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sezione III penale; ordinanza 24 novembre 2005; Pres. De Maio, Rel. Onorato, P.M. Passacantando...

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sezione III penale; ordinanza 24 novembre 2005; Pres. De Maio, Rel. Onorato, P.M. Passacantando (concl. diff.); ric. Italiano Source: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2006), pp. 457/458-463/464 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23202142 . Accessed: 25/06/2014 04:22 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.228 on Wed, 25 Jun 2014 04:22:42 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sezione III penale; ordinanza 24 novembre 2005; Pres. De Maio, Rel. Onorato, P.M. Passacantando (concl. diff.); ric. Italiano

sezione III penale; ordinanza 24 novembre 2005; Pres. De Maio, Rel. Onorato, P.M. Passacantando(concl. diff.); ric. ItalianoSource: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2006), pp. 457/458-463/464Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23202142 .

Accessed: 25/06/2014 04:22

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GIURISPRUDENZA PENALE

ee) L'interpretazione alla quale si aderisce non viene smentita

dalla previsione dell'art. 6 1. 376/00, secondo la quale le federa

zioni sportive nazionali, nell'ambito dell'autonomia ricono

sciuta loro dalla legge, possono stabilire sanzioni disciplinari

per la somministrazione o l'assunzione di farmaci o di sostanze o per il ricorso a pratiche mediche rispondenti ai requisiti di cui

alla definizione di doping «anche nel caso in cui questi non sia

no ripartiti nelle classi di cui all'art. 2, 1° comma, a condizione

che tali farmaci, sostanze o pratiche siano considerati dopanti nell'ambito dell'ordinamento internazionale vigente».

Tale previsione legislativa, infatti, va evidentemente riferita a

quelle c.d. «sostanze specifiche», che — pur considerate dopanti

nell'ambito dell'ordinamento internazionale vigente, ove ven

gono definite specified substances — possono essere o meno in

cluse nei regolamenti nazionali. Trattasi, per lo più, di sostanze

«che sono particolarmente suscettibili di violazioni non inten

zionali delle norme antidoping, a causa della loro larga diffusio

ne nei prodotti medicinali, o che sono meno suscettibili di esse

re utilizzate con successo come agenti dopanti ('substances which are particularly susceptible to unintentional anti-doping rule violations because of their general availability in medicinal

products or which are less likely to be successfully abused as

doping agents')».

ff) Erronea appare la prospettazione secondo la quale la con

venzione di Strasburgo non si riferirebbe ad ogni tipo di attività

sportiva, atteso che l'art. 2 della stessa stabilisce, alla lett. a), che per «doping nello sport» «si intende la somministrazione

agli sportivi o l'uso da parte di questi ultimi di classi farmaco

logiche di agenti di doping o di metodi di doping», precisando poi, alla lett. b), che per «sportivi» si intendono «le persone di

entrambi i sessi che partecipano abitualmente ad attività sporti ve organizzate».

Arbitrariamente da tali formulazioni testuali viene dedotto

che obiettivo della convenzione (e della seguente legge di ratifi

ca) sarebbe stato quello di combattere il fenomeno doping esclusivamente nello sport praticato a livello professionale o

quanto meno da parte di sportivi aderenti ad associazioni sporti ve ufficiali.

gg) Elementi determinati di segno contrario non possono trar

si, infine, dalla ritenuta «parziale indeterminatezza» della lista

di riferimento contenuta nell'annesso alla convenzione di Stra

sburgo, considerata compatibile solo in quanto funzionale al

campo di operatività delle violazioni disciplinari, che non sono

soggette al principio nullum crimen, nulla poena sine lege. La lista recepita dalla 1. 522/95 suddivideva le «sostanze do

ping» nelle seguenti classi: a) stimolanti, b) narcotici, c) agenti anabolizzanti, d) betabloccanti, e) diuretici,/) ormoni peptidici e

affini. A tali sostanze (tutt'altro che indeterminate e sempre in

dicate come tali nelle successive determinazioni ministeriali) ed

ai relativi principi attivi va riferita la possibilità di applicazione — anteriormente alla vigenza del d.m. 15 ottobre 2002 — della

disciplina penale introdotta dall'art. 9 1. 376/00 anteriormente

all'emanazione del d.m. 15 ottobre 2002.

Lo stesso vale per l'individuazione dei «metodi di doping». 5. - Va affermato, conseguentemente, il principio secondo il

quale «le ipotesi di reato previste dall'art. 9 1. 14 dicembre 2000

n. 376 (recante la disciplina della tutela sanitaria delle attività

sportive e della lotta contro il doping) sono configurabili anche

per i fatti commessi prima dell'emanazione del decreto del mi

nistro della salute, in data 15 ottobre 2002, con il quale, in ap

plicazione dell'art. 2 stessa legge, sono stati ripartiti in classi i

farmaci, le sostanze biologicamente o farmacologicamente atti

ve e le pratiche mediche il cui impiego è considerato doping. 6. - Alla stregua del principio dianzi enunciato, l'ordinanza

impugnata deve essere annullata — nei confronti di Ramo Ivan

e limitatamente all'esclusione del reato di cui all'art. 9, 7°

comma, 1. 376/00 — con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale

di Napoli.

