sezione III penale; ordinanza 3 dicembre 2003; Pres. Papadia, Rel. Rizzo, P.M. Izzo (concl. parz.diff.); ric. P.m. in c. Saracino. Annulla Trib. Bari, ord. 21 luglio 2003Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 9 (SETTEMBRE 2004), pp. 507/508-519/520Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199427 .
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PARTE SECONDA
609 septies, ultimo comma, n. 2, c.p. (Cass. 30 settembre 2002,
Cofone).
Peraltro, nonostante l'impossibilità di considerare detto ulte riore requisito per la procedibilità d'ufficio, per i limiti propri dei poteri attribuiti al giudice di legittimità in sede d'impugna zione per vizi motivazionali, gli episodi successivi al compi mento del quattordicesimo anno di età, anche se i legali rappre sentanti della minore erano a conoscenza dei fatti sin dall'estate del 1998, sono egualmente perseguibili d'ufficio per l'intima
connessione esistente con quelli commessi fino al compimento dell'età di quattordici anni.
Infatti, la connessione, cui si riferisce il 3° comma dell'art. 542 c.p. in relazione alla particolare ipotesi di perseguibilità d'ufficio dei reati ivi indicati, riprodotta anche nell'art. 609 septies, 3° comma, n. 4, 1. n. 66 del 1996, è solo quella mate riale e non anche processuale, seppure considerata nel signifi cato più riduttivo previsto dall'art. 12 c.p.p. del 1988 rispetto a
quello dell'art. 45 c.p.p. del 1930, giacché la ratio di detta di
sposizione deve individuarsi nel venir meno dei motivi, posti a base della perseguibilità a querela di questi reati, ed in particola re dell'esigenza della riservatezza, in quanto l'indagine investi
gativa sul delitto perseguibile d'ufficio comporta necessaria mente l'accertamento degli altri e, quindi, la diffusione della
notizia. Pertanto in base a detta ratio l'estensione della perse guibilità d'ufficio può ravvisarsi o perché sono stati commessi nello stesso arco temporale (quando l'uno e l'altro sono stati ef fettuati con la stessa azione od omissione o dalla stessa persona oppure ancora quando uno sia stato posto in essere nell'atto di consumarne un altro o in occasione di questo) ovvero per ese
guire ed occultare un altro ovvero per conseguire l'impunità di un diverso delitto (Cass. 9 luglio 1996, Somma, id.. Rep. 1997, voce cit., n. 37) oppure in tutti quei casi in cui per la persegui bilità d'ufficio di un reato connesso venga meno l'esigenza di riservatezza che è ancora alla base dell'attribuzione del diritto di querela alla parte offesa da questo genere di reati (cfr., da ul
timo, Cass. 23 ottobre 2003, Casentini), sicché detta connessio ne può rinvenirsi pure nella perseguibilità d'ufficio di alcuni fatti di violenza sessuale, tanto più che non è necessaria la con testazione del reato connesso o la contestualità di indagini e di
procedimenti (cfr. Cass. 25 ottobre 2000, Lauceri, id., Rep. 2001, voce cit., n. 43), esistente, nella fattispecie, per quanto at tiene ad entrambi i profili, anche se il primo, per l'episodio della violenza sessuale a mare, potrebbe persino connotare il
delitto, però non contestato e non chiaramente enucleato, di atti osceni in luogo pubblico.
Del resto l'orientamento a favore di un'ampia nozione di connessione di tipo sostanziale e non solo processuale trova ul teriore avallo nella giurisprudenza della Corte costituzionale
(sent. n. 64 del 1998, id., Rep. 1998, voce cit., n. 30), con la
quale è stata ritenuta infondata la questione relativa alla proce dibilità d'ufficio per connessione con reato procedibile d'ufficio
persino estinto prima dell'esercizio dell'azione penale, in
quanto l'estinzione non esclude la sopravvivenza del reato come fatto giuridico ai fini di qualsiasi altro effetto diverso dalla pu nibilità.
La liquidazione delle spese del presente grado di giudizio al
giudice civile discende dalla possibilità, in base alla complessi va valutazione di tutta la vicenda, di poterle ritenere in tutto o in
parte compensate in relazione a quelle sopportate dalla parte ci
vile, sicché appare opportuno attribuire detta valutazione al giu dice deputato a decidere in ordine alla liquidazione del danno
patito dalla vittima in riferimento alla pluralità dei vari episodi di violenza.
Il Foro Italiano — 2004.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; ordinanza 3
dicembre 2003; Pres. Papadia, Rei. Rizzo, P.M. Izzo (conci,
parz. diff.); ric. P.m. in c. Saracino. Annulla Trib. Bari, ord.
21 luglio 2003.
Ordine pubblico (reati contro 1') — Scambio elettorale poli tico-mafioso — Promessa di voti — Accordo sull'uso di
metodi mafiosi nel procacciamento elettorale — Necessità
(Cod. pen., art. 416 ter).
Per integrare il reato di cui all'art. 416 ter c.p. non basta la
qualità di mafioso del soggetto dal quale viene ottenuta la
promessa di voti in cambio dell'erogazione di denaro, bensì è
necessario che l'accordo preveda l'uso di metodi mafiosi per condizionare il corretto e libero esercizio della consultazione elettorale. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 25
marzo 2003; Pres. Sossi, Est. Campo, P.M. Ciampoli (conci,
parz. diff.); ric. Cassata e altri. Annulla senza rinvio App. Pa
lermo 24 luglio 2001.
Ordine pubblico (reati contro 1') — Scambio elettorale poli tico-mafioso — Promessa di voti — Uso dell'intimidazio ne mafiosa — Necessità (Cod. pen., art. 416 ter).
Per la sussistenza del reato di scambio elettorale politico mafioso occorre accertare che colui che ha promesso il pro prio appoggio al candidato faccia poi effettivo ricorso al
l'intimidazione ovvero alla prevaricazione mafiosa, con le modalità precisate nel 3° comma dell'art. 416 bis c.p. cui l'art. 416 ter fa esplicito richiamo, per impedire ovvero ostacolare il libero esercizio del voto e per falsare il risul tato elettorale. (2)
III
TRIBUNALE DI PALERMO; ordinanza 17 maggio 2004; Pres. Sole, Rei. Pilato; ric. Pizzo.
Ordine pubblico (reati contro 1') — Scambio elettorale poli tico-mafioso — Promessa di voti in cambio dell'erogazio ne di denaro — Reato —
Configurabilità (Cod. pen., art. 416 ter).
La fattispecie incriminatrice prevista dall'art. 416 ter c.p. puni sce chi ottiene la promessa di voti di cui al 3° comma del l'art. 416 bis c.p. in cambio dell'erogazione di denaro, sicché l'eventuale successiva fase della raccolta di voti e le moda lità con le quali essa si svolge confluiscono nella categoria giuridica del post factum criminoso del tutto irrilevante ai fi ni della configurabilità del reato. (3)
(1-3) Le pronunzie in epigrafe contribuiscono ad incrementare la scarsa casistica in materia di scambio elettorale politico-mafioso (per un isolato precedente, v. Trib. Palermo 2 giugno 1997, Foro it., 1998, II, 125), sebbene siano ormai trascorsi più di dieci anni dall'introduzio ne nel codice penale di tale reato.
La decisione di cui alla seconda massima, sia pure senza adeguata motivazione in diritto, indulge verso una ricostruzione interpretativa del delitto previsto dall'art. 416 ter c.p. non del tutto fedele al dato let terale della norma, la quale fissa inequivocabilmente la soglia di puni bilità del reato al momento dello scambio tra la promessa di voti e
l'erogazione di denaro (in dottrina, tale rilievo è considerato fuori di scussione: cfr., tra gli altri, Antolisei, Diritto penale, parte speciale, Torino, 2000, II, 245, ove si afferma che il reato «si consuma con la promessa, indipendentemente dall'effettiva prestazione del voto o dalla sua dazione in conformità della richiesta del soggetto attivo»; Fianda :a-Musco, Diritto penale, parte speciale, Bologna, 2002, I, 477, secon do i quali «il reato si consuma col semplice conseguimento della pro
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GIURISPRUDENZA PENALE
I
Svolgimento del procedimento. — Con ordinanza del 16 giu
gno 2003 il g.i.p. del Tribunale di Bari disponeva la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di Saracino
Alessandro, perché gravemente indiziato del reato di cui all'art.
