sezione III penale; sentenza 15 gennaio 2002; Pres. Avitabile, Est. Onorato, P.M. Passacantando(concl. parz. diff.); ric. Dessena. Annulla senza rinvio App. Cagliari-Sassari 14 novembre 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2002), pp. 437/438-441/442Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196572 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
alle disposizioni generali in materia di gestione dei rifiuti deve
essere però riscontrata sul piano operativo concreto — alla stre
gua del principio generale fissato dal già ricordato art. 1, 1°
comma — al fine di verificare la possibilità effettiva di interfe
renza tra discipline distinte, ed una verifica siffatta porta a con
cludere, nella materia in esame, che la disciplina speciale per i
rifiuti animali dettata dal d.leg. 508/92 (adottato in attuazione
della direttiva 90/667/Cee), pur contenendo alcune norme tecni
che circa il trasporto e lo smaltimento, regola in modo completo soltanto gli specifici profili sanitari e di polizia veterinaria (fi nalità di distruggere ed impedire la propalazione di agenti pato
geni) della fase di trasformazione, mentre gli altri profili di ge stione non sono coperti dalla disciplina speciale.
Si ricordi, in proposito, che la stessa direttiva 90/667/Cee po ne «the veterinary rules for the disposal and processing of ani
mal waste, for its placing on the market and for the prevention of pathogens in feedstuffs of animal or fish origin» e che, nella
disciplina nazionale di attuazione, secondo la testuale formula
zione dell'art. 1,1° comma, d.leg. 508/92, detto testo normativo
stabilisce:
a) le norme sanitarie e di polizia veterinaria che si applicano ai procedimenti di eliminazione e/o trasformazione dei rifiuti di
origine animale, allo scopo di distruggere gli agenti patogeni eventualmente in essi presenti, nonché alla produzione per gli animali di alimenti di origine animale con metodi atti ad evitare
che essi possano contenere agenti patogeni; b) le norme relative all'immissione sul mercato dei rifiuti di
origine animale destinati a fini diversi dal consumo umano.
2.4. - Gli scarti animali non trattati sono espressamente com
presi tra i rifiuti speciali del catalogo europeo dei rifiuti (codice 020202 Cer), la cui elencazione — che si conforma alla defini
zione generale di «rifiuto» accolta dal legislatore italiano ed è
riportato nell'ali. A d.leg. 22/97 — si applica a tutti i rifiuti, siano essi destinati ad operazioni di smaltimento o di recupero
(si ricordino, quanto all'inclusione nell'elenco, i principi affer
mati dalla Corte europea di giustizia con la sentenza 25 giugno 1997, cause riunite C-304/94, C-330/94, C-342/94 e C-224/95, Tombesi, in Foro it., 1997, IV, 378, e da questa Suprema corte con
la sentenza 4 maggio 2000, n. 8419, Zavagli, secondo cui tratta
si di un elenco di riferimento, redatto con finalità di armonizza
zione amministrativa, avente carattere non esaustivo e tecnica
mente aggiornabile). 11 d.m. 5 febbraio 1998, sul recupero di rifiuti non pericolosi,
prevede inoltre espressamente — al punto 18.1 — tra i rifiuti
recuperabili con la procedura semplificata dell'iscrizione (so stitutiva di quella dell'autorizzazione) proprio i «residui carnei,
sangue, residui di pesce» destinati alla «produzione di fertiliz
zanti conformi alla 1. 19 ottobre 1984 n. 748», specificando che
«per gli impianti di recupero si applicano le disposizioni di cui al d.leg. 508/92».
Deve ritenersi, conseguentemente, che: — nel recupero di rifiuti animali devono applicarsi congiun
tamente il d.leg. 22/97 ed il d.leg. 508/92, che hanno distinte fi nalità;
— gli scarti animali costituiscono rifiuti speciali ai sensi del
d.leg. 22/97 e, pertanto, la gestione di materiali siffatti è sotto posta alla disciplina prevista da detto decreto;
— gli impianti di recupero di tali rifiuti devono essere auto
rizzati secondo le prescrizioni di entrambi i testi normativi; — il recupero di tali rifiuti può avvenire con «procedura
semplificata» solo se rivolto alla produzione di fertilizzanti; nel
caso, invece, di trattamento finalizzato alla produzione di man
gimi, si impone la necessità dell'autorizzazione ordinaria di cui
all'art. 29 d.leg. 22/97.
