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sezione III penale; ordinanza 3 dicembre 2003; Pres. Papadia, Rel. Rizzo, P.M. Izzo (concl. parz....

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sezione III penale; ordinanza 3 dicembre 2003; Pres. Papadia, Rel. Rizzo, P.M. Izzo (concl. parz. diff.); ric. P.m. in c. Saracino. Annulla Trib. Bari, ord. 21 luglio 2003 Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 9 (SETTEMBRE 2004), pp. 507/508-519/520 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23199427 . Accessed: 28/06/2014 13:00 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.223.28.117 on Sat, 28 Jun 2014 13:00:47 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione III penale; ordinanza 3 dicembre 2003; Pres. Papadia, Rel. Rizzo, P.M. Izzo (concl. parz.diff.); ric. P.m. in c. Saracino. Annulla Trib. Bari, ord. 21 luglio 2003Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 9 (SETTEMBRE 2004), pp. 507/508-519/520Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199427 .

Accessed: 28/06/2014 13:00

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PARTE SECONDA

609 septies, ultimo comma, n. 2, c.p. (Cass. 30 settembre 2002,

Cofone).

Peraltro, nonostante l'impossibilità di considerare detto ulte riore requisito per la procedibilità d'ufficio, per i limiti propri dei poteri attribuiti al giudice di legittimità in sede d'impugna zione per vizi motivazionali, gli episodi successivi al compi mento del quattordicesimo anno di età, anche se i legali rappre sentanti della minore erano a conoscenza dei fatti sin dall'estate del 1998, sono egualmente perseguibili d'ufficio per l'intima

connessione esistente con quelli commessi fino al compimento dell'età di quattordici anni.

Infatti, la connessione, cui si riferisce il 3° comma dell'art. 542 c.p. in relazione alla particolare ipotesi di perseguibilità d'ufficio dei reati ivi indicati, riprodotta anche nell'art. 609 septies, 3° comma, n. 4, 1. n. 66 del 1996, è solo quella mate riale e non anche processuale, seppure considerata nel signifi cato più riduttivo previsto dall'art. 12 c.p.p. del 1988 rispetto a

quello dell'art. 45 c.p.p. del 1930, giacché la ratio di detta di

sposizione deve individuarsi nel venir meno dei motivi, posti a base della perseguibilità a querela di questi reati, ed in particola re dell'esigenza della riservatezza, in quanto l'indagine investi

gativa sul delitto perseguibile d'ufficio comporta necessaria mente l'accertamento degli altri e, quindi, la diffusione della

notizia. Pertanto in base a detta ratio l'estensione della perse guibilità d'ufficio può ravvisarsi o perché sono stati commessi nello stesso arco temporale (quando l'uno e l'altro sono stati ef fettuati con la stessa azione od omissione o dalla stessa persona oppure ancora quando uno sia stato posto in essere nell'atto di consumarne un altro o in occasione di questo) ovvero per ese

guire ed occultare un altro ovvero per conseguire l'impunità di un diverso delitto (Cass. 9 luglio 1996, Somma, id.. Rep. 1997, voce cit., n. 37) oppure in tutti quei casi in cui per la persegui bilità d'ufficio di un reato connesso venga meno l'esigenza di riservatezza che è ancora alla base dell'attribuzione del diritto di querela alla parte offesa da questo genere di reati (cfr., da ul

timo, Cass. 23 ottobre 2003, Casentini), sicché detta connessio ne può rinvenirsi pure nella perseguibilità d'ufficio di alcuni fatti di violenza sessuale, tanto più che non è necessaria la con testazione del reato connesso o la contestualità di indagini e di

procedimenti (cfr. Cass. 25 ottobre 2000, Lauceri, id., Rep. 2001, voce cit., n. 43), esistente, nella fattispecie, per quanto at tiene ad entrambi i profili, anche se il primo, per l'episodio della violenza sessuale a mare, potrebbe persino connotare il

delitto, però non contestato e non chiaramente enucleato, di atti osceni in luogo pubblico.

Del resto l'orientamento a favore di un'ampia nozione di connessione di tipo sostanziale e non solo processuale trova ul teriore avallo nella giurisprudenza della Corte costituzionale

(sent. n. 64 del 1998, id., Rep. 1998, voce cit., n. 30), con la

quale è stata ritenuta infondata la questione relativa alla proce dibilità d'ufficio per connessione con reato procedibile d'ufficio

persino estinto prima dell'esercizio dell'azione penale, in

quanto l'estinzione non esclude la sopravvivenza del reato come fatto giuridico ai fini di qualsiasi altro effetto diverso dalla pu nibilità.

La liquidazione delle spese del presente grado di giudizio al

giudice civile discende dalla possibilità, in base alla complessi va valutazione di tutta la vicenda, di poterle ritenere in tutto o in

parte compensate in relazione a quelle sopportate dalla parte ci

vile, sicché appare opportuno attribuire detta valutazione al giu dice deputato a decidere in ordine alla liquidazione del danno

patito dalla vittima in riferimento alla pluralità dei vari episodi di violenza.

Il Foro Italiano — 2004.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; ordinanza 3

dicembre 2003; Pres. Papadia, Rei. Rizzo, P.M. Izzo (conci,

parz. diff.); ric. P.m. in c. Saracino. Annulla Trib. Bari, ord.

21 luglio 2003.

Ordine pubblico (reati contro 1') — Scambio elettorale poli tico-mafioso — Promessa di voti — Accordo sull'uso di

metodi mafiosi nel procacciamento elettorale — Necessità

(Cod. pen., art. 416 ter).

Per integrare il reato di cui all'art. 416 ter c.p. non basta la

qualità di mafioso del soggetto dal quale viene ottenuta la

promessa di voti in cambio dell'erogazione di denaro, bensì è

necessario che l'accordo preveda l'uso di metodi mafiosi per condizionare il corretto e libero esercizio della consultazione elettorale. (1)

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 25

marzo 2003; Pres. Sossi, Est. Campo, P.M. Ciampoli (conci,

parz. diff.); ric. Cassata e altri. Annulla senza rinvio App. Pa

lermo 24 luglio 2001.

Ordine pubblico (reati contro 1') — Scambio elettorale poli tico-mafioso — Promessa di voti — Uso dell'intimidazio ne mafiosa — Necessità (Cod. pen., art. 416 ter).

Per la sussistenza del reato di scambio elettorale politico mafioso occorre accertare che colui che ha promesso il pro prio appoggio al candidato faccia poi effettivo ricorso al

l'intimidazione ovvero alla prevaricazione mafiosa, con le modalità precisate nel 3° comma dell'art. 416 bis c.p. cui l'art. 416 ter fa esplicito richiamo, per impedire ovvero ostacolare il libero esercizio del voto e per falsare il risul tato elettorale. (2)

III

TRIBUNALE DI PALERMO; ordinanza 17 maggio 2004; Pres. Sole, Rei. Pilato; ric. Pizzo.

Ordine pubblico (reati contro 1') — Scambio elettorale poli tico-mafioso — Promessa di voti in cambio dell'erogazio ne di denaro — Reato —

Configurabilità (Cod. pen., art. 416 ter).

La fattispecie incriminatrice prevista dall'art. 416 ter c.p. puni sce chi ottiene la promessa di voti di cui al 3° comma del l'art. 416 bis c.p. in cambio dell'erogazione di denaro, sicché l'eventuale successiva fase della raccolta di voti e le moda lità con le quali essa si svolge confluiscono nella categoria giuridica del post factum criminoso del tutto irrilevante ai fi ni della configurabilità del reato. (3)

(1-3) Le pronunzie in epigrafe contribuiscono ad incrementare la scarsa casistica in materia di scambio elettorale politico-mafioso (per un isolato precedente, v. Trib. Palermo 2 giugno 1997, Foro it., 1998, II, 125), sebbene siano ormai trascorsi più di dieci anni dall'introduzio ne nel codice penale di tale reato.