416 ter c.p., per aver ottenuto, in occasione della sua candidatu
ra alle elezioni per la camera dei deputati, la promessa di voti da
parte di esponenti di gruppi criminali camorristico-mafiosi in
cambio dell'erogazione di denaro e di buoni-acquisto. Contro il provvedimento del g.i.p. il Saracino proponeva ri
messa, senza che sia necessario che l'associazione faccia effettiva mente ottenere voti»; e anche Visconti, Il reato di scambio elettorale
politico-mafioso, in Indice pen., 1993, 273, che proprio sulla scorta
della morfologia pattizia della condotta punibile include la fattispecie nella categoria dei «reati-contratto»).
La pronunzia di legittimità di cui alla prima massima, a sua volta non
meno sbrigativa dal punto di vista argomentativo, sembrerebbe voler
correggere, ancorché implicitamente, l'indirizzo suddetto, laddove non
considera l'effettivo procacciamento elettorale con metodi mafiosi un
elemento necessario della fattispecie incriminatrice, precisando altresì che il sintagma «promessa di voti di cui al 3° comma dell'art. 416 bis
c.p.» contenuto nell'art. 416 ter c.p., rinvia alla necessità che l'accordo di scambio elettorale preveda anche il ricorso alla forza di intimidazio ne tipica delle associazioni mafiose.
Risulta supportata da una più approfondita motivazione in diritto, in
vece, la decisione dei giudici di merito di cui alla terza massima, la
quale prende atto che con l'art. 416 ter c.p. «il legislatore ha anticipato la soglia di punibilità alla mera condotta negoziale delle parti, colpendo sic et simpliciter lo scambio fra il denaro e la promessa mafiosa, a nulla
rilevando né il buon esito della consultazione elettorale né l'effettivo
adempimento della promessa da parte del gruppo», pervenendo così
alla conclusione «che il delitto di scambio elettorale possiede tutti i ca
ratteri e le prerogative del reato di pericolo», essendo «sufficiente la
stipula del patto» per mettere a repentaglio «il bene protetto dalla nor
ma ossia l'alterazione del processo di formazione del libero consenso
democratico». Sulla base di questa impostazione di fondo attinente alla scelta poli
tico-criminale del legislatore e all'inquadramento dogmatico della fatti
specie incriminatrice in discorso, Trib. Palermo rileva peraltro che «il
richiamo normativo al procacciamento mafioso dei voti costituisce un
semplice attributo, un modus essendi della promessa che deve contene
re l'intendimento di fare ricorso alla forza propulsiva ed alla ramificata
rete organizzativa dell'associazione mafiosa (c.d. metodo mafioso)»,
imperniandosi il reato sull'incontro «di due volontà rappresentative di
due distinti centri di interesse: da una parte il mafioso che interviene
formulando una promessa di voti in rappresentanza del gruppo mafioso
di cui spende esplicitamente od implicitamente il nome sulla falsariga dello schema giuridico della rappresentanza diretta di cui agli art. 1387
ss. c.c. (promessa qualificata dalla contemplano domini), dall'altro il
promissario acquirente che eroga il denaro».
Per quanto concerne il contenuto e le caratteristiche della promessa di voti di cui all'art. 416 ter c.p., è diffusa in dottrina l'opinione secon
do cui il dettato legislativo lascerebbe all'interprete non pochi punti
problematici oscuri e talora irrisolvibili (v. l'ampio resoconto di Colli
ca, Scambio elettorale politico-mafioso: deficit di coraggio o questione irrisolvibile?, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1999, 887): ad ogni modo, da
parte di alcuni si precisa comunque che la promessa «deve provenire da
qualcuno che agisce per conto dell'organismo mafioso», esprimendo «l'obiettivo programmatico dell'organismo illecito di condizionare la
vita politico-amministrativa» (Ronco, in Codice penale ipertestuale a
cura di Ronco e Ardizzone, Torino, 2003, 1590); mentre altri rilevano
che l'espressione legislativa in questione che richiama il 3° comma
dell'art. 416 bis c.p. «deve ritenersi appunto riferita alla promessa da
parte dell'associazione mafiosa di assicurare al soggetto che eroga il
denaro un sostegno elettorale adeguato al conseguimento dell'obiettivo
ch'egli si propone di realizzare» (De Francesco, Gli art. 416, 416 bis, 416 ter, 417, 418 c.p., in Mafia e criminalità organizzata a cura di Cor
so-Insolera-Stortoni, Torino, 1995, 74); altri ancora ritengono che la
fattispecie incriminatrice presuppone che «i componenti dell'associa
zione promittente si devono impegnare a procurare voti al candidato ri
chiedente, avvalendosi della forza di intimidazione come strumento di
pressione (anche potenziale) sui cittadini votanti» (Fiandaca-Musco, Diritto penale, cit., 476). In ordine alle possibili connessioni sistemati
che tra il reato previsto dall'art. 416 ter c.p. e il concorso esterno nel
l'associazione mafiosa, cfr., di recente, Visconti, Contiguità alla mafia e responsabilità penale, Torino, 2003, e Cavaliere, Il concorso even
tuale nel reato associativo, Napoli, 2003. [C. Visconti]
Il Foro Italiano — 2004.
chiesta di riesame ed il Tribunale di Bari, con ordinanza del 21
luglio 2003, confermava la disposta misura cautelare rilevando
però che nei fatti addebitati al Saracino andava individuato non
già il reato contestato ma quello di cui all'art. 96 d.p.r. 361/57.
Il tribunale riteneva che in ordine a tale reato sussistevano a
carico del Saracino gravi indizi di colpevolezza e richiamava
quanto dichiarato dal collaboratore di giustizia Ranieri Vitanto
nio, già appartenente al gruppo criminale capeggiato da Fiore
Giuseppe e da Risoli Angelo operante nella città di Bari.
Il Ranieri aveva riferito che tali Militello Giovanni e Militello Vincenzo, persone di fiducia del Saracino, su loro richiesta ave
vano ottenuto dal Fiore e dal Risoli la promessa di un loro inte
ressamento per procurare voti a favore del Saracino in cambio
del rilascio di buoni acquisto da spendere in supermercati, buoni
che poi dal Risoli erano stati distribuiti tra i residenti del quar tiere San Pasquale e delle case popolari di corso dei Mille di Ba
ri.
Il Ranieri aveva inoltre dichiarato di avere partecipato ad un
incontro organizzato dal Risoli tra i due Militello ed il boss Pi
peris Carmine, a seguito del quale quest'ultimo si era impegnato a far votare il Saracino in cambio del rilascio di buoni-acquisto.
Il tribunale, dopo avere messo in evidenza che le dichiarazio
ni rese dal Ranieri avevano trovato conferma in quelle rese dal
Piperis e dai responsabili dei supermercati che avevano rila
sciato i buoni-acquisto, precisava che ulteriori elementi di ri
scontro emergevano dalle conversazioni telefoniche intercettate
nell'ambito di altro procedimento e confermava la misura cau
telare disposta dal g.i.p. affermando che, oltre ai gravi indizi di
colpevolezza, ricorrevano anche le esigenze cautelari.
Avverso l'ordinanza del tribunale il procuratore della repub blica presso il Tribunale di Bari ha proposto ricorso per cassa
zione ed ha lamentato che il giudice del riesame, senza motiva
zione alcuna, aveva affermato che nei fatti addebitati al Saraci
no era da individuare il meno grave reato di cui all'art. 96 d.p.r. 361/57.