Il Foro Italiano — 2006.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; ordinanza 24

novembre 2005; Pres. De Maio, Rei. Onorato, P.M. Passa

cantando (conci, diff.); ric. Italiano.

Sanità pubblica — Trasporto di rifiuti non pericolosi per conto proprio — Esonero dall'obbligo di iscrizione nel l'albo nazionale — Questione non manifestamente infon

data di costituzionalità (Cost., art. 10, 11, 117; d.leg. 5 feb braio 1997 n. 22, attuazione delle direttive 91/156/Cee sui ri

fiuti, 91/689/Cee sui rifiuti pericolosi e 94/62/Ce sugli im ballaggi e sui rifiuti di imballaggio, art. 30).

Non è manifestamente infondata la questione di legittimità co

stituzionale dell'art. 30, 4° comma, d.leg. 22/97, come modi

ficato dall'art. 1, 9° comma, l. 9 dicembre 1998 n. 426, nella

parte in cui non prevede l'obbligo di iscrizione all'albo na

zionale per l'imprenditore che a titolo professionale trasporti

rifiuti non pericolosi per conto proprio, in riferimento agli art. 11 [n.d.r.: art. 10] e 117 Cost. (1)

Svolgimento del processo. — 1. - Con ordinanza del 4 luglio

2005 il Tribunale di Messina, in sede di riesame, ha confer

mato il sequestro preventivo di un autocarro Fiat Iveco, tg. ME573983, disposto in data 10 giugno 2005 dal g.i.p. del Tri bunale di Barcellona Pozzo di Gotto a carico del proprietario Antonino Italiano, che il 24 maggio dello stesso anno era stato

fermato alla guida dell'automezzo mentre trasportava «mate

riale di risulta proveniente da lavori dell'edilizia».

Il g.i.p. aveva ravvisato il fumus del reato di cui all'art. 51

d.leg. 22/97 a carico del guidatore, per trasporto di rifiuti senza

le prescritte autorizzazioni. In particolare, aveva osservato che il

trasporto di rifiuti verso una discarica abusiva rientra nell'ampio concetto di gestione della discarica, ed è pertanto punito ai sensi

del 3° comma dell'art. 51; e che — comunque

— essendo l'Ita

liano un imprenditore edile, era ravvisabile la contravvenzione

di cui al 2° comma dell'art. 51 per abusiva attività di smalti

mento di rifiuti speciali non pericolosi. Nel confermare la misura il tribunale del riesame ha rilevato

che il trasporto di rifiuti, quale possibile fase dell'attività di ge stione, da chiunque posto in essere, deve essere autorizzato dal

l'autorità competente; e che il concetto di gestione di discarica

deve essere inteso in senso ampio, comprensivo di qualsiasi contributo attivo o passivo diretto a realizzare o mantenere la

discarica stessa.

Indubitabile era poi il periculum in mora, giacché la libera di

sponibilità dell'automezzo da parte di un imprenditore edile —

quale pacificamente era l'Italiano — che produce abitualmente

rifiuti poteva agevolare la commissione di altri reati della stessa

specie. 2. - Il difensore dell'indagato ha proposto ricorso per cassa

zione, deducendo tre motivi per violazione di legge penale e per manifesta illogicità di motivazione.

(1) Questione nuova che però si collega strettamente a Corte giust. 9

giugno 2005, causa C-270/03, Foro it., 2005, IV, 349, con nota di ri chiami.

In materia, v. Cass. 9 marzo 2005, Rosafio, Ced Cass., rv. 231078 (il

trasporto di rifiuti effettuato con mezzi diversi da quelli originaria mente comunicati, in sede di iscrizione all'albo nazionale delle imprese che esercitano l'attività di raccolta e trasporto dei rifiuti, configura ii reato di cui all'art. 51,4° comma, d.leg. 5 febbraio 1997 n. 22, atteso che deve ritenersi svolto in violazione dei requisiti e delle condizioni richiesti per l'iscrizione e delle prescrizioni richiamate nell'atto abili tati vo; nello stesso senso, 12 dicembre 2003, Luise, Foro it., Rep. 2004, voce Sanità pubblica, n. 831); 13 febbraio 2003, Tosto, ibid., n. 800 (ai sensi dell'art. 51, 1° comma, d.leg. n. 22 del 1997 è sanzionato penal mente il trasporto di rifiuti senza autorizzazione e, pertanto, ai fini della