La decisione di cui alla seconda massima, sia pure senza adeguata motivazione in diritto, indulge verso una ricostruzione interpretativa del delitto previsto dall'art. 416 ter c.p. non del tutto fedele al dato let terale della norma, la quale fissa inequivocabilmente la soglia di puni bilità del reato al momento dello scambio tra la promessa di voti e

l'erogazione di denaro (in dottrina, tale rilievo è considerato fuori di scussione: cfr., tra gli altri, Antolisei, Diritto penale, parte speciale, Torino, 2000, II, 245, ove si afferma che il reato «si consuma con la promessa, indipendentemente dall'effettiva prestazione del voto o dalla sua dazione in conformità della richiesta del soggetto attivo»; Fianda :a-Musco, Diritto penale, parte speciale, Bologna, 2002, I, 477, secon do i quali «il reato si consuma col semplice conseguimento della pro

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GIURISPRUDENZA PENALE

I

Svolgimento del procedimento. — Con ordinanza del 16 giu

gno 2003 il g.i.p. del Tribunale di Bari disponeva la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di Saracino

Alessandro, perché gravemente indiziato del reato di cui all'art.

416 ter c.p., per aver ottenuto, in occasione della sua candidatu

ra alle elezioni per la camera dei deputati, la promessa di voti da

parte di esponenti di gruppi criminali camorristico-mafiosi in

cambio dell'erogazione di denaro e di buoni-acquisto. Contro il provvedimento del g.i.p. il Saracino proponeva ri

messa, senza che sia necessario che l'associazione faccia effettiva mente ottenere voti»; e anche Visconti, Il reato di scambio elettorale

politico-mafioso, in Indice pen., 1993, 273, che proprio sulla scorta

della morfologia pattizia della condotta punibile include la fattispecie nella categoria dei «reati-contratto»).

La pronunzia di legittimità di cui alla prima massima, a sua volta non

meno sbrigativa dal punto di vista argomentativo, sembrerebbe voler

correggere, ancorché implicitamente, l'indirizzo suddetto, laddove non

considera l'effettivo procacciamento elettorale con metodi mafiosi un

elemento necessario della fattispecie incriminatrice, precisando altresì che il sintagma «promessa di voti di cui al 3° comma dell'art. 416 bis

c.p.» contenuto nell'art. 416 ter c.p., rinvia alla necessità che l'accordo di scambio elettorale preveda anche il ricorso alla forza di intimidazio ne tipica delle associazioni mafiose.

Risulta supportata da una più approfondita motivazione in diritto, in

vece, la decisione dei giudici di merito di cui alla terza massima, la

quale prende atto che con l'art. 416 ter c.p. «il legislatore ha anticipato la soglia di punibilità alla mera condotta negoziale delle parti, colpendo sic et simpliciter lo scambio fra il denaro e la promessa mafiosa, a nulla

rilevando né il buon esito della consultazione elettorale né l'effettivo

adempimento della promessa da parte del gruppo», pervenendo così

alla conclusione «che il delitto di scambio elettorale possiede tutti i ca

ratteri e le prerogative del reato di pericolo», essendo «sufficiente la

stipula del patto» per mettere a repentaglio «il bene protetto dalla nor

ma ossia l'alterazione del processo di formazione del libero consenso

democratico». Sulla base di questa impostazione di fondo attinente alla scelta poli

tico-criminale del legislatore e all'inquadramento dogmatico della fatti

specie incriminatrice in discorso, Trib. Palermo rileva peraltro che «il

richiamo normativo al procacciamento mafioso dei voti costituisce un

semplice attributo, un modus essendi della promessa che deve contene

re l'intendimento di fare ricorso alla forza propulsiva ed alla ramificata

rete organizzativa dell'associazione mafiosa (c.d. metodo mafioso)»,

imperniandosi il reato sull'incontro «di due volontà rappresentative di

due distinti centri di interesse: da una parte il mafioso che interviene

formulando una promessa di voti in rappresentanza del gruppo mafioso

di cui spende esplicitamente od implicitamente il nome sulla falsariga dello schema giuridico della rappresentanza diretta di cui agli art. 1387

ss. c.c. (promessa qualificata dalla contemplano domini), dall'altro il

promissario acquirente che eroga il denaro».

Per quanto concerne il contenuto e le caratteristiche della promessa di voti di cui all'art. 416 ter c.p., è diffusa in dottrina l'opinione secon

do cui il dettato legislativo lascerebbe all'interprete non pochi punti

problematici oscuri e talora irrisolvibili (v. l'ampio resoconto di Colli

ca, Scambio elettorale politico-mafioso: deficit di coraggio o questione irrisolvibile?, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1999, 887): ad ogni modo, da

parte di alcuni si precisa comunque che la promessa «deve provenire da

qualcuno che agisce per conto dell'organismo mafioso», esprimendo «l'obiettivo programmatico dell'organismo illecito di condizionare la

vita politico-amministrativa» (Ronco, in Codice penale ipertestuale a

cura di Ronco e Ardizzone, Torino, 2003, 1590); mentre altri rilevano

che l'espressione legislativa in questione che richiama il 3° comma

dell'art. 416 bis c.p. «deve ritenersi appunto riferita alla promessa da

parte dell'associazione mafiosa di assicurare al soggetto che eroga il

denaro un sostegno elettorale adeguato al conseguimento dell'obiettivo

ch'egli si propone di realizzare» (De Francesco, Gli art. 416, 416 bis, 416 ter, 417, 418 c.p., in Mafia e criminalità organizzata a cura di Cor

so-Insolera-Stortoni, Torino, 1995, 74); altri ancora ritengono che la

fattispecie incriminatrice presuppone che «i componenti dell'associa

zione promittente si devono impegnare a procurare voti al candidato ri

chiedente, avvalendosi della forza di intimidazione come strumento di

pressione (anche potenziale) sui cittadini votanti» (Fiandaca-Musco, Diritto penale, cit., 476). In ordine alle possibili connessioni sistemati

che tra il reato previsto dall'art. 416 ter c.p. e il concorso esterno nel

l'associazione mafiosa, cfr., di recente, Visconti, Contiguità alla mafia e responsabilità penale, Torino, 2003, e Cavaliere, Il concorso even

tuale nel reato associativo, Napoli, 2003. [C. Visconti]

Il Foro Italiano — 2004.

chiesta di riesame ed il Tribunale di Bari, con ordinanza del 21

luglio 2003, confermava la disposta misura cautelare rilevando

però che nei fatti addebitati al Saracino andava individuato non

già il reato contestato ma quello di cui all'art. 96 d.p.r. 361/57.

Il tribunale riteneva che in ordine a tale reato sussistevano a

carico del Saracino gravi indizi di colpevolezza e richiamava

quanto dichiarato dal collaboratore di giustizia Ranieri Vitanto

nio, già appartenente al gruppo criminale capeggiato da Fiore

Giuseppe e da Risoli Angelo operante nella città di Bari.

Il Ranieri aveva riferito che tali Militello Giovanni e Militello Vincenzo, persone di fiducia del Saracino, su loro richiesta ave

vano ottenuto dal Fiore e dal Risoli la promessa di un loro inte

ressamento per procurare voti a favore del Saracino in cambio

del rilascio di buoni acquisto da spendere in supermercati, buoni

che poi dal Risoli erano stati distribuiti tra i residenti del quar tiere San Pasquale e delle case popolari di corso dei Mille di Ba

ri.

Il Ranieri aveva inoltre dichiarato di avere partecipato ad un

incontro organizzato dal Risoli tra i due Militello ed il boss Pi

peris Carmine, a seguito del quale quest'ultimo si era impegnato a far votare il Saracino in cambio del rilascio di buoni-acquisto.

Il tribunale, dopo avere messo in evidenza che le dichiarazio

ni rese dal Ranieri avevano trovato conferma in quelle rese dal

Piperis e dai responsabili dei supermercati che avevano rila

sciato i buoni-acquisto, precisava che ulteriori elementi di ri

scontro emergevano dalle conversazioni telefoniche intercettate

nell'ambito di altro procedimento e confermava la misura cau

telare disposta dal g.i.p. affermando che, oltre ai gravi indizi di

colpevolezza, ricorrevano anche le esigenze cautelari.