Anche il Saracino, tramite il suo difensore, ha proposto ricor
so per cassazione ed anzitutto ha dedotto che il tribunale avreb
be dovuto ritenere inattendibili le dichiarazioni rese dal Ranieri,
dato che costui non aveva riconosciuto nelle fotografie a lui mo
strate i due fratelli Militello sebbene aveva dichiarato di essersi
con loro incontrato.
Il ricorrente ha poi sostenuto che le dichiarazioni del Ranieri
erano prive di riscontro date le divergenze esistenti, su diversi
particolari, tra le sue dichiarazioni e quelle rese dal Piperis e dai
responsabili dei supermercati.
Dopo aver sostenuto che il tribunale illegittimamente aveva
utilizzato le intercettazioni telefoniche effettuate nell'ambito di
altro procedimento, il Saracino infine ha lamentato che l'ordi
nanza impugnata aveva confermato la misura cautelare affer
mando, senza adeguata motivazione, che sussistevano le esigen ze cautelari e che egli, pur essendo incensurato, non avrebbe
potuto beneficiare della sospensione condizionale della pena. Con memoria depositata il 17 novembre 2003 il Saracino ha
insistito sull'insussistenza delle esigenze cautelari precisando che in data 15 settembre 2003 il g.i.p. del Tribunale di Bari ha
revocato la misura coercitiva disposta nei suoi confronti.
Motivi della decisione. — Il p.m. ricorrente lamenta che il
tribunale, senza alcuna motivazione, ha affermato che nei fatti
addebitati al Saracino ricorrono gli estremi del reato di cui al
l'art. 96 d.p.r. 361/57 e non quelli del reato di cui all'art. 416
ter c.p. Osserva la corte che la doglianza è manifestamente infondata.
Ed invero, l'ordinanza impugnata, richiamando la sentenza
emessa il 25 marzo 2003 da questa corte (che segue), corretta
mente afferma che non basta per la sussistenza del reato di cui
all'art. 416 ter c.p. la qualità di mafioso del soggetto dal quale viene ottenuta la promessa di voti in cambio dell'erogazione di
denaro. Il predetto articolo richiama il 3° comma dell'art. 416
bis c.p. per cui è necessario che l'accordo preveda l'uso di me
todi mafiosi per condizionare il corretto e libero esercizio della
consultazione elettorale.
Avuto riguardo agli elementi richiesti per la sussistenza del
l'ipotesi delittuosa di cui all'art. 416 ter c.p., la decisione del
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PARTE SECONDA
tribunale non merita censura anche se non ha esplicitato le ra
gioni per le quali nei fatti addebitati al Saracino è da individuare
il meno grave reato di cui all'art. 96 d.p.r. 361/57 ove si consi
deri che nella specie non sussiste elemento alcuno dal quale de
sumere che l'accordo intercorso con i soggetti ritenuti apparte nenti ad organizzazioni camorristico-mafiose prevedeva l'uso
dell'intimidazione o di altri metodi mafiosi al fine di far ottene
re voti a favore del Saracino né al riguardo il p.m. ricorrente ha
fornito indicazioni di sorta.
Relativamente al ricorso proposto dal Saracino è anzitutto da
rilevare che correttamente il tribunale ha ritenuto sussistenti i
gravi indizi di colpevolezza a carico dell'indagato con riferi
mento al reato di cui all'art. 96 d.p.r. 361/57 mettendo in evi
denza che le dichiarazioni rese dal Ranieri hanno trovato ri
scontro, al di là di alcune imprecisioni e contraddizioni su parti colari di valore marginale, nelle dichiarazioni rese dai testi
escussi, dalle quali dichiarazioni emerge che l'indagato si ado
però per il rilascio di buoni-acquisto al fine di ottenere a proprio
vantaggio voti elettorali.
Piuttosto è da rilevare che l'ordinanza impugnata risulta ca
rente di motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari.
Il tribunale ha affermato che ricorre il pericolo che il Saracino
possa reiterare la sua condotta criminosa avuto riguardo alla
gravità dei fatti allo stesso addebitati ed alla personalità dell'in
dagato, ma non ha indicato gli specifici elementi che in concreto
consentono di ipotizzare che lo stesso possa ulteriormente viola
re la norma di cui all'art. 96 d.p.r. 361/57, considerato peraltro che il reato da essa previsto può essere commesso soltanto in
occasione di consultazioni elettorali.
Ne consegue che, dichiarato inammissibile il ricorso del p.m., l'ordinanza impugnata va annullata per difetto di motivazione
con rinvio al Tribunale di Bari. (Omissis)
II
Osserva. — 1. - Con sentenza in data 31 marzo 2000 il Tri
bunale di Termini Imerese, per quanto interessa in questa sede, affermava la responsabilità di:
Cassata Salvatore, Macaione Andrea, Manzone Antonio, Ma
ranto Saverio, Morello Antonino, Schittino Pasquale e Sortino
Salvatore per il reato di cui all'art. 416 bis c.p.; Macaione, Maranto Saverio e Maranto Antonio per il reato di
cui agli art. 81, cpv., 110, 61, n. 7, 629, 1° e 2° comma, c.p. e 7
1. 12 luglio 1991 n. 203; Morello Antonino per il reato di cui all'art. 416 ter c.p.; Musotto Cesare e Sortino Salvatore per il reato di cui agli art.
110, 81, cpv., c.p., 10 e 14 1. 14 ottobre 1974 n. 497 e 7 1. 12 lu
glio 1991 n. 203; e condannava, ritenuta la continuazione per i
fatti di reato addebitati a Macaione, Maranto Saverio, Sortino e Morello e applicate le circostanze attenuanti generiche a Mu
sotto e Schittino; Cassata alla pena di dieci anni di reclusione; Macaione a quella di dodici anni di reclusione e lire cinque
milioni di multa; Manzone alla pena di tredici anni di reclusione; Maranto Saverio alla pena di undici anni di reclusione e lire
quattro milioni cinquecentomila di multa; Maranto Antonio alla pena di dieci anni di reclusione; Sortino alla pena di undici anni di reclusione e lire due milio
ni di multa; Morello alla pena di dodici anni di reclusione; Musotto alla pena di anni due e mesi due di reclusione e lire
un milione cinquecentomila di multa; Schittino alla pena di anni quattro di reclusione; oltre a quelle accessorie per legge per Cassata, Manzone,
Sortino, Morello, Macaione e i due Maranto.
Assolveva, per quanto interessa in questa sede, Schittino An
gelo dal reato di estorsione pluriaggravata. 2. - A seguito delle impugnazioni del pubblico ministero e
degli imputati la Corte d'appello di Palermo con sentenza in
data 24 luglio 2001, in parziale riforma di quello di primo gra do, assolveva:
Il Foro Italiano — 2004.
Macaione dal reato di cui all'art. 416 bis c.p. per non avere
commesso il fatto; Maranto Saverio, Maranto Antonio e Macaione da quello di
cui agli art. 81, cpv., 110, 61, n. 7, 629, 1° e 2° comma, c.p. e 7
1. 203/91 perché il fatto non sussiste;
riqualificava il reato di cui all'art. 416 bis c.p. contestato a
Maranto Saverio come quello di cui agli art. 378 c.p. e 7 1.
203/91; escludeva per Musotto e Sortino la ritenuta continuazione in
terna per il reato di cui agli art. 110, 81, cpv., c.p., 10, 14 1.