Il d.leg. 22/97 — appare opportuno ribadirlo —
pone i princi
pi generali in tutto il settore dei rifiuti: esso non è applicabile
qualora normative particolari di deroga disciplinino, a livello di
eccezione, alcuni settori specifici di rifiuti ma soltanto nei limiti
in cui opera la stessa disciplina derogatoria. L'art. 8, 2° comma, d.leg. 508/92, del resto, rinvia espressa
mente alla normativa generale in materia di rifiuti allorché di
spone che «la raccolta ed il trasporto di materiali ad alto rischio
e basso rischio sono effettuati nell'osservanza degli obblighi di
documentazione del trasporto e di tenuta dei registri di carico e
scarico vigenti» e tali obblighi documentali (rispettivamente
previsti, attualmente, dagli art. 15 e 12 d.leg. 22/97) presuppon
gono appunto l'iscrizione all'albo nazionale delle imprese che
effettuano la gestione dei rifiuti (di cui all'art. 30 d.leg. 22/97).
li. Foro Italiano — 2002.
Né la necessità di iscrizione all'albo può ritenersi esclusa dal
decreto 26 marzo 1994 del ministro della sanità (previsto dallo
stesso art. 8, 2° comma, d.leg. 508/92) — che stabilisce le mo
dalità di osservanza degli obblighi inerenti le attività di raccolta
e di trasporto di rifiuti di origine animale, conformemente al
l'ali. I d.leg. 508/92 — poiché le norme ivi fissate prescrivono
ulteriori peculiari requisiti di idoneità di contenitori, automezzi
ed eventuali depositi temporanei, nonché controlli ed autorizza
zioni del servizio veterinario delle Asl territorialmente compe tenti, che integrano ma non escludono la disciplina generale.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 15
gennaio 2002; Pres. Avitabile, Est. Onorato, P.M. Passa
cantando (conci, parz. diff.); ric. Dessena. Annulla senza
rinvio App. Cagliari-Sassari 14 novembre 2000.
Sanità pubblica — Rifiuti speciali derivanti da attività di demolizione e costruzione — Terre e rocce da scavo —
Differente disciplina — Questione manifestamente infon
data di costituzionalità (D.leg. 5 febbraio 1997 n. 22, attua
zione delle direttive 91/156/Cee sui rifiuti, 91/689/Cee sui ri fiuti pericolosi e 94/62/Ce sugli imballaggi e sui rifiuti dì im ballaggio, art. 7, 8).
Sanità pubblica — Discarica — Confisca dell'area — Fatti
specie (D.leg. 5 febbraio 1997 n. 22, art. 51).
E manifestamente infondata la questione di legittimità costitu
zionale che prospetta un 'irragionevole disparità di tratta
mento tra il regime giuridico delle terre e delle rocce da sca
vo contaminate da inquinanti, escluse dalla categoria dei ri
fiuti, nonostante la loro pericolosità ambientale, e quello dei
materiali derivanti da demolizione e costruzione, che conti
nuano ad essere considerati rifiuti speciali, pur non essendo
pericolosi, perché si tratta di attività e di materiali ontologi camente diversi (infatti, l'attività di scavo incide su terreni,
l'attività di demolizione e costruzione incide sa edifici), la cui
diversità giustifica la differente disciplina adottata dal legis latore nell 'ambito de! suo potere discrezionale. ( 1 )
Il proprietario di un 'area occupata da una discarica abusiva
può subirne la confisca solo se sia responsabile o correspon sabile del reato di cui all'art. 51, 3° comma, d.leg. 22/97,
mentre in caso di comproprietà dell'area, la confisca è appli cabile soltanto se (tutti) i comproprietari sono responsabili,
quanto meno a titolo di concorso, nel suddetto reato doven
dosi al tempo stesso escludere l'applicazione obbligatoria della misura patrimoniale perché l'area non ha un 'intrinseca
criminalità in senso assoluto potendo essere ripristinata e
bonificata dai residui inquinanti. (2)
(1) Questione nuova. Sulla tematica delle terre e rocce da scavo, v.
