sezione III penale; ordinanza 24 novembre 2005; Pres. De Maio, Rel. Onorato, P.M. Passacantando(concl. diff.); ric. ItalianoSource: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2006), pp. 457/458-463/464Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23202142 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
ee) L'interpretazione alla quale si aderisce non viene smentita
dalla previsione dell'art. 6 1. 376/00, secondo la quale le federa
zioni sportive nazionali, nell'ambito dell'autonomia ricono
sciuta loro dalla legge, possono stabilire sanzioni disciplinari
per la somministrazione o l'assunzione di farmaci o di sostanze o per il ricorso a pratiche mediche rispondenti ai requisiti di cui
alla definizione di doping «anche nel caso in cui questi non sia
no ripartiti nelle classi di cui all'art. 2, 1° comma, a condizione
che tali farmaci, sostanze o pratiche siano considerati dopanti nell'ambito dell'ordinamento internazionale vigente».
Tale previsione legislativa, infatti, va evidentemente riferita a
quelle c.d. «sostanze specifiche», che — pur considerate dopanti
nell'ambito dell'ordinamento internazionale vigente, ove ven
gono definite specified substances — possono essere o meno in
cluse nei regolamenti nazionali. Trattasi, per lo più, di sostanze
«che sono particolarmente suscettibili di violazioni non inten
zionali delle norme antidoping, a causa della loro larga diffusio
ne nei prodotti medicinali, o che sono meno suscettibili di esse
re utilizzate con successo come agenti dopanti ('substances which are particularly susceptible to unintentional anti-doping rule violations because of their general availability in medicinal
products or which are less likely to be successfully abused as
doping agents')».
ff) Erronea appare la prospettazione secondo la quale la con
venzione di Strasburgo non si riferirebbe ad ogni tipo di attività
sportiva, atteso che l'art. 2 della stessa stabilisce, alla lett. a), che per «doping nello sport» «si intende la somministrazione
agli sportivi o l'uso da parte di questi ultimi di classi farmaco
logiche di agenti di doping o di metodi di doping», precisando poi, alla lett. b), che per «sportivi» si intendono «le persone di
entrambi i sessi che partecipano abitualmente ad attività sporti ve organizzate».
Arbitrariamente da tali formulazioni testuali viene dedotto
che obiettivo della convenzione (e della seguente legge di ratifi
ca) sarebbe stato quello di combattere il fenomeno doping esclusivamente nello sport praticato a livello professionale o
quanto meno da parte di sportivi aderenti ad associazioni sporti ve ufficiali.
gg) Elementi determinati di segno contrario non possono trar
si, infine, dalla ritenuta «parziale indeterminatezza» della lista
di riferimento contenuta nell'annesso alla convenzione di Stra
sburgo, considerata compatibile solo in quanto funzionale al
campo di operatività delle violazioni disciplinari, che non sono
soggette al principio nullum crimen, nulla poena sine lege. La lista recepita dalla 1. 522/95 suddivideva le «sostanze do
ping» nelle seguenti classi: a) stimolanti, b) narcotici, c) agenti anabolizzanti, d) betabloccanti, e) diuretici,/) ormoni peptidici e
affini. A tali sostanze (tutt'altro che indeterminate e sempre in
dicate come tali nelle successive determinazioni ministeriali) ed
ai relativi principi attivi va riferita la possibilità di applicazione — anteriormente alla vigenza del d.m. 15 ottobre 2002 — della
disciplina penale introdotta dall'art. 9 1. 376/00 anteriormente
all'emanazione del d.m. 15 ottobre 2002.
Lo stesso vale per l'individuazione dei «metodi di doping». 5. - Va affermato, conseguentemente, il principio secondo il
quale «le ipotesi di reato previste dall'art. 9 1. 14 dicembre 2000
n. 376 (recante la disciplina della tutela sanitaria delle attività
sportive e della lotta contro il doping) sono configurabili anche
per i fatti commessi prima dell'emanazione del decreto del mi
nistro della salute, in data 15 ottobre 2002, con il quale, in ap
plicazione dell'art. 2 stessa legge, sono stati ripartiti in classi i
farmaci, le sostanze biologicamente o farmacologicamente atti
ve e le pratiche mediche il cui impiego è considerato doping. 6. - Alla stregua del principio dianzi enunciato, l'ordinanza
impugnata deve essere annullata — nei confronti di Ramo Ivan
e limitatamente all'esclusione del reato di cui all'art. 9, 7°
comma, 1. 376/00 — con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale
di Napoli.
Il Foro Italiano — 2006.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; ordinanza 24
novembre 2005; Pres. De Maio, Rei. Onorato, P.M. Passa
cantando (conci, diff.); ric. Italiano.