Avverso l'ordinanza del tribunale il procuratore della repub blica presso il Tribunale di Bari ha proposto ricorso per cassa

zione ed ha lamentato che il giudice del riesame, senza motiva

zione alcuna, aveva affermato che nei fatti addebitati al Saraci

no era da individuare il meno grave reato di cui all'art. 96 d.p.r. 361/57.

Anche il Saracino, tramite il suo difensore, ha proposto ricor

so per cassazione ed anzitutto ha dedotto che il tribunale avreb

be dovuto ritenere inattendibili le dichiarazioni rese dal Ranieri,

dato che costui non aveva riconosciuto nelle fotografie a lui mo

strate i due fratelli Militello sebbene aveva dichiarato di essersi

con loro incontrato.

Il ricorrente ha poi sostenuto che le dichiarazioni del Ranieri

erano prive di riscontro date le divergenze esistenti, su diversi

particolari, tra le sue dichiarazioni e quelle rese dal Piperis e dai

responsabili dei supermercati.

Dopo aver sostenuto che il tribunale illegittimamente aveva

utilizzato le intercettazioni telefoniche effettuate nell'ambito di

altro procedimento, il Saracino infine ha lamentato che l'ordi

nanza impugnata aveva confermato la misura cautelare affer

mando, senza adeguata motivazione, che sussistevano le esigen ze cautelari e che egli, pur essendo incensurato, non avrebbe

potuto beneficiare della sospensione condizionale della pena. Con memoria depositata il 17 novembre 2003 il Saracino ha

insistito sull'insussistenza delle esigenze cautelari precisando che in data 15 settembre 2003 il g.i.p. del Tribunale di Bari ha

revocato la misura coercitiva disposta nei suoi confronti.

Motivi della decisione. — Il p.m. ricorrente lamenta che il

tribunale, senza alcuna motivazione, ha affermato che nei fatti

addebitati al Saracino ricorrono gli estremi del reato di cui al

l'art. 96 d.p.r. 361/57 e non quelli del reato di cui all'art. 416

ter c.p. Osserva la corte che la doglianza è manifestamente infondata.

Ed invero, l'ordinanza impugnata, richiamando la sentenza

emessa il 25 marzo 2003 da questa corte (che segue), corretta

mente afferma che non basta per la sussistenza del reato di cui

all'art. 416 ter c.p. la qualità di mafioso del soggetto dal quale viene ottenuta la promessa di voti in cambio dell'erogazione di

denaro. Il predetto articolo richiama il 3° comma dell'art. 416

bis c.p. per cui è necessario che l'accordo preveda l'uso di me

todi mafiosi per condizionare il corretto e libero esercizio della

consultazione elettorale.

Avuto riguardo agli elementi richiesti per la sussistenza del

l'ipotesi delittuosa di cui all'art. 416 ter c.p., la decisione del

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PARTE SECONDA

tribunale non merita censura anche se non ha esplicitato le ra

gioni per le quali nei fatti addebitati al Saracino è da individuare

il meno grave reato di cui all'art. 96 d.p.r. 361/57 ove si consi

deri che nella specie non sussiste elemento alcuno dal quale de

sumere che l'accordo intercorso con i soggetti ritenuti apparte nenti ad organizzazioni camorristico-mafiose prevedeva l'uso

dell'intimidazione o di altri metodi mafiosi al fine di far ottene

re voti a favore del Saracino né al riguardo il p.m. ricorrente ha

fornito indicazioni di sorta.

Relativamente al ricorso proposto dal Saracino è anzitutto da

rilevare che correttamente il tribunale ha ritenuto sussistenti i

gravi indizi di colpevolezza a carico dell'indagato con riferi

mento al reato di cui all'art. 96 d.p.r. 361/57 mettendo in evi

denza che le dichiarazioni rese dal Ranieri hanno trovato ri

scontro, al di là di alcune imprecisioni e contraddizioni su parti colari di valore marginale, nelle dichiarazioni rese dai testi

escussi, dalle quali dichiarazioni emerge che l'indagato si ado

però per il rilascio di buoni-acquisto al fine di ottenere a proprio

vantaggio voti elettorali.

Piuttosto è da rilevare che l'ordinanza impugnata risulta ca

rente di motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari.

Il tribunale ha affermato che ricorre il pericolo che il Saracino

possa reiterare la sua condotta criminosa avuto riguardo alla

gravità dei fatti allo stesso addebitati ed alla personalità dell'in

dagato, ma non ha indicato gli specifici elementi che in concreto

consentono di ipotizzare che lo stesso possa ulteriormente viola

re la norma di cui all'art. 96 d.p.r. 361/57, considerato peraltro che il reato da essa previsto può essere commesso soltanto in

occasione di consultazioni elettorali.

Ne consegue che, dichiarato inammissibile il ricorso del p.m., l'ordinanza impugnata va annullata per difetto di motivazione

con rinvio al Tribunale di Bari. (Omissis)

II

Osserva. — 1. - Con sentenza in data 31 marzo 2000 il Tri

bunale di Termini Imerese, per quanto interessa in questa sede, affermava la responsabilità di:

Cassata Salvatore, Macaione Andrea, Manzone Antonio, Ma

ranto Saverio, Morello Antonino, Schittino Pasquale e Sortino

Salvatore per il reato di cui all'art. 416 bis c.p.; Macaione, Maranto Saverio e Maranto Antonio per il reato di

cui agli art. 81, cpv., 110, 61, n. 7, 629, 1° e 2° comma, c.p. e 7

1. 12 luglio 1991 n. 203; Morello Antonino per il reato di cui all'art. 416 ter c.p.; Musotto Cesare e Sortino Salvatore per il reato di cui agli art.

110, 81, cpv., c.p., 10 e 14 1. 14 ottobre 1974 n. 497 e 7 1. 12 lu

glio 1991 n. 203; e condannava, ritenuta la continuazione per i

fatti di reato addebitati a Macaione, Maranto Saverio, Sortino e Morello e applicate le circostanze attenuanti generiche a Mu

sotto e Schittino; Cassata alla pena di dieci anni di reclusione; Macaione a quella di dodici anni di reclusione e lire cinque

milioni di multa; Manzone alla pena di tredici anni di reclusione; Maranto Saverio alla pena di undici anni di reclusione e lire

quattro milioni cinquecentomila di multa; Maranto Antonio alla pena di dieci anni di reclusione; Sortino alla pena di undici anni di reclusione e lire due milio

ni di multa; Morello alla pena di dodici anni di reclusione; Musotto alla pena di anni due e mesi due di reclusione e lire

un milione cinquecentomila di multa; Schittino alla pena di anni quattro di reclusione; oltre a quelle accessorie per legge per Cassata, Manzone,

Sortino, Morello, Macaione e i due Maranto.

Assolveva, per quanto interessa in questa sede, Schittino An

gelo dal reato di estorsione pluriaggravata. 2. - A seguito delle impugnazioni del pubblico ministero e

degli imputati la Corte d'appello di Palermo con sentenza in

data 24 luglio 2001, in parziale riforma di quello di primo gra do, assolveva:

Il Foro Italiano — 2004.

Macaione dal reato di cui all'art. 416 bis c.p. per non avere

commesso il fatto; Maranto Saverio, Maranto Antonio e Macaione da quello di

cui agli art. 81, cpv., 110, 61, n. 7, 629, 1° e 2° comma, c.p. e 7

1. 203/91 perché il fatto non sussiste;

riqualificava il reato di cui all'art. 416 bis c.p. contestato a

Maranto Saverio come quello di cui agli art. 378 c.p. e 7 1.

203/91; escludeva per Musotto e Sortino la ritenuta continuazione in

terna per il reato di cui agli art. 110, 81, cpv., c.p., 10, 14 1.