497/74 e 7 1. 203/91; rideterminava le pene irrogate a;
Cassata in anni otto di reclusione; Manzone in anni dieci di reclusione;
Maranto Saverio in anni quattro di reclusione; Morello Antonino in anni nove di reclusione;
Musotto in un anno e sei mesi di reclusione, ritenuta la conti
nuazione con il più grave reato di cui all'art. 416 bis c.p. per il
quale era stato condannato dalla Corte d'appello di Palermo in
data 31 luglio 1999, elevando la pena inflitta dal citato giudice a
quella di anni sei e mesi sei di reclusione;
Sortino in anni otto e mesi dieci di reclusione; confermando nel resto la sentenza impugnata. 3. - Ricorrono per cassazione il procuratore generale della re
pubblica presso la Corte d'appello di Palermo nei confronti di
Maranto Antonio, Maranto Saverio, Macaione e Schittino An
gelo, nonché per il tramite dei rispettivi difensori, Cassata,
Manzone, Morello, Musotto, Schittino Pasquale e Sortino, i
quali deducono: — il procuratore generale:
a) erronea applicazione di legge (art. 606, 1° comma, lett. b,
c.p.p. in relazione agli art. 81, 378 e 416 bis c.p.), asserendo che
le condotte accertate a carico di Maranto Saverio, per il reale ed
effettivo contributo arrecato all'organizzazione mafiosa in
quanto finalizzato al mantenimento della stessa e alla realizza
zione del suo programma criminale, concretizzavano il reato di
cui all'art. 416 bis c.p. e non già quello di favoreggiamento ag
gravato ritenuto dalla corte territoriale, e rilevando che, a tutto
concedere, in presenza di una pluralità di condotte, si era in pre senza di più reati di favoreggiamento con conseguente obbliga torio aumento della pena ai sensi dell'art. 81, cpv., c.p.;
b) erronea applicazione di legge e vizio di motivazione (art.
606, 1° comma, lett. b ed e c.p.p. in relazione all'art. 416 bis
c.p.), in quanto Macaione era stato assolto da reato di partecipa zione ad associazione per delinquere di tipo mafioso, pur in pre senza di molteplici chiamate in reità, sulla illogica argomenta zione che, essendo la fonte di dette propalazioni soggetto mafio
so e non essendo tali i chiamanti in reità, era poco verosimile
che un mafioso avesse confidato a terzi estranei circostanze ri
servate concernenti l'associazione per delinquere, e su quella,
parimenti illogica, riguardante la scarsa attendibilità dei dichia
ranti in quanto portatori di pregressi rancori nei confronti del
Macaione;
c) violazione di legge (art. 606, 1° comma, lett. c, c.p.p. in
relazione all'art. 521 stesso codice), affermando che l'assolu
zione di Schittino Angelo per i due episodi di estorsione plu
riaggravata in danno di Marino Gaetano e Grappa Antimo era
basata sull'errato presupposto che si era accertato che le moda
lità di commissione delle stesse differivano da quanto enunciato
nel capo d'imputazione, mentre la mera diversità di dettagli delle modalità di esecuzione dei reati in questione non costitui
va «fatto nuovo», non essendo avvenuta una trasformazione ra
dicale, tale da pregiudicare i diritti di difesa dell'imputato, della fattispecie nei suoi elementi essenziali;
d) vizio di motivazione (art. 606, 1° comma, lett. e, c.p.p.), assumendo che la corte territoriale, nell'assolvere Macaione, Maranto Antonio e Maranto Saverio dal reato di estorsione plu
riaggravata in danno di Musumeci Andrea, aveva valorizzato
soltanto la ritrattazione dibattimentale di quanto dichiarato in
sede di indagini preliminari dalla parte offesa, non tenendo
conto degli altri copiosi elementi in atti, dettagliatamente elen
cati, dai quali non solo venivano confermate le dichiarazioni
fatte dal Musumeci alla polizia giudiziaria, ma anche l'esistenza
delle condotte estorsive contestate agli imputati;
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GIURISPRUDENZA PENALE
— Cassata:
a) erronea applicazione e violazione di legge (art. 606, 1°
comma, lett. b ed e, c.p.p. in relazione agli art. 414 e 649 stesso
codice), asserendo che in presenza di nuove emergenze probato rie il pubblico ministero, essendo stato l'imputato già sottoposto ad indagine per il reato di cui all'art. 416 bis c.p. ed essendo
stata la relativa notizia di reato archiviata per infondatezza, per iniziare la nuova indagine relativa al medesimo reato avrebbe
dovuto essere autorizzato dal competente g.i.p. con specifico
decreto, e rilevando che, in presenza di identità sia delle fonti
probatorie che dell'identificata associazione per delinquere (Co
sa nostra) andava applicato l'art. 649 c.p.p.;
b) vizio di motivazione (art. 606, 1° comma, lett. e, c.p.p. in
relazione all'art. 192 stesso codice), in quanto la corte territo
riale non ha proceduto ad accertare l'attendibilità soggettiva dei
collaboratori di giustizia, fonti delle accuse rivolte all'imputato, né a indicare i rispettivi riscontri estrinseci alle loro dichiara
zioni, così come illogicamente ha basato l'affermazione di re
sponsabilità del Cassata sul contenuto manifestamente contrad
dittorio di tali propalazioni; c) vizio di motivazione (art. 606, 1° comma, lett. e, c.p.p. in
relazione all'art. 62 bis c.p.), in quanto le circostanze attenuanti
generiche, in presenza dell'asserita marginalità dell'apporto del
Cassata a Cosa nostra, non potevano essere denegate con il solo
riferimento alla gravità del reato;
d) erronea applicazione di legge e vizio di motivazione (art.
606, 1° comma, lett. b ed e, c.p.p. in relazione all'art. 133 c.p.),
perché, pur se ridotta rispetto a quella irrogata in primo grado, la pena inflitta era eccessiva e priva di motivazione relativa
mente ai criteri adottati per determinarla; — Manzone:
a) violazione di legge e vizio di motivazione (art. 606, 1°
comma, lett. c ed e, c.p.p. in relazione all'art. 192 stesso codi
ce), rilevando che, riguardo all'utilizzazione del contenuto della
dichiarazione del collaboratore Randazzo, sono state adoperate
argomentazioni palesemente illogiche e, relativamente al colla
boratore Calvaruso, se ne è affermata l'attendibilità nonostante
l'evidente irregolarità dell 'iter di acquisizione dei c.d. riscontri
e la totale mancanza di motivazione sul punto;
b) erronea applicazione di legge e vizio di motivazione (art.
606, 1° comma, lett. b ed e, c.p.p. in relazione all'art. 416 bis,
2° comma, c.p.), osservando che, sulla scorta degli elementi
probatori acquisiti agli atti e specificamente elencati e sottoposti
a puntuali censure, è stata erroneamente attribuita all'imputato
la qualifica di dirigente dell'associazione per delinquere di tipo mafioso con motivazione palesemente illogica e contraddittoria
attesa l'asserita incapacità al comando del Manzone;
c) erronea applicazione di legge e vizio di motivazione (art.
606, 1° comma, lett. b ed e, c.p.p. in relazione agli art. 62 bis e
133 c.p.), in quanto il diniego delle richieste circostanze atte
nuanti generiche era motivato con argomentazioni di stile e la
corte territoriale, nel determinare la pena, non aveva tenuto
conto di tutti gli elementi soggettivi e oggettivi riguardanti
l'imputato; — Morello:
a) erronea applicazione di legge e vizio di motivazione (art.
606, 1° comma, lett. b ed e, c.p.p. in relazione agli art. 192, 3° e
4° comma, stesso codice e 416 bis c.p.), rilevando che la corte
territoriale aveva disatteso le regole che presiedono alla valuta
zione della prova in presenza di chiamate di correità, aveva
ignorato gli elementi probatori decisivi per una pronuncia di as
soluzione dell'imputato, aveva erroneamente ritenuto come
partecipativa ad associazione per delinquere di tipo mafioso una
condotta qualificabile, al più, come favoreggiamento reale —
indicando le circostanze poste a giustificazione di tali afferma
zioni — e non aveva dato alcuna risposta alle pregnanti do
glianze esposte con l'atto di appello;
b) erronea applicazione di legge e vizio di motivazione (art. 606, 1° comma, lett. b ed e, c.p.p. in relazione all'art. 416 ter
c.p.), asserendo che la condotta addebitata all'imputato non
concretizzava il reato di scambio politico-mafioso di cui all'art.