punibilità del fatto, non è richiesto lo scarico degli stessi in qualche

luogo); 20 febbraio 2003, Mazzucato, ibid., n. 801 (l'impresa che prima dell'entrata in vigore del d.leg. 22/97 svolgeva regolarmente attività di

trasporto e trattamento di rifiuti, sulla base di una comunicazione ex

art. 2 d.l. 462/96, prosegue lecitamente tale attività sulla base di una

mera comunicazione integrativa, senza necessità di specificare ulte

riormente le sedi in cui il recupero avviene, in quanto già note all'am

ministrazione competente); 15 novembre 2002, Toraldo, id., Rep. 2003, voce cit.. n. 887 (in fattispecie nella quale il trasportatore riteneva di

poter utilizzare l'autorizzazione rilasciata al proprio genitore deceduto

alcuni mesi prima dei fatti).

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PARTE SECONDA

Col primo denuncia violazione dell'art. 51,1° comma, in re

lazione all'art. 30, 4° comma, d.leg. 22/97, giacché quest'ultima norma assoggetta all'obbligo d'iscrizione all'albo nazionale

delle imprese esercenti servizi di smaltimento solo quegli im

prenditori che svolgono attività di raccolta e trasporto di rifiuti

non pericolosi prodotti da terzi o di rifiuti pericolosi. Per conse

guenza non era obbligato all'iscrizione l'Italiano che trasporta va rifiuti propri non pericolosi.

Col secondo motivo il difensore denuncia violazione del 2° e

3° comma dell'art. 51 predetto. Infatti, da una parte non era

stato minimamente provato che l'autocarro sequestrato stava

trasportando i rifiuti in una discarica abusiva (3° comma); dal

l'altra parte non era ravvisabile la contravvenzione di abbando

no di rifiuti prevista a carico di enti o imprenditori dal 2° com

ma, giacché l'Italiano stava agendo quale privato e non quale titolare d'impresa, essendo stato dimostrato che il suo autocarro

stava trasportando rifiuti speciali provenienti dal muro di una

sua abitazione.

Col terzo motivo il ricorrente lamenta violazione degli art. 12

e 15 d.leg. 22/97. Confuta l'argomento del giudice del riesame,

secondo cui ai sensi delle norme predette un regolare impianto di discarica non avrebbe potuto ricevere i rifiuti trasportati dal

l'indagato senza il prescritto formulario d'identificazione.

Aggiunge che il formulario non è obbligatorio per il trasporto di rifiuti non eccedenti i trenta chilogrammi o i trenta litri al

giorno; e che, nel caso di specie, non era stato provato il supe ramento di tale soglia.

Motivi della decisione. — 3. - Dalla lettura del decreto dispo sitivo del sequestro preventivo e dall'impugnata ordinanza del

tribunale del riesame, risulta in linea di fatto che l'autocarro se

questrato trasportava rifiuti speciali provenienti da attività di

demolizione edilizia, ma non risulta che tali rifiuti fossero sicu

ramente destinati a una discarica.

In linea di diritto, inoltre, l'attività di trasporto e deposito di

rifiuti in una discarica da parte di terzi estranei alla titolarità

della discarica stessa configurerebbe solo un'operazione di

smaltimento (compresa nella categoria DI dell'allegato B del

d.leg. 22/97), e non già un'operazione di gestione della discari

ca, che invece è stata ipotizzata in via alternativa da entrambi i

giudici di merito. Sotto entrambi i profili, quindi, non può configurarsi il fumus

del reato di cui all'art. 51, 3° comma, d.leg. 22/97, ma solo

quello del reato di cui all'art. 51, 1° comma, stesso decreto, per

trasporto di rifiuti da parte di soggetto non abilitato, che è del

resto il reato che il g.i.p. aveva ravvisato, sia pure in via subor

dinata, nella sua ordinanza del 10 giugno 2005.

Neppure può configurarsi il fumus del reato di cui al 2° com

ma del medesimo art. 51, per abbandono o deposito incontrol

lato di rifiuti da parte di un titolare d'impresa, non perché l'in

dagato non agisce nella sua qualità di imprenditore, bensì per ché la sua attività si era limitata al trasporto senza arrivare al

l'abbandono o al deposito incontrollato dei rifiuti trasportati. 4. - In conclusione, il sequestro preventivo dell'autocarro col

carico di rifiuti speciali, guidato da Antonino Italiano, sarebbe

legittimo ai sensi dell'art. 321 c.p.p. perché ricorrerebbe sia l'a

stratta configurabilità del reato di cui all'art. 51, 1° comma,

d.leg. 22/97, sia il pericolo che la libera disponibilità dell'auto

carro potesse facilitare la reiterazione del reato da parte del suo

proprietario. Non c'è dubbio, infatti, che Antonino Italiano, quando fu sor

preso mentre trasportava materiali derivanti da attività di demo

lizione, era nell'esercizio della sua qualità d'imprenditore edile.

