+ All Categories
Home > Documents > Sezione III penale; sentenza 15 dicembre 1982; Pres. Severino, Est. Lavosi, P. M. Cotronei (concl....

Sezione III penale; sentenza 15 dicembre 1982; Pres. Severino, Est. Lavosi, P. M. Cotronei (concl....

Date post: 31-Jan-2017
Category:
Upload: vuongquynh
View: 218 times
Download: 3 times
Share this document with a friend
6
Sezione III penale; sentenza 15 dicembre 1982; Pres. Severino, Est. Lavosi, P. M. Cotronei (concl. conf.); ric. Morselli. Annulla senza rinvio Trib. Reggio Emilia 17 giugno 1981 Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 12 (DICEMBRE 1983), pp. 503/504-511/512 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23176954 . Accessed: 28/06/2014 15:36 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.50 on Sat, 28 Jun 2014 15:36:04 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: Sezione III penale; sentenza 15 dicembre 1982; Pres. Severino, Est. Lavosi, P. M. Cotronei (concl. conf.); ric. Morselli. Annulla senza rinvio Trib. Reggio Emilia 17 giugno 1981

Sezione III penale; sentenza 15 dicembre 1982; Pres. Severino, Est. Lavosi, P. M. Cotronei (concl.conf.); ric. Morselli. Annulla senza rinvio Trib. Reggio Emilia 17 giugno 1981Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 12 (DICEMBRE 1983), pp. 503/504-511/512Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23176954 .

Accessed: 28/06/2014 15:36

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 193.142.30.50 on Sat, 28 Jun 2014 15:36:04 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: Sezione III penale; sentenza 15 dicembre 1982; Pres. Severino, Est. Lavosi, P. M. Cotronei (concl. conf.); ric. Morselli. Annulla senza rinvio Trib. Reggio Emilia 17 giugno 1981

PARTE SECONDA

distinzione tra le differenti ipotesi di reati edilizi ed una situazio ne limitativa della onnipotenza e dei poteri del sindaco nella

rotazione della correlativa sanzione di carattere amministrativo, ma trova invece agevole spiegazione nella ratio legis di volere

parificare il trattamento sanzionatorio penale nei confronti di chi

abbia solo eseguito lavori edilizi abusivi e di chi abbia invece

realizzato intere opere edilizie abusive.

Attribuire un diverso significato a tali norme condurrebbe

all'assurda conclusione di dover ritenere, in manifesto contrasto

col contenuto e con le finalità della legislazione edilizia, affatto

sfornite di sanzione penale tutte le ipotesi di costruzioni abusive

completate e di limitarne, invece, la punibilità alla ipotesi di

esecuzione di semplici lavori, che non realizzino la integrale costruzione di un manufatto edilizio.

E del resto la incongruità del criterio interpretativo su cui si

fonda la tesi in esame si manifesta testualmente dalle stesse

decisioni con le quali i giudici uniformatisi al relativo indirizzo

giurisprudenziale hanno, come nel caso di specie, affermato pro

prio in base al disposto della lett. b) dell'art. 17 precitato la

responsabilità penale degli autori di integrali costruzioni di im

mobili o altri manufatti. E d'altra parte, neanche la pretesa diversità dell'oggetto e dei destinatari delle norme edilizie potreb be giustificare l'applicazione della confisca e delle altre misure di

sicurezza a seconda dei casi, poiché ciò sarebbe un insuperabile contrasto con il tassativo disposto mediante il quale la 1.

urbanistica determina le misure amministrative applicabili alle

diverse ipotesi considerate, con la esplicita attribuzione delle

stesse al potere amministrativo.

Riguardo alla pretesa inefficacia del predetto art. 15 a derogare senza un apposito riferimento normativo al provvedimento della

confisca penale, inefficacia proclamata nell'indirizzo giurispruden ziale di merito, basta osservare come in contrasto con tale

opinione la confisca, anche se costituisce una misura di sicurezza

patrimoniale di carattere generale di competenza del giudice

penale, non si sottrae al principio di specialità sancito dall'art. 15

c.p. cosi che quando la legge stabilisce per casi tassativamente

indicati una sanzione amministrativa diversa ma della stessa

specie di quelle ordinarie — nella specie la confisca — dovrà

trovare applicazione la norma speciale, che prevale sull'altra.

Né può ritenersi legittima la confisca che sia disposta al fine

strumentale di devolvere la cosa confiscata al comune invece che

allo Stato, perché in tal caso, non solo sarebbe vulnerato il

potere della p.a., esclusiva titolare della facoltà di disporre della

cosa oggetto del reato edilizio, ma verrebbe attuata, in contrasto con quanto stabilito dall'art. 240 c.p., una confisca diretta a

finalità diverse da quelle che le sono proprie.

Da quanto detto consegue che, sia in considerazione dell'espres so dettato di legge (art. 5, 2° comma, 1. n. 10/77, in riferimento all'art. 32 1. n. 1150/42) che attribuisce al sindaco i poteri di

vigilanza e di disposizione della intera materia edilizia, sia in

considerazione delle finalità della normativa diretta ad attuare

il soddisfacimento di essenziali interessi pubblici con l'adozione

di plurimi, alternativi provvedimenti di natura discrezionale (de

molizione, acquisizione al patrimonio del comune, riduzione in

pristino, sanatoria delle opere abusive), esclusivi della p.a., sia in considerazione della tutela accordata ai privati di ricorrere ai

tribunali amministrativi contro i provvedimenti amministrativi

(art. 15, 5° comma, 1. n. 10/77), sia in considerazione delia inefficienza della confisca a conseguire gli oggetti che gli sono

propri e della illegittimità di adottarla per finalità diverse da

quella stabilita per legge, sia in considerazione dell'applicabilità alla confisca del principio di specialità, al giudice ordinario è

preclusa la pronuncia dell'ordine di confisca di opere e manufatti

edilizi abusivi e che in ordine agli stessi i poteri di disporre

spettano in modo esclusivo alla p.a. mediante l'attuazione delle

misure speciali previste dalla legge.

Consegue inoltre che anche il sequestro penale delle suddette

opere edilizie può essere disposto soltanto nei limiti delle esigenze istruttorie per l'accertamento dei fatti e l'assunzione delle prove, ma non con funzione solo strumentale rispetto alla confisca, né

può essere mantenuto dopo la sentenza di condanna per fini che

siano diversi da quelli previsti dall'art. 189 c.p.

In accoglimento, quindi, del primo mezzo di ricorso deve essere annullata senza rinvio la sentenza denunciata per quanto attiene al provvedimento di confisca del fabbricato. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione III penale; sentenza 15 di cembre 1982; Pres. Severino, Est. Lavosi, P. M. Cotronei

(conci, conf.); ric. Morselli. Annulla senza rinvio Trib. Reggio Emilia 17 giugno 1981.

L'inni u auiurc — v-umpusizium musicati lineiate — umusione ad opera di emittente privata locale — Autorizzazione —

Difetto — Reato — Sussistenza — Fattispecie (L. 22 aprile 1941 n. 633, protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, art. 51-60, 171).