416 ter c.p., atteso che non era stata accertata un'attività realiz
zata dal Manzone di «imposizione del candidato da votare» con
Il Foro Italiano — 2004.
metodi mafiosi, bensì si era dimostrato soltanto che l'imputato aveva ottenuto la disponibilità del mafioso Roncadore ad ap
poggiare la candidatura di Drago Girolamo;
c) erronea applicazione di legge e vizio di motivazione (art.
606, 1° comma, lett. b ed e, c.p.p. in relazione agli art. 62 bis e
133 c.p.), in quanto la corte territoriale, nel determinare l'entità
della pena inflitta, ha eluso i parametri indicati a tale scopo dalla legge e, inoltre, non ha dato alcuna motivazione in ordine
all'applicazione delle circostanze attenuanti generiche solleci
tata con l'atto di appello; — Musotto:
a) erronea applicazione di legge e vizio di motivazione (art.
606, 1° comma, lett. b ed e, c.p.p. in relazione all'art. 81 c.p.), in quanto l'aumento di pena per continuazione, su altra pena
comminata all'imputato con diversa sentenza, era privo di moti
vazione anche in relazione alla sua notevole entità e al leale
comportamento processuale dell'imputato; — Schittino: a) vizio di motivazione (art. 606, 1° comma, lett. e, c.p.p.), in
quanto in presenza di un rilevante apporto collaborativo del
l'imputato per l'accertamento dei fatti di causa, illogicamente
gli era stata denegata l'applicazione della circostanza attenuante
di cui all'art. 8 1. 12 luglio 1991 n. 203; — Sortino:
a) vizio di motivazione (art. 606, 1° comma, lett. e, c.p.p.),
perché la corte territoriale ha utilizzato a carico dell'imputato
fonti di prova, costituite da sole chiamate in reità rese da colla
boratori di giustizia, senza attenersi ai criteri indicati dalla legge
per la loro valutazione;
b) erronea applicazione e violazione di legge e vizio di moti
vazione (art. 606, 1° comma, lett. b, c ed e, c.p.p. in relazione
all'art. 7 d.l. 152/91), affermando che, ai fini della sussistenza
della circostanza aggravante di cui all'art. 7 d.l. 152/91, è ne
cessario, allorquando la si contesta a un membro dell'associa
zione per delinquere di tipo mafioso, una specifica motivazione,
mancante nella sentenza gravata, in ordine alla presenza di un
dolo specifico, diverso da quello inerente alla partecipazione al
l'organismo criminale, di agire per gli scopi dell'associazione;
c) vizio di motivazione (art. 606, 1° comma, lett. e, c.p.p.), rilevando che le richieste circostanze attenuanti generiche sono
state denegate sulla scorta della sola asserita gravità del reato
senza prendere in considerazione gli specifici parametri, sog
gettivi e oggettivi, di cui all'art. 133 c.p.; d) vizio di motivazione (art. 606, 1° comma, lett. e, c.p.p.),
perché nel determinare la pena irrogata all'imputato è stata pre
sa in considerazione soltanto la posizione di costui ricoperta al
l'interno dell'associazione per delinquere, omettendosi la valu
tazione di ogni altro elemento.
Nelle more dell'odierna udienza i difensori di Cassata e Sor
tino depositavano motivi aggiunti, con i quali ulteriormente illu
stravano le doglianze relative, rispettivamente, all'eccezione
procedurale riguardante la violazione degli art. 414, 434 e 649
c.p.p. e alla violazione dei criteri di valutazione della prova di
cui all'art. 192 c.p.p. I difensori di Macaione e Schittino depositavano memorie di
fensive dirette a evidenziare l'inammissibilità e l'infondatezza
del ricorso proposto dal procuratore generale nei confronti dei
loro assistiti.
4. - È meritevole di accoglimento il gravame proposto da Mo
rello limitatamente, peraltro, al ritenuto reato di cui all'art. 416
ter c.p., mentre tutti gli altri ricorsi vanno respinti siccome in
fondati.
4 a. - Invero, per la giuridica sussistenza del reato di cui al
l'art. 416 ter c.p. (c.d. voto di scambio politico-mafioso) è ne
cessario che la promessa, effettuata con una contropartita di
erogazione di somme di denaro e ricevuta da chi si sia candidato
a elezioni politico-amministrative, di procurare voti abbia il so
stegno di chi impieghi il metodo mafioso per adempiere alla
promessa data.
In altri termini è necessario che colui che ha promesso il pro
prio appoggio al candidato faccia ricorso all'intimidazione ov
vero alla prevaricazione mafiosa, con le modalità precisate nel
3° comma dell'art. 416 bis c.p. cui l'art. 416 ter fa esplicito ri
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PARTE SECONDA
chiamo, per impedire ovvero ostacolare il libero esercizio del
voto e per falsare il risultato elettorale.
Detti elementi, essenziali per la configurazione del reato in
questione, lo distinguono dai similari illeciti di cui agli art. 96 e 97 d.p.r. 30 marzo 1957 n. 361 (t.u. delle leggi elettorali), che
parimenti sanzionano penalmente condotte di minaccia ovvero di promessa o di somministrazione di denaro o di altre utilità fi nalizzate a influenzare il libero comportamento del cittadino elettore.
Ne discende che, come verificatosi nella specie che ci occupa, la sola qualità di mafioso rivestita da chi è stato interessato,
previa consegna di denaro, da un candidato per appoggiarne la
campagna elettorale non è, di per sé sola, circostanza sufficiente
per provare non solo la collusione tra il predetto candidato e
l'organizzazione criminale di appartenenza, ma l'uso di metodi mafiosi per influenzare il corretto e libero svolgimento della
competizione elettorale.
La sentenza impugnata va, pertanto, annullata sul punto senza
rinvio perché il reato di cui all'art. 416 ter non sussiste con con
seguente esclusione della relativa pena irrogata al Morello e ri determinazione di quella residua nei termini meglio indicati in
dispositivo. 4 b. - Le doglianze avanzate dal ricorrente procuratore gene
rale con i motivi sub lett. a), b) e d) e dai ricorrenti Cassata con il motivo sub lett. b), Manzone con i motivi sub lett. a) e b), Morello con il motivo sub lett. a), Schittino con il solo motivo dedotto e Sortino con il motivo sub a) si risolvono in censure in fatto in quanto tutti i sunnominati ricorrenti mirano a ottenere una valutazione degli elementi probatori utilizzati in sentenza
per giustificare la decisione adottata diversa da quella effettuata — con argomentazioni che, per essere esenti da vizi logico giuridici o da errori di diritto, non possono essere sottoposti al controllo della Corte di cassazione — dai giudici del merito, co sì richiedendo un giudizio sul fatto, non previsto per legge (art. 606, ultimo comma, c.p.p.) come motivo per ricorrere per cas sazione.
