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sezione III penale; sentenza 16 dicembre 1994; Pres. Accinni, Est. Papadia, P.M. (concl. conf.);...

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sezione III penale; sentenza 16 dicembre 1994; Pres. Accinni, Est. Papadia, P.M. (concl. conf.); ric. Nucci e altri. Conferma App. Bologna 8 aprile 1994 Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 4 (APRILE 1996), pp. 231/232-235/236 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23190336 . Accessed: 28/06/2014 13:29 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.33 on Sat, 28 Jun 2014 13:29:50 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione III penale; sentenza 16 dicembre 1994; Pres. Accinni, Est. Papadia, P.M. (concl. conf.);ric. Nucci e altri. Conferma App. Bologna 8 aprile 1994Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 4 (APRILE 1996), pp. 231/232-235/236Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190336 .

Accessed: 28/06/2014 13:29

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PARTE SECONDA

timentale, dopo che detto giudice aveva rinnovato le formalità

di apertura del dibattimento (senza, però, rimuovere il decreto

di citazione in giudizio), in seguito alla sostituzione del magi strato giudicante;

che nel caso di specie non era applicabile la legge Merli, sib

bene il d.p.r. 10 settembre 1982 n. 915 (le batterie esauste sono rifiuti allo stato solido);

che deve trattarsi di scarico di rifiuti provenienti da insedia

menti produttivi e civili e non può considerarsi tale uno sversa

mento «non voluto» dall'agente (e il giudice d'appello non ha

esaminato le deduzioni difensive conernenti l'elemento psicolo

gico, il caso fortuito o l'errore di fatto); che parimenti carente è la motivazione della sentenza impu

gnata in ordine alla richiesta di perizia diretta ad accertare le

cause dello sversamento.

Il ricorso è parzialmente fondato. È infondata la censura in

punto di rito; perché il pretore ha rinnovato tutti gli atti dibatti

mentali sin dalle formalità di apertura, rispettando sostanzial mente il principio dell'immutabilità del giudice sancito dall'art. 525, 2° comma, c.p.p. Il giudizio sulla superfluità della perizia tecnica richiesta è sottratto al sindacato di questa corte, perché, sul punto, la risposta del giudice d'appello è adeguatamente mo

tivata.

Sono, invece, fondate le censure concernenti la configurabili tà, nel caso di specie, di quelle violazioni della 1. 10 maggio 1976 n. 319 che presuppongono la esistenza di uno scarico (di

qualsiasi tipo) di acque da insediamenti e la condotta omissiva

dell'agente relativa alla mancanza di autorizzazione.

Lo sversamento occasionale, volontario o colposo, da un vei

colo in transito, di liquidi inquinanti giammai può essere sus sunto sotto le previsioni dell'art. 21 1. cit.

È invece configurabile, con interpretazione rigorosa ma «ra

zionale», la violazione degli art. 24 e 9 d.p.r. 10 settembre 1982

n. 915 (divieto assoluto di inquinare). Si impone, però, una nuova

valutazione del giudice di merito, anche ai fini della determina

zione della pena. Sopperirà il giudice di rinvio.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 16 di

cembre 1994; Pres. Accinni, Est. Papadia, P.M. (conci,

conf.); ric. Nucci e altri. Conferma App. Bologna 8 aprile 1994.

Diritti d'autore — Opere librarie — Abusiva riproduzione del

l'opera dell'ingegno mediante fotocopia — Reato — Abroga zione implicita — Esclusione (L. 22 aprile 1941 n. 633, prote zione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo eser

cizio, art. 171; 1. 22 maggio 1993 n. 159, norme in materia di abusiva riproduzione di opere letterarie e abrogazione del

contributo sulle opere di pubblico dominio di cui agli art.

177, 178 e 179 e all'ulitmo comma dell'art. 172 1. 22 aprile 1941 n. 633, art. 1).