L'emittente privata locale che radiodiffonda, utilizzando dischi lecitamente incisi, composizioni musicali senza il consenso del l'autore viola l'art. 171, lett. b), l. n. 633/41. (1)

II

PRETURA DI FOGGIA; sentenza 14 aprile 1983; Giud. Di Iasi;

imp. Maramarco e altri.

Diritti d'autore — Composizioni musicali tutelate — Diffusione ad opera di emittente privata locale — Autorizzazione —

Difetto — Reato — Depenalizzazione (L. 22 aprile 1941 n. 633, art. 171; 1. 24 novembre 1981 n. 689, modifiche al sistema

penale, art. 32).

La radiodiffusione, ad opera di emittente privata locale, di

composizioni musicali senza il consenso dell'autore non costi tuisce reato bensi ha natura di illecito amministrativo. (3)

(1-2) Nella guerra guerreggiata nelle aule di giustizia (e fuori) tra S.i.a.e. ed emittenti private si è inserita una nuova variabile, costituita dalla legge di depenalizzazione n. 689/81. Il Pretore di Foggia (con una motivazione articolata, a differenza di Pret. Alba 8 giugno 1982, Foro it., 1982, II, 512, con nota di richiami, che pure adombrava una soluzione analoga) si è infatti pronunciato (a conferma di un clima di incertezza tutt'altro che evidenziato da Fabiani, Lettre d'Italie, in Le droit d'auteur, 1983, 229) per la depenalizzazione dell'art. 171, lett. b), 1. n. 633/41, confinando la radiodiffusione di opere tutelate senza il consenso dell'autore nei limiti dell'illecito amministrativo. L'art. 32, 2°

comma, 1. n. 689/81 esclude dalla depenalizzazione tutti i reati che, se

pure depenalizzabili in quanto puniti con la sola pena della multa o

dell'ammenda, siano punibili, nelle ipotesi aggravate, con pena detenti

va, anche se alternativa a quella pecuniaria: occorre quindi stabilire — e qui sta il nodo problematico — se il 2° comma dell'art. 171 si

pone come aggravante del 1° comma o se invece prevede reati autonomi. Per la prima tesi, v. Pret. Bibbiena 5 ottobre 1982, Dir.

autore, 1983, 60; in dottrina, Pastore, Sulla pretesa depenalizzazione dei delitti previsti nell'art. 171 l. sul diritto d'autore, ibid., 195 (in generale, sull'art. 32, 2° comma, 1. n. 689/81, v. Bertoni, Lattanzi, Lupo, Violante, Modifiche al sistema penale. Legge 24 novembre 1981 n. 689, Milano, 1982, /I, 56 ss.; Dì Nanni, Vacca, Fusco, Depenalizza zione e sanzioni amministrative, Napoli, 1982, 67 ss.).

Implicitamente contraria alla depenalizzazione è la stessa sentenza della Cassazione qui riportata, che peraltro ha conosciuto della questio ne ai soli effetti delle disposizioni della pronuncia che concernono gli interessi civili, avendo l'imputato goduto dell'amnistia. Dello stesso tenore sono anche le statuizioni di Cass. 20 novembre 1982, Menicatti e 2 dicembre 1982, Marcheselli, Dir. autore, 1983, 45 e 54, la prima con nota di Fabiani, Il diritto esclusivo dell'autore di radiodiffondere le proprie opere; nonché di Trib. Firenze 10 febbraio 1982, id., 1982, 442; Trib. Vicenza 18 giugno 1982, ibid., 448; Pret. Milano 28 ottobre 1981, ibid., 450.

Per quel che riguarda la situazione francese in materia di radiodiffu sione radiofonica di dischi, anche con riferimento alla tutela dell'artista interprete, v. Conte, Dischi e musica nella giurisprudenza francese, quaderno dell'Istituto giuridico dello spettacolo e dell'informazione, Roma, febbraio 1983, 9 e 14.

D'oltreoceano, intanto, giunge notizia della decisione di una Corte distrettuale che va in senso contrario all'importante opinion resa dalla Corte suprema, in Broadcast Music, Inc. v. CBS, Inc. 441 UjS. 1 (1979) [di cui si era data notizia nella nota di Pardolesi a Pret. Rimini 24 ottobre 1981, Foro it., 1982, II, 71; v., altresì, CBS v. ASCAP 620 F. 2d 930 (2d Cir. 1980)]. In Buffalo Broadcasting Co., Inc. v. ASCAP 1982-2 Trade Cas. 64,898 (S.D.N.Y. 1982) si è concluso che la concessione di licenze forfettarie alle stazioni televisive locali costituisce violazione della Sec. 1 dello Sherman Act. Per approdare a tale risultato, la corte si è chiesta se la licenza forfettaria avesse delle « realistically available alternatives » (cosa che avrebbe comportato una diversa soluzione della lite); e tali non ha ritenuto la per program license (con cui le stazioni pagano solo per quei programmi che contengono musica protetta, e non per i programmi autorizzati alla fonte), né il direct licensing (che impone alle stazioni televisive locali di contattare gli agenti o gli editori che possiedono i diritti di esecuzione sulla musica contenuta nel programma), né il source licensing (dove il produttore compra anche i diritti di esecuzio ne televisiva, evitando che questi siano fatti propri dall'ASCAP o dalla BMI per una vendita successiva). Rispetto a questi due ultimi arrangements, la corte ha giustificato la sua decisione — come detto, contraria a CBS v. ASCAP — invocando la diversità sussistente a livello di potere contrattuale tra le televisioni private e un network

This content downloaded from 193.142.30.50 on Sat, 28 Jun 2014 15:36:04 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: Sezione III penale; sentenza 15 dicembre 1982; Pres. Severino, Est. Lavosi, P. M. Cotronei (concl. conf.); ric. Morselli. Annulla senza rinvio Trib. Reggio Emilia 17 giugno 1981

GIURISPRUDENZA PENALE

I

Si osserva in fatto e in diritto: con sentenza 19 novembre

1980, confermata dal Tribunale di Reggio Emilia in data 17

giugno 1981, il pretore della stessa città dichiarava Morselli

Stefano responsabile, nella sua qualità di legale rappresentante di

« Radio Venere » con sede in Reggio Emilia, del reato di cui

all'art. 171, lett. b), 1. 22 aprile 1941 n. 633, per avere diffuso,

per radio, senza averne diritto, alcuni brani musicali, e lo

condannava, con i benefici di legge, alla pena di lire 100.000 di

multa, nonché al risarcimento dei danni ed alla rifusione delle

spese a favore della S.i.a.e. costituitasi parte civile.

L'imputato ha proposto ricorso per cassazione deducendo, in

nanzitutto, l'erronea applicazione della legge penale. La disposi

zione di cui all'art. 171, lett. ti), 1. n. 633/41 i fatti di rappresen

tazione, esecuzione o recitazione, realizzati in pubblico, di opere

o composizioni musicali, e ciò in quanto verrebbe violato il

disposto dell'art. 15 stessa 1. [sic/]. I giudici di merito avrebbero errato nel ritenere che anche la

diffusione di composizioni musicali rientrerebbe nella citata di

sposizione, mentre la diffusione si riferirebbe alla rappresentazio

ne e sarebbe posta come alterativa a « in pubblico ».