4 c. - Inoltre, risultano infondati i motivi dedotti: — da Cassata con il motivo sub lett. c), Manzone con il moti
vo sub lett. c), Morello con il motivo sub lett. c) e Sortino con il motivo sub lett. c), in quanto le circostanze attenuanti generiche possono essere denegate anche con il solo rilievo della gravità del fatto di reato addebitato all'imputato. Infatti tale parametro è tra quelli elencati nell'art. 133 c.p., cui deve rapportarsi il giu dice nella valutazione sull'applicabilità o meno di detta circo stanza attenuante, di guisa che il relativo riferimento è suffi ciente per giustificare la decisione adottata, con tale scelta es sendo stata ritenuta la prevalenza di detto parametro su tutti gli altri indicati in detta norma, di guisa che ultroneo risulterebbe il loro esame. Inoltre, per quanto concerne il Morello, la corte ter ritoriale non era tenuta a motivare sul punto, essendo la richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche indicata nell'atto di appello in modo del tutto generico («... la pena era eccessiva ed andava ridotta previa concessione delle attenuanti
generiche ...», come si legge a pag. 38 della sentenza impu gnata) ed essendo stata ridotta la pena in considerazione dell'e levata età di detto imputato;
— da Sortino, relativamente alla ritenuta aggravante di cui all'art. 7 1. 12 luglio 1991 n. 203 (motivo sub lett. b), perché detta circostanza è configurabile (sez. un. 28 marzo 2001, Ci nalli e altri, Foro it., 2002, II, 297) anche nei confronti del par tecipe ad un'associazione per delinquere di tipo mafioso che commetta un reato idoneo ad agevolare l'attività dell'organiz zazione criminale, tale dovendosi qualificare la detenzione di un numero rilevante di armi per conto di uno dei capi del sodalizio
mafioso, e il cui elemento soggettivo consiste nella cosciente volontarietà della condotta detentiva finalizzata a detto scopo;
— da Musotto in relazione alla carenza di motivazione per la determinazione dell'entità della pena
— un anno e sei mesi di reclusione — da apportare in aumento al più grave fatto di reato unificato per continuazione, perché la quantificazione della pe na, di entità, peraltro, non eccessiva rispetto a quella edittale
prevista per il reato di detenzione illegale di un rilevante nume ro di armi da sparo, risulta motivata, sia pure implicitamente,
Il Foro Italiano — 2004.
laddove si specificano le modalità di fatto, tempo, luogo e fina
lità del reato in questione, di per sé sole idonee a giustificare il
trattamento sanzionatorio adottato, trattandosi di una condotta
detentiva finalizzata all'occultamento di diverse armi di perti nenza di un pericoloso sodale dell'organizzazione criminale de
nominata Cosa nostra; — da Cassata riguardo al motivo sub lett. d), atteso che la ri
duzione della pena irrogatagli in primo grado è stata motivata
mediante l'uso della locuzione eccessiva, di per sé sufficiente
per giustificare la decisione prescelta in quanto tale giudizio
presuppone la valutazione, diversa, degli elementi posti a sup
porto della determinazione sanzionatoria effettuata dal giudice di prime cure e, quindi, indica il criterio seguito dal giudice per addivenire a detta riduzione;
— dal procuratore generale con parte del motivo sub lett. a)
proposto nei confronti di Maranto Saverio, dal momento che la
condotta di favoreggiamento attribuita al sunnominato imputato, così come accertata dai giudici del merito e descritta a pag. 113
e 114 della sentenza impugnata, risulta unica, pur se ripartita in
ripetuti atti della stessa specie, di guisa che non è ravvisabile
l'applicabilità dell'istituto della continuazione, che ha come
presupposto la commissione di diversi fatti di reato e non la
realizzazione di più atti concretizzanti la commissione di un'u
nica condotta criminosa con essi frazionabile. Al qual proposito è opportuno chiarire che anche i reati a condotta plurima, tra i
quali rientra (per la forma concreta accertata nel caso che ci oc
cupa) quello di favoreggiamento personale, possono presentare un frazionamento della loro condotta in più atti, diversamente da quelli unisussistenti —
qui unico actu perficiuntur — nei
quali l'atto e la condotta coincidono in un'unica azione mate
riale.
4 d. - Il motivo proposto da Sortino sub lett. d) è inammissi
bile siccome, al contempo, infondato e generico, atteso che il ri
corrente si limita a lamentare l'eccessività della pena inflittagli e la sua determinazione senza che la corte territoriale abbia va
lutato alcun altro elemento, al di fuori della posizione dell'im
putato all'interno del sodalizio criminale, in tal modo, per un
verso, ammettendo che la determinazione dell'entità della pena è stata giustificata dai giudici del merito da una precisa circo stanza di fatto (la predetta posizione all'interno dell'associazio
ne) e, per altro verso, non supportando l'affermazione relativa alla mancata valutazione, a tal fine, da parte della corte territo riale di altri elementi con specifiche indicazioni sulla loro natura e valenza giuridica. (Omissis)
III
(Omissis). F) Sussumibilità del fatto all'ipotesi di cui all'art. 416 ter c.p. All'udienza camerale le parti hanno dibattuto se l'u so della minaccia o della forza d'intimidazione nella fase di rac colta dei voti rientri o meno fra gli elementi costitutivi della
fattispecie o meno.
In particolare si è posto l'accento sull'incertezza interpretati va suscitata da un'isolata e recente pronuncia della prima sezio ne della Corte di cassazione, che, contravvenendo ad un conso lidato orientamento formatosi in materia, ha statuito che «Il de litto di scambio elettorale politico-mafioso non può ritenersi :onsumato per il solo fatto che l'uomo politico abbia conse
gnato denaro ad un esponente mafioso al fine di farsi appoggia re nella propria campagna elettorale, ma esige che l'esponente mafioso, al fine di indurre gli elettori a votare per l'uomo politi co, ricorra agli strumenti dell'intimidazione e della prevarica tone mafiosa» (Cass., sez. I, 25 marzo 2003, Cassata, che pre cede).
La soluzione al quesito non può prescindere dalla riflessione sulla funzione e sulla struttura giuridica della norma che sotto >one alla «pena stabilita dall'art. 416 bis anche chi ottiene la
M'omessa di voti prevista dal 3° comma del medesimo articolo n cambio dell'erogazione di denaro».
È noto che il legislatore, muovendosi nell'ottica di un raffor :amento e di un'estensione della tutela penale, ha introdotto il eato di scambio elettorale per colpire una grave forma di conti
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GIURISPRUDENZA PENALE
guità politico-mafiosa che, non potendo sempre essere ricon
dotta dentro il cono d'azione del concorso esterno per l'impos sibilità di individuare il contributo al rafforzamento dell'asso
ciazione, finiva per lasciare impunita la riprovevole condotta del
politico limitatosi ad erogare denaro all'associazione mafiosa in
cambio della promessa di voti.
Trattasi dunque di una norma introdotta a presidiò di fonda
mentali valori dello Stato di diritto, quali l'esercizio del diritto
di voto e la libera formazione del consenso democratico.
Ora, la funzione rafforzativa-anticipatoria della norma è evi
dente sol che si consideri che il legislatore, da un lato ha parifi cato quoad poenam il disvalore sociale dello scambio di voti al
delitto di associazione mafiosa di cui all'art. 416 bis c.p., dal
l'altro lato ha anticipato la soglia di punibilità alla mera con
dotta negoziale delle parti, colpendo sic et simpliciter lo scam
bio tra il denaro e la promessa mafiosa di voti, a nulla rilevando
né il buon esito della consultazione elettorale né l'effettivo
adempimento della promessa da parte del gruppo. La lettura del testo normativo, infatti, dimostra come il reato
presupponga l'esistenza di due volontà rappresentative di due
distinti centri d'interesse: da una parte, il mafioso che interviene
formulando una promessa di voti in rappresentanza del gruppo mafioso di cui spende esplicitamente od implicitamente il nome
sulla falsariga dello schema giuridico della rappresentanza di
retta di cui agli art. 1387 ss. c.c. (promessa qualificata dalla
contemplatio domini), dall'altro il promissario acquirente che
eroga il denaro.
L'interazione fra le due condotte avviene secondo quel vin
colo di sinallagmaticità conosciuto nell'ambito dei contratti a
prestazioni corrispettive. Risulta poi evidente, nell'ottica anticipatoria suindicata, che
l'obbligazione del mafioso promittente costituisce una semplice
prestazione di mezzi, concretantesi nell'impegno di raccogliere voti con l'utilizzo delle risorse e delle capacità dell'organizza zione criminosa, ivi ovviamente compresa la forza d'intimida
zione.