497/74 e 7 1. 203/91; rideterminava le pene irrogate a;

Cassata in anni otto di reclusione; Manzone in anni dieci di reclusione;

Maranto Saverio in anni quattro di reclusione; Morello Antonino in anni nove di reclusione;

Musotto in un anno e sei mesi di reclusione, ritenuta la conti

nuazione con il più grave reato di cui all'art. 416 bis c.p. per il

quale era stato condannato dalla Corte d'appello di Palermo in

data 31 luglio 1999, elevando la pena inflitta dal citato giudice a

quella di anni sei e mesi sei di reclusione;

Sortino in anni otto e mesi dieci di reclusione; confermando nel resto la sentenza impugnata. 3. - Ricorrono per cassazione il procuratore generale della re

pubblica presso la Corte d'appello di Palermo nei confronti di

Maranto Antonio, Maranto Saverio, Macaione e Schittino An

gelo, nonché per il tramite dei rispettivi difensori, Cassata,

Manzone, Morello, Musotto, Schittino Pasquale e Sortino, i

quali deducono: — il procuratore generale:

a) erronea applicazione di legge (art. 606, 1° comma, lett. b,

c.p.p. in relazione agli art. 81, 378 e 416 bis c.p.), asserendo che

le condotte accertate a carico di Maranto Saverio, per il reale ed

effettivo contributo arrecato all'organizzazione mafiosa in

quanto finalizzato al mantenimento della stessa e alla realizza

zione del suo programma criminale, concretizzavano il reato di

cui all'art. 416 bis c.p. e non già quello di favoreggiamento ag

gravato ritenuto dalla corte territoriale, e rilevando che, a tutto

concedere, in presenza di una pluralità di condotte, si era in pre senza di più reati di favoreggiamento con conseguente obbliga torio aumento della pena ai sensi dell'art. 81, cpv., c.p.;

b) erronea applicazione di legge e vizio di motivazione (art.

606, 1° comma, lett. b ed e c.p.p. in relazione all'art. 416 bis

c.p.), in quanto Macaione era stato assolto da reato di partecipa zione ad associazione per delinquere di tipo mafioso, pur in pre senza di molteplici chiamate in reità, sulla illogica argomenta zione che, essendo la fonte di dette propalazioni soggetto mafio

so e non essendo tali i chiamanti in reità, era poco verosimile

che un mafioso avesse confidato a terzi estranei circostanze ri

servate concernenti l'associazione per delinquere, e su quella,

parimenti illogica, riguardante la scarsa attendibilità dei dichia

ranti in quanto portatori di pregressi rancori nei confronti del

Macaione;

c) violazione di legge (art. 606, 1° comma, lett. c, c.p.p. in

relazione all'art. 521 stesso codice), affermando che l'assolu

zione di Schittino Angelo per i due episodi di estorsione plu

riaggravata in danno di Marino Gaetano e Grappa Antimo era

basata sull'errato presupposto che si era accertato che le moda

lità di commissione delle stesse differivano da quanto enunciato

nel capo d'imputazione, mentre la mera diversità di dettagli delle modalità di esecuzione dei reati in questione non costitui

va «fatto nuovo», non essendo avvenuta una trasformazione ra

dicale, tale da pregiudicare i diritti di difesa dell'imputato, della fattispecie nei suoi elementi essenziali;

d) vizio di motivazione (art. 606, 1° comma, lett. e, c.p.p.), assumendo che la corte territoriale, nell'assolvere Macaione, Maranto Antonio e Maranto Saverio dal reato di estorsione plu

riaggravata in danno di Musumeci Andrea, aveva valorizzato

soltanto la ritrattazione dibattimentale di quanto dichiarato in

sede di indagini preliminari dalla parte offesa, non tenendo

conto degli altri copiosi elementi in atti, dettagliatamente elen

cati, dai quali non solo venivano confermate le dichiarazioni

fatte dal Musumeci alla polizia giudiziaria, ma anche l'esistenza

delle condotte estorsive contestate agli imputati;

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GIURISPRUDENZA PENALE

— Cassata:

a) erronea applicazione e violazione di legge (art. 606, 1°

comma, lett. b ed e, c.p.p. in relazione agli art. 414 e 649 stesso

codice), asserendo che in presenza di nuove emergenze probato rie il pubblico ministero, essendo stato l'imputato già sottoposto ad indagine per il reato di cui all'art. 416 bis c.p. ed essendo

stata la relativa notizia di reato archiviata per infondatezza, per iniziare la nuova indagine relativa al medesimo reato avrebbe

dovuto essere autorizzato dal competente g.i.p. con specifico

decreto, e rilevando che, in presenza di identità sia delle fonti

probatorie che dell'identificata associazione per delinquere (Co

sa nostra) andava applicato l'art. 649 c.p.p.;

b) vizio di motivazione (art. 606, 1° comma, lett. e, c.p.p. in

relazione all'art. 192 stesso codice), in quanto la corte territo

riale non ha proceduto ad accertare l'attendibilità soggettiva dei

collaboratori di giustizia, fonti delle accuse rivolte all'imputato, né a indicare i rispettivi riscontri estrinseci alle loro dichiara

zioni, così come illogicamente ha basato l'affermazione di re

sponsabilità del Cassata sul contenuto manifestamente contrad

dittorio di tali propalazioni; c) vizio di motivazione (art. 606, 1° comma, lett. e, c.p.p. in

relazione all'art. 62 bis c.p.), in quanto le circostanze attenuanti

generiche, in presenza dell'asserita marginalità dell'apporto del

Cassata a Cosa nostra, non potevano essere denegate con il solo

riferimento alla gravità del reato;

d) erronea applicazione di legge e vizio di motivazione (art.

606, 1° comma, lett. b ed e, c.p.p. in relazione all'art. 133 c.p.),

perché, pur se ridotta rispetto a quella irrogata in primo grado, la pena inflitta era eccessiva e priva di motivazione relativa

mente ai criteri adottati per determinarla; — Manzone:

a) violazione di legge e vizio di motivazione (art. 606, 1°

comma, lett. c ed e, c.p.p. in relazione all'art. 192 stesso codi

ce), rilevando che, riguardo all'utilizzazione del contenuto della

dichiarazione del collaboratore Randazzo, sono state adoperate

argomentazioni palesemente illogiche e, relativamente al colla

boratore Calvaruso, se ne è affermata l'attendibilità nonostante

l'evidente irregolarità dell 'iter di acquisizione dei c.d. riscontri

e la totale mancanza di motivazione sul punto;

b) erronea applicazione di legge e vizio di motivazione (art.

606, 1° comma, lett. b ed e, c.p.p. in relazione all'art. 416 bis,

2° comma, c.p.), osservando che, sulla scorta degli elementi

probatori acquisiti agli atti e specificamente elencati e sottoposti

a puntuali censure, è stata erroneamente attribuita all'imputato

la qualifica di dirigente dell'associazione per delinquere di tipo mafioso con motivazione palesemente illogica e contraddittoria

attesa l'asserita incapacità al comando del Manzone;

c) erronea applicazione di legge e vizio di motivazione (art.

606, 1° comma, lett. b ed e, c.p.p. in relazione agli art. 62 bis e

133 c.p.), in quanto il diniego delle richieste circostanze atte

nuanti generiche era motivato con argomentazioni di stile e la

corte territoriale, nel determinare la pena, non aveva tenuto

conto di tutti gli elementi soggettivi e oggettivi riguardanti

l'imputato; — Morello:

a) erronea applicazione di legge e vizio di motivazione (art.