L'abusiva riproduzione di opere dell'ingegno librarie mediante

fotocopia integra ancora gli estremi del reato di cui all'art. 171 l. 22 aprile 1941 n. 633, poiché l'emanazione della l. 22 maggio 1993 n. 159, che tra l'altro sanziona l'abusiva ripro duzione della composizione grafica di opere librarie, non ha

comportato l'abrogazione implicita del suddetto art. 171. (1)

(1) Da una prima radiografia della sentenza in epigrafe (leggibile an che in Dir. autore, 1995, 288, con nota di M. Fabiani) risulta il seguen te scheletro argomentativo: se si tiene preliminarmente conto che, an che prima della emanazione della 1. 159/93, esistevano un diritto del l'autore alla riproduzione dell'opera dell'ingegno libraria in quanto tale

(art. 13), protetto dalla sanzione penalistica di cui all'art. 171 1. autore, ed un distinto diritto con oggetto la presentazione grafica dell'opera stessa garantito (solo in sede civile) da un'azione di concorrenza sleale

(art. 102 1. autore), risulta agevole concludere che l'emanazione della 1. 159/93 ha voluto incidere esclusivamente sulla seconda posizione sog gettiva offrendo 'maggiore tutela' all'editore. Ad una tale conclusione i giudici di legittimità sono spinti da una serie di indici interpretativi.

li Foro Italiano — 1996.

Nucci Luciano, Nucci Emanuele, Graneroli Mario e Zoffi Sil

via venivano tratti a giudizio dal Pretore di Bologna per rispon dere del reato di cui all'art. 171, lett. a, 1. 633/41 per avere, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, ripro dotto mediante fotocopiatura, opere di varie case editrici.

In sede di patteggiamento il g.i.p. assolveva gli imputati per ché il fatto non è previsto come reato sul rilievo che la norma

doveva intendersi depenalizzata per effetto dell'art. 1 1. 22 mag

gio 1993 n. 159. Proponeva appello il p.m. e la Corte d'appello di Bologna, ravvisato il concorso materiale dei reati, applicava la pena a suo tempo concordata (la 1. 159/93 è entrata in vigore in epoca successiva alla data di consumazione dei reati adde

bitati). Gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione lamen

tando violazione di legge ed insistendo sul carattere speciale della

nuova norma. Eccepiscono violazione dell'art. 428 c.p.p. non

potendo la corte valutare il merito ma solo pronunciare il de

creto che dispone il giudizio. Rileva la corte che tale ultima eccezione è manifestamente

infondata. Va innanzi tutto premesso che nella specie il g.i.p.

presso la pretura non ha pronunciato «non luogo a procedere» bensì' sentenza nel merito con assoluzione perché il fatto non

costituisce reato. Ne consegue che non può accogliersi la censu

ra proposta per la semplice ragione che gli art. 425-428 c.p.p. riguardano solo il procedimento in primo grado innanzi il tri

bunale o la corte di assise concluso dal g.i.p. a termine dell'u

dienza preliminare; analoga previsione non si trova nella disci

plina riguardante il procedimento pretorile dove la mancanza

dell'udienza preliminare comporta la impossibilità di una pro nuncia di non luogo a procedere. Sempre nel giudizio pretorile, infatti, il g.i.p. non esercita il controllo sull'ipotesi accusatoria

avanzata dal p.m. e non emette i provvedimenti conclusivi del

l'udienza preliminare, ma svolge solo le funzioni tassativamente

dalla legge previste.