Cass. 13 giugno 2000, Sassi, Ambiente, 2001, 187, e, in dottrina, Pao
ne, Terre e rocce da scavo: siamo al capolinea?, ibid., 617; Prati, Una tormentata vicenda: terre da scavo e rifiuti, problema irrisolto, id., 2002, 331; Ficco, Terre di scavo: un errore sistematico della nuova
legge le lascia tra i rifiuti, in Ambiente e sicurezza, 2001, fase. 12, 18;
Fimiani, Mancata contaminazione ed effettivo riutilizzo: in questi casi
le terre da scavo non sono rifiuti, id., 2002, fase. 4, 74; Amendola, Ri
fiuti da scavo e tombamento delle cave: un sonoro schiaffo ali 'Unione
europea, in Dir. pen. e proc., 2002, 36.
(2) In argomento, Cass. 26 aprile 2001, Cannavo, Ambiente, 2002,
785, ha chiarito che anche in caso di applicazione della pena ex art. 444
c.p.p. per il reato di realizzazione e/o gestione di una discarica abusiva
va disposta la confisca dell'area sulla quale insisteva la discarica, se di
proprietà dell'autore del reato o di altro compartecipe, e va disposta la
bonifica e la remissione in pristino dell'area prima dell'acquisizione definitiva al patrimonio pubblico, non assumendo rilievo che il provve dimento di confisca non abbia formato oggetto dell'accordo fra le parti, atteso che questa costituisce atto dovuto per il giudice non suscettibile
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PARTE SECONDA
Svolgimento de! processo. — 1. - Con sentenza del 14 no
vembre 2000 la Corte d'appello di Cagliari, sezione distaccata
di Sassari, ha integralmente confermato quella resa il 15 dicem
bre 1999 dal Tribunale di Olbia, che aveva dichiarato Gesuino
Dessena colpevole del reato di cui all'art. 51,3° comma, d.leg.
22/97, per aver realizzato sul proprio terreno una discarica di ri
fiuti non pericolosi (inerti e scarti di lavori edili) senza la do vuta autorizzazione (in Olbia il 20 febbraio 1998). Per l'effetto, il Dessena veniva condannato alla pena di quattro mesi di arre
sto e lire cinque milioni di ammenda, con i doppi benefici di legge e con la confisca dell'area interessata dalla discarica.
2. - Il difensore dell'imputato ha proposto ricorso per cassa
zione, deducendo tre motivi per mancanza di motivazione e per erronea applicazione della legge, appresso specificati e valutati.
11 pubblico ministero di udienza ha concluso per il rigetto del
ricorso.
Nella discussione orale i difensori dell'imputato hanno inoltre
sollevato questione di illegittimità costituzionale dell'art. 1,17°
comma, della recentissima 1. 21 dicembre 2001 n. 443.
Motivi della decisione. — 3. - Va pregiudizialmente affron
tata la questione di illegittimità costituzionale del 17° comma
dell'art. 1 (unico), 1. 21 dicembre 2001 n. 443 (delega al gover no in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strate
gici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive)
(c.d. legge obiettivo). Più esattamente, l'eccezione dei difensori
deve essere formulata in questo senso: dopo l'entrata in vigore del citato 17° comma diventa costituzionalmente illegittima (e rilevante nel presente processo) la disciplina del d.leg. 22/97, laddove definisce i rifiuti e sottopone la loro gestione a un re
gime rigoroso amministrativo penalmente sanzionato (in ispe cie, art. 7 e 51), atteso che essa continua a considerare rifiuti al
cuni materiali ecologicamente meno pericolosi di quelli che la
nuova norma sottrae alla qualifica di rifiuti e alla relativa disci
plina. La nuova norma, entrata immediatamente in vigore dall'11
gennaio 2002, stabilisce testualmente:
«Il 3° comma, lett. b), dell'art. 7 e il 1° comma, lett. f bis), dell'art. 8 d.leg. n. 22 del 1997, si interpretano nel senso che le
terre e rocce da scavo, anche di gallerie, non costituiscono ri
fiuti e sono, perciò, escluse dall'ambito di applicazione del me
desimo decreto legislativo, anche quando contaminate, durante
il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività
di escavazione, perforazione e costruzione, sempreché la com
posizione media dell'intera massa non presenti una concentra
zione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti».
