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Sezione III penale; sentenza 15 febbraio 1960; Pres. Loschiavo P., Est. Tripepi, P. M. Paternostro...

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Sezione III penale; sentenza 15 febbraio 1960; Pres. Loschiavo P., Est. Tripepi, P. M. Paternostro (concl. conf.); ric. P. m. c. Solci Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 8 (1961), pp. 145/146-147/148 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23174872 . Accessed: 28/06/2014 11:42 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.238.114.51 on Sat, 28 Jun 2014 11:42:58 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione III penale; sentenza 15 febbraio 1960; Pres. Loschiavo P., Est. Tripepi, P. M. Paternostro(concl. conf.); ric. P. m. c. SolciSource: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 8 (1961), pp. 145/146-147/148Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23174872 .

Accessed: 28/06/2014 11:42

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145 GIURISPRUDENZA PENALE 146

enucleati e posti a base di una previsione autonoma e

indipendente di reato. Per quanto attiene al primo aspetto della censura, questo

Supremo collegio è di avviso che esso non abbia fonda mento nè sul piano astrattamente giuridico nè con riferi mento alla specie concreta. In punto di diritto, va osser vato clie, al fine di stabilire i limiti della devoluzione nel

gravame dell'appello, bisogna tener conto, non soltanto dello specifico campo cui le richieste formulate dalla parte impugnante espressamente si riallacciano, ma di ogni altro settore cbe con quello si trovi in rapporto di necessaria

interdipendenza. Ne deriva che, ancorché le domande pre sentino un determinato tenore formale, la indagine e la

successiva decisione del giudice superiore possono legitti mamente estendersi ad altri punti che costituiscano la

logioa derivazione di quelli toccati dall'appellante. Alla stregua di codesta direttiva, bisogna ritenere che,

ove il P. m. si dolga della definizione giuridica applicata dal primo Giudice ai fatti accertati in causa e chieda la loro sussunzione in un diverso e più grave schema crimi

noso, presidiato da apposite ed autonome sanzioni, l'or

gano giudicante di appello, che creda di accogliere la ri

chiesta, bene può provvedere anohe sul punto della indi

viduazione della pena, resa indispensabile dalla nuova defi nizione adottata, nonostante la carenza di un'esplicita domanda al riguardo. Nel caso in esame, poiché il P. m. aveva dedotto che taluni episodi delittuosi, qualificati come falsità in scritture private privilegiate ed unificati in una previsione di falsità continuata ai sensi dogli art.

81, 485, 491 cod. pen., dovessero invece sussumersi nello

schema autonomo di falsità in atti pubblici, era chiaro che al Giudice di appello fosse stato in concreto devoluto il

duplice compito di adeguare i fatti alla più appropriata definizione e di applicare conseguentemente la relativa san zione. La Corte di merito, pertanto, si sarebbe in ogni caso attenuta ad un corretto principio di massima, prov vedendo ad individuare per la nuova ipotesi di falsità in atti pubblici la pena corrispondente, che altrimenti sa rebbe mancata.

Ma, a parte i rilievi che precedono, va osservato che, nella fattispecie odierna, il Procuratore della Repubblica, nel formulare i motivi di appello, aveva esplicitamente richiesto che, affermata la responsabilità del prevenuto in

via autonoma in ordine al delitto di falso continuato in

atti pubblici, la Corte volesse anche infliggere la parallela sanzione. Sussisteva dunque, in linea di fatto, il presup posto affinchè il Giudice di appello potesse deliberare sul

terreno sanzionatorio. Per qu aito riguarda, poi, l'ulte riore aspetto della censura, questo Supremo collegio è di

avviso che sia fondato, e meriti quindi accoglimento. I ,'art. 515, 3° comma, codice di rito penale stabilisce,

in via di principio* che, quando l'appello sia stato pro posto dal solo imputato, il giudice non può aggravare la

sanzione, nè revocare i benefici già concessi. Nonostante

l'apparente dizione della formula, bisogna ritenere che in

taluni casi il divieto della reformatio in peius operi egual mente a vantaggio dell'imputato, sebbene appellante sia soltanto il Pubblico ministero e la pronunzia di secondo

grado non si risolva in una maggiorazione finale della

pena, precedentemente individuata. Codesto fenomeno ri

corre, fra l'altro, quando l'impugnazione dell'organo del

l'accusa abbia avuto ad oggetto un capo diverso da quello, nei cui confronti si attua la riforma in peggio, in sede di

