la propria qualità, e cioè abbia cessato
di versare in quella situazione di esposizione a ritorsioni. . . che giusti fica ... il trattamento previsto dalla norma impugnata». La tesi inter
pretativa secondo cui, in caso di alienazione dell'immobile in corso di
contratto, l'azione di ripetizione dell'indebito proposta dal conduttore
nei confronti del locatore alienante è soggetta al termine semestrale di
decadenza ex art. 79, cpv., cit., che già aveva trovato seguito tra i
giudici di merito, risulta tuttavia riproposta, da ultimo, da Pret. Roma
7 dicembre 1992, Arch, locazioni, 1993, 345 (secondo cui, in tal caso, il termine decorre dalla data in cui la vendita è stata comunicata al
conduttore). [D. Piombo]
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3307 PARTE PRIMA 3308
I giudici di appello respingevano l'eccezione, formulata dalla
locatrice, di decadenza dei conduttori dall'azione di restituzione
dei canoni extralegali (per avere essi agito in giudizio dopo che
era decorso il termine di sei mesi dal rilascio dell'immobile fis sato dall'art. 79 1. 27 luglio 1978 n. 392), in quanto la stessa
locatrice aveva in precedenza proposto tempestivamente lo stes
so giudizio. Ritenevano, quindi, irrilevante che quel precedente
giudizio si fosse estinto perché, a norma dell'art. 310 c.p.c., l'estinzione del processo non estingue l'azione tempestivamente
proposta, onde bastava che l'azione fosse stata proposta non
essendo necessario che essa fosse anche proseguita. Avverso detta sentenza la società Edilcabum ha proposto ri
corso per cassazione sulla base di due motivi illustrati da me
moria. Gizzi Mario e Verginelli Sergio hanno resistito con con
troricorso.
Motivi della decisione. — Con il primo complesso motivo
la società ricorrente, denunciando la violazione e la falsa inter
pretazione degli art. 79 1. 27 luglio 1978 n. 392 e 310 c.p.c., nonché il difetto di motivazione della sentenza impugnata, de
duce che il tribunale ha errato nell'affermare che i conduttori
non fossero decaduti dall'azione di restituzione dei canoni di
locazione eccedenti la misura legale sebbene questa fosse stata
proposta tardivamente, e ciò perché la stessa azione era già sta
ta tempestivamente proposta in un precedente giudizio dichiara
to estinto. L'errore consiste, in particolare, nell'avere ritenuto
irrilevante la circostanza che il precedente giudizio fosse stato
dichiarato estinto per inattività delle parti essendo sufficiente
che esso fosse stato proposto tempestivamente e perché l'art.
310 c.p.c. stabilisce che l'estinzione del processo non estingue l'azione.
La censura è fondata. Come questa Corte suprema ha più
volte affermato, la decadenza può essere impedita soltanto me
diante il compimento di un atto determinato, insuscettibile di
equipollenti, la cui operatività deve permanere durante tutto l'i
ter necessario al conseguimento dello scopo che gli è proprio; di conseguenza, allorché l'atto richiesto per impedire la deca
denza consiste nell'esercizio di un'azione, la tempestiva propo sizione della domanda giudiziale non è idonea a conseguire tale
effetto nel caso che il processo sia dichiarato estinto, perché l'estinzione rende inefficaci tutti gli atti processuali compiuti,
compreso l'atto introduttivo della lite, al quale non può essere
attribuito alcun effetto processuale o sostanziale, e quindi nep
pure quello di impedire la decadenza del diritto fatto valere in
giudizio (sent. 19 aprile 1982, n. 2407, Foro it., 1982, I, 2241, ed altre).
Applicando tale principio alla presente fattispecie, si ha che
l'estinzione del giudizio proposto dal conduttore ex art. 79 1.
27 luglio 1978 n. 392 per ottenere la restituzione di somme cor
risposte al locatore in violazione dei divieti e dei limiti previsti da tale legge, pur non precludendo la riproposizione della me
desima azione a norma dell'art. 310 c.p.c., non vale a sanare
la eventuale decadenza dell'azione stessa frattanto verificatasi
per effetto del decorso del termine di sei mesi dalla riconsegna dell'immobile locato, fisato dal 2° comma dell'art. 79 della leg
ge stessa.
Pertanto, il motivo va accolto, con la conseguente cassazione
della sentenza impugnata che travolge anche la statuizione sulle
spese processuali oggetto di censura contenuta nel secondo mo
tivo del ricorso.
La causa va rinviata per il nuovo esame al diverso giudice indicato in dispositivo il quale dovrà uniformarsi ai principi di diritto sopra enunciati.