Come noto, secondo la lett. b) del 3° comma del citato art. 7, sono rifiuti speciali quelli derivanti dalle attività di demolizione
e costruzione, nonché i rifiuti pericolosi che derivano dalle atti
vità di scavo; mentre secondo la lett. / bis) del 1° comma del
l'art. 8 sono esclusi dal campo di applicazione dello stesso
d.leg. 22/97, «in quanto disciplinati da specifiche disposizioni di legge, le terre e le rocce da scavo destinate all'effettivo utilizzo
per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, con esclusione di
materiali provenienti da siti inquinanti e da bonifiche con con
centrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità sta
biliti dalle norme vigenti». A un'attenta lettura, perciò, secondo la norma interpretativa
introdotta con il 17° comma dell'articolo unico della nuova leg
ge, non si devono ritenere rifiuti, e sono quindi esclusi dall'am
bito di applicazione del d.leg. 22/97, le terre e le rocce da scavo,
di valutazioni discrezionali e pertanto sottratto alla disponibilità delle
parti. Secondo G.i.p. Pret. Udine 17 dicembre 1998, Foro it.. Rep. 1999,
voce Sequestro penale, n. 62, in caso di gestione di una discarica di ri fiuti in carenza delle prescritte autorizzazioni può essere disposto il se
questro preventivo dell'area soggetta a confisca su cui insiste la disca
rica, se di proprietà di uno degli indagati, ex art. 321, 2° comma, c.p.p., a prescindere dai presupposti di cui all'art. 321, 1° comma, c.p.p.
Per un altro caso di sequestro preventivo e confisca, v. Cass. 23
maggio 2001, Maio, id., 2002, 11, 180, con nota di richiami di Paone ed osservazioni di Amendola, Trasporto illecito di rifiuti, sequestro e
confisca dei mezzo. In tema di discarica e deposito di rifiuti, v., da ultimo, Cass. 10 no
vembre 2000, Duclos, ibid., 354, con nota di richiami. In materia di bonifica di siti contaminati, v. Cass. 28 aprile 2000,
Pizzuti, ibid., 127, con nota di richiami.
Il Foro Italiano — 2002.
anche quando contaminate, durante il ciclo produttivo, da so
stanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perfora zione e costruzione, purché la concentrazione media di inqui nanti non superi i limiti massimi di legge. Sembra chiaro quindi che continuano a costituire rifiuti speciali quelli derivanti dalle
attività di demolizione e costruzione; mentre perdono la qualità di rifiuti solo le terre e le rocce da scavo, posto che l'attività di
demolizione e costruzione (che incide su edifici) è struttural
mente diversa dall'attività di scavo (che incide su terreni). Si può anche aggiungere, peraltro, che la norma in questione
ha portata modificativa piuttosto che interpretativa, atteso che la
norma precedente escludeva le terre e le rocce dall'ambito di
applicazione del d.leg. 22/97, solo in quanto disciplinate da altre
disposizioni di legge, ma non le escludeva tout court dalla cate
goria dei rifiuti; mentre la nuova norma le esclude in radice da
questa categoria e non solo dal campo di applicazione del men
zionato decreto.
Comunque, per quanto direttamente interessa nella presente
fattispecie, è indubbio che continuano a costituire rifiuti e ad es
sere assoggettati alla disciplina del d.leg. 22/97 i materiali deri vanti da demolizioni e da costruzioni.
