sezione III penale; sentenza 11 novembre 2003; Pres. Raimondi, Est. Piccialli, P.M. Izzo (concl.conf.); ric. Impero e altro. Annulla Trib. Benevento 28 marzo 2003Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 6 (GIUGNO 2004), pp. 355/356-357/358Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199265 .
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CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 11
novembre 2003; Pres. Raimonpi, Est. Piccialli, P.M. Izzo
(conci, conf.); ric. Impero e altro. Annulla Trib. Benevento 28
marzo 2003.
Caccia e protezione della fauna — Attività venatoria — At
teggiamento di caccia — Richiamo acustico — Sufficienza — Esclusione (L. 11 febbraio 1992 n. 157, norme per la pro tezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo ve
natorie, art. 12, 13, 21, 30).
Non è ipotizzabile un «atteggiamento di caccia» di cui all'art.
12 l. 11 febbraio 1992 n. 157, nei casi in cui l'agente non sia
in possesso di mezzi, leciti o illeciti, di per sé idonei all'ab
battimento o cattura della selvaggina, tale non potendosi ri
tenere il solo richiamo acustico, anche se di genere vietato, il
cui impiego, pur sufficiente ad attirare i pennuti, da solo non
ne consenta la cattura. (1)
(1) Con la decisione in epigrafe la corte analizza la questione relativa all'esercizio dell'attività venatoria attraverso l'ausilio di un richiamo acustico. In particolare il giudice di legittimità chiarisce l'ambito di ap
II Foro Italiano — 2004.
Fatto e diritto. — All'esito di giudizio di opposizione a de
creto penale, Biagio Impero e Giovanni Flauto sono stati, con la
sentenza in epigrafe, dichiarati colpevoli della contravvenzione
di cui agli art. 21, lett. r), e 30, lett. h), 1. 157/92, «per avere esercitato attività venatoria con l'ausilio di un richiamo acustico
a funzionamento elettronico riproducente il canto del tordo. In
Amorosi il 12 novembre 2000».
Ricorrono congiuntamente gli imputati, deducendo:
1) violazione del diritto di difesa, per non aver mai ricevuto
l'avviso della conclusione delle indagini preliminari;
2) nullità del capo di imputazione, perché generico;
3) motivazione generica, illogica e non circostanziata, perché non contemplante alcun fatto punibile a termini della legge pe
plicazione degli art. 12 e 13 1. 11 febbraio 1992 n. 157, recante norme
per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo ve
natorie, definendo il concetto di «atteggiamento di caccia». Quest'ul timo, secondo la corte, non sussiste nel caso in cui il soggetto sia in
possesso soltanto di strumenti quali un richiamo acustico a funziona mento elettronico, non essendo lo stesso di per sé idoneo a configurare un comportamento finalizzato all'abbattimento o alla cattura della fau
na selvatica. Per ciò che concerne l'esatta definizione di «atteggiamento di cac
cia», Trib. Avellino-Cervinara 28 febbraio 2000, Foro it., Rep. 2002, voce Caccia, n. 21, ha affermato che lo stesso va dedotto da un insieme
sinergico di elementi tra loro connessi, che mutano di faso in caso ed in
relazione pertanto ai quali non è possibile, prescindendo dalle singole, concrete fattispecie, indicare parametri aventi un'idoneità assoluta al
l'identificazione dell'esercizio venatorio. In merito allo stesso aspetto, con specifico riferimento al tentativo di operare caccia abusiva, v. Pret. Terni-Amelia 3 novembre 1995, id., Rep. 1996, voce cit., n. 37.