Sanità pubblica — Trasporto di rifiuti non pericolosi per conto proprio — Esonero dall'obbligo di iscrizione nel l'albo nazionale — Questione non manifestamente infon
data di costituzionalità (Cost., art. 10, 11, 117; d.leg. 5 feb braio 1997 n. 22, attuazione delle direttive 91/156/Cee sui ri
fiuti, 91/689/Cee sui rifiuti pericolosi e 94/62/Ce sugli im ballaggi e sui rifiuti di imballaggio, art. 30).
Non è manifestamente infondata la questione di legittimità co
stituzionale dell'art. 30, 4° comma, d.leg. 22/97, come modi
ficato dall'art. 1, 9° comma, l. 9 dicembre 1998 n. 426, nella
parte in cui non prevede l'obbligo di iscrizione all'albo na
zionale per l'imprenditore che a titolo professionale trasporti
rifiuti non pericolosi per conto proprio, in riferimento agli art. 11 [n.d.r.: art. 10] e 117 Cost. (1)
Svolgimento del processo. — 1. - Con ordinanza del 4 luglio
2005 il Tribunale di Messina, in sede di riesame, ha confer
mato il sequestro preventivo di un autocarro Fiat Iveco, tg. ME573983, disposto in data 10 giugno 2005 dal g.i.p. del Tri bunale di Barcellona Pozzo di Gotto a carico del proprietario Antonino Italiano, che il 24 maggio dello stesso anno era stato
fermato alla guida dell'automezzo mentre trasportava «mate
riale di risulta proveniente da lavori dell'edilizia».
Il g.i.p. aveva ravvisato il fumus del reato di cui all'art. 51
d.leg. 22/97 a carico del guidatore, per trasporto di rifiuti senza
le prescritte autorizzazioni. In particolare, aveva osservato che il
trasporto di rifiuti verso una discarica abusiva rientra nell'ampio concetto di gestione della discarica, ed è pertanto punito ai sensi
del 3° comma dell'art. 51; e che — comunque
— essendo l'Ita
liano un imprenditore edile, era ravvisabile la contravvenzione
di cui al 2° comma dell'art. 51 per abusiva attività di smalti
mento di rifiuti speciali non pericolosi. Nel confermare la misura il tribunale del riesame ha rilevato
che il trasporto di rifiuti, quale possibile fase dell'attività di ge stione, da chiunque posto in essere, deve essere autorizzato dal
l'autorità competente; e che il concetto di gestione di discarica
deve essere inteso in senso ampio, comprensivo di qualsiasi contributo attivo o passivo diretto a realizzare o mantenere la
discarica stessa.
Indubitabile era poi il periculum in mora, giacché la libera di
sponibilità dell'automezzo da parte di un imprenditore edile —
quale pacificamente era l'Italiano — che produce abitualmente
rifiuti poteva agevolare la commissione di altri reati della stessa
specie. 2. - Il difensore dell'indagato ha proposto ricorso per cassa
zione, deducendo tre motivi per violazione di legge penale e per manifesta illogicità di motivazione.
(1) Questione nuova che però si collega strettamente a Corte giust. 9
giugno 2005, causa C-270/03, Foro it., 2005, IV, 349, con nota di ri chiami.
In materia, v. Cass. 9 marzo 2005, Rosafio, Ced Cass., rv. 231078 (il
trasporto di rifiuti effettuato con mezzi diversi da quelli originaria mente comunicati, in sede di iscrizione all'albo nazionale delle imprese che esercitano l'attività di raccolta e trasporto dei rifiuti, configura ii reato di cui all'art. 51,4° comma, d.leg. 5 febbraio 1997 n. 22, atteso che deve ritenersi svolto in violazione dei requisiti e delle condizioni richiesti per l'iscrizione e delle prescrizioni richiamate nell'atto abili tati vo; nello stesso senso, 12 dicembre 2003, Luise, Foro it., Rep. 2004, voce Sanità pubblica, n. 831); 13 febbraio 2003, Tosto, ibid., n. 800 (ai sensi dell'art. 51, 1° comma, d.leg. n. 22 del 1997 è sanzionato penal mente il trasporto di rifiuti senza autorizzazione e, pertanto, ai fini della
punibilità del fatto, non è richiesto lo scarico degli stessi in qualche
luogo); 20 febbraio 2003, Mazzucato, ibid., n. 801 (l'impresa che prima dell'entrata in vigore del d.leg. 22/97 svolgeva regolarmente attività di
trasporto e trattamento di rifiuti, sulla base di una comunicazione ex
art. 2 d.l. 462/96, prosegue lecitamente tale attività sulla base di una
mera comunicazione integrativa, senza necessità di specificare ulte
riormente le sedi in cui il recupero avviene, in quanto già note all'am
ministrazione competente); 15 novembre 2002, Toraldo, id., Rep. 2003, voce cit.. n. 887 (in fattispecie nella quale il trasportatore riteneva di
poter utilizzare l'autorizzazione rilasciata al proprio genitore deceduto
alcuni mesi prima dei fatti).