Su questo terreno argomentativo può accedersi alla conclu
sione che il delitto di scambio elettorale possiede tutti i caratteri
e le prerogative del reato di pericolo, poiché è sufficiente la sti
pula dello scellerato patto per ledere il bene protetto dalla nor
ma ossia l'alterazione del processo di formazione del libero
consenso democratico.
Da tali considerazioni risulta chiaro che il momento di con
sumazione del reato è stato dal legislatore fissato nel preciso momento in cui alla promessa qualificata corrisponde l'eroga zione del denaro.
Orbene, se il reato si consuma nel momento dello scambio
promessa/denaro, deve giocoforza concludersi che la successiva
fase della raccolta dei voti, e le modalità con cui essa concreta
mente avviene, confluiscono nella categoria giuridica del post
factum criminoso, del tutto irrilevante ai fini della configurabi lità del reato.
Ed è alla luce di questo principio che va correttamente inqua drato il richiamo al 3° comma dell'art. 416 bis c.p.
Invero, il richiamo normativo al procacciamento mafioso dei
voti costituisce un semplice attributo, un modus essendi della
promessa che deve contenere l'intendimento di fare ricorso alla
forza propulsiva ed alla ramificata rete organizzativa dell'asso
ciazione mafiosa (c.d. metodo mafioso). Diventa allora un problema apparente stabilire se l'accordo
elettorale contenga anche l'espressa pattuizione del ricorso alla
minaccia o alla forza d'intimidazione, poiché questa particolare
(e meramente eventuale) modalità di estrinsecazione del metodo
mafioso deve ritenersi contenuta nel fatto stesso che il politico chieda ed ottenga il sostegno diretto dell'associazione mafiosa,
essendo noto che frequentemente l'associazione mafiosa deno
minata Cosa nostra non deve affatto ricorrere alla minaccia o
all'intimidazione esplicita, potendo contare sull'efficace capa
cità di assoggettamento del libero arbitrio derivante dal secolare
radicamento territoriale e culturale.
D'altra parte pretendere l'espressa promessa (o pattuizione) dell'intimidazione o della minaccia per la raccolta di larghi con
sensi elettorali costituisce un'ipotesi decisamente astratta, im
II Foro Italiano — 2004.
plicante una sostanziale interpretatio abrogans della norma. È
infatti del tutto inverosimile — se non addirittura illogico —, che il mafioso garantisca ali'extraneus il ricorso alla minaccia
di una collettività indistinta e generalizzata di elettori per con
seguire la convergenza elettorale promessa. Se dunque la promessa esplicita della coartazione non costi
tuisce una qualità indispensabile del patto politico-elettorale, tantomeno si richiede che la raccolta dei voti avvenga material
mente con il concreto esercizio della minaccia o dell'intimida
zione, perché se così fosse, si determinerebbe una proiezione in
avanti del momento consumativo del reato dalla stipula del
patto alla raccolta dei voti, trasformandosi in reato di danno una
figura da annoverare nella categoria dei reati di pericolo. Così delineata la fattispecie, non v'è dubbio che alla stregua
del giudizio prognostico formulabile in sede di tutela urgente, la
condotta del Pizzo vada sussunta nell'alveo normativo dell'art.
416 ter c.p. Dal compendio indiziante sopra esaminato possono infatti
estrapolarsi tutti gli elementi costitutivi della fattispecie crimi
nosa.
Quanto all'elemento oggettivo del reato, va infatti sottoli
neato come la proposta posta illecita sia provenuta e sia stata
intensamente perseguita dall'indagato durante l'arco della cam
pagna elettorale del 2001. Se da un canto si è acquisita la prova nitida del negozio illecito e della sua esecuzione con l'incame
ramento del denaro confluito nelle casse della famiglia retta da
Bonafede Natale e ripartito nelle modalità analiticamente indi
cate dal collaborante, dall'altro lato è emerso che Concetto Ma
riano ha dichiaratamente agito in nome e per conto dell'associa
zione criminosa, spendendone il nome sia al momento della de
terminazione del corrispettivo dovuta dal politico, sia al mo
mento della raccolta dei voti.
Quanto all'elemento soggettivo può affermarsi che il Pizzo
era pienamente consapevole di avere chiesto ed ottenuto la pro messa di voti da un soggetto che non agiva uti singuli ma quale
rappresentante la famiglia mafiosa da cui riceveva istruzioni, e
di aver avuto, in ogni fase della vicenda, la chiara rappresenta zione della contemplatio domini che portava ad individuare nel
reggente della famiglia Bonafede Natale il vero contraente.
D'altra parte, sovviene in tal senso anche una considerazione
d'ordine logico, poiché la stessa entità della richiesta di ben
mille voti, lascia intendere che il Pizzo abbia intenzionalmente
cercato il sostegno della famiglia mafiosa, essendo impensabile che un supporto di queste dimensioni potesse provenire dalla
collaborazione di un quisque de populo. Ed è lo stesso Concetto Mariano che ha indirettamente sotto
lineato questo profilo laddove ha riferito che in occasione delle
successive elezioni comunali in cui si era personalmente candi
dato l'indagato, egli aveva offerto al Pizzo solo il suo impegno
personale con una raccolta di appena dieci voti, spiegandogli il
motivo per cui non potesse coinvolgere gli altri componenti della famiglia di Marsala, com'era avvenuto per le elezioni re
gionali del 2001. Le considerazioni svolte in diritto ed in fatto nel capo F della
presente ordinanza, consentono di ritenere superate le ulteriori
eccezioni della difesa che ha posto l'indice, da un canto sulla
mancanza di prova di rapporti diretti fra il Pizzo ed altri espo nenti dell'organizzazione mafiosa, essendovi soltanto un rap
porto interpersonale fra l'indagato ed il collaborante, dall'altro
canto sulla presenza di un mero interesse economico a percepire il compenso offerto dal Pizzo per una mera collaborazione elet
torale, senza traccia alcuna di quell'interesse strategico d'infil
trazione nella vita politico-istituzionale perseguita dalla fami
glia mafiosa di Marsala.
Quanto al primo profilo va infatti replicato che per la confi
gurabilità del reato non occorre la prova di rapporti con una plu ralità di esponenti dell'associazione mafiosa, essendo suffi
ciente che dai contatti con l'unico rappresentante mafioso
emerga, come detto, la contemplatio domini.
Quanto al secondo profilo, è sufficiente replicare che l'inte
resse concretamente perseguito dall'associazione mafiosa non
rientra nel paradigma normativo di cui all'art. 416 ter c.p., né
come elemento costitutivo e neanche come generico presuppo sto di punibilità.
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S 1 9 PA RTF SF.rONDA S70
Deve pertanto concludersi per l'esistenza dei gravi indizi di
colpevolezza ex art. 273 c.p.p. G) Esigenze cautelari. Il reato di scambio elettorale politico
mafioso non è previsto fra le ipotesi assistite dalla presunzione iuris tantum di sussistenza delle esigenze cautelari previste dal
l'art. 275, 3° comma, c.p.p. Sebbene una delle ragioni di tale esclusione sia probabil
mente imputabile a ragioni di mero coordinamento legislativo, l'estensione della presunzione all'ipotesi di specie, affermata
dal p.m. sulla considerazione del rinvio quoad poenam effet
tuato dall'art. 416 bis c.p., costituirebbe un'interpretazione creativa, in aperta violazione del dettato normativo.
Ciò posto si ritengono condivisibili le affermazioni del giudi ce per le indagini preliminari che, sia pur richiamando la moti
vazione contenuta nella richiesta di custodia cautelare, ha af
fermato l'esistenza dell'esigenza di cui alle lett. a) e c).