Legittimamente pertanto la corte d'appello, quale giudice del

l'impugnazione, ha pronunciato la decisione nel merito. In ordine alle altre doglianze va detto che la tutela dei diritti

d'autore, com'è noto, risale alla 1. n. 633 del 1941 che origina riamente prevedeva una sanzione penale articolata nella forma

dolosa (art. 171) e nella forma colposa (art. 172) e riferita a

tutte le modalità della violazione del diritto scaturente dalla crea

In primo luogo, la fotocopia è consentita solo nei ristretti limiti del l'art. 68 1. autore; in secondo luogo, la 1. 159/93 si inserisce in un filone normativo su prodotti fonografici e cinematografici (1. 406/81, 400/85, 127/87 e 93/92) volto a rafforzare (e non certo a depotenziare) l'apparato sanzionatorio della 1. autore: in particolare, per quanto ri

guarda la 1. 93/92, la giurisprudenza ha escluso che essa possa aver

depenalizzato l'art. 171 nella parte in cui riguarda i prodotti fonografici (v. Cass. 17 giugno 1992, Valeri, Foro it., Rep. 1994, voce Diritti d'au

tore, n. 264, commentata da O. Carosone, in Dir. autore, 1995, 285); in terzo luogo, nei lavori preparatori della 1. 159/93 si dichiara esplici tamente l'intenzione di voler affrontare il problema della «pirateria li braria» con norme più incisive. Né si può ipotizzare la concorrenza dell'art. 1 1. 159/93 e dell'art. 171 1. autore su identico fatto con conse

guente applicazione dell'art. 15 c.p. o dell'art. 9 1. 689/91, in quanto, come già evidenziato, l'art. 1 concerne l'abusiva riproduzione della com

posizione grafica dell'opera libraria in violazione del diritto dell'edito re, mentre l'art. 171 contempla l'abusiva riproduzione dell'opera libra ria in quanto bene immateriale spettante all'autore.

Il tutto appare ermeneuticamente plausibile e coincidente con l'inter

pretazione fornita da giurisprudenza (cfr. App. Bologna 18 aprile 1994, Dir. autore, 1994, 631, con nota di S. Teresi; G.i.p. Pret. Bologna 29 settembre 1993, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 273, e, per esteso, Dir. autore, 1993, 667, con nota di Fabiani; Pret. Bologna 31 ottobre-15 novembre 1995, giud. Sgambare, imp. Balduzzi, inedita) e dottrina (cfr. l'esaustiva riflessione di N. Alessandri, Fotocopie e diritto d'autore, in II diritto industriale, 1994, 607), tranne che per un'importante conse

guenza interpretativa: il Supremo collegio, infatti, intende quello che nel nostro 'concentrato' di motivazione abbiamo indicato con la generi ca espressione di 'maggiore tutela' (per non anticipare il rilievo che ora andiamo formulando) come l'istituzione di un nuovo reato a prote zione del diritto dell'editore sulla composizione grafica dell'opera libra ria (si noti che una simile interpretazione emerge anche dalla fuorviante massima di Pret. Bologna 29 settembre 1993 sopra cit.: tuttavia, leg gendo il testo del provvedimento che parla solo di sanzione amministra tiva, è facile accorgersi che si tratta di un errore del massimatore). È forse superfluo aggiungere come tale immaginifica lettura dell'art. 1 1. 159/93 (peraltro, condivisa da Fabiani nella nota di commento alla sentenza in epigrafe citata in apertura) sia in palese contrasto con la lettera della norma, che recita di sanzione amministrativa e non di am menda. [R. Caso]

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GIURISPRUDENZA PENALE

zione dell'opera (abusiva riproduzione, trascrizione, recita, dif

fusione, vendita, ecc.). L'ipotesi colposa è stata depenalizzata con la 1. 24 dicembre 1975 n. 706 e successivamente con la 1.

24 novembre 1981 n. 689 che ha abrogato la prima (art. 42). Per completezza espositiva va ricordato che, sempre la legge

sul diritto d'autore, consentiva già una forma aggiuntiva di tu

tela, e cioè quella di cui all'art. 102 per contrastare i comporta menti che venivano definiti come atti di concorrenza sleale —

nell'ipotesi in cui potrebbe crearsi confusione di opere o di au

tore —, e consistenti nella riproduzione o imitazione delle ca

ratteristiche visibili dell'opera stessa, genericamente indicate in:

testata, fregi, segni, caratteri di stampa ed ogni altra particola rità di forma e colore nell'aspetto esterno dell'opera. E si noti