necessario ridimensionamento della pena ; sicché l'impu tato finisce col vedere modificato a proprio danno un set tore della sentenza del quale nessuna parte si era doluta ;

oppure quando la entità della sanzione in concreto inflitta, sebbene nel complesso non superiore a quella individuata in primo grado, costituisca la risultante di un computo

operato con l'ausilio di un elemento commisuratore, inde

bitamente inasprito in sede di appello. La fondatezza di siffatt > assunto è comprovata dalle

peculiarità delle esigenze che sono alla base del divieto della reformatio in peius. Se attraverso codesta restrizione si intende evitare che resti pregiudicata in appello la posi zione del prevenuto che da solo abbia deciso di adire il

giudice superiore reclamando l'adozione nei propri con fronti di più vantaggiose provvidenze, appare evidente che una eguale soluzione debba accogliersi nei riguardi dell'im

putato che abbia fatto piena acquiescenza alla pronunzia intervenuta, accettando in tal modo tutti i criteri seguiti dal primo giudice nella concreta individuazione della pena.

Ciò premesso, deve riconoscersi che la Corte di Napoli ha violato in parte il principio di cui sopra.

Risulta dagli atti che il Tribunale, dopo avere unifi cato in una sola previsione di falsità continuata in scrit ture private privilegiate tutte le ipotesi di falsità docu

mentali ascritte al Ferrara, ritenne di individuare il quan tum dell'inasprimento sanzionatorio dovuto alla continua zione nella misura di un mese di reclusione. Successiva mente la Corte, accogliendo l'appello del P. m., enucleò

gran parte degli episodi, già assorbiti nella figara della

falsità continuata, qualificandoli come contraffazione con tinuata in atti pubblici e assoggettandoli a congrua auto noma sanzione. Costretta poi a rifissare la pena, relativa alla falsità continuata in scritture private privilegiate, in

conseguenza della operata scissione, la stessa Corte fissò l'aumento dovuto alla continuazione in un mese di reclu sione.

Attuando in codesto modo il necessario computo, ri

chiesto dall'art. 81 cod. pen., il Giudice di appello ha aggra vato indebitamente la posizione dell'imputato nel settore

sanzionatorio di un capo della pronunzia, non investito

dall'appello del P. m. Difatti, se in primo grado la durata di un mese di reclusione era stata considerata il corrispet tivo di tutte le ipotesi di falsità all'infuori dell'episodio base, il Giudice di appello non poteva, per un assai più limitato numero di episodi, ritenere adeguata la stessa

misura di inasprimento sanzionatorio, senza con ciò inflig

gere al reo un trattamento punitivo più grave. Per le considerazioni che precedono, la sentenza impu

gnata deve annullarsi limitatamente al punto della fissa

zione dell'aumento di pena per la continuazione nel reato

di falsità in scritture private, con conseguente rinvio del

giudizio ad altra Sezione della Corte di Napoli, che prov vederà ad emettere la relativa pronunzia.

Per questi motivi, cassa, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione III penale ; sentenza 15 febbraio 1960 ; Pres.

Loschiavo P., Est. Tripepi, P. M. Paternostro (conci,

conf.) ; ric. P. m. c. Solci.

(Cassa App. Brescia 10 novembre 1958)

Impugnazioni in materia penale — Sentenza (lei giu dice di rinvio a seguito di annullamento con rin

vio al primo grado per vizi procedurali — Appel labilità (Cod. proo. pen., art. 546).

È impugnabile con l'appello la sentenza pronunciata dal

giudice di primo grado in sede di rinvio dalla Cassazione

a seguito di annullamento per vizi in procedendo del

primo giudizio. (1)

(1) La sentenza riconferma l'orientamento giurispruden ziale, enunciato dalle Sezioni unite con la sentenza 14 marzo

1959, Marcelli, Foro it., Rep. 1959, voce Impugnazioni pen., n. 57, cui adde : 19 novembre 1957, Mazzoni, id., Rep. 1958, voce cit., n. 28. In precedenza, invece, la giurisprudenza della Corte di cassazione riteneva ammissibile il ricorso per cassa zione : v., fra le altre, le sentenze 21 ottobre 1957, Iesu, ibid., n. 29 ; 19 febbraio 1958, Cerrani, ibid., voce Cassazione pen., n. 86 ; 20 ottobre 1958, Paresio, id., Rep. 1959, voce cit., n. 105 ; 19 aprile 1958, Clementi, id., Rep. 1958, voce cit., n. 89.