La tutela riguarderebbe il diritto dell'autore a impedire esecu

zioni da lui non volute. Nella fattispecie avendo la radiodiffusio

ne interessato brani musicali utilizzando dischi lecitamente incisi,

il fatto non sarebbe costitutivo di reato.

Con un secondo motivo, il ricorrente eccepisce che l'art. 51 1.

n. 633/41 prevederebbe un diritto esclusivo di radiodiffondere in

capo all'esercente il servizio e che tale diritto sarebbe «infliggente

con quello di radiodiffondere appartenente all'autore dell'opera

(art. 16 e 61). Tale conflitto sarebbe composto dalle disposizioni comprese

dall'art. 51 all'art. 61 1. cit.

Con un terzo motivo il ricorrente deduce che la regolamenta zione della radiodiffusione sarebbe prevista dai trattati internazio

nali (1. 20 giugno 1978 n. 399, che ha ratificato e dato esecuzio

ne alla convenzione di Berna sul diritto di autore) disponendo che in nessun caso si può ledere il diritto morale dell'autore né il

diritto spettante allo stesso di ottenere un equo compenso. Da ciò

risulterebbe che l'esercente la radiodiffusione potrebbe utilizzare

le esecuzioni, rappresentazioni e recitazioni che siano state effet

tuate con il consenso dell'autore.

Preliminarmente si osserva che il reato ascritto al ricorrente va

dichiarato estinto per amnistia ai sensi del d.p.r. 18 dicembre

1981 n. 744, non ostando i precedenti penali dell'imputato e non

ricorrendo alcuna delle ipotesi di cause di non punibilità previste dall'art. 152 c.p., con conseguente annullamento della sentenza

impugnata perchè il reato è estinto per amnistia.

Questa corte deve decidere egualmente sul ricorso proposto, a

norma dell'art. 12 1. 3 agosto 1978 n. 405, ai soli effetti delle

disposizioni della sentenza che concernono gli interessi civili.

I motivi dedotti a sostegno del ricorso sono infondati.

L'art. 171, lett. ti), 1. 12 aprile 1941 n. 633 dispone che è

punito con la multa chiunque senza averne diritto, a qualsiasi

scopo ed in qualsiasi forma rappresenta, o recita in pubblico o

diffonda, con o senza variazioni o aggiunte, un'opera adatta a

pubblico spettacolo od una rappresentazione musicale.

È chiaro che il legislatore, come risulta dal significato proprio delle parole, ha inteso comprendere nella tutela penale del diritto

di autore tanto i fatti di esecuzione, rappresentazione e recitazio

ne in pubblico che costituiscono forme di divulgazione percepibili

direttamente, quanto i fatti di diffusione, realizzati con mezzi

tecnici che consentano la trasmissione a distanza. In entrambi i

case, infatti, si Ottiene la pubblica divulgazione dell'opera e ciò

non può essere consentito senza averne diritto, cioè senza il

quale la CBS, (ma le chances di « tenuta » della decisione sembrano

alquanto compromesse dalla sua rinuncia a discutere o distinguere K-91, Inc. v. Gershwin Publishing Corp., 372 F. 2d 1 (9th Cir. 1967), che approvava la pratica del blanket licensing ad un'emittente radiofo nica locale).

Per un esame sul versante europeo della posizione della società degli autori, con riferimento anche alla legislazione comunitaria, v. Joubert, Le prix du repertorie d'une société d'auteurs en position dominante dans le carcan du droit de la concurrence, in Rev. int. dr. aut., 117, 1983, 3 ss. (nota a Trib. gr. inst. iParis 15 dicembre 1982, id., 116, 1983, 186, ov'è adombrato, nel contesto di un braccio di ferro che può considerarsi esemplare e, comunque, assai vicino al contenzioso di casa

nostra, l'interrogativo — poi accuratamente schivato — se il prezzo richiesto dalla consorella transalpina della S.i.a.e. per consentire l'uso del repertorio sotto suo controllo, a prescindere dalla nazionalità degli autori e dall'uso effettivo ma tenendo conto delle garanzie offerte dalla

controparte, possa integrare gli estremi dello sfruttamento abusivo di

posizione dominante).

consenso dell'autore, che ha il diritto esclusivo di utilizzare

economicamente l'opera nei limiti fissati dalla 1. n. 633/41, ed in

particolare con l'esercizio dei diritti esclusivi indicati dagli art.

13, 14, 15, 16, 17 e 18 1. cit.

Tra tali diritti esclusivi riservati all'autore è compreso, non solo

il diritto esclusivo (art. 15) di eseguire, rappresentare o recitare

in pubblico, ma anche, come espressamente disposto dall'art. 16, 11 diritto esclusivo di diffondere, il quale ha per oggetto l'impiego di uno dei mezzi di diffusione a distanza, quali il telegrafo, il

telefono, la radiodiffusione, la televisione ed altri mezzi analoghi.

Conseguentemente l'affermazione del ricorrente, che sarebbe

consentita, senza il consenso dell'autore, la radiodiffusione di

brani musicali effettuata utilizzando dischi lecitamente incisi, è

contrastata sia dal disposto dell'art. 16 succitato, giacché all'auto

re spetta il diritto esclusivo di diffondere l'opera a mezzo radio, televisione, ecc., e sia dal disposto dell'art. 19 stessa 1.» il quale precisa che i diritti esclusivi previsti negli articoli precedenti (dal 12 al 18) sono tra loro indipendenti e pertanto si deve affermare

che il diritto di riprodurre (mediante incisione su disco) ed il diritto di diffondere sono entrambi diritti esclusivi dell'autore ed

indipendenti tra loro.

Per quanto concerne poi le disposizioni, più volte richiamate dal ricorrente e concernenti le opere radiodiffuse, comprese nella sezione IV 1. cit. (dall'art. 51 all'art. 60) si osserva che esse

riguardano esclusivamente la radiodiffusione come servizio riser vato allo Stato e che le stesse norme sono state adottate in

ragione della natura e dei fini del servizio di Stato. Proprio in considerazione di ciò è stato concesso all'ente di Stato di diffon dere l'opera non nuova dai teatri e da ogni altro luogo pubblico senza che sia necessario il consenso dell'autore, al quale compete soltanto il diritto al compenso.

Ma un siffatto trattamento preferenziale a favore dell'ente di Stato esercente la radiodiffusione, non solo è giustificato — come

già precisato dalla natura e dai fini del servizio pubblico, che non ha analogia con le radio private — ma è limitato a ben

precise ipotesi, tanto che l'art. 59 della stessa legge dispone che la radiodiffusione delle opere dell'ingegno dai locali dell'ente esercente il servizio della radiodiffusione è sottoposta al consenso

dell'autore, ripristinando così i diritti esclusivi dell'autore. È privo di rilievo infine, il richiamo alla 1. 20 giugno 1978 n. 399,

che ha ratificato la convenzione di Berna giacché la stessa riconosce che è di competenza del legislatore nazionale determi nare le condizioni per l'esercizio dei diritti dell'autore in relazio ne alla radiodiffusione e che in nessun caso può essere leso il diritto morale dell'autore o il diritto spettante all'autore di ottenere un equo compenso.