che l'art. 102 è inserito nel capo Vili della legge che, nella sua

intestazione parla anche di protezione dell'aspetto esterno del

l'opera. In conclusione, può, quindi, affermarsi che una tutela orga

nica del diritto d'autore si articolava in una sanzione penale a salvaguardia del diritto (inteso in tutta la sua ampiezza) del

creatore dell'opera dell'ingegno ed in una azione civile diretta

a garantire soprattutto l'editore in quanto avente ad oggetto la presentazione grafica dell'opera stessa ed a preservare la uti

lizzazione economica della composizione grafica. Ad ulteriore conferma di tale impostazione la stessa legge,

all'art. 68, specifica che è libera la riproduzione di opere o di

brani per uso personale del lettore purché fatta a mano senza

possibilità di spaccio o diffusione. La fotocopia è limitata alla ipotesi di cui al capoverso, mentre viene poi ulteriormente riba

dito il divieto generico di spaccio o di utilizzazione indiscriminata.

Significativa al riguardo la vasta e concorde giurisprudenza di merito che ha sempre disposto la inibitoria alla riproduzione a mezzo fotocopiatrice di opere tutelate dalla legge sul diritto

d'autore nonché alla messa a disposizione di fotocopiatrici a

terze persone al fine della riproduzione (self-service) (cosi: Pret.

Catania 28 luglio 1988, Foro it., 1989, I, 2987; Pret. Milano

4 dicembre 1989, id., Rep. 1990 voce Diritti d'autore, n. 86; Pret. Bologna 19 febbraio 1990, ibid., n. 88; Pret. Verona 23

marzo 1992, id., 1992, I, 2563; Trib. Verona 17 giugno 1989,

id., Rep. 1990, voce cit., n. 60). La evoluzione tecnologica ha costretto il legislatore ad ag

giornare la legislazione per colpire gli atti di c.d. «pirateria». Si è iniziato con la 1. 29 luglio 1981 n. 406 a proposito dei prodotti fonografici e la giurisprudenza ha affermato che «la

registrazione e la riproduzione abusiva dell'opera dal vivo nel

corso di una esecuzione in pubblico o nel corso di una trasmis

sione radiofonica o televisiva viola i diritti degli autori, inter

preti ed esecutori, i quali beneficiano della diversa tutela diretta

loro accordata dalla 1. 22 aprile 1941 n. 633, sulla protezione del diritto d'autore, ma non riconducibile nell'ipotesi delittuosa

dell'art. 1 1. 29 aprile 1981 n., 406, mancando l'oggetto della

tutela penale, cioè il corpo meccanico, poiché tale norma san

ziona l'abusiva riproduzione, a fine di lucro, di dischi, di nastri

o supporti analoghi e la detenzione per la vendita, da parte di chi non sia concorso nella riproduzione abusiva» (Cass. 14

dicembre 1984, Catanzaro, id., 1985, II, 328). Dal canto suo

la dottrina ha sostenuto che l'offesa sanzionata dall'art. 1 di

detta legge si focalizza sul diritto che grava sul supporto a nor

ma dell'art. 72 della legge sul diritto d'autore. Il produttore del disco ha il diritto esclusivo alla riproduzione e tale diritto

rappresenta il solo obiettivo necessario e costante della riprodu zione abusiva (cosi: Pedrazzi, in Legislazione pen., 1982, 29).