Sul punto, la tesi del ricorrente, secondo cui egli agiva invece

come privato perché trasportava rifiuti provenienti dalla demo

lizione di un muro della sua abitazione, è una mera asserzione

fattuale inammissibile in sede di legittimità. Più in particolare, il predetto reato sarebbe integrato dal fatto

che l'indagato trasportava rifiuti speciali non pericolosi senza

essere iscritto nell'albo nazionale delle imprese previsto dal

l'art. 30 d.leg. 22/97. Va quindi esaminato il primo motivo di

ricorso.

Al riguardo bisogna osservare che il 4° comma dell'art. 30,

così come modificato dall'art. 1, 19° comma, 1. 9 dicembre

1998 n. 426, impone l'obbligo dell'iscrizione solo per «le im

prese che svolgono attività di raccolta e trasporto di rifiuti non

Il Foro Italiano — 2006.

pericolosi prodotti da terzi e le imprese che raccolgono e tra

sportano rifiuti pericolosi» (escluse per queste ultime i trasporti inferiori a una determinata soglia quantitativa giornaliera).

Poiché non risulta che Antonino Italiano trasportasse rifiuti

prodotti da terzi, ma risulta anzi che trasportava rifiuti derivanti

dalla sua stessa attività d'imprenditore edile, egli non sarebbe

obbligato all'iscrizione all'albo nazionale e non avrebbe com

messo il reato di cui al più volte citato art. 51,1° comma, d.leg. 22/97.

5. - Sennonché la predetta disposizione del 4° comma del

l'art. 30, così come modificato dalla citata 1. 426/98, appare in

contrasto con la direttiva 91/156/Cee che, nel suo art. 12, stabi

lisce che «gli stabilimenti o le imprese che provvedono alla rac

colta o al trasporto di rifiuti a titolo professionale, o che prov vedono allo smaltimento o al recupero di rifiuti per conto di ter

zi (commercianti o intermediari) devono essere iscritti presso le

competenti autorità qualora non siano soggetti ad autorizzazio

ne». Invero, le imprese che provvedono professionalmente al

trasporto di rifiuti, contemplate dalla direttiva, comprendono anche quelle che professionalmente trasportano rifiuti da esse

stesse prodotte, che invece la disposizione di legge italiana

esclude.

Nel dare attuazione a questa direttiva comunitaria col d.leg.

22/97, il legislatore nazionale in un primo tempo si era perfet tamente adeguato all'art. 12 della direttiva, stabilendo testual

mente che «le imprese che svolgono a titolo professionale atti

vità di raccolta e trasporto di rifiuti e le imprese che raccolgono e trasportano rifiuti pericolosi, anche se da esse prodotti (...) devono essere iscritte all'albo». Ma in un secondo tempo, no

vellando la disposizione mediante l'art. 1, 19° comma, 1.

426/98, ha violato l'art. 12, laddove ha escluso dall'obbligo d'i

scrizione all'albo nazionale l'imprenditore che a titolo profes sionale trasporti rifiuti (non pericolosi) per conto proprio, cioè

rifiuti da lui stesso prodotti.

Questa conclusione è ora consacrata, con effetti vincolanti per l'ordinamento italiano, dalla recente sentenza 9 giugno 2005

della Corte di giustizia europea, terza sezione (Foro it., 2005,

IV, 349), che, pronunciando ex art. 226 (già 169) del trattato Ce

in una procedura d'infrazione promossa dalla commissione

della Comunità contro la Repubblica italiana, ha testualmente

statuito che «la Repubblica italiana, permettendo alle imprese, in forza dell'art. 30, 4° comma, d.leg. 5 febbraio 1997 n. 22

(...) come modificato dall'art. 1, 19° comma, 1. 9 .dicembre

1998 n. 426, (...) di esercitare la raccolta e il trasporto dei pro

pri rifiuti non pericolosi come attività ordinaria e regolare senza

obbligo di essere iscritte all'albo nazionale delle imprese eser

centi servizi di smaltimento rifiuti (...) è venuta meno agli ob

blighi ad essa incombenti ai sensi dell'art. 12 della direttiva del

consiglio 15 luglio 1975 n. 75/442/Cee, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del consiglio 18 marzo 1991 n.

91/156/Cee».