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PARTE SECONDA
Col primo denuncia violazione dell'art. 51,1° comma, in re
lazione all'art. 30, 4° comma, d.leg. 22/97, giacché quest'ultima norma assoggetta all'obbligo d'iscrizione all'albo nazionale
delle imprese esercenti servizi di smaltimento solo quegli im
prenditori che svolgono attività di raccolta e trasporto di rifiuti
non pericolosi prodotti da terzi o di rifiuti pericolosi. Per conse
guenza non era obbligato all'iscrizione l'Italiano che trasporta va rifiuti propri non pericolosi.
Col secondo motivo il difensore denuncia violazione del 2° e
3° comma dell'art. 51 predetto. Infatti, da una parte non era
stato minimamente provato che l'autocarro sequestrato stava
trasportando i rifiuti in una discarica abusiva (3° comma); dal
l'altra parte non era ravvisabile la contravvenzione di abbando
no di rifiuti prevista a carico di enti o imprenditori dal 2° com
ma, giacché l'Italiano stava agendo quale privato e non quale titolare d'impresa, essendo stato dimostrato che il suo autocarro
stava trasportando rifiuti speciali provenienti dal muro di una
sua abitazione.
Col terzo motivo il ricorrente lamenta violazione degli art. 12
e 15 d.leg. 22/97. Confuta l'argomento del giudice del riesame,
secondo cui ai sensi delle norme predette un regolare impianto di discarica non avrebbe potuto ricevere i rifiuti trasportati dal
l'indagato senza il prescritto formulario d'identificazione.
Aggiunge che il formulario non è obbligatorio per il trasporto di rifiuti non eccedenti i trenta chilogrammi o i trenta litri al
giorno; e che, nel caso di specie, non era stato provato il supe ramento di tale soglia.
Motivi della decisione. — 3. - Dalla lettura del decreto dispo sitivo del sequestro preventivo e dall'impugnata ordinanza del
tribunale del riesame, risulta in linea di fatto che l'autocarro se
questrato trasportava rifiuti speciali provenienti da attività di
demolizione edilizia, ma non risulta che tali rifiuti fossero sicu
ramente destinati a una discarica.
In linea di diritto, inoltre, l'attività di trasporto e deposito di
rifiuti in una discarica da parte di terzi estranei alla titolarità
della discarica stessa configurerebbe solo un'operazione di
smaltimento (compresa nella categoria DI dell'allegato B del
d.leg. 22/97), e non già un'operazione di gestione della discari
ca, che invece è stata ipotizzata in via alternativa da entrambi i
giudici di merito. Sotto entrambi i profili, quindi, non può configurarsi il fumus
del reato di cui all'art. 51, 3° comma, d.leg. 22/97, ma solo
quello del reato di cui all'art. 51, 1° comma, stesso decreto, per
trasporto di rifiuti da parte di soggetto non abilitato, che è del
resto il reato che il g.i.p. aveva ravvisato, sia pure in via subor
dinata, nella sua ordinanza del 10 giugno 2005.
Neppure può configurarsi il fumus del reato di cui al 2° com
ma del medesimo art. 51, per abbandono o deposito incontrol
lato di rifiuti da parte di un titolare d'impresa, non perché l'in
dagato non agisce nella sua qualità di imprenditore, bensì per ché la sua attività si era limitata al trasporto senza arrivare al
l'abbandono o al deposito incontrollato dei rifiuti trasportati. 4. - In conclusione, il sequestro preventivo dell'autocarro col
carico di rifiuti speciali, guidato da Antonino Italiano, sarebbe
legittimo ai sensi dell'art. 321 c.p.p. perché ricorrerebbe sia l'a
stratta configurabilità del reato di cui all'art. 51, 1° comma,
d.leg. 22/97, sia il pericolo che la libera disponibilità dell'auto
carro potesse facilitare la reiterazione del reato da parte del suo
proprietario. Non c'è dubbio, infatti, che Antonino Italiano, quando fu sor
preso mentre trasportava materiali derivanti da attività di demo
lizione, era nell'esercizio della sua qualità d'imprenditore edile.
Sul punto, la tesi del ricorrente, secondo cui egli agiva invece
come privato perché trasportava rifiuti provenienti dalla demo
lizione di un muro della sua abitazione, è una mera asserzione
fattuale inammissibile in sede di legittimità. Più in particolare, il predetto reato sarebbe integrato dal fatto
che l'indagato trasportava rifiuti speciali non pericolosi senza
essere iscritto nell'albo nazionale delle imprese previsto dal
l'art. 30 d.leg. 22/97. Va quindi esaminato il primo motivo di
ricorso.