Segue la 1. 20 luglio 1985 n. 400 nonché la 1. 27 marzo 1987

n. 127 a proposito delle opere cinematografiche contenute in

videocassette: anche in tale materia è sempre netta la differenza

tra tutela dell'opera dell'ingegno e del diritto allo sfruttamento

economico dell'opera. Viene, quindi, emanata la 1. 5 febbraio 1992 n. 93 la quale,

all'art. 2, «nello stabilire che l'utilizzazione dei fonogrammi da parte di emittenti radiotelevisive è soggetta alle disposizioni di cui agli articoli da 72 a 78 1. 22 aprile 1941 n. 633, ha riguardo ai diritti dei produttori — a ciò è volta la legge — ma non

intende escludere la normativa penale sul diritto d'autore» (Cass., sez. Ili, 3 novembre 1992, Settimi, id., Rep. 1994, voce cit., n. 263). «La citata 1. n. 93 del 1992 non ha introdotto alcuna

innovazione alla tutela del diritto d'autore, ribadendo anzi la

validità delle norme di cui agli articoli da 72 a 78 1. n. 633

del 1941 e ampliandone il campo di applicazione» (Cass., sez.

Ili 17 giugno 1992, Valeri, ibid., n. 264; 17 dicembre 1992, Stanziale, id., Rep. 1993, voce cit., n. 99).

Il Foro Italiano — 1996.

Seguendo sempre l'evoluzione tecnologica, troviamo il d.leg. 29 dicembre 1992 n. 518, a proposito della tutela dei program mi per elaboratore, che, con l'art. 10, ha istituito l'art. 171

bis 1. n. 633 del 1941, dopo avere espressamente fatto salva

l'applicabilità del precedente art. 171 (art. 9), intendendo anco

ra, in tal modo, nettamente distinguere la tutela dell'opera del

l'ingegno rispetto a quella dell'oggetto dello sfruttamento eco

nomico.

Le considerazioni innanzi esposte sono ritenute indispensabili

per inquadrare il problema oggi posto all'attenzione di questo

collegio con le impugnazioni dei ricorrenti. Costoro, in sostan

za, ribadiscono anche in questa sede la mancanza di autonomia

del bene protetto dalla norma di cui all'art. 1 1. 159/93 che

dovrebbe considerarsi quale norma speciale ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 9 1. n. 689 del 1981. Ricavano tale conclu

sione innanzi tutto dal riferimento contenuto nel predetto art.

1 laddove richiama «le opere protette dalla 1. 22 aprile 1941

n. 633». Intanto il riferimento non è pertinente posto che il legislato

re, quando parla di «tutela della 1. 633/41», si riferisce in altra

parte non «alle opere» bensì alla «composizione grafica delle

opere tutelate dalla 1. 633/41». Inoltre, con il riferimento alle

opere protette dalla 1. 633/41, si intende richiamare la categoria delle opere e non già il diritto patrimoniale dell'autore, peraltro di durata limitata nel tempo. Ed infine, appare decisivo il rilie

vo che «la protezione delle opere» è contenuta nel capo Vili

1. 633/41 che riguarda anche l'aspetto esteriore dell'opera stessa

e di cui fa parte proprio l'art. 102 di cui innanzi si è parlato. In ogni caso, prima di affrontare l'esame della dibattuta que

stione, va detto che nella relazione, il legislatore esplicitamente si preoccupa delle nuove forme di «pirateria libraria» ed espres samente dichiara di voler affrontare il problema con norme più incisive. Ed allora spontanea sorge la riflessione secondo cui

incongruente sarebbe un comportamento di tal genere posto che

il risultato di un proposito di maggior rigore si risolverebbe nel

la depenalizzazione della primitiva sanzione. Ma tale rilievo, di puro contorno, non è certo il solo che

induce a ritenere la infondatezza dei ricorsi. Il problema fonda

mentale consiste, invece, nell'esaminare se tra le due ipotesi (art. 171 1. 633/41 eli. 159/93) si possa parlare di «identico fatto» inteso come risultato della materiale condotta e, quindi, del

l'applicabilità o meno dell'art. 15 c.p. ovvero dell'art. 9 1. 689/81. A parere della corte, la risposta deve essere negativa. Non

può essere contestato che l'art. 171 rappresenti una norma di

carattere generale posta a tutela esclusiva dell'opera dell'inge

gno che è il risultato del diritto dell'autore inteso non solo qua le diritto patrimoniale (art. 2575 c.c. e 12 1. 633/41), ma altresì

quale diritto (di personalità) alla paternità spirituale dell'opera. Al contrario, l'art. 1 1. 159/93 pone l'accento esclusivamente

sulla riproduzione della composizione grafica dell'opera stessa

e non si interessa dell'opera dell'ingegno in sé quale bene im

materiale.