606, 1° comma, lett. b ed e, c.p.p. in relazione agli art. 192, 3° e

4° comma, stesso codice e 416 bis c.p.), rilevando che la corte

territoriale aveva disatteso le regole che presiedono alla valuta

zione della prova in presenza di chiamate di correità, aveva

ignorato gli elementi probatori decisivi per una pronuncia di as

soluzione dell'imputato, aveva erroneamente ritenuto come

partecipativa ad associazione per delinquere di tipo mafioso una

condotta qualificabile, al più, come favoreggiamento reale —

indicando le circostanze poste a giustificazione di tali afferma

zioni — e non aveva dato alcuna risposta alle pregnanti do

glianze esposte con l'atto di appello;

b) erronea applicazione di legge e vizio di motivazione (art. 606, 1° comma, lett. b ed e, c.p.p. in relazione all'art. 416 ter

c.p.), asserendo che la condotta addebitata all'imputato non

concretizzava il reato di scambio politico-mafioso di cui all'art.

416 ter c.p., atteso che non era stata accertata un'attività realiz

zata dal Manzone di «imposizione del candidato da votare» con

Il Foro Italiano — 2004.

metodi mafiosi, bensì si era dimostrato soltanto che l'imputato aveva ottenuto la disponibilità del mafioso Roncadore ad ap

poggiare la candidatura di Drago Girolamo;

c) erronea applicazione di legge e vizio di motivazione (art.

606, 1° comma, lett. b ed e, c.p.p. in relazione agli art. 62 bis e

133 c.p.), in quanto la corte territoriale, nel determinare l'entità

della pena inflitta, ha eluso i parametri indicati a tale scopo dalla legge e, inoltre, non ha dato alcuna motivazione in ordine

all'applicazione delle circostanze attenuanti generiche solleci

tata con l'atto di appello; — Musotto:

a) erronea applicazione di legge e vizio di motivazione (art.

606, 1° comma, lett. b ed e, c.p.p. in relazione all'art. 81 c.p.), in quanto l'aumento di pena per continuazione, su altra pena

comminata all'imputato con diversa sentenza, era privo di moti

vazione anche in relazione alla sua notevole entità e al leale

comportamento processuale dell'imputato; — Schittino: a) vizio di motivazione (art. 606, 1° comma, lett. e, c.p.p.), in

quanto in presenza di un rilevante apporto collaborativo del

l'imputato per l'accertamento dei fatti di causa, illogicamente

gli era stata denegata l'applicazione della circostanza attenuante

di cui all'art. 8 1. 12 luglio 1991 n. 203; — Sortino:

a) vizio di motivazione (art. 606, 1° comma, lett. e, c.p.p.),

perché la corte territoriale ha utilizzato a carico dell'imputato

fonti di prova, costituite da sole chiamate in reità rese da colla

boratori di giustizia, senza attenersi ai criteri indicati dalla legge

per la loro valutazione;

b) erronea applicazione e violazione di legge e vizio di moti

vazione (art. 606, 1° comma, lett. b, c ed e, c.p.p. in relazione

all'art. 7 d.l. 152/91), affermando che, ai fini della sussistenza

della circostanza aggravante di cui all'art. 7 d.l. 152/91, è ne

cessario, allorquando la si contesta a un membro dell'associa

zione per delinquere di tipo mafioso, una specifica motivazione,

mancante nella sentenza gravata, in ordine alla presenza di un

dolo specifico, diverso da quello inerente alla partecipazione al

l'organismo criminale, di agire per gli scopi dell'associazione;

c) vizio di motivazione (art. 606, 1° comma, lett. e, c.p.p.), rilevando che le richieste circostanze attenuanti generiche sono

state denegate sulla scorta della sola asserita gravità del reato

senza prendere in considerazione gli specifici parametri, sog

gettivi e oggettivi, di cui all'art. 133 c.p.; d) vizio di motivazione (art. 606, 1° comma, lett. e, c.p.p.),

perché nel determinare la pena irrogata all'imputato è stata pre

sa in considerazione soltanto la posizione di costui ricoperta al

l'interno dell'associazione per delinquere, omettendosi la valu

tazione di ogni altro elemento.

Nelle more dell'odierna udienza i difensori di Cassata e Sor

tino depositavano motivi aggiunti, con i quali ulteriormente illu

stravano le doglianze relative, rispettivamente, all'eccezione

procedurale riguardante la violazione degli art. 414, 434 e 649

c.p.p. e alla violazione dei criteri di valutazione della prova di

cui all'art. 192 c.p.p. I difensori di Macaione e Schittino depositavano memorie di

fensive dirette a evidenziare l'inammissibilità e l'infondatezza

del ricorso proposto dal procuratore generale nei confronti dei

loro assistiti.

4. - È meritevole di accoglimento il gravame proposto da Mo

rello limitatamente, peraltro, al ritenuto reato di cui all'art. 416

ter c.p., mentre tutti gli altri ricorsi vanno respinti siccome in

fondati.

4 a. - Invero, per la giuridica sussistenza del reato di cui al

l'art. 416 ter c.p. (c.d. voto di scambio politico-mafioso) è ne

cessario che la promessa, effettuata con una contropartita di

erogazione di somme di denaro e ricevuta da chi si sia candidato

a elezioni politico-amministrative, di procurare voti abbia il so

stegno di chi impieghi il metodo mafioso per adempiere alla

promessa data.

In altri termini è necessario che colui che ha promesso il pro

prio appoggio al candidato faccia ricorso all'intimidazione ov

vero alla prevaricazione mafiosa, con le modalità precisate nel

3° comma dell'art. 416 bis c.p. cui l'art. 416 ter fa esplicito ri

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PARTE SECONDA

chiamo, per impedire ovvero ostacolare il libero esercizio del

voto e per falsare il risultato elettorale.

Detti elementi, essenziali per la configurazione del reato in

questione, lo distinguono dai similari illeciti di cui agli art. 96 e 97 d.p.r. 30 marzo 1957 n. 361 (t.u. delle leggi elettorali), che

parimenti sanzionano penalmente condotte di minaccia ovvero di promessa o di somministrazione di denaro o di altre utilità fi nalizzate a influenzare il libero comportamento del cittadino elettore.

Ne discende che, come verificatosi nella specie che ci occupa, la sola qualità di mafioso rivestita da chi è stato interessato,

previa consegna di denaro, da un candidato per appoggiarne la

campagna elettorale non è, di per sé sola, circostanza sufficiente

per provare non solo la collusione tra il predetto candidato e

l'organizzazione criminale di appartenenza, ma l'uso di metodi mafiosi per influenzare il corretto e libero svolgimento della

competizione elettorale.

La sentenza impugnata va, pertanto, annullata sul punto senza

rinvio perché il reato di cui all'art. 416 ter non sussiste con con

seguente esclusione della relativa pena irrogata al Morello e ri determinazione di quella residua nei termini meglio indicati in

dispositivo. 4 b. - Le doglianze avanzate dal ricorrente procuratore gene

rale con i motivi sub lett. a), b) e d) e dai ricorrenti Cassata con il motivo sub lett. b), Manzone con i motivi sub lett. a) e b), Morello con il motivo sub lett. a), Schittino con il solo motivo dedotto e Sortino con il motivo sub a) si risolvono in censure in fatto in quanto tutti i sunnominati ricorrenti mirano a ottenere una valutazione degli elementi probatori utilizzati in sentenza

per giustificare la decisione adottata diversa da quella effettuata — con argomentazioni che, per essere esenti da vizi logico giuridici o da errori di diritto, non possono essere sottoposti al controllo della Corte di cassazione — dai giudici del merito, co sì richiedendo un giudizio sul fatto, non previsto per legge (art. 606, ultimo comma, c.p.p.) come motivo per ricorrere per cas sazione.