Al riguardo bisogna osservare che il 4° comma dell'art. 30,
così come modificato dall'art. 1, 19° comma, 1. 9 dicembre
1998 n. 426, impone l'obbligo dell'iscrizione solo per «le im
prese che svolgono attività di raccolta e trasporto di rifiuti non
Il Foro Italiano — 2006.
pericolosi prodotti da terzi e le imprese che raccolgono e tra
sportano rifiuti pericolosi» (escluse per queste ultime i trasporti inferiori a una determinata soglia quantitativa giornaliera).
Poiché non risulta che Antonino Italiano trasportasse rifiuti
prodotti da terzi, ma risulta anzi che trasportava rifiuti derivanti
dalla sua stessa attività d'imprenditore edile, egli non sarebbe
obbligato all'iscrizione all'albo nazionale e non avrebbe com
messo il reato di cui al più volte citato art. 51,1° comma, d.leg. 22/97.
5. - Sennonché la predetta disposizione del 4° comma del
l'art. 30, così come modificato dalla citata 1. 426/98, appare in
contrasto con la direttiva 91/156/Cee che, nel suo art. 12, stabi
lisce che «gli stabilimenti o le imprese che provvedono alla rac
colta o al trasporto di rifiuti a titolo professionale, o che prov vedono allo smaltimento o al recupero di rifiuti per conto di ter
zi (commercianti o intermediari) devono essere iscritti presso le
competenti autorità qualora non siano soggetti ad autorizzazio
ne». Invero, le imprese che provvedono professionalmente al
trasporto di rifiuti, contemplate dalla direttiva, comprendono anche quelle che professionalmente trasportano rifiuti da esse
stesse prodotte, che invece la disposizione di legge italiana
esclude.
Nel dare attuazione a questa direttiva comunitaria col d.leg.
22/97, il legislatore nazionale in un primo tempo si era perfet tamente adeguato all'art. 12 della direttiva, stabilendo testual
mente che «le imprese che svolgono a titolo professionale atti
vità di raccolta e trasporto di rifiuti e le imprese che raccolgono e trasportano rifiuti pericolosi, anche se da esse prodotti (...) devono essere iscritte all'albo». Ma in un secondo tempo, no
vellando la disposizione mediante l'art. 1, 19° comma, 1.
426/98, ha violato l'art. 12, laddove ha escluso dall'obbligo d'i
scrizione all'albo nazionale l'imprenditore che a titolo profes sionale trasporti rifiuti (non pericolosi) per conto proprio, cioè
rifiuti da lui stesso prodotti.
Questa conclusione è ora consacrata, con effetti vincolanti per l'ordinamento italiano, dalla recente sentenza 9 giugno 2005
della Corte di giustizia europea, terza sezione (Foro it., 2005,
IV, 349), che, pronunciando ex art. 226 (già 169) del trattato Ce
in una procedura d'infrazione promossa dalla commissione
della Comunità contro la Repubblica italiana, ha testualmente
statuito che «la Repubblica italiana, permettendo alle imprese, in forza dell'art. 30, 4° comma, d.leg. 5 febbraio 1997 n. 22
(...) come modificato dall'art. 1, 19° comma, 1. 9 .dicembre
1998 n. 426, (...) di esercitare la raccolta e il trasporto dei pro
pri rifiuti non pericolosi come attività ordinaria e regolare senza
obbligo di essere iscritte all'albo nazionale delle imprese eser
centi servizi di smaltimento rifiuti (...) è venuta meno agli ob
blighi ad essa incombenti ai sensi dell'art. 12 della direttiva del
consiglio 15 luglio 1975 n. 75/442/Cee, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del consiglio 18 marzo 1991 n.
91/156/Cee».
Poiché non v'è dubbio che la direttiva 91/156/Cee, e in parti colare il suo art. 12, non ha efficacia diretta nell'ordinamento
italiano, e poiché la sentenza dichiarativa della Corte di giusti zia europea ha la stessa immediata efficacia della disposizione comunitaria interpretata (v., per tutte, Corte cost. 11 luglio 1989, n. 389, id., 1991, I, 1076), il giudice italiano, che è sog getto soltanto alla legge (art. 101, 2° comma. Cost.), dovendo
applicare una disposizione legislativa nazionale chiaramente in
compatibile con una norma di diritto comunitario non self exec
uting, non ha altro rimedio che sollevare questione di legittimità costituzionale della disposizione nazionale con riferimento agli art. 11 [n.d.rr. art. 10] e 117, 1° comma. Cost., al fine di sentirne
dichiarare l'abrogazione. Nell'inerzia del legislatore, la dichiarazione d'incostituzio
nalità da parte del giudice delle leggi è il mezzo attraverso cui
lo Stato italiano può dare esecuzione alla menzionata sentenza
della Corte di giustizia europea. 6. - La non manifesta infondatezza della questione risulta
chiaramente dalle considerazioni precedenti, essendo indiscuti
bile — dopo la sentenza 9 giugno 2005 della corte lussembur
ghese — che lo Stato italiano, novellando il 4° comma dell'art.