Secondo Cass. 15 novembre 2000, n. 14824, id., Rep. 2000, voce
cit., n. 15, costituisce esercizio venatorio anche il vagare o il soffermar
si con i mezzi destinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della fauna
selvatica o di attesa della medesima per abbatterla, senza che tale atti
tudine possa considerarsi esclusa dal fatto che il cacciatore abbia il fu cile scarico e aperto, potendo essere, proprio perché aperto, rapida mente caricato ed utilizzato per abbattere la selvaggina. Sul medesimo
profilo, v. anche Cass. 10 settembre 1997, n. 8890, id., Rep. 1997, voce
cit., n. 17. Sulla nozione di attività venatoria utilizzata nella 1. 157/92, v. Cass.
26 novembre 1998, Giovagnoli, id., Rep. 1999, voce cit., n. 19. Per ciò che concerne l'utilizzo di determinati mezzi di caccia, in me
rito all'esclusione di taluni di questi, tra cui un particolare tipo di ri chiamo acustico, da quelli considerati diretti all'abbattimento della
fauna, v. Trib. Brescia 29 giugno 2000, id., Rep. 2001, voce cit., n. 18. Sul medesimo profilo concernente i diversi tipi di richiami utilizzati
nell'esercizio dell'attività venatoria, v. Cass. 8 novembre 1999, Lorus
so, id., Rep. 2000, voce cit., n. 16; 2 luglio 1999, Conversano, ibid., n.
25; 20 maggio 1997, Taddei, id., Rep. 1999, voce cit., n. 36, e 10 di cembre 1998, n. 12404, id., Rep. 1998, voce cit., n. 26. Sempre con ri
guardo a tale tematica, Corte cost., ord. 30 marzo 1995, n. 95, id., 1995, I, 1408, con nota di richiami, ha dichiarato manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale degli art. 13 e 30, 1° comma, lett.
h), 1. 11 febbraio 1992 n. 157, nella parte in cui vieterebbero e sanzio nerebbero penalmente l'uso dei cani nell'esercizio della caccia.
Con riferimento al divieto di utilizzo di mezzi di cattura insidiosi e
crudeli, v. Cass. 21 marzo 1994, Mannucci, id., Rep. 1997, voce cit., n. 19. Nell'ambito del profilo relativo ai reati venatori, per quanto riguar da l'esercizio della caccia con uso di richiami vivi, v. Cass. 6 ottobre
2000, Cipolla, id., Rep. 2001, voce cit., n. 20. Più in generale, sul nesso tra mezzi vietati di caccia e utilizzo di richiami, v. Cass. 28 aprile 2000,
Medaglia, id., Rep. 2000, voce cit., n. 24, e 17 giugno 1994, Villa, id., 1995, II, 111, con nota di richiami.
A proposito dell'inclusione del tentativo d'impossessamento di fauna selvatica tra le ipotesi contravvenzionali previste dall'art. 30, 1° com
ma, 1. 157/92, v. Pret. Caltagirone 9 novembre 1992, id., 1993, II, 521. Per ciò che concerne le questioni di legittimità costituzionale pro
spettate in merito ad alcune norme, contenute nella 1. 157/92 e attinenti ai profili in esame, v. Corte cost., ord. 2 giugno 1994, n. 215, id., Rep. 1995, voce cit., n. 11, e 15 marzo 1993, n. 93, id.. Rep. 1993, voce cit., n. 11, che le hanno dichiarate in entrambi i casi manifestamente inam missibili.
In generale, Corte cost. 20 dicembre 2002, n. 536, id., 2003, I, 688, con nota di richiami e osservazioni di Lombardi, Ferrara e Olivetti
Rason, ha affermato che la disciplina statale rivolta alla tutela dell'am biente e dell'ecosistema può incidere sulla materia della caccia, pur ri servata alla potestà legislativa regionale, ove l'intervento dello Stato sia rivolto a garantire standard minimi e uniformi di tutela della fauna, trattandosi di limiti unificanti che rispondono a esigenze riconducibili ad ambiti riservati alla competenza esclusiva statale ai sensi dell'art.
117, 2° comma, lett. .y), Cost.
PARTE SECONDA
pare, però, del tutto in contrasto con la stessa dizione dell'art.