Infatti il diritto al compenso è riconosciuto all'autore ed è

limitato, come previsto dall'art. 56 1. n. 633/41, alla radiodiffusio ne delle opere non nuove da teatri o da altri luoghi pubblici e concerne esclusivamente — come già precisato — la radiodiffu sione esercitata dall'ente di Stato, non dalle radio private, le

quali non possono diffondere composizioni musicali senza il consenso dell'autore. -

Di conseguenza la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il reato è estinto per amnistia.

Il ricorso, ai sensi dell'art. 12 1. 3 agosto 1978 n. 405, va

rigettato relativamente alle statuizioni concernenti gli interessi

civili, con la conseguente condanna del ricorrente alla rifusione, a favore della S.i.a.e., costituitasi parte civile, delle spese ed onora ri. (Omissis)

II

Fatto. — A seguito di denunzie sporte dalla S.i.a.e., sede di

Bari, in persona del suo direttore pro tempore, Maramarco Ida, Ferlani Renato, Masucci Luigi e Della Vista Valverdino, ciascuno

quale legale rappresentante di altrettante emittenti private aventi sede legale in Foggia, venivano tratti a giudizio per rispondere del reato di cui in epigrafe perchè, ciascuno nella predetta qualità, diffondevano composizioni musicali altrui senza averne diritto. Alla prima udienza dibattimentale, preliminarmente, la

S.i.a.e., si è costituita parte civile nei confronti di tutti gli imputati; all'odierna udienza, ancora in via preliminare, questo pretore ha rilevato che, ai sensi della 1. 24 novembre 1981 n. 689, i fatti contestati agli imputati non costituiscono illecito penale e

pertanto, ai sensi dell'art. 152 c.p.p., ha invitato le parti a concludere.

Diritto. — Ritiene questo pretore doversi affermare la natura di illecito amministrativo della violazione contestata per tutto quanto verrà esposto nelle osservazioni che seguono.

A norma dell'art. 32 1. n. 689/81 costituiscono illecito ammi nistrativo e non più illecito penale tutte le violazioni punite con la sola pena pecuniaria (multa o ammenda), salvo le eccezioni a

This content downloaded from 193.142.30.50 on Sat, 28 Jun 2014 15:36:04 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 4: Sezione III penale; sentenza 15 dicembre 1982; Pres. Severino, Est. Lavosi, P. M. Cotronei (concl. conf.); ric. Morselli. Annulla senza rinvio Trib. Reggio Emilia 17 giugno 1981

PARTE SECONDA

detto principio generale previste dallo stesso art. 32 e dai

successivi art. 33, 34 e 39. Orbene, sulla base di una lettura

coordinata dei citati articoli, poiché la violazione contestata agli

imputati è punibile con la sola pena pecuniaria (multa), non è

reato perseguibile a querela, né rientra tra quei reati nominati

vamente esclusi dalla depenalizzazione (e previsti nelle eccezioni

di cui agli art. 34 e 39 1. cit.), già un primo esame della stessa

dovrebbe portare a concludere che trattasi di violazione depena

lizzata, onde non resta, ora, che spostare il campo d'indagine dalla norma in sé isolatamente considerata al complesso sistema

tico in cui essa si inserisce per valutarne la natura e la portata alla luce altresì' del dettato di cui al 2° comma dell'art. 32 cit.

Detto 2° comma, nel prevedere che sono esclusi dalla depenaliz zazione i reati che, nelle ipotesi aggravate, sono punibili con

pena detentiva, anche se alternativa a quella pecuniaria, rappre senta l'unico caso di eccezione alla depenalizzazione in cui

l'attività dell'interprete deve andare al di là della violazione

contestata e deve spingersi fino all'esame interpretativo di altre

ipotesi non contestate, enucleando le interrelazioni esistenti con

quella contestata e facendo discendere esclusivamente da tale

tipo di interpretazione sistematica la natura di illecito am

ministrativo o penale della violazione contestata. Non v'è chi

non veda l'artificiosità d'un'operazione ermeneutica di questo

genere e altresì la sua sostanziale « ingiustizia » in quan

to, solo perché alcuni « casi » sono stati valutati più gravi dal legislatore e come tali puniti più gravemente con una

sanzione che li esclude dalla depenalizzazione, i casi meno gravi,

per i quali il legislatore ha già espresso la valutazione di tale

minore gravità con una sanzione meno afflittiva (e che pertanto non li escluderebbe dalla depenalizzazione), per ciò solo che

esistono in astratto (e non contestati in concreto) i predetti « casi » più gravi e non depenalizzabili, debbono subire anch'essi

la stessa sorte.

Ma tant'è la scienza ermeneutica italiana, nel prendere le

distanze da ogni teoria giusnaturalista o metagiuridica e nell'an

corarsi ad una definizione tecnico-positiva del reato come quel fatto cui l'ordinamento riconnette una sanzione criminale, ha

abbandonato ogni possibilità di definizione dello stesso in senso

sostanziale e si è pertanto preclusa la via ad ogni possibile sindacato in ordine alle valutazioni di politica legislativa che

presiedono a scelte come la criminalizzazione o la decriminalizza

zione di alcune fattispecie, salvo naturalmente il sindacato di

costituzionalità, che in questo caso non rileva.

Eppertanto, bandita ogni perplessità in ordine alla via scelta

dal legislatore per l'individuazione delle condotte da depenalizza re (via che, come già nelle precedenti leggi di depenalizzazione,

guarda soprattutto al tipo di sanzione prevista e non all'effettivo

interesse protetto delle norme per valutare se oggi esse, nella

mutata realtà socio-culturale, richiedono la più snella e meno

socialmente costosa tutela amministrativa o la più pregnante e

incisiva tutela penale), perplessità che non è certo questa la sede

adatta ad esprimere, veniamo all'esame del citato 2° comma

dell'art. 32.