30 con l'art. 1, 19° comma, 1. 426/98, non ha rispettato i vincoli
che gli derivavano dall'ordinamento comunitario attraverso il
più volte menzionato art. 12 della direttiva 91/156/Cee, con
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GIURISPRUDENZA PENALE
travvenendo così agli art. 11 e 117 della Carta fondamentale.
Altrettanto evidente è la rilevanza della questione, essendo la
norma denunciata chiaramente inerente alla regiudicanda de
dotta davanti a questo giudice di legittimità. Per valutare il fu mus del reato di cui all'art. 51, 1° comma, d.leg. 22197, infatti, è
necessario applicare l'art. 30, 4° comma, così come novellato
dalla predetta norma della 1. 426/98, a meno che questa sia di
chiarata incostituzionale.
La rilevanza diventa più problematica se si considera che la
norma denunciata (nuovo testo dell'art. 30, 4° comma), esclu
dendo l'obbligo d'iscrizione all'albo nazionale per gli impren ditori che esercitano la raccolta e il trasporto di rifiuti non peri colosi da essi stessi prodotti, ha modificato in senso favorevole
al reo la precedente disposizione (testo originario dell'art. 30, 4°
comma), depenalizzando per i suddetti imprenditori non iscritti
all'albo il reato di cui all'art. 51, 1° comma.
Emerge così il noto problema del sindacato di costituzionalità
sulle norme penali di favore, cioè delle norme che, per determi
nati soggetti o ipotesi, abrogano o modificano in senso favore
vole al reo precedenti norme incriminatrici.
7. - Com'è ben noto a codesta corte, muovendo dalla conside
razione che l'eventuale accoglimento dell'eccezione d'illegitti mità costituzionale della norma penale più favorevole non po trebbe influire sull'esito del giudizio a quo per il principio d'ir
retroattività di cui all'art. 25, 2° comma. Cost, e all'art. 2, 1°
comma, c.p., si è tratta in passato la conclusione che le eccezio
ni d'incostituzionalità delle norme penali di favore sono «tipi camente» irrilevanti, con la conseguenza che dette norme resta
no sottratte al controllo costituzionale.
Ma in seguito il problema è stato diversamente risolto, a par tire dalla sentenza 148/83 (id., 1983, I, 1800), che ha argomen tato la rilevanza e l'ammissibilità delle questioni d'illegittimità costituzionale sulle norme penali di favore in base al duplice ar
gomento secondo cui l'accoglimento della questione: a) verreb
be comunque a incidere sulle formule di proscioglimento o sui
dispositivi della sentenza penale e si rifletterebbe sullo schema
argomentativo della relativa motivazione; b) avrebbe comunque un «effetto di sistema» la cui valutazione spetta ai giudici co
muni e non al giudice costituzionale. E ciò perché, senza vanifi
care la garanzia dell'art. 25 Cost., anche le norme penali di fa
vore devono sottostare al sindacato di costituzionalità, «a pena di istituire zone franche del tutto impreviste dalla Costituzione,
all'interno delle quali la legislazione ordinaria diverrebbe in
controllabile».
Nel caso di specie, poi, va aggiunto un ulteriore, decisivo, ar
gomento. L'eventuale sentenza di accoglimento cagionerebbe
l'abrogazione della norma denunciata con effetto ex nunc, e
quindi, in forza dell'art. 25, 2° comma, Cost., non potrebbe
portare alla condanna dell'indagato Antonino Italiano per il
fatto anteriormente commesso. E tuttavia potrebbe portare alla
conferma del sequestro preventivo dell'autocarro da lui utiliz
zato per il trasporto dei rifiuti, in forza della consolidata giuris
prudenza secondo cui la misura cautelare di cui all'art. 321
c.p.p. ha carattere reale, in quanto prescinde dalla personale re
sponsabilità della persona sottoposta alle indagini (v., fra le
sentenze massimate, Cass. 5 maggio 1994, Menietti, id., Rep. 1995, voce Sequestro penale, n. 72; 15 novembre 1999, Cop
pola, id., Rep. 2000, voce cit., n. 46; 13 febbraio 2002, Di Fal
co, id., Rep. 2002, voce cit., n. 31). Per conseguenza, la dichia
razione d'incostituzionalità della norma denunciata avrebbe ef
fetto immediato nel giudizio cautelare a quo senza che ciò co
stituisse violazione dell'art. 25, 2° comma, Cost.