4 c. - Inoltre, risultano infondati i motivi dedotti: — da Cassata con il motivo sub lett. c), Manzone con il moti

vo sub lett. c), Morello con il motivo sub lett. c) e Sortino con il motivo sub lett. c), in quanto le circostanze attenuanti generiche possono essere denegate anche con il solo rilievo della gravità del fatto di reato addebitato all'imputato. Infatti tale parametro è tra quelli elencati nell'art. 133 c.p., cui deve rapportarsi il giu dice nella valutazione sull'applicabilità o meno di detta circo stanza attenuante, di guisa che il relativo riferimento è suffi ciente per giustificare la decisione adottata, con tale scelta es sendo stata ritenuta la prevalenza di detto parametro su tutti gli altri indicati in detta norma, di guisa che ultroneo risulterebbe il loro esame. Inoltre, per quanto concerne il Morello, la corte ter ritoriale non era tenuta a motivare sul punto, essendo la richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche indicata nell'atto di appello in modo del tutto generico («... la pena era eccessiva ed andava ridotta previa concessione delle attenuanti

generiche ...», come si legge a pag. 38 della sentenza impu gnata) ed essendo stata ridotta la pena in considerazione dell'e levata età di detto imputato;

— da Sortino, relativamente alla ritenuta aggravante di cui all'art. 7 1. 12 luglio 1991 n. 203 (motivo sub lett. b), perché detta circostanza è configurabile (sez. un. 28 marzo 2001, Ci nalli e altri, Foro it., 2002, II, 297) anche nei confronti del par tecipe ad un'associazione per delinquere di tipo mafioso che commetta un reato idoneo ad agevolare l'attività dell'organiz zazione criminale, tale dovendosi qualificare la detenzione di un numero rilevante di armi per conto di uno dei capi del sodalizio

mafioso, e il cui elemento soggettivo consiste nella cosciente volontarietà della condotta detentiva finalizzata a detto scopo;

— da Musotto in relazione alla carenza di motivazione per la determinazione dell'entità della pena

— un anno e sei mesi di reclusione — da apportare in aumento al più grave fatto di reato unificato per continuazione, perché la quantificazione della pe na, di entità, peraltro, non eccessiva rispetto a quella edittale

prevista per il reato di detenzione illegale di un rilevante nume ro di armi da sparo, risulta motivata, sia pure implicitamente,

Il Foro Italiano — 2004.

laddove si specificano le modalità di fatto, tempo, luogo e fina

lità del reato in questione, di per sé sole idonee a giustificare il

trattamento sanzionatorio adottato, trattandosi di una condotta

detentiva finalizzata all'occultamento di diverse armi di perti nenza di un pericoloso sodale dell'organizzazione criminale de

nominata Cosa nostra; — da Cassata riguardo al motivo sub lett. d), atteso che la ri

duzione della pena irrogatagli in primo grado è stata motivata

mediante l'uso della locuzione eccessiva, di per sé sufficiente

per giustificare la decisione prescelta in quanto tale giudizio

presuppone la valutazione, diversa, degli elementi posti a sup

porto della determinazione sanzionatoria effettuata dal giudice di prime cure e, quindi, indica il criterio seguito dal giudice per addivenire a detta riduzione;

— dal procuratore generale con parte del motivo sub lett. a)

proposto nei confronti di Maranto Saverio, dal momento che la

condotta di favoreggiamento attribuita al sunnominato imputato, così come accertata dai giudici del merito e descritta a pag. 113

e 114 della sentenza impugnata, risulta unica, pur se ripartita in

ripetuti atti della stessa specie, di guisa che non è ravvisabile

l'applicabilità dell'istituto della continuazione, che ha come

presupposto la commissione di diversi fatti di reato e non la

realizzazione di più atti concretizzanti la commissione di un'u

nica condotta criminosa con essi frazionabile. Al qual proposito è opportuno chiarire che anche i reati a condotta plurima, tra i

quali rientra (per la forma concreta accertata nel caso che ci oc

cupa) quello di favoreggiamento personale, possono presentare un frazionamento della loro condotta in più atti, diversamente da quelli unisussistenti —

qui unico actu perficiuntur — nei

quali l'atto e la condotta coincidono in un'unica azione mate

riale.

4 d. - Il motivo proposto da Sortino sub lett. d) è inammissi

bile siccome, al contempo, infondato e generico, atteso che il ri

corrente si limita a lamentare l'eccessività della pena inflittagli e la sua determinazione senza che la corte territoriale abbia va

lutato alcun altro elemento, al di fuori della posizione dell'im

putato all'interno del sodalizio criminale, in tal modo, per un

verso, ammettendo che la determinazione dell'entità della pena è stata giustificata dai giudici del merito da una precisa circo stanza di fatto (la predetta posizione all'interno dell'associazio

ne) e, per altro verso, non supportando l'affermazione relativa alla mancata valutazione, a tal fine, da parte della corte territo riale di altri elementi con specifiche indicazioni sulla loro natura e valenza giuridica. (Omissis)

III

(Omissis). F) Sussumibilità del fatto all'ipotesi di cui all'art. 416 ter c.p. All'udienza camerale le parti hanno dibattuto se l'u so della minaccia o della forza d'intimidazione nella fase di rac colta dei voti rientri o meno fra gli elementi costitutivi della

fattispecie o meno.

In particolare si è posto l'accento sull'incertezza interpretati va suscitata da un'isolata e recente pronuncia della prima sezio ne della Corte di cassazione, che, contravvenendo ad un conso lidato orientamento formatosi in materia, ha statuito che «Il de litto di scambio elettorale politico-mafioso non può ritenersi :onsumato per il solo fatto che l'uomo politico abbia conse

gnato denaro ad un esponente mafioso al fine di farsi appoggia re nella propria campagna elettorale, ma esige che l'esponente mafioso, al fine di indurre gli elettori a votare per l'uomo politi co, ricorra agli strumenti dell'intimidazione e della prevarica tone mafiosa» (Cass., sez. I, 25 marzo 2003, Cassata, che pre cede).

La soluzione al quesito non può prescindere dalla riflessione sulla funzione e sulla struttura giuridica della norma che sotto >one alla «pena stabilita dall'art. 416 bis anche chi ottiene la

M'omessa di voti prevista dal 3° comma del medesimo articolo n cambio dell'erogazione di denaro».

È noto che il legislatore, muovendosi nell'ottica di un raffor :amento e di un'estensione della tutela penale, ha introdotto il eato di scambio elettorale per colpire una grave forma di conti

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GIURISPRUDENZA PENALE

guità politico-mafiosa che, non potendo sempre essere ricon

dotta dentro il cono d'azione del concorso esterno per l'impos sibilità di individuare il contributo al rafforzamento dell'asso

ciazione, finiva per lasciare impunita la riprovevole condotta del

politico limitatosi ad erogare denaro all'associazione mafiosa in

cambio della promessa di voti.

Trattasi dunque di una norma introdotta a presidiò di fonda

mentali valori dello Stato di diritto, quali l'esercizio del diritto

di voto e la libera formazione del consenso democratico.

Ora, la funzione rafforzativa-anticipatoria della norma è evi

dente sol che si consideri che il legislatore, da un lato ha parifi cato quoad poenam il disvalore sociale dello scambio di voti al

delitto di associazione mafiosa di cui all'art. 416 bis c.p., dal

l'altro lato ha anticipato la soglia di punibilità alla mera con

dotta negoziale delle parti, colpendo sic et simpliciter lo scam

bio tra il denaro e la promessa mafiosa di voti, a nulla rilevando

né il buon esito della consultazione elettorale né l'effettivo

adempimento della promessa da parte del gruppo. La lettura del testo normativo, infatti, dimostra come il reato

presupponga l'esistenza di due volontà rappresentative di due

distinti centri d'interesse: da una parte, il mafioso che interviene

formulando una promessa di voti in rappresentanza del gruppo mafioso di cui spende esplicitamente od implicitamente il nome

sulla falsariga dello schema giuridico della rappresentanza di

retta di cui agli art. 1387 ss. c.c. (promessa qualificata dalla

contemplatio domini), dall'altro il promissario acquirente che

eroga il denaro.

L'interazione fra le due condotte avviene secondo quel vin

colo di sinallagmaticità conosciuto nell'ambito dei contratti a

prestazioni corrispettive. Risulta poi evidente, nell'ottica anticipatoria suindicata, che

l'obbligazione del mafioso promittente costituisce una semplice

prestazione di mezzi, concretantesi nell'impegno di raccogliere voti con l'utilizzo delle risorse e delle capacità dell'organizza zione criminosa, ivi ovviamente compresa la forza d'intimida

zione.