Detto comma, nel momento in cui esclude dalla depenalizza zione quei reati che, nelle ipotesi aggravate, prevedono la pena

detentiva, anche se soltanto alternativa, impone dunque all'inter

prete, come già più sopra è stato rilevato, un ulteriore esame, che

va al di là della violazione contestata ed è intesa a scoprire l'esistenza di ipotesi più gravi della stessa punibili con pena

detentiva, nonché a valutare se tali ipotesi vanno inquadrate come figure autonome di reato o come aggravanti dello stesso

reato. Non appare infatti condivisibile, da parte di questo giudice, la tesi avanzata dalla parte civile secondo la quale il riferimento

di cui all'art. 32 alle ipotesi aggravate non riguarderebbe le

aggravanti in senso tecnico ma tutte le ipotesi aggravate in cui il

fatto sia punibile con pena detentiva, onde, ai fini della depena

lizzazione, non avrebbe rilevanza la distinzione tra circostanza

aggravante e reato autonomo. Tale tesi è insostenibile in primo

luogo per un argomento letterale (l'art. 32 parla di « reati che

nelle ipotesi aggravate », dovendosi ovviamente ritenere nelle

ipotesi aggravate dei reati stessi, cioè nei casi in cui tali reati si

presentino aggravati, né si vede altra possibile lettura della

norma), in secondo luogo per un argomento logico (per quante riserve si vogliano fare sulla preparazione scientifica del legislato

re, non si vede perchè avrebbe dovuto usare in questo caso un

termine in senso atecnico), inoltre per un motivo pratico (quale interrelazione dovrebbe andara a scovare l'interprete tra un reato

più grave e uno meno grave per escludere quest'ultimo dalla

depenalizzazione, solo in virtù della maggiore gravità dell'altro? E

come verrebbe ridotta la portata della depenalizzazione, quale

arbitrio, infine, si lascerebbe cosi al giudice nel decidere la

rilevanza penale o meno di alcune fattispecie? Scomparsa la pur

evanescente distinzione tra reato aggravato e reato autonomo,

quali parametri di riferimento dovrebbe avere il giudice in una

decisione così gravida di conseguenze?). È infine da osservare

che se il termine « aggravate » di cui all'art. 32 cit. non fosse

usato in senso tecnico, ma nel senso comune di « più grave », è

ovvio che per giudicare della maggiore e minore gravità di una

fattispecie occorrerebbe riferirsi alla valutazione che ne ha fatto

il legislatore, valutazione estrinsecatasi nella previsione di una

sanzione oggettivamente più afflittiva, onde, secondo l'interpreta zione che qui si contesta, l'art. 32, 2° comma, si porrebbe come

una vera e propria tautologia affermando che non sono depena lizzati quei reati che, nei « casi » più gravi (cioè giudicati tali dal

legislatore con la previsione di una sanzione più afflittiva, ad

esempio la detentiva in luogo della pecuniaria) prevedono la pena detentiva, anche se alternativa. Non v'è chi non veda l'illogicità di

una tale interpretazione, nonché le aberranti conseguenze giuris

prudenziali cui essa potrebbe portare se applicata interpretativa mente su vasta scala, fino alla totale eversione del sistema penale che la 1. 689 ha inteso attuare. Tanto premesso, e ritenuto

pertanto che il termine « aggravate » di cui l'art. 32 va inteso in

senso tecnico, prima di addentrarci nell'esame della fattispecie di

che trattasi, un'ultima osservazione va fatta. La esclusione dalla

depenalizzazione di quei reati che nelle ipotesi aggravate preve dono la pena detentiva, pur criticata e, per molti versi, criticabi

le, ha una sua precisa ragion d'essere che si ricava dai lavori

preparatori alla 1. 689 nonché da una lettura attenta della stessa.

Molto spesso, infatti, troviamo, specie nella legislazione speciale, delle aggravanti non caratterizzate da alcun elemento specializ zante e il legislatore si limita a parlare genericamente di « casi

più gravi », onde l'esistenza o meno dell'aggravante dipende non

dalla presenza di elementi oggettivi, ma da una valutazione della

gravità del fatto operata dal giudice. Orbene, se tali aggravanti

comportassero mutamento di pena che escluderebbe il reato dalla

depenalizzazione, senza il 2° comma del citato art. 32 avremmo una criminalizzazione e decriminalizzazione fluttuanti secondo gli orientamenti della giurisprudenza: ad esempio, nel caso del reato

di emissione di assegni a vuoto, che è un reato-tipo della specie, avremmo un pretore che condanna per delitto l'emissione di un

assegno a vuoto di tre milioni considerando la ipotesi grave e un

altro che assolve perchè il fatto non costituisce reato l'emittente

di un assegno di cinquanta milioni considerando la ipotesi

semplice, e cosi via mutando orientamenti per tutta la penisola.

Se questa è pertanto l'unica possibile motivazione dell'esclusio

ne di cui al citato 2° comma dell'art. 32, essa fa da sola giustizia della tesi più sopra criticata secondo la quale il termine « aggra vate » non è stato usato in senso tecnico: l'intento del legislatore, con tale esclusione, era quello di eliminare ogni possibile incer

tezza e confusione tra il campo del lecito e quello dell'illecito

penale, non certo quello di crearne; la finalità era quella di

comprimere al massimo la discrezionalità del giudice nella delimi

tazione tra sfera del penalmente rilevante e sfera del penalmente irrilevante, non certo quella di dare al giudice, con una termino

logia atecnica, equivoca e priva di addentellati, la chiave di volta

per ogni possibile lettura eversiva o travalicante della nuova

legge. E se quella sopra enunciata è, come appare, l'unica

motivazione logica e accettabile dell'esclusione dalla depenalizza zione di cui ci stiamo occupando, non resterebbe alcun motivo

per escludere dalla depenalizzazione quei reati in cui le ipotesi

aggravate si presentano non genericamente individuate, bensì

caratterizzate dall'oggettiva presenza di elementi specializzanti: tale interpretazione sarebbe rispettosa dello spirito della legge, oltre che del favor rei. E detto questo non vi sarebbe più motivo di

spingerci oltre all'esame del fatto in contestazione in quanto, anche qualora volessimo ritenere che le fattispecie previste dal 2°

comma dell'art. 171 1. 22 aprile 1941 rappresentano non reati

autonomi bensì circostanze aggravanti delle fattispecie previste dal 1° comma (la cui lett. b è stata contestata agli imputati), tratterebbesi sempre di aggravanti caratterizzate da dati oggetti vamente riscontrabili.

Ciò nonostante, è giusto esaminare più da vicino la norma de

qua, per non voler troppo semplicisticamente chiudere il discorso

su una materia, quella della tutela penale del diritto d'autore,

che, soprattutto negli ultimi anni, si presenta gravida di interessi

socialmente rilevanti.

Il citato art. 171 1. 22 aprile 1941 consta di due parti delle

quali la prima prevede una serie di ipotesi delittuose che appaio no accomunate dal fatto di presentarsi come violazioni del

diritto patrimoniale dell'autore: in pratica, in questa parte del

l'art. 171, si afferma la responsabilità penale di colui che, senza

averne diritto, sfrutta un'opera altrui mediante una delle forme di

utilizzazione economica riservate dalla legge all'autore (vendita,

rappresentazione, radiodiffusione, riproduzione e cosi via). La

This content downloaded from 193.142.30.50 on Sat, 28 Jun 2014 15:36:04 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 5: Sezione III penale; sentenza 15 dicembre 1982; Pres. Severino, Est. Lavosi, P. M. Cotronei (concl. conf.); ric. Morselli. Annulla senza rinvio Trib. Reggio Emilia 17 giugno 1981

GIURISPRUDENZA PENALE

seconda parte del citato art. 171, invece, nel prevedere che i

reati di cui alla prima parte, quando siano commessi su opere non destinate alla pubblicazione, o con usurpazione della paterni tà dell'opera, o con deformazione o mutilazione della stessa,

qualora ne risulti offesa all'onore o alla reputazione dell'autore,

comportano, oltre la multa, anche la reclusione, sia pure in

alternativa, si pone invece a tutela dei diritti morali dell'autore.