Poiché non v'è dubbio che la direttiva 91/156/Cee, e in parti colare il suo art. 12, non ha efficacia diretta nell'ordinamento

italiano, e poiché la sentenza dichiarativa della Corte di giusti zia europea ha la stessa immediata efficacia della disposizione comunitaria interpretata (v., per tutte, Corte cost. 11 luglio 1989, n. 389, id., 1991, I, 1076), il giudice italiano, che è sog getto soltanto alla legge (art. 101, 2° comma. Cost.), dovendo

applicare una disposizione legislativa nazionale chiaramente in

compatibile con una norma di diritto comunitario non self exec

uting, non ha altro rimedio che sollevare questione di legittimità costituzionale della disposizione nazionale con riferimento agli art. 11 [n.d.rr. art. 10] e 117, 1° comma. Cost., al fine di sentirne

dichiarare l'abrogazione. Nell'inerzia del legislatore, la dichiarazione d'incostituzio

nalità da parte del giudice delle leggi è il mezzo attraverso cui

lo Stato italiano può dare esecuzione alla menzionata sentenza

della Corte di giustizia europea. 6. - La non manifesta infondatezza della questione risulta

chiaramente dalle considerazioni precedenti, essendo indiscuti

bile — dopo la sentenza 9 giugno 2005 della corte lussembur

ghese — che lo Stato italiano, novellando il 4° comma dell'art.

30 con l'art. 1, 19° comma, 1. 426/98, non ha rispettato i vincoli

che gli derivavano dall'ordinamento comunitario attraverso il

più volte menzionato art. 12 della direttiva 91/156/Cee, con

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GIURISPRUDENZA PENALE

travvenendo così agli art. 11 e 117 della Carta fondamentale.

Altrettanto evidente è la rilevanza della questione, essendo la

norma denunciata chiaramente inerente alla regiudicanda de

dotta davanti a questo giudice di legittimità. Per valutare il fu mus del reato di cui all'art. 51, 1° comma, d.leg. 22197, infatti, è

necessario applicare l'art. 30, 4° comma, così come novellato

dalla predetta norma della 1. 426/98, a meno che questa sia di

chiarata incostituzionale.

La rilevanza diventa più problematica se si considera che la

norma denunciata (nuovo testo dell'art. 30, 4° comma), esclu

dendo l'obbligo d'iscrizione all'albo nazionale per gli impren ditori che esercitano la raccolta e il trasporto di rifiuti non peri colosi da essi stessi prodotti, ha modificato in senso favorevole

al reo la precedente disposizione (testo originario dell'art. 30, 4°

comma), depenalizzando per i suddetti imprenditori non iscritti

all'albo il reato di cui all'art. 51, 1° comma.

Emerge così il noto problema del sindacato di costituzionalità

sulle norme penali di favore, cioè delle norme che, per determi

nati soggetti o ipotesi, abrogano o modificano in senso favore

vole al reo precedenti norme incriminatrici.

7. - Com'è ben noto a codesta corte, muovendo dalla conside

razione che l'eventuale accoglimento dell'eccezione d'illegitti mità costituzionale della norma penale più favorevole non po trebbe influire sull'esito del giudizio a quo per il principio d'ir

retroattività di cui all'art. 25, 2° comma. Cost, e all'art. 2, 1°

comma, c.p., si è tratta in passato la conclusione che le eccezio

ni d'incostituzionalità delle norme penali di favore sono «tipi camente» irrilevanti, con la conseguenza che dette norme resta

no sottratte al controllo costituzionale.

Ma in seguito il problema è stato diversamente risolto, a par tire dalla sentenza 148/83 (id., 1983, I, 1800), che ha argomen tato la rilevanza e l'ammissibilità delle questioni d'illegittimità costituzionale sulle norme penali di favore in base al duplice ar

gomento secondo cui l'accoglimento della questione: a) verreb

be comunque a incidere sulle formule di proscioglimento o sui

dispositivi della sentenza penale e si rifletterebbe sullo schema

argomentativo della relativa motivazione; b) avrebbe comunque un «effetto di sistema» la cui valutazione spetta ai giudici co

muni e non al giudice costituzionale. E ciò perché, senza vanifi

care la garanzia dell'art. 25 Cost., anche le norme penali di fa

vore devono sottostare al sindacato di costituzionalità, «a pena di istituire zone franche del tutto impreviste dalla Costituzione,

all'interno delle quali la legislazione ordinaria diverrebbe in

controllabile».

Nel caso di specie, poi, va aggiunto un ulteriore, decisivo, ar

gomento. L'eventuale sentenza di accoglimento cagionerebbe

l'abrogazione della norma denunciata con effetto ex nunc, e

quindi, in forza dell'art. 25, 2° comma, Cost., non potrebbe

portare alla condanna dell'indagato Antonino Italiano per il

fatto anteriormente commesso. E tuttavia potrebbe portare alla

conferma del sequestro preventivo dell'autocarro da lui utiliz

zato per il trasporto dei rifiuti, in forza della consolidata giuris

prudenza secondo cui la misura cautelare di cui all'art. 321

c.p.p. ha carattere reale, in quanto prescinde dalla personale re

sponsabilità della persona sottoposta alle indagini (v., fra le

sentenze massimate, Cass. 5 maggio 1994, Menietti, id., Rep. 1995, voce Sequestro penale, n. 72; 15 novembre 1999, Cop

pola, id., Rep. 2000, voce cit., n. 46; 13 febbraio 2002, Di Fal

co, id., Rep. 2002, voce cit., n. 31). Per conseguenza, la dichia

razione d'incostituzionalità della norma denunciata avrebbe ef

fetto immediato nel giudizio cautelare a quo senza che ciò co

stituisse violazione dell'art. 25, 2° comma, Cost.