8. - Questo approdo ermeneutico non è scalfito dalle numero
se statuizioni di codesta corte che hanno ribadito l'inammissibi
lità delle sentenze additive contra reum per rispetto dell'art. 25,
2° comma, Cost., stante la strutturale diversità delle due ipotesi. Infatti, quando è dedotta la questione di costituzionalità di
una norma penale di favore, la sentenza di accoglimento ha ca
rattere ablativo della deroga oggettiva o soggettiva introdotta,
con l'effetto di ripristinare la piena portata normativa di una
norma incriminatrice preesistente. Al contrario, la sentenza ad
ditiva di accoglimento (che dichiara incostituzionale la norma
sospettata «nella parte in cui non prevede», ecc.) ha l'effetto di
creare ex novo una norma incriminatrice o di ampliare la portata di una fattispecie penale esistente, usurpando in entrambi i casi
Il Foro Italiano — 2006.
una prerogativa spettante alia discrezionalità del legislatore e
violando il principio d'irretroattività dei reati e delle pene.
(Diverso sembra il caso della sentenza 440/95, id., 1996, I,
30, in cui, con un meccanismo di tipo ablatorio il giudice delle
leggi, in forze del principio di uguaglianza, ha esteso il reato di
bestemmia della divinità anche a tutela delle religioni non cat
toliche, creando così una nuova figura di reato, che però non era
applicabile al fatto contestato nel processo a quo). Per diversa ragione l'approdo della sentenza 148/83 non ap
pare intaccato neppure dalla recente Corte cost. 161/04 (id.,
Rep. 2004, voce Società, n. 1233), la quale ha escluso la possi bilità di estendere l'ambito di applicazione della norma incrimi
natrice di cui all'art. 2621 c.c. (false comunicazioni sociali), come sostituito dall'art. 1 d.leg. 11 aprile 2002 n. 61, attraverso
la rimozione delle soglie minime di punibilità ivi previste.
Quindi, infatti, la corte ha escluso la possibilità di ampliare o
aggravare la figura di un reato già esistente attraverso la «de
molizione» delle soglie di punibilità, sul rilievo che queste so
glie integrano requisiti essenziali di tipicità del fatto ovvero
condizioni di punibilità, e cioè sono comunque «un elemento
che 'delimita' l'area d'intervento della sanzione prevista dalla
norma incriminatrice, e non già 'sottrae' determinati fatti al
l'ambito di applicazione di altra norma, più generale». Tale essendo la ratio decidendi, essa non può essere applicata
ai casi — come quello presente — in cui la norma denunciata
per incostituzionalità è una norma penale di favore, la quale «sottrae» determinate ipotesi (nel caso specifico, il trasporto di
rifiuti non pericolosi effettuato da un imprenditore per conto
proprio) a una norma incriminatrice generale (derivante dal
combinato disposto degli art. 30 e 51, 1° comma, d.leg. 22/97
nel loro testo originario). In altri termini, facendo cadere per in
costituzionalità la modifica che l'art. 1, 19° comma, 1. 9 dicem
bre 1998 n. 426 ha apportato all'art. 30, 4° comma, d.leg. 22/97, si ripristinerebbe la portata originaria di una norma incrimina
trice già presente nell'ordinamento, che la novella del 1998 ha
parzialmente derogato; facendo cadere le soglie di punibilità
previste nell'art. 2621 c.c., invece, si amplierebbe la portata pe nale della stessa norma al di là dei limiti in cui il legislatore l'a
veva configurata. 9. -
Analogo problema si è presentato alla Corte di giustizia
europea, chiamata ex art. 234 (già 177) del trattato Ce a inter
pretare la nozione comunitaria di rifiuto, e a saggiarne la com
patibilità con quella ridefinita dal legislatore italiano attraverso
l'art. 14 d.l. 8 luglio 2002 n. 138, convertito in 1. 8 agosto 2002
n. 178, posto che la ricostruzione ermeneutica operata dalla
corte stessa poteva avere effetti tali da entrare in rotta di colli
sione con il principio di legalità e irretroattività dei reati e delle
pene, che è ritenuto parte integrante anche del diritto comunita
rio (Corte giust. 11 novembre 2004, causa C-457/02, Niselli, id.,
2004, IV, 588). Al riguardo, la sentenza Niselli, premesso che «una direttiva
non può avere l'effetto, di per sé e indipendentemente da una
norma giuridica di uno Stato membro adottata per la sua attua
zione, di determinare o di aggravare la responsabilità penale di
coloro che agiscono in violazione delle sue disposizioni», preso atto che il fatto contestato all'imputato era stato commesso sotto
il vigore delle disposizioni incriminatrici di cui al d.leg. 22/97, e
prima dell'entrata in vigore dell'art. 14 d.l. 138/02, ha concluso
che non vi era «motivo di esaminare le conseguenze che potreb bero discendere dal principio di legalità delle pene per l'appli cazione della direttiva 75/442» (par. 29 e 30).