Per conseguenza, la sollevata questione di illegittimità costi
tuzionale è manifestamente infondata laddove prospetta una ir
ragionevole disparità di trattamento tra le terre e le rocce da
scavo contaminate da inquinanti, escluse dalla categoria di ri
fiuti nonostante la loro pericolosità ambientale, e i materiali de
rivanti da demolizioni e costruzioni, che continuano a essere
considerati rifiuti speciali, pur non essendo pericolosi: e ciò
perché si tratta di attività e di materiali ontologicamente diversi, la cui diversità giustifica la differente disciplina adottata dal le
gislatore nell'ambito del suo potere discrezionale. Mentre la
questione è vieppiù manifestamente infondata laddove intende
prospettare una irragionevole disparità di trattamento tra i rifiuti
pericolosi che derivano dalle attività di scavo e le terre e le roc
ce da scavo contaminate da inquinanti, giacché sotto questo pro filo il trattamento resta uguale, posto che entrambi i materiali
(pur connotati da analoghi caratteri di pericolosità) vengono esclusi dalla categoria dei rifiuti.
Si tratta semmai di verificare se la suddetta esclusione dalla
categoria dei rifiuti di materiali inquinanti o pericolosi sia ri
spettosa delle direttive comunitarie vigenti in materia. Ma la
questione non è rilevante per i materiali da demolizione e da co
struzione, oggetto del presente processo. Né può ridondare in
una questione di illegittimità costituzionale.
4. - Passando ora ai motivi del ricorso scritto, con la prima censura il difensore lamenta vizio di motivazione in ordine alla
imputabilità del fatto al Dessena, ritenuto responsabile solo per ché — secondo il ricorrente — avendo la disponibilità della
chiave del cancello che chiudeva il terreno nel quale venne rea
lizzata la discarica, consentì l'accesso dei carabinieri nel terreno
stesso.
La censura è infondata e va respinta. Invero, è pacifico che
l'imputato era proprietario del terreno de quo assieme ad altri
fratelli; che il terreno era recintato da un muro e da una rete
metallica e chiuso da un cancello, di cui l'imputato aveva la
chiave; che il terreno era ingombro di numerosi rifiuti (inerti e
scarto di lavori edili) provenienti dalla demolizione di una
struttura alberghiera appartenente allo stesso imputato. Da questo compendio probatorio è logico e legittimo dedurre
che sia stato il Dessena ad attivare la discarica nel terreno di cui
era comproprietario. Si potrebbe semmai ipotizzare il concorso
nel reato degli altri comproprietari; ma ciò non escluderebbe
evidentemente la responsabilità del primo. In ogni caso, nessuna
azione penale risulta iniziata o sollecitata contro gli altri com
proprietari. 5. - Col secondo motivo il ricorrente deduce erronea applica
zione della legge penale in ordine alla quantificazione e alla
qualificazione penale del fatto. Sostiene che il terreno seque strato non era di 1.100 mq, bensì di soli 637 mq, e che i rifiuti accumulati erano inferiori a quelli indicati dalla polizia giudi ziaria (circa 100 me). Ma soprattutto aggiunge che il materiale
depositato era quasi totalmente formato da conci di granito
squadrati e pronti per la riutilizzazione edilizia, sicché non po teva qualificarsi come rifiuto, dal momento che il Dessena non
aveva intenzione di disfarsene; mentre per la residua e minimale
porzione di calcinacci derivanti da lavorazioni edili doveva più correttamente applicarsi l'art. 50 d.leg. 22/97, che prevede come
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GIURISPRUDENZA PENALE
semplice illecito amministrativo l'abbandono o il deposito di ri fiuti.
Anche questo motivo è infondato.
Anzitutto il ricorrente asserisce circostanze di fatto (sulla
quantità di rifiuti e sulla superficie sequestrata) che sfuggono al
controllo del giudice di legittimità. Comunque, anche a voler
ritenere che quantità di rifiuti e superfice occupata dai medesimi
fossero quelle asserite dal ricorrente, non verrebbero meno gli elementi indicatori della sussistenza della discarica, tradizio
nalmente definita come ripetuto accumulo di rifiuti in una de
terminata area, con tendenziale carattere di definitività, desunto
soprattutto dalla quantità dei rifiuti e dallo spazio occupato. In
fatti, anche le misure asserite dal ricorrente, circa la cubatura
dei rifiuti e la superficie occupata, resterebbero indicative del
l'esistenza di una discarica.