La tutela legislativa è volta alla salvaguardia di un diritto

diverso da quello del creatore dell'opera e consistente, invece, nel garantire l'editore che ha impegnato nella divulgazione le

sue risorse economiche. La legge citata istituisce, pertanto, un

diritto, quello relativo alla composizione grafica dell'opera, che

è diverso da quello dell'art. 13 1. 633/41 in quanto si riferisce

esclusivamente alla grafica quale risultato dell'attività esclusiva

dell'editore che originariamente trovava tutela solo nella sede

civile e che, con la creazione del reato in esame, è divenuto

il soggetto passivo dello stesso reato nonché l'unico legittimato alla costituzione di parte civile.

Conferma siffatta interpretazione il dato letterale della nuova

legge allorché ricollega il termine «abusivamente» alla riprodu zione della composizione grafica dell'opera e non alla riprodu zione dell'opera dell'ingegno, facendo cosi chiaramente intrave

dere l'autonomia del reato in questione rispetto a quello di cui

all'art. 171 1. 633/41 e, quindi, anche la possibilità del concorso tra le due violazioni. D'altronde, la specifica indicazione dello

scopo di lucro quale elemento costitutivo dell'ipotesi di cui al

l'art. 1 rappresenta un evidente collegamento con gli atti di con

correnza già previsti con il citato art. 102. Chiara pertanto la

inapplicabilità non solo dell'art. 15 c.p., ma anche dell'art. 9

1. 689/81. Va, inoltre, rilevato che il sistema introdotto da tale

ultima legge ha finalità esclusiva di prevenzione e non di reinte

grazione di un interesse leso, analoga a quella civilistico

risarcitoria ed in linea, quindi, con la precedente tutela di cui al citato art. 102. E ancora, la disposizione di cui all'art. 9,

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PARTE SECONDA

nel prevedere che le diverse norme debbono prendere in consi

derazione il «medesimo fatto», in tanto consente l'applicazione della norma amministrativa in caso di concorso in quanto que st'ultimo sia solo apparente e non sia ravvisabile l'ipotesi di

concorso formale. In tal senso v. Cass. 10 settembre 1991, n.

9494 (id., 1992, I, 291): «Il concorso cosiddetto apparente, che è previsto dall'art. 9 1. 24 novembre 1981 n. 689 e che è sogget to al principio di specialità, cioè all'applicazione della disposi zione di natura speciale, presuppone che le norme medesime

prendano in considerazione lo «stesso fatto». Pertanto, in pre senza di fattispecie che presentano un elemento di diversità, an

corché coincidenti in tutto o in parte con riguardo alla condotta del trasgressore, si deve ravvisare un concorso effettivo, non

apparente con applicazione delle rispettive sanzioni».

Né illuda la diversa terminologia usata dal legislatore del 1981

(stesso fatto) rispetto a quella adoperata nel codice penale (stes sa materia regolata). Infatti, la diversità si spiega con la consi

derazione che la disposizione dell'art. 15 c.p. concerne rapporti tra norme omogenee, tutte di natura penale, mentre l'art. 9 ri

guarda connotazioni di illiceità riferentesi a settori diversi del

l'ordinamento. Per cui, trattandosi di entità giuridiche diverse

per natura, effetti e regime, improprio sarebbe stato il riferi

mento alla stessa materia.