Diverso è il caso affrontato più di recente dalla stessa Corte
europea, grande sezione, chiamata a risolvere in via pregiudi ziale la questione se il trattamento sanzionatorio più favorevole
previsto dai novellati art. 2621 (false comunicazioni sociali) e
2622 (false comunicazioni sociali in danno dei soci o dei credi
tori) c.c. fosse o meno adeguato in relazione all'art. 6 della pri ma direttiva comunitaria sul diritto societario (sentenza 3 mag
gio 2005, cause riunite C-387/02, C-391/02 e C-403/02, Berlu sconi e altri, id., 2005, IV, 285).
La sentenza ha osservato che il principio dell'applicazione retroattiva della pena più mite fa parte integrante delle tradizioni
costituzionali comuni degli Stati membri e dei principi generali del diritto comunitario (par. 68 e 69); e ha concluso che «la
prima direttiva sul diritto societario non può essere invocata in
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463 PARTE SECONDA
quanto tale dalle autorità di uno Stato membro nei confronti di
imputati nell'ambito di procedimenti penali, poiché una diretti
va non può avere come effetto, di per sé e indipendentemente da
una legge interna di uno Stato membro adottata per la sua attua
zione, di determinare o aggravare la responsabilità penale degli
imputati» (par. 78 e dispositivo). Basti rilevare in proposito che, nel caso esaminato dalla corte
europea, né gli originari art. 2621 e 2622 c.c., che prevedevano un trattamento sanzionatorio più severo, e sotto la vigenza dei
quali erano stati commessi i reati contestati, né i nuovi art. 2621
e 2622 c.c., che hanno introdotto un trattamento penale più mite,
costituiscono attuazione di direttive comunitarie; sicché si com
prende l'affermazione secondo cui una direttiva comunitaria,
per stessa e senza la mediazione di leggi nazionali di attuazione,
non possa determinare o aggravare una responsabilità penale nella soggetta materia. Mentre nel caso della disciplina sui ri
fiuti, la direttiva comunitaria è stata trasposta nell'ordinamento
nazionale attraverso il d.leg. 22/97, che ha previsto in aggiunta un sistema sanzionatorio a presidio della disciplina stessa, sic
ché né la previsione della responsabilità penale, né la sua limi
tazione derivano direttamente dalla direttiva comunitaria, es
sendo, invece, state introdotte, la prima dall'art. 51 d.leg. 22/97,
e la seconda all'art. 1, 19° comma, 1. 426/98.
Nella presente vicenda processuale, quindi, non può farsi ri
corso al principio statuito nella suddetta sentenza comunitaria
del 3 maggio 2005, proprio perché presupposto di questo prin
cipio è la mancanza di norme nazionali attuative della direttiva
comunitaria.
10. - Infine, la rilevanza e ammissibilità della questione di le
gittimità costituzionale del testo novellato dell'art. 34, 4° com
ma, d.leg. 22/97 trova conforto in numerose sentenze di codesta
corte, che, proprio in materia di rifiuti, hanno dichiarato l'ille
gittimità costituzionale di varie leggi regionali che avevano de
penalizzato lo stoccaggio provvisorio non espressamente auto
rizzato di rifiuti tossici e nocivi (306/92, id., 1993, I, 332; 437/92, ibid., 331; 194/93, id., 1994, I, 3578) o l'accumulo temporaneo di rifiuti tossici e nocivi (sent. 213/91, id., 1991, I,
2993), o che avevano escluso dagli impianti di smaltimento di
rifiuti gli impianti di depurazione per conto terzi di rifiuti liqui di, così esonerando la loro gestione dall'obbligo di autorizza
zione (sent. 173/98, id., 1998,1, 2345). In questi casi la caducazione delle norme legislative regionali
per contrasto con fonti normative gerarchicamente superiori, co
stituzionali e comunitarie, è perfettamente sovrapponibile alla
richiesta caducazione del testo novellato del richiamato art. 30
per contrasto col diritto comunitario; ed ha gli stessi effetti sul
trattamento penale degli imputati nell'ambito dei processi prin
cipali. Per tutte queste ragioni non sembra potersi dubitare della ri
levanza della questione.
Il Foro Italiano — 2006.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 9
febbraio 2005; Pres. Savignano, Est. Lombardi, P.M. Passa
cantando (conci, diff.); ric. Proietti. Annulla Trib. Roma 15
aprile 2004.