Il problema, è evidente, è quello di stabilire, ai fini di ritenere o

meno depenalizzato il 1° comma, se il 2° comma dell'art. 171 si

pone come aggravante di quello o prevede invece una serie di

reati autonomi, sia pure aventi un precetto in parte mutuato per relationem. È bene subito rilevare, prima di affrontare ex profes so la questione, che si tratta in realtà di un falso problema in

primo luogo perchè, anche a voler qualificare aggravanti le

fattispecie previste dal 2° comma dell'art. 171, si tratterebbe

sempre di aggravanti che richiedono la sussistenza di elementi

oggettivi specializzanti, onde, per quanto più sopra è stato

rilevato, non vi sarebbe motivo di escludere le relative ipotesi semplici dalla depenalizzazione, in secondo luogo perchè, per

quanto verremmo appresso esponendo, non « esistono » aggra vanti speciali nel nostro ordinamento.

Invero, al di là di generiche definizioni delle circostanze come

accidentalia delicti, o come quegli elementi che « stanno intorno »

(circumstant) al reato, definizioni che nulla dicono o spiegano circa la natura di esse, non è possibile dare una definizione sostanziale della circostanza, e in particolare dell'aggravante, essendo essa una creazione convenzionale del legislatore che viene considerata dallo stesso ai fini della produzione di determinate

conseguenze, onde, come per il reato (è reato quel fatto cui la

legge riconnette una sanzione criminale), anche per l'aggravante dobbiamo limitarci ad una definizione puramente formale (è

aggravante quel fatto che il legislatore qualifica tale facendo

discendere determinate conseguenze della sua esistenza). Per con

vincersi che l'aggravante non è classificabile oggettivamente ma

consiste solo in un espediente creato dal legislatore ai fini della

produzione di determinate conseguenze, basta dare un'occhiata d'insieme alla normativa penale e guardare al criterio con cui sono state individuate le aggravanti generali di cui all'art. 61 c.p. o al criterio col quale gli stessi fatti sono stati considerati talvolta

aggravanti speciali, talvolta reati autonomi, o elementi di reati

composti o complessi.

E dunque, se il criterio per l'individuazione dell'aggravante è e deve essere puramente formale ed estrinseco, dobbiamo conclu

dere certamente che nel nostro ordinamento esistono solo le

aggravanti generali di cui all'art. 61 c.p. perchè solo quei fatti sono stati considerati dal legislatore ai fini della produzione di determinate conseguenze: le aggravanti speciali sono soprattutto una creazione dottrinaria dovuta alla suggestiva tendenza all'in

quadramento e ai parallelismi propria della elaborazione scien

tifica; non si vede, infatti, almeno fino alla 1. 11 aprile 1974, che interesse pratico si sarebbe ricavato dall'inquadrare come circo stanze aggravanti speciali o come reati autonomi alcune fattispe cie nelle quali il legislatore determinava la pena in misura

maggiore rispetto ad altre e in maniera autonoma, dato che non se ne potevano trarre, al di là di questa, ulteriori conseguenze, essendo esclusa la possibilità che le aggravanti speciali fossero

considerate, ai fini di un giudizio di prevalenza o di equivalenza, ai sensi dell'art. 69 c.p.

Ma anche dopo la 1. n. 99/74, a dispetto di ogni classificazione

dottinaria, il legislatore ha continuato in realtà a considerare le

aggravanti speciali come reati autonomi; l'estensione ad esse della

disciplina di cui all'art. 69 c.p. è infatti avvenuta soltanto quoad poenam, tant'è che, anche una volta venuta meno l'aggravante speciale in forza di un giudizio di equivalenza, essa viene meno,

appunto, solo quoad poenam, mentre continua a sussistere, ad altri fini, il reato-base aggravato, ad esempio ai fini della prescri zione o delle pene accessorie (basta guardare alla sospensione della patente nel caso di lesioni colpose gravissime o alla pubbli cazione della sentenza nell'ipotesi grave di emissione di assegni a

vuoto, principio, questo, pleonasticamente ribadito dalla stessa 1.

689/81 dove, innovando alla disciplina di cui al r.d. 1933 n. 1736, si afferma che le pene accessorie nelle ipotesi gravi si applicano indipendentemente da un giudizio ai sensi dell'art. 69 c.p.). Così,

ugualmente, per citare soltanto un altro esempio, nell'ipotesi di cui alla lettera a) dell'art. 389 1. n. 547 (in materia di infortunisti ca del lavoro), anche qualora, con l'applicazione delle attenuanti

generiche equivalenti, venga applicata la sola pena dell'ammenda, la sentenza resta appellabile e non ricorribile in quanto, al di là della pena, viene sempre in considerazione l'ipotesi originaria contestata e non il reato-base. Rebus sic stantibus, e premessa pertanto la difficoltà di una distinzione tra reato con aggravante speciale e rato autonomo, la situazione diviene oltremodo compii

oata quando da questa distinzione se ne fa discendere non più soltanto la possibilità di un mutamento di pena, ma addirittura

l'appartenenza o meno di una fattispecie alla sfera del penalmen te rilevante. Inoltre, avuto riguardo al fatto che le aggravanti che, comportando una pena detentiva, escluderebbero il reato-base

dalla depenalizzazione, non sono quelle previste dal codice (per le quali una rilevante elaborazione dottrinaria e una molteplice casistica giurisprudenziale avrebbero potuto, in certa misura,

rappresentare dei punti di riferimento), bensì quelle previste dalla

innumerabile congerie di leggi penali speciali di competenza

pretorile, si comprende bene l'avvertita esigenza di direttive

chiare e inequivoche non potendo, in piena onestà intellettuale, ciascun pretore riconoscersi arbitro di spostare il confine tra il

lecito e l'illecito con tutte le conseguenze negative che questo

comporta in termini di incertezza per la collettività: se, infatti,

l'ignoranza della legge penale non scusa, è necessario che si

sappia, quanto meno dagli addetti ai lavori, qual'è la legge

penale.

Se però, come è stato più sopra rilevato, non è possibile dare

una definizione sostanziale delle aggravanti speciali che ne per metta un'identificazione oggettivamente inequivoca e l'unico crite

rio di riferimento è quello formale della classificazione operata dal legislatore in relazione alle conseguenze che da tale classifica

zione ha fatto discendere, tale criterio appare inapplicabile nella

maggior parte dei casi in quanto gran parte delle leggi penali

speciali di competenza pretorile risalgono a parecchi decenni fa

(quella sul diritto d'autore è del 1941), ad un'epoca in cui, per non discendere alcuna conseguenza dalla distinzione tra reato

autonomo e circostanza aggravante, essa non era chiara neppure al legislatore che, ovviamente, neppure si poneva un problema che presentava, allora, un interesse solo e squisitamente scien

tifico, non certamente pratico.