499, 3° comma, c.p.p., e non valuta la rilevanza del capitolato di
prova, dell'intervento del presidente e dei poteri di quest'ulti mo, sicché la stessa è affrettata e poco attenta alla trattazione
della tematica.
Inoltre, a parte dette considerazioni generali, deve rilevarsi
che uniforme giurisprudenza di questa corte in tema di inutiliz
zabilità distingue tra prove vietate e quelle assunte irregolar
mente, applicando l'istituto in parola solo nel primo caso (Cass. 13 febbraio 1998, Magro, id., Rep. 1998, voce cit., n. 39) senza
che una tale distinzione contrasti con il dettato dell'art. 526
c.p.p., perché concerne le prove legittimamente acquisite e non
assunte irregolarmente per le quali vige il regime della nullità, ove previste.
Pertanto potrebbe osservarsi che si tratta di una regola per la
sua assunzione, alla cui osservanza dovrebbero sovrintendere in
dibattimento i poteri attribuiti al presidente dal 6° comma del
l'art. 499 c.p.p., per considerare inapplicabile l'istituto, tanto
più che la predetta disciplina è pensata con espresso riferimento
al dibattimento e non si applica nell'ipotesi del controesame.
Deve, poi, ponderarsi che non è configurabile un'inutilizza
bilità derivata (cfr. Cass. 24 gennaio 1996, Agostino ed altri,
ibid., n. 51), sicché non solo quella relativa ad una domanda non
si comunicherebbe a tutta la deposizione ma anche non farebbe
venir meno l'impianto motivazionale della sentenza impugnata,
perché si regge su plurime e differenti valutazioni.
Peraltro, anche a voler ritenere applicabile l'istituto dell'inu
tilizzabilità, il che non è per i motivi già svolti, si tratterebbe di quella «relativa», stabilita dalla legge con riferimento alla fase
dibattimentale (Cass., sez. un., 21 giugno 2000, Tammaro, id.,
Rep. 2000, voce Giudizio abbreviato, n. 68).
Infine, con valore assorbente, la pregevole decisione di primo
grado già afferma di aver depurato l'intera dichiarazione resa al
p.m. da quegli elementi di suggestività incautamente introdotti
dallo stesso ed entrambe le pronunce criticano dette modalità e, secondo quanto è esatto, giacché si tratta di un'irregolarità che
si riverbera sul vizio motivazionale, ma non sull'istituto del
l'inutilizzabilità, con ineccepibili argomentazioni fanno emerge re da dette dichiarazioni solo le parti che possono essere ritenute
«non inquinate» perché suffragate da riscontri, deduzioni logi che, precedenti dichiarazioni, anche se la modalità di assunzio
ne, seppure «incauta», non può ritenersi illegittima, ma solo
contraria ad alcuni canoni della moderna scienza della psicolo
gia infantile. (Omissis)
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GIURISPRUDENZA PENALE
naie, ma solo il possesso da parte di uno degli imputati di un ri
chiamo acustico, fatto di per sé non illecito;
4) insufficienza dell'unica argomentazione, posta a base del
l'affermazione di responsabilità, che uno degli imputati era «in
atteggiamento di caccia», trattandosi di un opinabile giudizio di
uno dei testi d'accusa, acriticamente recepito dal magistrato;
5) conseguente nullità del capo d'imputazione e della motiva
zione della sentenza per genericità ed illogicità; 6) assenza di alcun elemento di prova o indiziario a carico
degli imputati, ricavabili dalle testimonianze; 7) assenza di alcuna circostanza comprovante l'esercizio del
l'attività venatoria;
8) assenza di alcun elemento comprovante il concorso;
9) in subordine, assenza di motivazione in ordine alla man
cata concessione della sospensione condizionale agli imputati. Il ricorso, parzialmente fondato, va accolto nei limiti di se
guito esposti. In ordine alla prima censura, è sufficiente osservare che nel
caso di specie non era dovuto l'avviso di conclusioni delle in
dagini, non essendo tale atto, previsto dall'art. 415 bis c.p.p. nell'ambito del rito ordinario culminante nell'udienza prelimi
nare, dovuto nei casi di reati per i quali si proceda con citazione
diretta da parte del p.m. o per decreto penale e conseguente op
posizione, come nel caso di specie. Infondate sono la seconda e la quinta censura, deducenti la
nullità della contestazione, tenuto conto della sufficiente speci
ficità, in ordine alle circostanze di fatto, tempo e luogo, oltre
che dei puntuali riferimenti normativi, del capo d'imputazione, in narrativa testualmente riportato, enunciante un'accusa ben
precisa, tale da consentire ogni possibilità agli imputati di ap
prontare adeguata difesa.