Animali e vegetali (protezione degli) — Animali pericolosi — Divieto di detenzione — Autorizzazione — Necessaria
anteriorità rispetto alla data di acquisto — Fattispecie (L. 7 febbraio 1992 n. 150, disciplina dei reati relativi all'appli cazione in Italia della convenzione sul commercio internazio
nale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, fir
mata a Washington il 3 marzo 1973, di cui alla 1. 19 dicembre
1975 n. 874, e del regolamento Cee 3626/82 e successive mo
dificazioni, nonché norme per la commercializzazione e la
detenzione di esemplari vivi di mammiferi e rettili che posso no costituire pericolo per la salute e l'incolumità pubblica, art. 1, 6).
Il divieto di detenzione di un animale appartenente ad una delle
specie ritenute pericolose per la salute e l'incolumità pubbli ca viene meno solo in caso di eventuale autorizzazione che
deve essere comunque precedente all'acquisto dell'animale
(nella specie, è stato ritenuto sussistente il divieto di deten
zione di un istrice europeo in quanto l'acquisto risulta suc
cessivo all'inclusione di tale esemplare nell'elenco ministe
riale delle specie ritenute pericolose per la salute e l'incolu
mità pubblica). (1)
Svolgimento del processo. — Con la sentenza impugnata il
Tribunale di Roma ha affermato la colpevolezza di Proietti
Mauro in ordine ai reati: c) di cui all'art. 1 1. 150/92; d) di cui
all'art. 6, 1° comma, 1. 150/92, ascrittigli per aver detenuto un
Hystrix cristata (istrice europeo), animale incluso nell'allegato
a) appendice III GH del regolamento Ce n. 3626 del 1982, non
ché nell'elenco degli animali pericolosi per la salute e l'incolu
mità pubblica, di cui al decreto del ministro dell'ambiente del
19 aprile 1996, senza la prescritta autorizzazione e documenta
zione. Per quanto interessa ai fini del giudizio di legittimità va
rilevato che la sentenza ha applicato all'imputato, in relazione al
reato di cui al capo c), le disposizioni di cui all'art. 1 1. 150/92,
prima delle modifiche introdotte dal d.leg. 275/01, affermando
(1) Con la decisione in epigrafe la Corte di cassazione affronta la
questione relativa all'ambito di applicazione della fattispecie riguar dante la detenzione di animali pericolosi con riferimento all'individua zione degli elementi in presenza dei quali si può ottenere l'autorizza zione alla continuazione di tale detenzione. Secondo la Suprema corte è necessario verificare, in primo luogo, l'inclusione dell'animale posse duto nell'elenco predisposto dal ministero competente e relativo all'in dividuazione delle diverse specie animali tra quelle pericolose per la salute e l'incolumità pubblica. In secondo luogo, si valuta come decisi
vo, il momento della presentazione dell'autorizzazione alla detenzione dell'animale che deve essere preventiva rispetto al suo acquisto.
In merito alla qualificazione della fattispecie relativa al divieto di detenzione di animali pericolosi già si era espressa Cass. 11 febbraio
2004, Chiarotti, Foro it., 2004, II, 489, con nota di richiami, afferman do che tale divieto sussiste a prescindere da ogni valutazione sulle mo dalità di custodia degli animali. Nello stesso senso, con riguardo ad una
parte di esemplare di animale (nella specie, una zanna di elefante) ap partenente a specie protetta, v. Cass. 24 ottobre 2003, Carlessi, ibid., 210, con nota di richiami, e, con riferimento a prodotti derivati da
esemplari di fauna selvatica minacciati di estinzione (nella specie, ipo tesi relativa alla detenzione di manufatti in avorio ricavati da elefante africano o asiatico), v. Cass. 8 ottobre 2003, Shig Kee Chan, id., Rep. 2004, voce Animali (protezione), nn. 12, 15.
Sul rapporto esistente tra identificazione delle specie protette e di vieto di detenzione, v. Cass. 21 gennaio 2005. Tomasini, Riv. pen., 2005, 985.
In merito alla non sanzionabilità penale di alcuni comportamenti connessi alla detenzione di animali regolarmente detenuti, v. Cass. 10 dicembre 2003, Sarra, Foro it., 2004, II, 352, con nota di richiami.
Più in generale, con specifico riguardo alla qualificazione del reato di maltrattamento di animali, Cass. 4 maggio 2004, Brao, id., 2005, II, 295, con nota di richiami e nota di Perez Monguio, ha chiarito che la
fattispecie criminosa di cui all'art. 727 c.p. è integrata non solo da
quelle condotte che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali, ma anche da quelle che, in modo ingiustificato, inci dono sulla sensibilità degli stessi e sono determinate dalle condizioni
oggettive con cui questi vengono tenuti.
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