Su questo terreno argomentativo può accedersi alla conclu

sione che il delitto di scambio elettorale possiede tutti i caratteri

e le prerogative del reato di pericolo, poiché è sufficiente la sti

pula dello scellerato patto per ledere il bene protetto dalla nor

ma ossia l'alterazione del processo di formazione del libero

consenso democratico.

Da tali considerazioni risulta chiaro che il momento di con

sumazione del reato è stato dal legislatore fissato nel preciso momento in cui alla promessa qualificata corrisponde l'eroga zione del denaro.

Orbene, se il reato si consuma nel momento dello scambio

promessa/denaro, deve giocoforza concludersi che la successiva

fase della raccolta dei voti, e le modalità con cui essa concreta

mente avviene, confluiscono nella categoria giuridica del post

factum criminoso, del tutto irrilevante ai fini della configurabi lità del reato.

Ed è alla luce di questo principio che va correttamente inqua drato il richiamo al 3° comma dell'art. 416 bis c.p.

Invero, il richiamo normativo al procacciamento mafioso dei

voti costituisce un semplice attributo, un modus essendi della

promessa che deve contenere l'intendimento di fare ricorso alla

forza propulsiva ed alla ramificata rete organizzativa dell'asso

ciazione mafiosa (c.d. metodo mafioso). Diventa allora un problema apparente stabilire se l'accordo

elettorale contenga anche l'espressa pattuizione del ricorso alla

minaccia o alla forza d'intimidazione, poiché questa particolare

(e meramente eventuale) modalità di estrinsecazione del metodo

mafioso deve ritenersi contenuta nel fatto stesso che il politico chieda ed ottenga il sostegno diretto dell'associazione mafiosa,

essendo noto che frequentemente l'associazione mafiosa deno

minata Cosa nostra non deve affatto ricorrere alla minaccia o

all'intimidazione esplicita, potendo contare sull'efficace capa

cità di assoggettamento del libero arbitrio derivante dal secolare

radicamento territoriale e culturale.

D'altra parte pretendere l'espressa promessa (o pattuizione) dell'intimidazione o della minaccia per la raccolta di larghi con

sensi elettorali costituisce un'ipotesi decisamente astratta, im

II Foro Italiano — 2004.

plicante una sostanziale interpretatio abrogans della norma. È

infatti del tutto inverosimile — se non addirittura illogico —, che il mafioso garantisca ali'extraneus il ricorso alla minaccia

di una collettività indistinta e generalizzata di elettori per con

seguire la convergenza elettorale promessa. Se dunque la promessa esplicita della coartazione non costi

tuisce una qualità indispensabile del patto politico-elettorale, tantomeno si richiede che la raccolta dei voti avvenga material

mente con il concreto esercizio della minaccia o dell'intimida

zione, perché se così fosse, si determinerebbe una proiezione in

avanti del momento consumativo del reato dalla stipula del

patto alla raccolta dei voti, trasformandosi in reato di danno una

figura da annoverare nella categoria dei reati di pericolo. Così delineata la fattispecie, non v'è dubbio che alla stregua

del giudizio prognostico formulabile in sede di tutela urgente, la

condotta del Pizzo vada sussunta nell'alveo normativo dell'art.

416 ter c.p. Dal compendio indiziante sopra esaminato possono infatti

estrapolarsi tutti gli elementi costitutivi della fattispecie crimi

nosa.

Quanto all'elemento oggettivo del reato, va infatti sottoli

neato come la proposta posta illecita sia provenuta e sia stata

intensamente perseguita dall'indagato durante l'arco della cam

pagna elettorale del 2001. Se da un canto si è acquisita la prova nitida del negozio illecito e della sua esecuzione con l'incame

ramento del denaro confluito nelle casse della famiglia retta da

Bonafede Natale e ripartito nelle modalità analiticamente indi

cate dal collaborante, dall'altro lato è emerso che Concetto Ma

riano ha dichiaratamente agito in nome e per conto dell'associa

zione criminosa, spendendone il nome sia al momento della de

terminazione del corrispettivo dovuta dal politico, sia al mo

mento della raccolta dei voti.

Quanto all'elemento soggettivo può affermarsi che il Pizzo

era pienamente consapevole di avere chiesto ed ottenuto la pro messa di voti da un soggetto che non agiva uti singuli ma quale

rappresentante la famiglia mafiosa da cui riceveva istruzioni, e

di aver avuto, in ogni fase della vicenda, la chiara rappresenta zione della contemplatio domini che portava ad individuare nel

reggente della famiglia Bonafede Natale il vero contraente.

D'altra parte, sovviene in tal senso anche una considerazione

d'ordine logico, poiché la stessa entità della richiesta di ben

mille voti, lascia intendere che il Pizzo abbia intenzionalmente

cercato il sostegno della famiglia mafiosa, essendo impensabile che un supporto di queste dimensioni potesse provenire dalla

collaborazione di un quisque de populo. Ed è lo stesso Concetto Mariano che ha indirettamente sotto

lineato questo profilo laddove ha riferito che in occasione delle

successive elezioni comunali in cui si era personalmente candi

dato l'indagato, egli aveva offerto al Pizzo solo il suo impegno

personale con una raccolta di appena dieci voti, spiegandogli il

motivo per cui non potesse coinvolgere gli altri componenti della famiglia di Marsala, com'era avvenuto per le elezioni re

gionali del 2001. Le considerazioni svolte in diritto ed in fatto nel capo F della

presente ordinanza, consentono di ritenere superate le ulteriori

eccezioni della difesa che ha posto l'indice, da un canto sulla

mancanza di prova di rapporti diretti fra il Pizzo ed altri espo nenti dell'organizzazione mafiosa, essendovi soltanto un rap

porto interpersonale fra l'indagato ed il collaborante, dall'altro

canto sulla presenza di un mero interesse economico a percepire il compenso offerto dal Pizzo per una mera collaborazione elet

torale, senza traccia alcuna di quell'interesse strategico d'infil

trazione nella vita politico-istituzionale perseguita dalla fami

glia mafiosa di Marsala.

Quanto al primo profilo va infatti replicato che per la confi

gurabilità del reato non occorre la prova di rapporti con una plu ralità di esponenti dell'associazione mafiosa, essendo suffi

ciente che dai contatti con l'unico rappresentante mafioso

emerga, come detto, la contemplatio domini.

Quanto al secondo profilo, è sufficiente replicare che l'inte

resse concretamente perseguito dall'associazione mafiosa non

rientra nel paradigma normativo di cui all'art. 416 ter c.p., né

come elemento costitutivo e neanche come generico presuppo sto di punibilità.

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Page 8: sezione III penale; ordinanza 3 dicembre 2003; Pres. Papadia, Rel. Rizzo, P.M. Izzo (concl. parz. diff.); ric. P.m. in c. Saracino. Annulla Trib. Bari, ord. 21 luglio 2003

S 1 9 PA RTF SF.rONDA S70

Deve pertanto concludersi per l'esistenza dei gravi indizi di

colpevolezza ex art. 273 c.p.p. G) Esigenze cautelari. Il reato di scambio elettorale politico

mafioso non è previsto fra le ipotesi assistite dalla presunzione iuris tantum di sussistenza delle esigenze cautelari previste dal

l'art. 275, 3° comma, c.p.p. Sebbene una delle ragioni di tale esclusione sia probabil

mente imputabile a ragioni di mero coordinamento legislativo, l'estensione della presunzione all'ipotesi di specie, affermata

dal p.m. sulla considerazione del rinvio quoad poenam effet

tuato dall'art. 416 bis c.p., costituirebbe un'interpretazione creativa, in aperta violazione del dettato normativo.

Ciò posto si ritengono condivisibili le affermazioni del giudi ce per le indagini preliminari che, sia pur richiamando la moti

vazione contenuta nella richiesta di custodia cautelare, ha af

fermato l'esistenza dell'esigenza di cui alle lett. a) e c).