Le rimanenti censure sono invece fondate, nella parte in cui
deducono l'insufficiente motivazione dell'affermazione di re
sponsabilità, con specifico riferimento all'elemento oggettivo della condotta contravvenzionale ascritta, in concorso, ai due
imputati. Il giudice di merito, infatti, nella succinta e sbrigativa moti
vazione della sentenza, non ha precisato se e quale dei due im
putati fosse in possesso di armi idonee all'abbattimento o cattu
ra della selvaggina, limitandosi ad affermare: «mentre l'Impero era in atteggiamento di caccia, dai pressi del Flauto proveniva il
suono di un richiamo acustico vietato ... che lo stesso occultava
in uno stivale».
L'art. 12 1. 11 febbraio 1992 n. 157, dopo aver precisato, al 2°
comma, che «costituisce esercizio venatorio ogni atto diretto al
l'abbattimento o alla cattura della fauna selvatica mediante
l'impiego dei mezzi di cui all'art. 13» fissa, al comma successi
vo, delle presunzioni iuris et de iure desumibili da taluni com
portamenti inequivoci, quali il «vagare o il soffermarsi con i
mezzi destinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della fauna
selvatica o di attesa della medesima per abbatterla». L'art. 13
cit. contempla, quali mezzi leciti di abbattimento o cattura della
selvaggina alcuni tipi di fucile, l'arco ed il falco.
Ne consegue che non è ipotizzabile un «atteggiamento di cac
cia», inquadrabile tra i comportamenti previsti dall'art. 12 cit., nei casi in cui l'agente non sia in possesso di mezzi, leciti o il
leciti, di per sé idonei all'abbattimento o cattura della selvaggi
na, tale non potendosi ritenere, dunque, il solo richiamo, ancor
ché di genere vietato, il cui impiego, se di per sé sufficiente ad
attirare i pennuti, da solo non ne consente certo la cattura.
La motivazione neppure precisa se la distanza tra i due im
putati fosse tale da denotare una collaborazione nell'esercizio
venatorio, consentendo all'Impero, ove armato, di avvalersi del
l'effetto attrattivo esercitato dal richiamo detenuto dal Flauto
(anche se non armato). La sentenza impugnata va pertanto annullata, per nuovo esa
me, con rinvio al giudice a quo, rimanendo assorbita l'ultima
censura, denunziante una, peraltro evidente, assenza di motiva
zione su una richiesta (di concessione dei benefici) che pur ri
sulta essere stata, in via subordinata, formulata dalla difesa.
Il Foro Italiano — 2004.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione IV penale; sentenza 28
ottobre 2003; Pres. D'Urso, Est. Brusco, P.M. Cosentino
(conci, conf.); ric. Rossi. Conferma Trib. Lodi 30 novembre
2000.
Sentenza, ordinanza e decreto in materia penale — Omessa
trascrizione del dispositivo letto in udienza e inserito in at ti — Nullità — Esclusione — Errore materiale (Cod. proc.
pen., art. 130, 546).