D'altronde, per non incorrere nel rischio di possibili disparità di trattamento determinate da una delega al giudice in ordine

alla valutazione in concreto del criterio pratico di specialità, ritiene la corte che debba essere ripudiato il principio dell'appli cazione c.d. «in concreto» del rapporto di specialità, limitando

ne l'attuazione alle ipotesi di più norme che tutelino lo stesso

interesse ed abbiano identica obiettività giuridica. In tal senso è la prevalente giurisprudenza. Fondamentale al riguardo è la

decisione di Cass. 5 gennaio 1974, Rotunno (id., Rep. 1975, voce Concorso di reati, n. 2): «non è applicabile il criterio selet

tivo della specialità quando un reato, valutato nel suo aspetto concreto, appaia rapportabile allo schema di più norme incrimi

natrici, ma predisposte a tutela di beni giuridici diversi, perché in tal modo verrebbe ad escludersi il fenomeno giuridico penale del concorso formale. Perché una norma penale sostantiva pos sa considerarsi speciale nei confronti di un'altra, occorre che

abbia tutti i requisiti costitutivi di quest'ultima con l'aggiunta di uno o di altri elementi suoi propri o specializzanti».

Tale principio, espresso prima dell'introduzione della 1. 689/81 è tuttora valido e ripetutamente affermato dalla giurisprudenza che ha sempre specificato come «l'applicazione delle disposizio ni di natura speciale presuppone che le norme medesime pren dano in considerazione lo stesso fatto» (Cass. 10 settembre 1991, n. 9494, cit.) e che, altresì, quando lo stesso fatto corrisponda

per parti diverse a più fattispecie, è esclusa la ipotizzabilità del concorso apparente.

Deve, pertanto, concludersi che il principio della specialità

esige, quali presupposti, che le disposizioni regolino la stessa

materia, abbiano la stessa obiettiva giuridica e realizzino lo stesso fatto posto in essere con la medesima condotta. L'art. 9 1. 689/81

opera solo in presenza di un ulteriore elemento specificante che ne giustifica la non applicazione della norma generale.

Non va da ultimo sottovalutato il rilievo secondo cui, se la vera intenzione del legislatore fosse stata quella dell'abrogazio ne della norma penale, sarebbe stato logico indicare, tra le nor me abrogate, anche l'ipotesi di cui all'art. 171. Il non averlo fatto è estremamente indicativo e rappresenta l'ultima confer ma della bontà della tesi accusatoria.

I ricorsi vanno, pertanto, rigettati con le conseguenze di legge.

Il Foro Italiano — 1996.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 14

dicembre 1994; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Dell'An

no, P.M. Gazzara (conci, conf.); ric. Bertolini. Annulla G.i.p. Pret. Gorizia, ord. 7 maggio 1994.

Caccia e protezione della fauna — Fauna selvatica — Importa zione di passeri congelati — Fattispecie (L. 11 febbraio 1992 n. 157, norme per la protezione della fauna selvatica omeo terma e per il prelievo venatorio, art. 1, 2, 21).

Il divieto di commercializzazione o di detenzione a fini di com mercio di cui all'art. 21, lett. bb), l. 157/92 si riferisce esclu sivamente agli uccelli, loro parti o prodotti, cacciati o cattu rati nel territorio nazionale, e non anche a quelli importati dall'estero (fattispecie relativa all'importazione di passeri con

gelati dalla Cina). (1)

1. - In data 19 novembre 1993, in Mossa, ufficiali di polizia giudiziaria appartenenti al comando dei carabinieri di antisofi

sticazione e sanità di Udine procedettero al sequestro presso

(1) Con la decisione in rassegna le sezioni unite hanno risolto un contrasto sorto all'interno della terza sezione a seguito dell'entrata in vigore della nuova legge sulla caccia (1. 157/92) e riguardante l'oggetto della tutela apprestata dalla suddetta legge.