Eppertanto, per la soluzione del problema in relazione all'art. 171 1. 1941 non può venirci in aiuto la volontà del legislatore espressasi nella norma, né, certamente, la volontà del legislatore storico che può desumersi dai lavori preparatori alla legge. Neppure la giurisprudenza può servire da riferimento in quanto l'unico precedente che affronti in maniera espressa il problema de

quo è ravvisabile in una sentenza della Cassazione dell' 8 marzo

1952, Pironti (Foro it., Rep. 1952, voce Diritti d'autore, n. 91) in cui si afferma il carattere di circostanze aggravanti delle ipotesi di cui al 2° comma dell'art. 171; precedente che, poiché isolato,

espresso più di trent'anni fa e senza per ciò tenere presente tutta la legislazione successiva, non può certamente fare testo.

Non resta, pertanto, che passare direttamente all'esame dell'ar ticolo in questione con mente libera da preconcetti dottrinari e

giurisprudenziali e con la coscienza delle gravi conseguenze che

un'operazione ermeneutica di tal genere finirà poi col comportare. È bene innanzitutto osservare che certamente la posizione sistematica delle fattispecie di cui al 2° comma dell'art. 171 non

può farci propendere per la natura di aggravanti rispetto a quelle previste dal 1° comma per ciò solo che si trovano nel medesimo articolo e dopo di queste; né certamente può servire a questo scopo il fatto che nelle fattispecie di cui al citato 2° comma il

precetto consti di un parziale rinvio recettizio a quelle del 1°

comma, potrebbe infatti trattarsi di una semplice economia intesa ad evitare inutili ripetizioni. Vi sono, al contrario, alcuni rilievi che farebbero pensare che le fattispecie di cui al citato 2° comma

rappresentano altrettanti reati autonomi e, in particolare, altret tanti reati complessi che constano, cioè, dei reati di cui al 1° comma con l'aggiunta di elementi ulteriori. Tali rilievi possono così sintetizzarsi: 1) la pena di specie diversa (che per la

fattispecie di cui al citato 2° comma è determinata autonomamen te rispetto a quella del 1° comma); 2) il diverso interesse protetto (che nelle fattispecie di cui al 1° comma è il diritto patrimoniale dell'autore, in quelle di cui al 2° comma è il diritto morale); 3) l'ulteriore e diverso evento richiesto per la sussistenza del reato

(che è rappresentato nella fattispecie di cui al 2° comma dall'offesa all'onore e alla reputazione dell'autore).

Come si vede, trattasi di meri rilievi ognuno dei quali è certamente confutabile, stante la già ricordata impossibilità ogget tiva di inquadrare le aggravanti in fattispecie tipiche, e tenuto conto che esistono aggravanti (della cui natura nessuno dubita) in cui la pena è determinata in maniera autonoma rispetto al

reato-base, aggravanti che hanno un interesse particolare da difendere in aggiunta a quello della figura principale, nonché

aggravanti che richiedono per la loro sussistenza il verificarsi di un evento ulteriore.

È evidente pertanto come, nonostante i suesposti rilievi, per manga una incertezza di fondo in ordine alla natura delle

fattispecie in esame, onde, per la decisione della questione, non resta che riferirsi ai principi generali ispiratori della 1. n. 689/81,

This content downloaded from 193.142.30.50 on Sat, 28 Jun 2014 15:36:04 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 6: Sezione III penale; sentenza 15 dicembre 1982; Pres. Severino, Est. Lavosi, P. M. Cotronei (concl. conf.); ric. Morselli. Annulla senza rinvio Trib. Reggio Emilia 17 giugno 1981

PARTE SECONDA

nonché ai principi, anche costituzionali, ispiratori di tutto il

nostro sistema penale. A questo proposito occorre osservare che la tendenza di

politica legislativa espressa con la 1. n. 689 è quella di togliere carattere penale a tutta la « criminalità minore » (individuata

quest'ultima sulla base della pena edittale prevista), con la sola

esclusione di alcuni reati nominativamente specificati che, a

giudizio del legislatore, per essere posti a tutela di particolari

interessi, debbono conservare carattere penale (e tra questi reati

non è prevista la normativa sul diritto d'autore). L'esclusione di cui al 2° comma dell'art. 32 1. cit. non è intesa

a creare un'immotivata disparità tra reati egualmente considerati « minori » dal legislatore, ma soltanto ad ovviare all'inconveniente

pratico che si sarebbe creato nei casi in cui « aggravanti » non

meglio individuate avrebbero potuto lasciare la depenalizzazione o

meno di alcune fattispecie, in balia dell'interprete (e, come

abbiamo visto, non è questo il caso del 2° comma dell'art. 171). Tutte le tendenze evolutive del sistema penale in questi ultimi

anni, tendenze estrinsecatesi mirabilmente nella 1. 689 (legge

organica e ampia che, al di là dei suoi innumerevoli difetti, vede

finalmente il legislatore abbandonare la politica delle leggine-tam

pone caratterizzate da interventi angusti e settoriali per affrontare

con decisione riforme improrogabili nel più ampio quadro di

strategia criminale propostosi), sono intese ad arginare il fenome

no dell'esasperata criminalizzazione delle condotte che, portando ad un'inflazione del sistema sanzionatorio penale, non soltanto ne

comporta il collasso e la paralisi, ma ne sminuisce altresì note

volmente l'efficacia in termini di prevenzione generale in quanto, com'è noto, la forza deterrente di una sanzione diminuisce

quanto più è facile incorrere in essa.

D'altra parte, anche un superficiale esame della Costituzione ci

porta a concludere che lo stesso costituente ha guardato con

sfavore e visto come fatto estremamente grave ogni ampliamento della sfera penale: l'art. 25 Cost, nello stabilire la riserva di legge statale in materia penale e nell'esprimere un'esigenza di tassatività

ha in pratica ridotto il campo dell'illecito penale e rilevato una

chiara tendenza ad evitare inflazioni in materia; l'art. 27 Cost,

nello stabilire il carattere personale e rieducativo della pena ha in

pratica delimitato l'illecito penale rispetto ad una sfera seleziona

ta di valori, e si potrebbe continuare su questa via con riferimen

to, ad esempio, agli art. 13 e 24, ma non è certamente il caso di

spingersi oltre nell'esame della Costituzione e di tutta la normati

va più recente per avere la certezza che, in omaggio alle direttive del costituente e in risposta alle esigenze prospettate dalla realtà

sociale, tutta la legislazione di questi ultimi anni è tesa ad una

considerevole riduzione della sfera dell'illecito penale. L'interprete non può che registrare questa tendenza, esulando dalle sue attribu

zioni ogni valutazione in merito alle scelte di politica legislativa che la sostengono, ed essendo tale tendenza, tra l'altro, come più sopra rilevato, in sintonia con lo stesso dettato costituzionale.