8. - Questo approdo ermeneutico non è scalfito dalle numero

se statuizioni di codesta corte che hanno ribadito l'inammissibi

lità delle sentenze additive contra reum per rispetto dell'art. 25,

2° comma, Cost., stante la strutturale diversità delle due ipotesi. Infatti, quando è dedotta la questione di costituzionalità di

una norma penale di favore, la sentenza di accoglimento ha ca

rattere ablativo della deroga oggettiva o soggettiva introdotta,

con l'effetto di ripristinare la piena portata normativa di una

norma incriminatrice preesistente. Al contrario, la sentenza ad

ditiva di accoglimento (che dichiara incostituzionale la norma

sospettata «nella parte in cui non prevede», ecc.) ha l'effetto di

creare ex novo una norma incriminatrice o di ampliare la portata di una fattispecie penale esistente, usurpando in entrambi i casi

Il Foro Italiano — 2006.

una prerogativa spettante alia discrezionalità del legislatore e

violando il principio d'irretroattività dei reati e delle pene.

(Diverso sembra il caso della sentenza 440/95, id., 1996, I,

30, in cui, con un meccanismo di tipo ablatorio il giudice delle

leggi, in forze del principio di uguaglianza, ha esteso il reato di

bestemmia della divinità anche a tutela delle religioni non cat

toliche, creando così una nuova figura di reato, che però non era

applicabile al fatto contestato nel processo a quo). Per diversa ragione l'approdo della sentenza 148/83 non ap

pare intaccato neppure dalla recente Corte cost. 161/04 (id.,

Rep. 2004, voce Società, n. 1233), la quale ha escluso la possi bilità di estendere l'ambito di applicazione della norma incrimi

natrice di cui all'art. 2621 c.c. (false comunicazioni sociali), come sostituito dall'art. 1 d.leg. 11 aprile 2002 n. 61, attraverso

la rimozione delle soglie minime di punibilità ivi previste.

Quindi, infatti, la corte ha escluso la possibilità di ampliare o

aggravare la figura di un reato già esistente attraverso la «de

molizione» delle soglie di punibilità, sul rilievo che queste so

glie integrano requisiti essenziali di tipicità del fatto ovvero

condizioni di punibilità, e cioè sono comunque «un elemento

che 'delimita' l'area d'intervento della sanzione prevista dalla

norma incriminatrice, e non già 'sottrae' determinati fatti al

l'ambito di applicazione di altra norma, più generale». Tale essendo la ratio decidendi, essa non può essere applicata

ai casi — come quello presente — in cui la norma denunciata

per incostituzionalità è una norma penale di favore, la quale «sottrae» determinate ipotesi (nel caso specifico, il trasporto di

rifiuti non pericolosi effettuato da un imprenditore per conto

proprio) a una norma incriminatrice generale (derivante dal

combinato disposto degli art. 30 e 51, 1° comma, d.leg. 22/97

nel loro testo originario). In altri termini, facendo cadere per in

costituzionalità la modifica che l'art. 1, 19° comma, 1. 9 dicem

bre 1998 n. 426 ha apportato all'art. 30, 4° comma, d.leg. 22/97, si ripristinerebbe la portata originaria di una norma incrimina

trice già presente nell'ordinamento, che la novella del 1998 ha

parzialmente derogato; facendo cadere le soglie di punibilità

previste nell'art. 2621 c.c., invece, si amplierebbe la portata pe nale della stessa norma al di là dei limiti in cui il legislatore l'a

veva configurata. 9. -

Analogo problema si è presentato alla Corte di giustizia

europea, chiamata ex art. 234 (già 177) del trattato Ce a inter

pretare la nozione comunitaria di rifiuto, e a saggiarne la com

patibilità con quella ridefinita dal legislatore italiano attraverso

l'art. 14 d.l. 8 luglio 2002 n. 138, convertito in 1. 8 agosto 2002

n. 178, posto che la ricostruzione ermeneutica operata dalla

corte stessa poteva avere effetti tali da entrare in rotta di colli

sione con il principio di legalità e irretroattività dei reati e delle

pene, che è ritenuto parte integrante anche del diritto comunita

rio (Corte giust. 11 novembre 2004, causa C-457/02, Niselli, id.,

2004, IV, 588). Al riguardo, la sentenza Niselli, premesso che «una direttiva

non può avere l'effetto, di per sé e indipendentemente da una

norma giuridica di uno Stato membro adottata per la sua attua

zione, di determinare o di aggravare la responsabilità penale di

coloro che agiscono in violazione delle sue disposizioni», preso atto che il fatto contestato all'imputato era stato commesso sotto

il vigore delle disposizioni incriminatrici di cui al d.leg. 22/97, e

prima dell'entrata in vigore dell'art. 14 d.l. 138/02, ha concluso

che non vi era «motivo di esaminare le conseguenze che potreb bero discendere dal principio di legalità delle pene per l'appli cazione della direttiva 75/442» (par. 29 e 30).