Quanto al pericolo di inquinamento probatorio si osserva che

si versa tutt'ora in quella delicata fase di acquisizione di ulterio

ri riscontri da parte di diversi soggetti a conoscenza dei fatti, come dimostrato dalle dichiarazioni integrative rese dal Laudi

cina nell'interrogatorio del 30 aprile 2004 e dalle dichiarazioni

rese da Mauro Giovanni e Carnese Giuseppe con le modalità

previste dall'art. 391 bis c.p.p. Ciò implica la necessità di salvaguardare il consolidamento

delle acquisizioni probatorie e la genuinità delle fonti ancora da

acquisire con i necessari approfondimenti investigativi.

Questa fase transitoria potrebbe essere irrimediabilmente

compromessa dal potere d'influenza politico-affaristica consoli

dato dall'indagato nel territorio marsalese.

Potrebbero così essere compromessi gli elementi di prova che

è possibile ancora acquisire da quei soggetti che sono venuti a

contatto col Pizzo durante l'illecita raccolta del consenso eletto

rale, e si potrebbe consentire la costruzione di una concordata

versione di comodo al fine di offrire un'artificiosa lettura alter

nativa dell'intera vicenda.

Quanto all'esigenza di cui alla lett. c), è noto che l'esigenza di specialprevenzione può ricavarsi da numerosi elementi, quali la gravità del fatto-reato, e tutti gli aspetti oggettivi e soggettivi in grado di esprimere la pericolosità del soggetto e l'inclinazio

ne a delinquere, ivi compresi i parametri di cui all'art. 133 c.p. Nella specie, non può non sottolinearsi che la gravità del

reato contestato al Pizzo in nulla differisce, sotto il profilo del

disvalore sociale e della gravità della pena, alla partecipazione all'associazione mafiosa.

Alla gravità del fatto si aggiungono i gravi indizi emersi sulla

reiterazione di identiche condotte già in occasione delle consul

tazioni elettorali del 1986 e del 1996.

Alcuni passaggi investigativi denotano inoltre l'intensità del

dolo con il quale il Pizzo ha perseguito il fine illecito, non solo

proponendo il patto dicendo che «stavolta non avrebbe badato a

spese», ma chiedendo poi di estendere il campo d'azione del

l'attività di procacciamento anche nel territorio di Alcamo.

Gravità del fatto, continuità e contiguità dei rapporti, ed in

tensità del dolo esprimono dunque la concretezza e l'attualità

del pericolo di reiterazione, dovendo peraltro considerarsi che

l'indagato, sfruttando le attuali cariche politico-amministrative e la continuità delle conoscenze negli ambienti mafiosi della

zona potrebbe anche alterare il normale decorso delle prossime consultazioni elettorali, dirottando illecitamente frange di voti

in direzione di candidati ritenuti «meritevoli» di sostegno. (Omissis)

Il Foro Italiano — 2004.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 18

novembre 2003; Pres. Zumbo, Est. Squassoni, P.M. Geraci

(conci, conf.); ric. Gambuzza. Conferma App. Firenze 23 set

tembre 2002.

Lavoro (rapporto di) — Igiene e sicurezza del lavoro — Me dico competente — Cartella sanitaria e di rischio del lavo ratore — Omesso aggiornamento — Reato — Fattispecie

(D.leg. 19 settembre 1994 n. 626, attuazione delle direttive

89/391/Cee, 89/654/Cee, 89/655/Cee, 89/656/Cee, 90/269/Cee, 90/270/Cee, 90/394/Cee e 90/679/Cee riguardanti il migliora mento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di

lavoro, art. 17, 92).

In materia di sicurezza dei lavoratori durante il lavoro, rispon de della contravvenzione di cui agli art. 17, 1° comma, lett.

d), e 92 d.leg. 626/94 il medico competente il quale, istituita

per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria la

cartella sanitaria e di rischio, abbia omesso di aggiornarla con l'indicazione, tra l'altro, dei rischi lavorativi ambientali

specifici ai quali il lavoratore sia stato sottoposto. (1)

Motivi della decisione. — Con sentenza 18 ottobre 2002, il

Tribunale di Lucca-Viareggio ha assolto, con la formula perché il fatto non sussiste, il medico Gambuzza Carmelo dai reati pre visti dagli art. 17, 1° comma, lett. b) e d), e 92 d.leg. 626/94

(non avere tenuto aggiornata la cartella clinica e di rischio di un

dipendente e non aver sottoposto due lavoratori alle periodiche visite mediche).

In riforma della decisione del primo giudice, la Corte d'ap

pello di Firenze, con sentenza 23 settembre 2002, ha assolto

l'imputato dagli illeciti di cui all'art. 17, lett. b), cit., perché il fatto non è previsto dalla legge come reato (in quanto depena lizzato dal d.leg. 25/02), mentre ha ritenuto Gambuzza respon sabile della residua contravvenzione e lo ha condannato alla pe na di giustizia.

Per l'annullamento della sentenza, l'imputato ricorre in Cas

sazione deducendo violazione di legge e difetto di motivazione.

In sunto rileva la totale insussistenza dei fatti posti a fonda

mento della decisione e, in particolare, che i lavoratori fossero

esposti a rischi ambientali specifici; sul tema il ricorrente preci

(1) Non constano precedenti in termini. Il combinato disposto degli art. 17, 1° comma, lett. d), e 92, 1° com

ma, lett. a), d.leg. 626/94 (in materia di sicurezza del lavoro), delinea un tipico esempio di contravvenzione propria strutturata in forma omis siva: in particolare, l'art. 17, 1° comma, lett. d), cit., sancisce in capo al medico competente per la sorveglianza sanitaria l'obbligo di istituire e

aggiornare, «sotto la propria responsabilità, per ogni lavoratore sotto

posto a sorveglianza sanitaria, una cartella sanitaria e di rischio da cu stodire presso il datore di lavoro con salvaguardia del segreto profes sionale»; mentre l'art. 92, 1° comma, lett. a), cit., punisce le contrav venzioni commesse dal medico competente, sanziona la violazione, tra

gli altri, del suddetto obbligo, con l'arresto fino a due mesi o con l'ammenda da 516 a 3.098 euro.

Secondo la sentenza in epigrafe, la contravvenzione in questione sus sisterebbe tra l'altro anche nello specifico caso di omessa indicazione, nella cartella sanitaria e di rischio, di tutti i rischi lavorativi ambientali

specifici ai quali il lavoratore sia stato sottoposto, nonostante l'art. 17 cit. non chiarisca esattamente quali siano le indicazioni sanitarie neces sarie e/o minime che la cartella deve contenere.

La giurisprudenza ha invece precisato che non si configura la con travvenzione nel caso di violazione dell'obbligo di custodia delle car telle presso il datore di lavoro, obbligo che ha carattere meramente ac cessorio e integrativo della prescrizione relativa all'istituzione ed al

l'aggiornamento delle cartelle stesse: v. Cass. 15 dicembre 2000, Ore

fice, Foro it., Rep. 2001, voce Lavoro (rapporto), n. 1204. In dottrina, sul d.leg. 626/94, e in particolare sugli obblighi da esso

istituiti a carico del medico competente e sulle relative contravvenzioni, v. Baglione, Nuove contravvenzioni a tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, Milano, 1995, 66 ss., 70; Loy (a cura di), La tu tela della salute nei luoghi di lavoro, Padova, 1996, 59 ss.; Galantino

(a cura di). La sicurezza sul lavoro, 2a ed., Milano, 1996, 120 ss., 154 ss., 303 ss.; Padula, Tutela civile e penale della sicurezza del lavoro, 2J ed., Padova, 1998, 105 ss.; Lageard, Le malattie del lavoro nel di ritto penale, Torino, 2000, 63 ss.; Soprani, Sicurezza e prevenzione nei

luoghi di lavoro, Milano, 2001, 115 ss., 185 ss., 432 ss., 628 ss.

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