La sentenza è annotata da Siracusano, Il regime di impu gnazione delle sentenze di rinvio secondo la più recente giurispru denza, in Riv. it. dir. proc. pen., 1961, 556.

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PARTE SECONDA

La Corte, eco. — Avverso la sentenza di secondo grado il Procuratore generale presso la predetta Corte d'appello lia proposto ricorso per cassazione, in relazione ai motivi

del quale osservasi :

1) Anzitutto, il ricorrente P. m. ha denunciato la

violazione ' dell'art. 546 in relazione agli art. 543, n. 6, e

185 cod. proc. pen., riproducendo la tesi, già sostenuta

dinanzi alla Corte d'appello, della inammissibilità dell'ap

pello avverso tutte le sentenze del giudice di rinvio, av

verso le quali sarebbe, ad avviso del ricorrente, esperibile esclusivamente il ricorso per cassazione.

Ma tale motivo va disatteso perchè, infondato.

Se, com'è stato ricordato dal P. m. ricorrente, la giuris

prudenza di questo Supremo collegio si era, sino ad un

certo momento, in grande prevalenza, ispirata al principio della impugnabilità col solo mezzo di ricorso della sen

tenza emessa nello stadio del giudizio di rinvio dopo annul

lamento, tale giurisprudenza si era formata in relazione

alle ipotesi di annullamento cón rinvio previste e regolate nell'art. 543 cod. proc. pen., prima che questo venisse inte

grato, con la novella del 1955, con un nuovo paragrafo (il 6), con il quale alle dette tesi di annullamento prima

previste se ne è aggiunta, in coordinamento con l'art. 185

cod. proc. pen., ripristinante le nullità assolute, un'altra, in relazione alla possibilità del rinvio del giudizio al giu dice di primo grado, nel caso in cui venga annullata una

sentenza di appello a causa di nullità d'ordine generale insanabile verificatasi nel dibattimento di primo grado. Ma, dopo l'entrata in vigore delle modifiche di cui sopra,

questa Suprema corte ha, con sentenza della Sez. Ili, 19 novembre 1957, Mazzoni (Foro it., Rep. 1958, voce

Impugnazioni pen., n. 28), prima, e con sentenza delle

Sezioni unite 14 marzo 1959, ric. Marcelli (id., Eep. 1959, voce cit., n. 57), poi, stabilito il principio, dopo la novella,

evidentissimo, della impugnabilità a mezzo dell'appello,

sempre che questa impugnazione sia esperibile secondo le

regole comuni, della sentenza del giudice di rinvio, allorché

pronunciata in primo grado a seguito di annullamento

totale per vizio in procedendo, in tal caso il giudizio essendo

definito ex novo e venendo quindi meno quella esigenza, derivante dalla limitata competenza funzionale del giu dice di rinvio nei casi in cui questo sia chiamato a pronun ciarsi nell'ambito di confini e di principi fissati dalla sen

tenza di annullamento, che non consente l'intervento di

un giudice intermedio in un simile giudizio integratore di quello di legittimità della Cassazione, e prevalendo, invece, quella di non sottrarre, non essendovene più motivo, alla garanzia del doppio grado di giurisdizione un giudizio avente tutti i requisiti della novità e della autonomia

rispetto a quelli per intero travolti dall'annullamento a

causa di vizio in procedendo verificatosi nel dibattimento di primo grado.

2) Del pari disatteso va il secondo motivo. Con questo, il ricorrente P. m. (con richiamo degli art. 191, 208, 513,

524, 52, 54 cod. proc. pen.) ha sostenuto che, comunque, coesistendo, e l'appello dell'imputato, e i due gravami, appello e ricorso per cassazione, del P. m., la Corte di

merito non avrebbe dovuto ritenersi senz'altro legittimata a, conoscere dell'appello, ma avrebbe dovuto rimettere gli atti a questa Suprema corte per l'esame circa l'ammissi

bilità del ricorso.