L'omessa trascrizione, nell'originale della sentenza, del di
spositivo che pur esista, sia stato ritualmente letto in udienza
e risulti inserito negli atti processuali, non dà luogo a nullità
della sentenza per mancanza del dispositivo, ai sensi del
l'art. 546, 3° comma, c.p.p., ma integra un mero errore ma
teriale, riparabile secondo la procedura prevista dall'art.
130 c.p.p. (1)
(Omissis). Il ricorso è infondato e deve conseguentemente es
sere rigettato.
Pregiudiziale appare l'esame dell'eccezione di nullità della
sentenza impugnata perché priva del dispositivo. Dall'esame del fascicolo processuale, che questa corte può
compiere essendo stata dedotta una violazione di natura proces
suale, emerge che il dispositivo della sentenza in esame venne
regolarmente letto all'udienza del 30 novembre 2000 ed inserito
nel fascicolo. La motivazione della sentenza fu depositata il 30
gennaio 2001 ed effettivamente il documento è privo del dispo sitivo. Il giudice ha poi provveduto, con provvedimento 10
aprile 2001, alla correzione dell'errore materiale integrando la
sentenza depositata con il dispositivo omesso di tenore identico
a quello del dispositivo letto in udienza.
Ciò premesso deve rilevarsi, innanzitutto, che appaiono
inammissibili, in questa sede, le censure che si riferiscono alla
violazione della procedura prevista dall'art. 127 c.p.p. per la
correzione dell'errore materiale.
Già dubbia appare l'ammissibilità del motivo aggiunto perché non proposto con l'originario ricorso e non riferibile ad alcuno
dei motivi proposti inizialmente; ma in ogni caso non v'è dub
bio che le censure contro il provvedimento di correzione vadano
rivolte contro il medesimo in separato giudizio non potendo es
sere introdotte in questo procedimento che riguarda esclusiva
mente l'impugnazione contro la sentenza del giudice di merito e
non contro la separata ordinanza che avrebbe dovuto essere (si
ignora se lo sia stata) autonomamente impugnata. In ogni caso, essendo stata dedotta l'inesistenza della senten
za, che potrebbe essere dichiarata anche in assenza di espressa
impugnazione, va rilevato come la censura proposta sia infon
data. La sanzione di nullità prevista dall'art. 546, 3° comma,
codice di rito nel caso in cui «manca o è incompleto nei suoi
elementi essenziali il dispositivo» va infatti riferita al caso in
cui difetti totalmente il dispositivo e non ai casi nei quali il di
spositivo esista e ne sia stata data regolare lettura. In questi casi
infatti non v'è alcuna incertezza sul contenuto della decisione e
alcun interesse delle parti viene leso trattandosi di mera assenza
grafica quindi sanabile con la procedura prevista dall'art. 130
c.p.p. In questo senso si è già espressa la terza sezione di questa
corte con la sentenza 27 gennaio 1998, Pagliaro (Foro it., Rep.
1998, voce Sentenza penale, n. 14), il cui contenuto questo col
legio condivide.
(1) La pronuncia affronta una questione interpretativa ad oggi con
troversa: in senso conforme, cfr. Cass. 27 gennaio 1998, Pagliaro, Foro
it., Rep. 1998, voce Sentenza penale, n. 14; contra — nel senso che la
mancanza del dispositivo, sebbene ritualmente letto in udienza, deter
mina la nullità della sentenza, che non può essere integrata con la pro cedura di correzione degli errori materiali di cui all'art. 130 c.p.p., non
utilizzabile allorché l'errore produca la nullità dell'atto — Cass. 8 otto
bre 1993, Negro, id.. Rep. 1995, voce cit., n. 96, e 27 giugno 2002,
Melluso, id., Rep. 2002, voce cit., n. 41. Per un inquadramento della
natura e dei limiti del procedimento di correzione degli errori materiali,
cfr., per tutti, Amodio, in Commentario del nuovo codice di procedura
penale diretto da Amodio e Dominioni, Milano, 1989, II, sub art. 130,
104 ss.
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