Diverso è il caso affrontato più di recente dalla stessa Corte

europea, grande sezione, chiamata a risolvere in via pregiudi ziale la questione se il trattamento sanzionatorio più favorevole

previsto dai novellati art. 2621 (false comunicazioni sociali) e

2622 (false comunicazioni sociali in danno dei soci o dei credi

tori) c.c. fosse o meno adeguato in relazione all'art. 6 della pri ma direttiva comunitaria sul diritto societario (sentenza 3 mag

gio 2005, cause riunite C-387/02, C-391/02 e C-403/02, Berlu sconi e altri, id., 2005, IV, 285).

La sentenza ha osservato che il principio dell'applicazione retroattiva della pena più mite fa parte integrante delle tradizioni

costituzionali comuni degli Stati membri e dei principi generali del diritto comunitario (par. 68 e 69); e ha concluso che «la

prima direttiva sul diritto societario non può essere invocata in

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Page 5: sezione III penale; ordinanza 24 novembre 2005; Pres. De Maio, Rel. Onorato, P.M. Passacantando (concl. diff.); ric. Italiano

463 PARTE SECONDA

quanto tale dalle autorità di uno Stato membro nei confronti di

imputati nell'ambito di procedimenti penali, poiché una diretti

va non può avere come effetto, di per sé e indipendentemente da

una legge interna di uno Stato membro adottata per la sua attua

zione, di determinare o aggravare la responsabilità penale degli

imputati» (par. 78 e dispositivo). Basti rilevare in proposito che, nel caso esaminato dalla corte

europea, né gli originari art. 2621 e 2622 c.c., che prevedevano un trattamento sanzionatorio più severo, e sotto la vigenza dei

quali erano stati commessi i reati contestati, né i nuovi art. 2621

e 2622 c.c., che hanno introdotto un trattamento penale più mite,

costituiscono attuazione di direttive comunitarie; sicché si com

prende l'affermazione secondo cui una direttiva comunitaria,

per stessa e senza la mediazione di leggi nazionali di attuazione,

non possa determinare o aggravare una responsabilità penale nella soggetta materia. Mentre nel caso della disciplina sui ri

fiuti, la direttiva comunitaria è stata trasposta nell'ordinamento

nazionale attraverso il d.leg. 22/97, che ha previsto in aggiunta un sistema sanzionatorio a presidio della disciplina stessa, sic

ché né la previsione della responsabilità penale, né la sua limi

tazione derivano direttamente dalla direttiva comunitaria, es

sendo, invece, state introdotte, la prima dall'art. 51 d.leg. 22/97,

e la seconda all'art. 1, 19° comma, 1. 426/98.

Nella presente vicenda processuale, quindi, non può farsi ri

corso al principio statuito nella suddetta sentenza comunitaria

del 3 maggio 2005, proprio perché presupposto di questo prin

cipio è la mancanza di norme nazionali attuative della direttiva

comunitaria.

10. - Infine, la rilevanza e ammissibilità della questione di le

gittimità costituzionale del testo novellato dell'art. 34, 4° com

ma, d.leg. 22/97 trova conforto in numerose sentenze di codesta

corte, che, proprio in materia di rifiuti, hanno dichiarato l'ille

gittimità costituzionale di varie leggi regionali che avevano de

penalizzato lo stoccaggio provvisorio non espressamente auto

rizzato di rifiuti tossici e nocivi (306/92, id., 1993, I, 332; 437/92, ibid., 331; 194/93, id., 1994, I, 3578) o l'accumulo temporaneo di rifiuti tossici e nocivi (sent. 213/91, id., 1991, I,

2993), o che avevano escluso dagli impianti di smaltimento di

rifiuti gli impianti di depurazione per conto terzi di rifiuti liqui di, così esonerando la loro gestione dall'obbligo di autorizza

zione (sent. 173/98, id., 1998,1, 2345). In questi casi la caducazione delle norme legislative regionali

per contrasto con fonti normative gerarchicamente superiori, co

stituzionali e comunitarie, è perfettamente sovrapponibile alla

richiesta caducazione del testo novellato del richiamato art. 30

per contrasto col diritto comunitario; ed ha gli stessi effetti sul

trattamento penale degli imputati nell'ambito dei processi prin

cipali. Per tutte queste ragioni non sembra potersi dubitare della ri

levanza della questione.

Il Foro Italiano — 2006.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 9

febbraio 2005; Pres. Savignano, Est. Lombardi, P.M. Passa

cantando (conci, diff.); ric. Proietti. Annulla Trib. Roma 15

aprile 2004.