II
Motivi della decisione. — Con i due motivi il ricorrente, de
nunciando la violazione e la falsa applicazione dell'art. 79 1.
n. 392 del 1978 (secondo motivo) ed il vizio di motivazione per contraddittorietà ed omesso esame di punti decisivi (primo mo
tivo), in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., censura l'impu
gnata sentenza per non aver ravvisato la decadenza della con
duttrice dall'azione di ripetizione dell'indebito in quanto prima dell'effettiva consegna delle chiavi (avvenuta il 13 aprile 1987)
già era cessato ogni rapporto di fatto tra la Brazzelli e la cosa
locata, come dimostrato dalle seguenti circostanze: fin dal 30
gennaio 1987 la conduttrice si era stabilmente trasferita altrove;
Il Foro Italiano — 1993.
che nello stesso ricorso ex art. 45 1. cit. la cessazione della de
tenzione dell'immobile era riferita al febbraio 1987; che con
lettera del marzo 1987 la stessa Brazzelli ribadiva di tenere a
disposizione del locatore le chiavi dell'appartamento fin dal me
se precedente. Le due censure, che per l'intrinseca connessione vanno esami
nate congiuntamente, non possono accogliersi. Premesso che ai
sensi del citato art. 79 l'azione per la ripetizione delle somme
sotto qualsiasi forma corrisposte indebitamente è proponibile «fino a sei mesi dopo la riconsegna dell'immobile locato» e che
secondo la giurisprudenza di questa corte tale riconsegna si ri
tiene correttamente verificata «con la restituzione delle chiavi
dell'immobile o con una incondizionata messa a disposizione della cosa» (Cass. 3530/72, Foro it., Rep. 1972, voce Locazio
ne, n. 39), è agevole rilevare che, nel caso di specie, mentre
la restituzione delle chiavi è avvenuta solo il 13 aprile 1987,
nessuna delle circostanze suesposte sembra altresì configurare una «incondizionata messa a disposizione della cosa locata».
Infatti, sia il trasferimento altrove, sia la cessazione della corre
sponsione dei canoni, sia infine l'invito al locatore di procedere alle formalità per la riconsegna dell'immobile sono fatti diversi
e/o antecedenti a quell'effettivo rilascio di cui parla la norma.
Rilascio che proprio al fine di evitare facili contestazioni, pre valentemente di indole volitivo-psicologica, è opportuno anco
rare ad elementi di carattere obiettivo, come la stessa giurispru denza suggerisce, laddove afferma che l'obbligazione di ricon
segnare l'immobile locato consiste in un facere indivisibile (Cass.
3413/68, id., Rep. 1968, voce cit., n. 56) e richiede, oltre all'at
tività del conduttore di immissione della res nella sfera di con
creta disponibilità del locatore, anche un'attività di cooperazio ne di quest'ultimo nel ricevere la consegna (Cass. 958/70, id.,
Rep. 1970, voce cit., n. 31), in mancanza della quale il condut
tore può liberarsi solo attraverso la procedura di cui all'art.
1216 c.c. e non con il mero abbandono del bene (Cass. 1218/77,
id., Rep. 1977, voce Obbligazioni in genere, n. 37).
Pertanto, dal momento che l'effettiva consegna è avvenuta
il 13 aprile 1987 ed il ricorso della conduttrice è stato depositato il 13 ottobre successivo, correttamente i giudici del merito han
no ritenuto proponibile la domanda ed il ricorso per cassazione
va rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 5 mar
zo 1993, n. 2669; Pres. Brancaccio, Est. R. Sgroi, P.M.
Morozzo Della Rocca (conci, conf.); Comune di Inverigo
(Aw. E. Romanelli) c. Soc. Victory (Avv. Panunzio). Con
ferma App. Milano 13 giugno 1989.
Edilizia e urbanistica — Convenzione urbanistica — Mutamen
to dell'interesse pubblico — Modifiche alla disciplina urbani
stica — Ammissibilità (L. 17 agosto 1942 n. 1150, legge urba
nistica, art. 28; 1. 6 agosto 1967 n. 765, modifiche ed integra zioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150, art. 8).
Edilizia e urbanistica — Convenzione urbanistica — Mutamen
to dell'interesse pubblico — Obblighi dell'amministrazione (L. 17 agosto 1942 n. 1150, art. 28; 1. 6 agosto 1967 n. 765, art. 8).
Edilizia e urbanistica — Convenzione urbanistica — Risoluzio
ne — Conseguenze (Cod. civ., art. 1453; 1. 17 agosto 1942
n. 1150, art. 28; 1. 6 agosto 1967 n. 765, art. 8).
L'esistenza di una convenzione urbanistica, stipulata in vista
del rilascio di licenze edilizie con l'impegno del privato ad eseguire opere di urbanizzazione, non priva l'amministrazio
ne del potere di liberarsi dal vincolo contrattuale ove soprag
giungano esigenze di interesse pubblico, rispetto alle quali si
verifichi l'incompatibilità delle clausole contrattuali. (1)
(1) Sulla natura delle convenzioni urbanistiche, e sulla sopravvivenza del potere di modifica da parte dell'amministrazione, v. Cass. 9 ottobre
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