Secondo un primo orientamento (Cass. 29 aprile 1993, Cosaro, Foro it., Rep. 1994, voce Caccia, n. 16; 26 ottobre 1992, Miolo, inedita, citate in sentenza; relativamente alla giurisprudenza di merito, G.i.p. Pret. Brescia 19 aprile 1994, Cass, pen., 1994, 1966, e Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 17; G.i.p. Pret. Padova 7 novembre 1994, id., 1995, II, 208), decisivo sarebbe il requisito della «nazionalità», cui fa riferi mento il 1° comma dell'art. 21. cit., nel senso che possono considerarsi

oggetto di protezione solo gli animali pervenuti nel nostro territorio

per la via naturale della migrazione, mentre sono sprovvisti di tutela

quelli giunti attraverso scambi commerciali, per i quali possono even tualmente valere altri strumenti normativi, come ad es. la I. n. 150 del 1992 sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali.

Secondo un diverso indirizzo (espresso da Cass. 18 febbraio 1994, Belussi, Cass. pen., 1994, 1926, e Foro it., Rep. 1994, voce cit., n.

15, ed altre cinque sentenze emesse nella stessa udienza in proc. Bonaz za (ibid., n. 14), Colosio, Rebecca, Conter (ibid., n. 13), Bosio, e da Cass. 16 marzo 1994, Bertolini, ibid., n. 12, e Dir. e giur. agr. e am biente, 1994, 630, con nota di Masini, Sul principio di territorialità a fondamento della protezione della fauna selvatica, invece, l'ambito di applicazione della 1. 157/92 si riferisce anche alla fauna selvatica

importata dall'estero, in quanto oggetto di tutela non sarebbero i singo li esemplari, ma l'intera specie, comprendendo dunque anche la parte di essa vivente al di fuori del territorio nazionale. Tale opinione risulte rebbe confortata da vari fattori: anzitutto, a differenza della vecchia

legge sulla caccia (1- 968/77), l'art. 1 fa espresso riferimento anche all'«in teresse internazionale» e contemporaneamente in tale norma non si par la più di fauna selvatica «italiana» essendo stato eliminato l'aggettivo limitativo; inoltre, l'art. 21, lett. bb), che impone il divieto di commer cializzazione di uccelli appartenenti alla fauna selvatica (punito poi a titolo di contravvenzione dall'art. 30, lett. I) non distingue circa la pro venienza degli stessi.

La sentenza in epigrafe ha abbracciato il primo indirizzo, afferman do che l'orientamento di segno opposto risultava carente nella parte in cui veniva a confondere l'oggetto della tutela della I. 157/92 con la sua ratio: quest'ultima infatti può anche consistere nel recepimento e nell'attuazione della direttiva comunitaria 79/409 e delle convenzioni di Parigi del 18 ottobre 1950 e di Berna del 19 settembre 1979 (è questo il significato del riferimento dell'art. 1,1° comma, all'interesse interna

zionale), cosi come esplicitamente stabilito dal 4° comma dell'art. 1, ma questo non vuol dire che la legge in questione abbia voluto appre stare una tutela indiretta — cioè attraverso il divieto di commercializza zione — alla fauna selvatica ovunque essa si trovi al momento della cattura.

Se infatti — si legge in motivazione — lo Stato italiano, a seguito dell'inserimento della selvaggina nel suo patrimonio indisponibile, può vantare su di essa una sorta di signoria o sovranità, quest'ultima evi dentemente è ipotizzabile ed esercitabile solo a condizione che «la cosa si trovi nella sfera territoriale in cui il dominus sia in grado di farla valere e se, d'altra parte, non confligga con diritti da altri acquisiti». A riprova della correttezza di una tale interpretazione sta l'omessa pre visione, come condotte vietate, delle ipotesi di importazione ed esporta zione, a differenza di altri provvedimenti legislativi aventi ad oggetto la protezione di fauna anche non dimorante nel territorio italiano (cfr., ad es., la 1. n. 150 del 1992); una diversa soluzione interpretativa, a parere della Suprema corte, potrebbe sollevare dubbi di costituzionalità

per contrasto con l'art. 41 Cost., non essendo possibile limitare l'inizia tiva economica privata se non per precisi e ben individuati «motivi di conflitto con finalità di utilità sociale o con preminenti ragioni di pub blico interesse».

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