Animali e vegetali (protezione degli) — Animali pericolosi — Divieto di detenzione — Autorizzazione — Necessaria

anteriorità rispetto alla data di acquisto — Fattispecie (L. 7 febbraio 1992 n. 150, disciplina dei reati relativi all'appli cazione in Italia della convenzione sul commercio internazio

nale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, fir

mata a Washington il 3 marzo 1973, di cui alla 1. 19 dicembre

1975 n. 874, e del regolamento Cee 3626/82 e successive mo

dificazioni, nonché norme per la commercializzazione e la

detenzione di esemplari vivi di mammiferi e rettili che posso no costituire pericolo per la salute e l'incolumità pubblica, art. 1, 6).

Il divieto di detenzione di un animale appartenente ad una delle

specie ritenute pericolose per la salute e l'incolumità pubbli ca viene meno solo in caso di eventuale autorizzazione che

deve essere comunque precedente all'acquisto dell'animale

(nella specie, è stato ritenuto sussistente il divieto di deten

zione di un istrice europeo in quanto l'acquisto risulta suc

cessivo all'inclusione di tale esemplare nell'elenco ministe

riale delle specie ritenute pericolose per la salute e l'incolu

mità pubblica). (1)

Svolgimento del processo. — Con la sentenza impugnata il

Tribunale di Roma ha affermato la colpevolezza di Proietti

Mauro in ordine ai reati: c) di cui all'art. 1 1. 150/92; d) di cui

all'art. 6, 1° comma, 1. 150/92, ascrittigli per aver detenuto un

Hystrix cristata (istrice europeo), animale incluso nell'allegato

a) appendice III GH del regolamento Ce n. 3626 del 1982, non

ché nell'elenco degli animali pericolosi per la salute e l'incolu

mità pubblica, di cui al decreto del ministro dell'ambiente del

19 aprile 1996, senza la prescritta autorizzazione e documenta

zione. Per quanto interessa ai fini del giudizio di legittimità va

rilevato che la sentenza ha applicato all'imputato, in relazione al

reato di cui al capo c), le disposizioni di cui all'art. 1 1. 150/92,

prima delle modifiche introdotte dal d.leg. 275/01, affermando

(1) Con la decisione in epigrafe la Corte di cassazione affronta la

questione relativa all'ambito di applicazione della fattispecie riguar dante la detenzione di animali pericolosi con riferimento all'individua zione degli elementi in presenza dei quali si può ottenere l'autorizza zione alla continuazione di tale detenzione. Secondo la Suprema corte è necessario verificare, in primo luogo, l'inclusione dell'animale posse duto nell'elenco predisposto dal ministero competente e relativo all'in dividuazione delle diverse specie animali tra quelle pericolose per la salute e l'incolumità pubblica. In secondo luogo, si valuta come decisi

vo, il momento della presentazione dell'autorizzazione alla detenzione dell'animale che deve essere preventiva rispetto al suo acquisto.

In merito alla qualificazione della fattispecie relativa al divieto di detenzione di animali pericolosi già si era espressa Cass. 11 febbraio

2004, Chiarotti, Foro it., 2004, II, 489, con nota di richiami, afferman do che tale divieto sussiste a prescindere da ogni valutazione sulle mo dalità di custodia degli animali. Nello stesso senso, con riguardo ad una

parte di esemplare di animale (nella specie, una zanna di elefante) ap partenente a specie protetta, v. Cass. 24 ottobre 2003, Carlessi, ibid., 210, con nota di richiami, e, con riferimento a prodotti derivati da

esemplari di fauna selvatica minacciati di estinzione (nella specie, ipo tesi relativa alla detenzione di manufatti in avorio ricavati da elefante africano o asiatico), v. Cass. 8 ottobre 2003, Shig Kee Chan, id., Rep. 2004, voce Animali (protezione), nn. 12, 15.

Sul rapporto esistente tra identificazione delle specie protette e di vieto di detenzione, v. Cass. 21 gennaio 2005. Tomasini, Riv. pen., 2005, 985.

In merito alla non sanzionabilità penale di alcuni comportamenti connessi alla detenzione di animali regolarmente detenuti, v. Cass. 10 dicembre 2003, Sarra, Foro it., 2004, II, 352, con nota di richiami.

Più in generale, con specifico riguardo alla qualificazione del reato di maltrattamento di animali, Cass. 4 maggio 2004, Brao, id., 2005, II, 295, con nota di richiami e nota di Perez Monguio, ha chiarito che la

fattispecie criminosa di cui all'art. 727 c.p. è integrata non solo da

quelle condotte che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali, ma anche da quelle che, in modo ingiustificato, inci dono sulla sensibilità degli stessi e sono determinate dalle condizioni

oggettive con cui questi vengono tenuti.

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