Quanto al pericolo di inquinamento probatorio si osserva che
si versa tutt'ora in quella delicata fase di acquisizione di ulterio
ri riscontri da parte di diversi soggetti a conoscenza dei fatti, come dimostrato dalle dichiarazioni integrative rese dal Laudi
cina nell'interrogatorio del 30 aprile 2004 e dalle dichiarazioni
rese da Mauro Giovanni e Carnese Giuseppe con le modalità
previste dall'art. 391 bis c.p.p. Ciò implica la necessità di salvaguardare il consolidamento
delle acquisizioni probatorie e la genuinità delle fonti ancora da
acquisire con i necessari approfondimenti investigativi.
Questa fase transitoria potrebbe essere irrimediabilmente
compromessa dal potere d'influenza politico-affaristica consoli
dato dall'indagato nel territorio marsalese.
Potrebbero così essere compromessi gli elementi di prova che
è possibile ancora acquisire da quei soggetti che sono venuti a
contatto col Pizzo durante l'illecita raccolta del consenso eletto
rale, e si potrebbe consentire la costruzione di una concordata
versione di comodo al fine di offrire un'artificiosa lettura alter
nativa dell'intera vicenda.
Quanto all'esigenza di cui alla lett. c), è noto che l'esigenza di specialprevenzione può ricavarsi da numerosi elementi, quali la gravità del fatto-reato, e tutti gli aspetti oggettivi e soggettivi in grado di esprimere la pericolosità del soggetto e l'inclinazio
ne a delinquere, ivi compresi i parametri di cui all'art. 133 c.p. Nella specie, non può non sottolinearsi che la gravità del
reato contestato al Pizzo in nulla differisce, sotto il profilo del
disvalore sociale e della gravità della pena, alla partecipazione all'associazione mafiosa.
Alla gravità del fatto si aggiungono i gravi indizi emersi sulla
reiterazione di identiche condotte già in occasione delle consul
tazioni elettorali del 1986 e del 1996.
Alcuni passaggi investigativi denotano inoltre l'intensità del
dolo con il quale il Pizzo ha perseguito il fine illecito, non solo
proponendo il patto dicendo che «stavolta non avrebbe badato a
spese», ma chiedendo poi di estendere il campo d'azione del
l'attività di procacciamento anche nel territorio di Alcamo.
Gravità del fatto, continuità e contiguità dei rapporti, ed in
tensità del dolo esprimono dunque la concretezza e l'attualità
del pericolo di reiterazione, dovendo peraltro considerarsi che
l'indagato, sfruttando le attuali cariche politico-amministrative e la continuità delle conoscenze negli ambienti mafiosi della
zona potrebbe anche alterare il normale decorso delle prossime consultazioni elettorali, dirottando illecitamente frange di voti
in direzione di candidati ritenuti «meritevoli» di sostegno. (Omissis)
Il Foro Italiano — 2004.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 18
novembre 2003; Pres. Zumbo, Est. Squassoni, P.M. Geraci
(conci, conf.); ric. Gambuzza. Conferma App. Firenze 23 set
tembre 2002.
Lavoro (rapporto di) — Igiene e sicurezza del lavoro — Me dico competente — Cartella sanitaria e di rischio del lavo ratore — Omesso aggiornamento — Reato — Fattispecie
(D.leg. 19 settembre 1994 n. 626, attuazione delle direttive
89/391/Cee, 89/654/Cee, 89/655/Cee, 89/656/Cee, 90/269/Cee, 90/270/Cee, 90/394/Cee e 90/679/Cee riguardanti il migliora mento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di
lavoro, art. 17, 92).
In materia di sicurezza dei lavoratori durante il lavoro, rispon de della contravvenzione di cui agli art. 17, 1° comma, lett.
d), e 92 d.leg. 626/94 il medico competente il quale, istituita
per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria la
cartella sanitaria e di rischio, abbia omesso di aggiornarla con l'indicazione, tra l'altro, dei rischi lavorativi ambientali
specifici ai quali il lavoratore sia stato sottoposto. (1)
Motivi della decisione. — Con sentenza 18 ottobre 2002, il
Tribunale di Lucca-Viareggio ha assolto, con la formula perché il fatto non sussiste, il medico Gambuzza Carmelo dai reati pre visti dagli art. 17, 1° comma, lett. b) e d), e 92 d.leg. 626/94
(non avere tenuto aggiornata la cartella clinica e di rischio di un
dipendente e non aver sottoposto due lavoratori alle periodiche visite mediche).
In riforma della decisione del primo giudice, la Corte d'ap
pello di Firenze, con sentenza 23 settembre 2002, ha assolto
l'imputato dagli illeciti di cui all'art. 17, lett. b), cit., perché il fatto non è previsto dalla legge come reato (in quanto depena lizzato dal d.leg. 25/02), mentre ha ritenuto Gambuzza respon sabile della residua contravvenzione e lo ha condannato alla pe na di giustizia.
Per l'annullamento della sentenza, l'imputato ricorre in Cas
sazione deducendo violazione di legge e difetto di motivazione.
In sunto rileva la totale insussistenza dei fatti posti a fonda
mento della decisione e, in particolare, che i lavoratori fossero
esposti a rischi ambientali specifici; sul tema il ricorrente preci
(1) Non constano precedenti in termini. Il combinato disposto degli art. 17, 1° comma, lett. d), e 92, 1° com
ma, lett. a), d.leg. 626/94 (in materia di sicurezza del lavoro), delinea un tipico esempio di contravvenzione propria strutturata in forma omis siva: in particolare, l'art. 17, 1° comma, lett. d), cit., sancisce in capo al medico competente per la sorveglianza sanitaria l'obbligo di istituire e
aggiornare, «sotto la propria responsabilità, per ogni lavoratore sotto
posto a sorveglianza sanitaria, una cartella sanitaria e di rischio da cu stodire presso il datore di lavoro con salvaguardia del segreto profes sionale»; mentre l'art. 92, 1° comma, lett. a), cit., punisce le contrav venzioni commesse dal medico competente, sanziona la violazione, tra
gli altri, del suddetto obbligo, con l'arresto fino a due mesi o con l'ammenda da 516 a 3.098 euro.
Secondo la sentenza in epigrafe, la contravvenzione in questione sus sisterebbe tra l'altro anche nello specifico caso di omessa indicazione, nella cartella sanitaria e di rischio, di tutti i rischi lavorativi ambientali
specifici ai quali il lavoratore sia stato sottoposto, nonostante l'art. 17 cit. non chiarisca esattamente quali siano le indicazioni sanitarie neces sarie e/o minime che la cartella deve contenere.
La giurisprudenza ha invece precisato che non si configura la con travvenzione nel caso di violazione dell'obbligo di custodia delle car telle presso il datore di lavoro, obbligo che ha carattere meramente ac cessorio e integrativo della prescrizione relativa all'istituzione ed al
l'aggiornamento delle cartelle stesse: v. Cass. 15 dicembre 2000, Ore
fice, Foro it., Rep. 2001, voce Lavoro (rapporto), n. 1204. In dottrina, sul d.leg. 626/94, e in particolare sugli obblighi da esso
istituiti a carico del medico competente e sulle relative contravvenzioni, v. Baglione, Nuove contravvenzioni a tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, Milano, 1995, 66 ss., 70; Loy (a cura di), La tu tela della salute nei luoghi di lavoro, Padova, 1996, 59 ss.; Galantino
(a cura di). La sicurezza sul lavoro, 2a ed., Milano, 1996, 120 ss., 154 ss., 303 ss.; Padula, Tutela civile e penale della sicurezza del lavoro, 2J ed., Padova, 1998, 105 ss.; Lageard, Le malattie del lavoro nel di ritto penale, Torino, 2000, 63 ss.; Soprani, Sicurezza e prevenzione nei
luoghi di lavoro, Milano, 2001, 115 ss., 185 ss., 432 ss., 628 ss.
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