Ma va in proposito rilevato che, concorrendo i due mezzi di impugnazione, nulla impediva ai Giudici dell'appello, cui gli atti erano stati rimessi a norma dell'art. 208 dal

l'ufficio del giudice a quo, di conoscere della impugnazione di loro competenza ritenuta motivatamente ammissibile, la esistenza del contemporaneo ricorso non dando luogo ad alcuna delle situazioni previste nell'art. 51, in materia di conflitti di competenza ed importando soltanto la pro nuncia da parte di questa Suprema corte, nella presente sentenza, della inammissibilità del ricorso per effetto della come sopra, riconosciuta esperibilità dell'altro mezzo di

impugnazione avverso la sentenza pronunciata in primo

grado dal Tribunale. (Omissis) Per "questi motivi, ecc.

TRIBUNALE DI NICOSIA.

Sentenza 9 marzo 1960 ; Pres. ed est. Alessi, P. M. A ver

sano (conci, conf.) ; imp. Pernicone.

Falsità in atti — Cambiale estinta per prescrizione —

Falso in scrittura privata (Cod. pen., art. 485, 491).

La falsificazione di cambiale, la cui azione cambiaria sia

estinta per prescrizione, costituisce falso in scrittura pri vata. (1)

Il Tribunale, ecc. — Ritiene il Collegio che il fatto ascritto

al Pernicone costituisce il reato di cui all'art. 485 e che in

tali sensi deve modificarsi la rubrica.

Invero, il presupposto per l'applicazione dell'art. 491

è che si tratti di cambiale o di altro titolo di credito tras

missibile per girata o al portatore. Ora nella fattispecie non esisteva alcun rapporto cambiario, perchè venuto meno

a causa e per effetto della prescrizione estintiva di cui

all'art. 94 legge cambiaria. Le cambiali, infatti, non furono

azionate come tali, ma semplicemente con procedimento

ingiunzionale in base al rapporto sottostante presunto

(art. 1988 cod. civ.) e documentato dalle due cambiali

(prescritte) in funzione di scritture private o chirografi, così come chiaramente risulta e si legge nel ricorso del 7

luglio 1958 diretto al giudice conciliatore di Eegalbuto

per ottenere il decreto ingiuntivo. Trattasi, quindi, di falsità in scrittura privata. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

PRETDRA DI NAPOLI.

Sentenza 26 aprile 1961 ; Giud. Caputo ; imp. Lanza.

Circolazione stradale — Verbale di contestazione

di contravvenzione per la quale sia ammessa

oblazione — Mancanza deyli estremi necessari

per l'oblazione — Improcedibilità (D. pres. 15

giugno 1959 n. 393, t.u. delle norme sulla circolazione

stradale, art. 138 ; d. pres. 30 giugno 1959 n. 420, re

golamento per l'esecuzione del t.u. sulla disciplina della circolazione stradale, art. 603).

L'azione penale per contravvenzione al codice della strada,

per la quale sia ammessa l'oblazione amministrativa, è

improcedibile qualora nel verbale di contestazione della

contravvenzione sia omessa la indicazione degli estremi

necessari per l'oblazione, primo fra tutti l'ammontare

della somma da pagare. (2)

Il Pretore, ecc. — Il decreto penale va revocato per effetto della comparizione dell'imputato all'udienza fis

sata per il dibattimento.

Nel merito rileva il Pretore che per le contravvenzioni

ascritte all'imputato l'art. 138 del codice della strada pre

ti) Conf. : Cass. 7 giugno 1958, Ciccone, Foro it., Kep. 1959, voce Falsità in atti, n. 100 ; per quanto riguarda l'assegno : Cass. 1° aprile 1960, Merenda, id., Rep. 1960, voce cit., n. 93.

La sentenza è annotata adesivamente da Santoro, Falsità in cambiale estinta come titolo cambiario, in Banca, borsa, ecc., 1961, II, 127 ; l'Autore, però, afferma che la soluzione dovrebbe essere diversa qualora la falsificazione sia stata operata precedent temente al maturarsi della prescrizione.

(2) Nulla in termini. Sostanzialmente conforme Cass. 4 maggio 1960, Raiteri, Foro it., Rep. 1960, voce Circolazione stradale, n. 529.

Sulla natura della oblazione amministrativa, v. da ultimo, in senso conforme, Cass. 10 novembre 1960, Penna, retro, 105, con nota di richiami.

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