Anche la tesi che il materiale di scarto edilizio fosse preva lentemente costituito da grossi conci di granito di cui il Dessena
non aveva intenzione di disfarsi, configura una deduzione in
fatto nuova (non formulata né in primo né in secondo grado), che è preclusa in questa sede. In linea di diritto, poi, il motivo, non solo è inammissibile ex art. 606, 3° comma, c.p.p., ma è an
che infondato, giacché non considera che, se la nota decretazio
ne d'urgenza ormai decaduta prevedeva la distinzione tra rifiuti, da una parte, e materie prime secondarie (m.p.s.) o residui, dal
l'altra, sottoposti a regime attenuato ove ne fosse provato l'ef
fettivo riutilizzo, questa distinzione è stata ormai abbandonata
dal d.leg. 22/97, che comprende nella categoria di rifiuti tutte le
cose di cui il detentore si disfi, indipendentemente dalla sua in
tenzione di riutilizzarle.
6. - Con l'ultimo motivo il difensore sostiene che la misura
della confisca del terreno non era applicabile, in quanto nel caso
specifico veniva a ledere i diritti di comproprietà di terzi asso
lutamente incolpevoli e in buona fede.
La censura è fondata e va accolta. Il 3° comma dell'art. 51
d.leg. 5 febbraio 1997 n. 22 stabilisce espressamente che alla
sentenza di condanna per il reato di discarica abusiva consegue la confisca dell'area sulla quale è stata realizzata la discarica, se
di proprietà dell'autore o del compartecipe del reato, fatti salvi
gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi. Ciò significa che il proprietario di un'area occupata da disca
rica abusiva può subirne la confisca solo se sia responsabile o
corresponsabile del reato previsto e punito dall'art. 51. Se non
10 è, egli ha solo gli obblighi e gli oneri reali previsti dall'art. 17 delio stesso decreto al fine di realizzare la bonifica e il ripristino ambientale del sito. Ma questi obblighi e oneri reali (in definiti
va tutte obbligazioni legali connesse alla res) sono diversi dalla
misura patrimoniale della confisca, la quale ha carattere ed ef
fetto ablatorio, che i primi non hanno.
Conseguenza evidente di questa disciplina è che, in caso di
comproprietà dell'area, i comproprietari sono soggetti alla con
fisca dell'area solo se sono responsabili, quanto meno a titolo di
concorso, nel reato di discarica abusiva.
Una siffatta disciplina appare più garantista per i titolari della
proprietà di quella vigente in materia di contrabbando doganale, che prevede la confisca obbligatoria delle cose utilizzate o de
stinate a commettere il reato (in particolare dei mezzi di tra
sporto) anche se appartenenti a terzi estranei al reato, se questi non provano di aver ignorato senza colpa l'uso criminale della
cosa (art. 301 d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, come novellato dal
l'art. 11 1. 30 dicembre 1991 n. 413, e da ultimo modificato
dalla sentenza 1/97 della Corte costituzionale, Foro it., 1998, I,
2043). Com'è noto, in tema di contrabbando doganale, con una serie
di pronunce culminate nella sentenza 10 gennaio 1997, n. 1, la
Corte costituzionale ha affermato un principio generale, secon
do cui il proprietario che sia estraneo al reato e indenne da colpa non può subire la confisca obbligatoria della cosa di sua pro
prietà, perché in tal modo finirebbe per essere colpito a titolo di
responsabilità oggettiva, con conseguente violazione dell'art.
27, 1° comma, Cost. Non è irragionevole — secondo la Con
sulta — che il proprietario sia gravato dell'onere di provare la
sua buona fede; ma se assolve quest'onere, il terzo proprietario estraneo al reato non può essere colpito da una misura di sicu
rezza patrimoniale di tipo ablatorio, conseguente al reato stesso, in forza del principio costituzionale della personalità della re
sponsabilità penale (così come ora prevede espressamente il
nuovo testo legislativo dell'art. 301 con riferimento ai mezzi di
11 Foro Italiano — 2002.
trasporto utilizzati o destinati al contrabbando, introdotto dal l'art. 11 1. 30 dicembre 1991 n. 413 proprio per adeguarsi alla
precedente giurisprudenza costituzionale). Un'eccezione al suddetto principio è ammessa per le cose ca
ratterizzate da intrinseca pericolosità sociale, in relazione alle
quali è consentita la confisca obbligatoria anche nei confronti di terzi incolpevoli. Ma solo — come precisa ancora la Consulta — se si tratta di una «illiceità oggettiva in senso assoluto», la
quale non può essere legittimata neppure con un'autorizzazione
amministrativa (come risulta dall'art. 240 c.p.).
Applicando questi principi alla confisca obbligatoria imposta dall'art. 51,3° comma, d.leg. 22/97, ne deriva la perfetta legit timità costituzionale della norma. Il legislatore del 1997, infatti, ha escluso la confisca dell'area quando colpisca proprietari o
comproprietari che non siano almeno corresponsabili della di
scarica abusiva, atteso che l'area non ha un'intrinseca crimina
lità in senso assoluto, potendo essere ripristinata e bonificata dai
residui inquinanti. A tal fine il legislatore ha solo correttamente
previsto una serie di obblighi e di oneri reali anche a carico dei
proprietari o comproprietari estranei al reato.
In conclusione, nella presente fattispecie, la confisca non po teva essere disposta, perché veniva a colpire anche comproprie tari che non risultano essere responsabili o corresponsabili per l'attivazione della discarica abusiva.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 19
dicembre 2001; Pres. Vessia, Est. Gemelli, P.M. (conci,
conf.); ric. Baffico. Conferma Trìb. sorv. Genova, ord. 20 di
cembre 2000.
Ordinamento penitenziario — Affidamento in prova al ser
vizio sociale — Sanzione sostitutiva della libertà controlla
ta — Applicabilità dell'affidamento — Esclusione (L. 26
luglio 1975 n. 354, norme sull'ordinamento penitenziario e
sulla esecuzione delle misure privative e limitative della li
bertà, art. 47; 1. 24 novembre 1981 n. 689, modifiche al siste
ma penale, art. 56).
Deve escludersi l'applicabilità dell'affidamento in prova al ser
vizio sociale alla sanzione sostitutiva della libertà controllata, dato che l'affidamento in prova è previsto soltanto in relazione
alla pena detentiva, che tra i due istituti alternativi alla pena detentiva esiste una evidente omogeneità, e che la condizione
dell'affidato al servizio sociale è nel complesso meno favore vole di quella dell 'ammesso alla libertà controllata. ( 1 )
(1) La questione esaminata dalle sezioni unite penali della Corte di cassazione è una delle molte determinatesi per effetto di una legislazio ne che ha introdotto nel sistema penale importanti modifiche, ed anche istituti estranei alle tradizioni giuridiche italiane, mediante provvedi menti succedutisi nel tempo, nella perdurante assenza di una nuova co dificazione e comunque di interventi di coordinamento che dessero
unitarietà, razionalità e coerenza alle norme vigenti. In particolare, corrisponde ad un rilievo ricorrente che tra sanzioni
sostitutive, benefici penitenziari e tradizionali istituti sospensivi ed estintivi della pena si sia creata una sommatoria demenziale che rischia di portare fuori controllo l'effettività del trattamento sanzionatorio.
Dell'esistenza del contrasto di giurisprudenza sulla questione della ammissibilità all'affidamento in prova del condannato sottoposto a li bertà controllata si era già data notizia, riportando due sentenze di cui una menzionata in motivazione: Cass., sez. I, 27 ottobre 1999, Prosperi, e 24 settembre 1999, Tognetti, Foro it., 2000, 11, 537. Con la prima di
queste decisioni la corte, chiamata a definire le modalità di computo della durata dell'affidamento disposto in alternativa alla libertà con
trollata, aveva affermato doversi aver riguardo alla durata della pena detentiva; in forma di mero obiter dictum, aveva tuttavia qualificato «fortemente opinabile» la concessione della misura alternativa al libero
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