Se, infine, ancora dubbi sussistessero in ordine alla natura non

penale della violazione contestata, basterebbe ricordare che, pro prio nel dubbio, una scelta in questo senso si impone all'inter

prete di buona fede in omaggio al principio del favor rei, canone ermeneutico generale che deve guidare l'interprete nella sua attività.

Per tutto quanto suesposto, Maramarco Ida, Forlani Renato, e Masucci Luigi vanno assolti dall'imputazione loro ascritta per ché il fatto non costituisce reato.

In ordine all'imputato Della Vista Valverdino, poiché dai verbali dei carabinieri agli atti, nonché dalla documentazione esibita dalla difesa, risulta che egli non è legale rappresentante della s.r.l. « Telefoggia », va assolto dall'imputazione ascrittagli per non aver commesso il fatto.

Vanno rimessi gli atti al prefetto di Foggia per competenza in ordine alle violazioni amministrative.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I penale; sentenza 26 gen naio 1982; Pres. Boschi, Est. Scopelliti, P. M. Corrias (conci,

conf.); ric. Poluzzi. Conferma Trib. Bergamo 6 febbraio 1980.

Armi e materie esplodenti — Porto di armi in pubbliche riunioni — Incontri calcistici — Divieto — Sussistenza (L. 18 aprile 1975 n, 110, norme integrative della disciplina vigente per il

controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi, art. 4).

Ai fini del divieto di porto di armi e strumenti atti all'offesa in

pubbliche riunioni, stabilito rispettivamente dal 4" e dal 5"

comma dell'art. 4 I. 18 aprile 1975 n. 110, devono considerarsi

tali gli incontri di calcio. (1)

Osserva in fatto ed in diritto: Poluzzi Pietro, in stato di

arresto, veniva tratto al giudizio direttissimo del Pretore di

Bergamo per rispondere: a) del reato di cui all'art. 4, 3° cpv., 1.

18 aprile 1975 n. 110 per aver portato con sé una rivoltella

Magnum, matricola R226016, nello stadio calcistico di Bergamo, ove vi era adunanza di pubblico in occasione dell'incontro

Atalanta-Vicenza; b) del reato di cui all'art. 4, 4° cpv., per aver

portato nelle circostanze di tempo e di luogo di cui sopra, senza

giustificato motivo, uno strumento da punta e da taglio atto ad

offendere (coltello a scatto con lama lunga cm. 11,50 circa); c) del reato di cui agli art. 612, cpv., 339 c.p., per aver minacciato

con il coltello, di cui alla precedente lettera, alcuni spettatori, con

i quali era venuto a diverbio. Reati commessi in Bergamo il 30

ottobre 1977.

Con sentenza 31 ottobre 1977, detto pretore, affermata la

responsabilità dell'imputato in ordine ai reati sub a) e b), e, ritenuta la continuazione, con la concessione delle attenuanti

generiche, lo condannava alla pena di mesi 3 di arresto e lire

70.000 di ammenda, nonché al pagamento delle spese processuali;

gli accordava i doppi benefici di legge ed ordinava la confisca

delle cose in sequestro, l'assolveva dall'imputazione di minacce

gravi, perché non punibile per aver reagito in stato di legittima difesa.

Con la sentenza, riportata in epigrafe, il Tribunale di Bergamo confermava la decisione di primo grado e condannava l'imputato

appellante al pagamento delle maggiori spese processuali.

Avverso tale sentenza, con atto del 6 febbraio 1980 ricorreva

per cassazione l'imputato, nel cui interesse, con motivi del 26

marzo 1980, il suo difensore avv. Carlo Bonomi denunziava

violazione ed errata interpretazione dell'art. 4, 3°, 4° e 5" comma

1. 18 aprile 1975 n. 110 e dell'art. 475, n. 3, c.p.c. e, con

successivi motivi, depositati il 1° aprile 1980, deduceva l'inosser

vanza del disposto dell'art. 524, n. 1, c.p.c. in relazione all'art. 4, 4" e 5° comma, 1. 18 aprile 1975 n. 110.

Si argomentava che erroneamente il tribunale aveva rifiutato

l'indirizzo espresso dalla Corte di cassazione (sez. VI 6 dicembre

1978, Falcucci, Foro it., Rep. 1979', voce Armi, n. 66) in caso

analogo, ritenendo inapplicabile l'art. 4 1. n. 110/75 in quanto lo

stadio luogo aperto al pubblico, per non aver considerato la

disposizione dell'art. 12 1. 14 ottobre 1974 n. 497 nel quale il

legislatore aveva espressamente contemplato « il luogo in cui sia

concorso o adunanza di persone », e per non aver apprezzato che

l'art. 18 t.u. 1. p.s. era stato dichiarato incostituzionale dalla Corte

costituzionale con le sentenze n. 88 del 22 giugno 1957 (id., Rep. 1957, voce Corte costituzionale, n. 128 e Sicurezza pubblica, n.

31) e n. 27 dell'8 aprile 1958 (id., 1958, I, 506).

Rileva la corte che il ricorso non merita accoglimento. Invero il Tribunale di Bergamo, con ampia, pertinente, corretta

e pregevole motivazione, non ha creduto di adeguarsi alla senten

za 6 dicembre 1978 di questa corte regolatrice, confutandola e

rilevando che nell'art. 4, 4° comma, 1. n. 110/75, in cui era stata

riportata la locuzione dell'art. 19 t.u. 1. p.s. « di riunioni pubbli che » (abrogato dal 9° comma) mancava la definizione che era

però ricavabile dall'art. 266, 4° comma, nn. 2 e 3, in relazione

all'art. 668 c.p. e ritenendo l'irrilevanza delle sentenze della Corte

costituzionale non riguardanti l'abrogazione dell'art. 19 t.u. 1. p.s., ma solo dell'art. 18 ed in parte.

La denunziata sentenza non merita censura alcuna apparendo ineccepibili le argomentazioni del tribunale, condivise da questa sezione. Non è superfluo ricordare come l'art. 17, 1° comma, Cost,

sancisce che « i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente senz'armi ».

Erroneo appare il criterio interpretativo della sentenza 6 di

cembre 1978, che ha ristretto l'applicazione della disposizione dell'art. 4, 4° comma, 1. n. 110/75 alle riunioni «in luogo

pubblico » considerando soltanto l'aggettivo e non anche il so

stantivo della locuzione.

Cosi come irrilevante è l'argomento a corollario dell'interpreta zione restrittiva sul paradosso del divieto per gli spettatori ad una

rappresentazione in una sala cinematografica. Infatti, sotto il profilo logico, nessuna distinzione può farsi tra

le riunioni pubbliche, per le quali l'art. 18 t.u. 1. p.s. prevede il

preavviso al questore e quelle che, avendo ad oggetto manifesta

zioni sportive o spettacoli, da svolgersi in luoghi a ciò destinati,

comportano la licenza dell'autorità di p.s. (art. 68 t.u. 1. p.s.).

<1) In senso conforme, v. Cass. 6 novembre 1981, Eramo, Foro it., 1982, II, 418, con nota di richiami.

This content downloaded from 193.142.30.50 on Sat, 28 Jun 2014 15:36:04 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended