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sezione III penale; sentenza 18 novembre 2003; Pres. Zumbo, Est. Squassoni, P.M. Geraci (concl....

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sezione III penale; sentenza 18 novembre 2003; Pres. Zumbo, Est. Squassoni, P.M. Geraci (concl. conf.); ric. Gambuzza. Conferma App. Firenze 23 settembre 2002 Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 9 (SETTEMBRE 2004), pp. 519/520-521/522 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23199428 . Accessed: 25/06/2014 07:39 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.77.40 on Wed, 25 Jun 2014 07:39:40 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione III penale; sentenza 18 novembre 2003; Pres. Zumbo, Est. Squassoni, P.M. Geraci (concl.conf.); ric. Gambuzza. Conferma App. Firenze 23 settembre 2002Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 9 (SETTEMBRE 2004), pp. 519/520-521/522Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199428 .

Accessed: 25/06/2014 07:39

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S 1 9 PA RTF SF.rONDA S70

Deve pertanto concludersi per l'esistenza dei gravi indizi di

colpevolezza ex art. 273 c.p.p. G) Esigenze cautelari. Il reato di scambio elettorale politico

mafioso non è previsto fra le ipotesi assistite dalla presunzione iuris tantum di sussistenza delle esigenze cautelari previste dal

l'art. 275, 3° comma, c.p.p. Sebbene una delle ragioni di tale esclusione sia probabil

mente imputabile a ragioni di mero coordinamento legislativo, l'estensione della presunzione all'ipotesi di specie, affermata

dal p.m. sulla considerazione del rinvio quoad poenam effet

tuato dall'art. 416 bis c.p., costituirebbe un'interpretazione creativa, in aperta violazione del dettato normativo.

Ciò posto si ritengono condivisibili le affermazioni del giudi ce per le indagini preliminari che, sia pur richiamando la moti

vazione contenuta nella richiesta di custodia cautelare, ha af

fermato l'esistenza dell'esigenza di cui alle lett. a) e c).

Quanto al pericolo di inquinamento probatorio si osserva che

si versa tutt'ora in quella delicata fase di acquisizione di ulterio

ri riscontri da parte di diversi soggetti a conoscenza dei fatti, come dimostrato dalle dichiarazioni integrative rese dal Laudi

cina nell'interrogatorio del 30 aprile 2004 e dalle dichiarazioni

rese da Mauro Giovanni e Carnese Giuseppe con le modalità

previste dall'art. 391 bis c.p.p. Ciò implica la necessità di salvaguardare il consolidamento

delle acquisizioni probatorie e la genuinità delle fonti ancora da

acquisire con i necessari approfondimenti investigativi.

Questa fase transitoria potrebbe essere irrimediabilmente

compromessa dal potere d'influenza politico-affaristica consoli

dato dall'indagato nel territorio marsalese.

Potrebbero così essere compromessi gli elementi di prova che

è possibile ancora acquisire da quei soggetti che sono venuti a

contatto col Pizzo durante l'illecita raccolta del consenso eletto

rale, e si potrebbe consentire la costruzione di una concordata

versione di comodo al fine di offrire un'artificiosa lettura alter

nativa dell'intera vicenda.

Quanto all'esigenza di cui alla lett. c), è noto che l'esigenza di specialprevenzione può ricavarsi da numerosi elementi, quali la gravità del fatto-reato, e tutti gli aspetti oggettivi e soggettivi in grado di esprimere la pericolosità del soggetto e l'inclinazio

ne a delinquere, ivi compresi i parametri di cui all'art. 133 c.p. Nella specie, non può non sottolinearsi che la gravità del

reato contestato al Pizzo in nulla differisce, sotto il profilo del

disvalore sociale e della gravità della pena, alla partecipazione all'associazione mafiosa.

Alla gravità del fatto si aggiungono i gravi indizi emersi sulla

reiterazione di identiche condotte già in occasione delle consul

tazioni elettorali del 1986 e del 1996.

Alcuni passaggi investigativi denotano inoltre l'intensità del

dolo con il quale il Pizzo ha perseguito il fine illecito, non solo

proponendo il patto dicendo che «stavolta non avrebbe badato a

spese», ma chiedendo poi di estendere il campo d'azione del

l'attività di procacciamento anche nel territorio di Alcamo.

Gravità del fatto, continuità e contiguità dei rapporti, ed in

tensità del dolo esprimono dunque la concretezza e l'attualità

del pericolo di reiterazione, dovendo peraltro considerarsi che

l'indagato, sfruttando le attuali cariche politico-amministrative e la continuità delle conoscenze negli ambienti mafiosi della

zona potrebbe anche alterare il normale decorso delle prossime consultazioni elettorali, dirottando illecitamente frange di voti

in direzione di candidati ritenuti «meritevoli» di sostegno. (Omissis)

Il Foro Italiano — 2004.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 18

novembre 2003; Pres. Zumbo, Est. Squassoni, P.M. Geraci

(conci, conf.); ric. Gambuzza. Conferma App. Firenze 23 set

tembre 2002.

Lavoro (rapporto di) — Igiene e sicurezza del lavoro — Me dico competente — Cartella sanitaria e di rischio del lavo ratore — Omesso aggiornamento — Reato — Fattispecie

(D.leg. 19 settembre 1994 n. 626, attuazione delle direttive

89/391/Cee, 89/654/Cee, 89/655/Cee, 89/656/Cee, 90/269/Cee, 90/270/Cee, 90/394/Cee e 90/679/Cee riguardanti il migliora mento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di

lavoro, art. 17, 92).

In materia di sicurezza dei lavoratori durante il lavoro, rispon de della contravvenzione di cui agli art. 17, 1° comma, lett.

d), e 92 d.leg. 626/94 il medico competente il quale, istituita

per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria la

cartella sanitaria e di rischio, abbia omesso di aggiornarla con l'indicazione, tra l'altro, dei rischi lavorativi ambientali

specifici ai quali il lavoratore sia stato sottoposto. (1)

Motivi della decisione. — Con sentenza 18 ottobre 2002, il

Tribunale di Lucca-Viareggio ha assolto, con la formula perché il fatto non sussiste, il medico Gambuzza Carmelo dai reati pre visti dagli art. 17, 1° comma, lett. b) e d), e 92 d.leg. 626/94

(non avere tenuto aggiornata la cartella clinica e di rischio di un

dipendente e non aver sottoposto due lavoratori alle periodiche visite mediche).

In riforma della decisione del primo giudice, la Corte d'ap

pello di Firenze, con sentenza 23 settembre 2002, ha assolto

l'imputato dagli illeciti di cui all'art. 17, lett. b), cit., perché il fatto non è previsto dalla legge come reato (in quanto depena lizzato dal d.leg. 25/02), mentre ha ritenuto Gambuzza respon sabile della residua contravvenzione e lo ha condannato alla pe na di giustizia.

Per l'annullamento della sentenza, l'imputato ricorre in Cas

sazione deducendo violazione di legge e difetto di motivazione.

In sunto rileva la totale insussistenza dei fatti posti a fonda

mento della decisione e, in particolare, che i lavoratori fossero

esposti a rischi ambientali specifici; sul tema il ricorrente preci

(1) Non constano precedenti in termini. Il combinato disposto degli art. 17, 1° comma, lett. d), e 92, 1° com

ma, lett. a), d.leg. 626/94 (in materia di sicurezza del lavoro), delinea un tipico esempio di contravvenzione propria strutturata in forma omis siva: in particolare, l'art. 17, 1° comma, lett. d), cit., sancisce in capo al medico competente per la sorveglianza sanitaria l'obbligo di istituire e

aggiornare, «sotto la propria responsabilità, per ogni lavoratore sotto

posto a sorveglianza sanitaria, una cartella sanitaria e di rischio da cu stodire presso il datore di lavoro con salvaguardia del segreto profes sionale»; mentre l'art. 92, 1° comma, lett. a), cit., punisce le contrav venzioni commesse dal medico competente, sanziona la violazione, tra

gli altri, del suddetto obbligo, con l'arresto fino a due mesi o con l'ammenda da 516 a 3.098 euro.

Secondo la sentenza in epigrafe, la contravvenzione in questione sus sisterebbe tra l'altro anche nello specifico caso di omessa indicazione, nella cartella sanitaria e di rischio, di tutti i rischi lavorativi ambientali

specifici ai quali il lavoratore sia stato sottoposto, nonostante l'art. 17 cit. non chiarisca esattamente quali siano le indicazioni sanitarie neces sarie e/o minime che la cartella deve contenere.

La giurisprudenza ha invece precisato che non si configura la con travvenzione nel caso di violazione dell'obbligo di custodia delle car telle presso il datore di lavoro, obbligo che ha carattere meramente ac cessorio e integrativo della prescrizione relativa all'istituzione ed al

l'aggiornamento delle cartelle stesse: v. Cass. 15 dicembre 2000, Ore

fice, Foro it., Rep. 2001, voce Lavoro (rapporto), n. 1204. In dottrina, sul d.leg. 626/94, e in particolare sugli obblighi da esso

istituiti a carico del medico competente e sulle relative contravvenzioni, v. Baglione, Nuove contravvenzioni a tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, Milano, 1995, 66 ss., 70; Loy (a cura di), La tu tela della salute nei luoghi di lavoro, Padova, 1996, 59 ss.; Galantino

(a cura di). La sicurezza sul lavoro, 2a ed., Milano, 1996, 120 ss., 154 ss., 303 ss.; Padula, Tutela civile e penale della sicurezza del lavoro, 2J ed., Padova, 1998, 105 ss.; Lageard, Le malattie del lavoro nel di ritto penale, Torino, 2000, 63 ss.; Soprani, Sicurezza e prevenzione nei

luoghi di lavoro, Milano, 2001, 115 ss., 185 ss., 432 ss., 628 ss.

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GIURISPRUDENZA PENALE

sa quali fossero le modalità di lavoro dei dipendenti e lamenta

che le prove documentali e testimoniali, che confermavano il

suo assunto, non siano state esattamente valutate.

Quanto alla violazione dell'art. 17, 1° comma, d.leg. 626/94,

precisa come sia carente una norma che non indichi quali rischi

lavorativi debbano essere segnalati in cartella e ritiene inesatta

la conclusione della corte territoriale secondo la quale tutti i ri

schi contenuti nel documento di valutazione, specifici per i vari

dipendenti, debbano essere riportati nella loro cartella. Ciò an

che perché tale interpretazione del testo normativo collide con

la tutela del segreto industriale previsto dall'art. 9, 3° comma,

d.leg. 626/94. Il collegio rileva che le deduzioni non sono meritevoli di ac

coglimento. Deve, innanzi tutto, precisarsi come le, pur articolate, dedu

zioni del ricorrente inerenti all'insussistenza degli illeciti di cui all'art. 17, 1° comma, lett. b), d.leg. 626/94 (capi B e C della

rubrica) non siano pertinenti in quanto i fatti non hanno più rile

vanza penale come correttamente rilevato dalla corte territoriale.

Anche le censure concernenti il reato previsto dall'art. 17, 1°

comma, lett. d), d.leg. cit. (capo A), ma riguardanti l'esposizio ne di Papi Luca a derivati e residui di oli esausti ed al rumore, non sono di attualità in quanto i giudici hanno ritenuto solo

l'esposizione, sia pure saltuaria, del lavoratore ad acido clori

drico.

Tale conclusione è contestata dal ricorrente con censure in

fatto — tendenti ad una rinnovata ponderazione delle prove, al

ternativa e quella operata dai giudici di merito — che esulano

dai limiti cognitivi di questa corte. Dopo questa precisazione, si rileva che le problematiche che

il caso pone riguarda le modalità con le quali deve essere redatta

la cartella sanitaria che il medico competente redige su ogni

soggetto sottoposto alla sua sorveglianza e, in particolare, se la

stessa debba annoverare i rischi lavorativi.

Sul tema è vero, come sostiene il ricorrente, che la norma

(art. 17, 1° comma, sub d, d.leg. 626/94) indica solo che il me

dico, sotto la propria responsabilità, debba istituire ed aggiorna re la cartella sanitaria e di rischio da custodire presso il datore di

lavoro con salvaguardia del segreto professionale; la disposizio ne non precisa quali siano le indicazioni sanitarie necessarie o

minime che il documento in questione debba contenere.

Il testo normativo, tuttavia, non può fare seriamente dubitare

che il riferimento ai rischi specifici ai quali è sottoposto ogni la voratore sia un'informazione inconferente dal momento che il

legislatore ha, almeno, precisato che la cartella è «sanitaria» e

«di rischio»; anche l'ambito di attività del medico competente, così come desunto dal capo IV d.leg. 626/94, chiarisce che il

controllo di tale sanitario, sulla salute dei lavoratori e sulla loro

idoneità alle singole mansioni, ha come primario referente la lo

ro esposizione ad agenti patogeni. Pertanto il tenore letterale della norma e la sua ratio porta a

concludere che la cartella assolva la sua piena funzione a tutela

della salute del lavoratore se riporta, soprattutto in vista della

sua possibile mobilità, i rischi specifici ambientali al quale lo stesso è sottoposto.

Il contenuto informativo in esame non può essere ritenuto

esuberante per l'esistenza della relazione sulla valutazione dei

rischi, effettuata dal datore di lavoro ai sensi dell'art. 4, 2°

comma, d.leg., custodita presso l'azienda o l'unità produttiva. A

sostegno di tale conclusione, basta rilevare che la cartella può

sempre essere richiesta dal dipendente e gli viene consegnata al

momento della risoluzione del rapporto lavorativo (art. 4, 8°

comma, d.leg. 626/94); essa non può essere incompleta in

quanto l'interessato deve entrare in possesso di una documenta

zione sanitaria esaustiva che attesti i rischi lavorativi ai quali è

stato esposto al fine di controllarne le possibili negative ricadute

anche sul lungo termine.

La preoccupazione del ricorrente (secondo il quale la possi bile indebita rivelazione del contenuto della cartella potrebbe collidere con l'obbligo del segreto industriale) non incide sugli

obblighi del medico e sulla struttura della fattispecie.

Il Foro Italiano — 2004.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 11

giugno 2003; Pres. Toriello, Est. Piccialli, P.M. Izzo

(conci, conf.); ric. Cordaro e altri. Annulla senza rinvio App. Palermo 22 ottobre 2001.

Responsabilità civile — Amministrazione pubblica — Di pendenti — Riferibilità della condotta alla pubblica am

ministrazione — Condizioni — Fattispecie (Cost., art. 28; cod. pen., art. 185, 609 bis, 609 ter).

La pubblica amministrazione è direttamente responsabile, in

base al criterio della c.d. occasionalità necessaria, degli ille

citi penali commessi dai propri dipendenti nell'ambito delle

loro mansioni istituzionali, dovendosi escludere la suddetta responsabilità civile nei soli casi — di mera occasionalità ac

cidentale — in cui gli atti compiuti e debordanti dai compiti istituzionali assumano il carattere dell'assoluta imprevedibi lità ed eterogeneità rispetto a questi ultimi (in applicazione di

tale principio, la corte ha ritenuto l'assessorato regionale ai

beni culturali, ambientali ed alla pubblica istruzione civil

mente responsabile, in solido con l'imputata, per gli atti di

violenza sessuale commessi da un'insegnante di scuola ma

terna, in danno dei minori a lei affidati, nell'ambito delle sue

mansioni istituzionali di educazione dei bambini alla cura

dell'igiene intima). (1)

(1) I. - La vicenda pervenuta al vaglio della Cassazione contribuisce

ad ampliare la casistica degli abusi sessuali in ambito scolastico (ex

plurimis, Cass. 31 gennaio 2002, Marcheschi, Foro it., Rep. 2002, voce

Violenza sessuale, n. 36; Trib. Fermo 7 giugno 1999, Arch, nuova proc.

pen., 1999, 627, e Foro it., Rep. 2000, voce cit., n. 51; Trib. Rieti 16

maggio 1985, id., 1988, II, 243). La sentenza si segnala all'attenzione, ancor più che per la gravità dei

fatti che hanno dato luogo al procedimento penale, per la rilevanza

della tematica concernente i presupposti della responsabilità civile della

pubblica amministrazione in conseguenza di un reato commesso da un

proprio dipendente. II. - La questione viene risolta per lo più univocamente dalla giuris

prudenza di legittimità, la quale è costante nell'affermare la responsa bilità civile dello Stato o di altro ente pubblico, per l'illecito posto in

essere dal funzionario o dipendente, qualora si accerti l'esistenza di un

nesso di «occasionalità necessaria» tra il comportamento illecito del

l'agente e le mansioni pubblicistiche cui è adibito (Cass. 15 dicembre

2000, S., Rass. avv. Stato, 2000, I, 344, con nota di Pluchino, e Foro

it., Rep. 2001, voce Responsabilità civile, n. 278; 12 agosto 2000, n.

10803, id., 2001,1, 3289, con nota di Giracca; 20 giugno 2000, Occhi

pinti, Giust. pen., 2001, II, 629, e Foro it., Rep. 2001, voce cit., n. 276; 14 maggio 1997, n. 4232, Resp. civ., 1998, 98, e Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 224; in dottrina, cfr. Greco, La responsabilità civile del

l'amministrazione e dei suoi agenti, in AA.VV., Diritto amministrati

vo, Bologna, 2003, 1741 ss.; Passerone, Il requisito della riferibilità all'amministrazione del comportamento illecito del pubblico dipen dente nell'accertamento della responsabilità civile della p.a., in Resp. civ., 1996, 620; Clarich, La responsabilità civile della pubblica ammi

nistrazione nel diritto italiano, in Riv. trim. dir. pubbl., 1989, 1085 ss.). Più precisamente, il suddetto rapporto di occasionalità necessaria,

che rende ascrivibile il fatto dannoso del dipendente alla responsabilità della pubblica amministrazione, va ravvisato tutte le volte in cui

l'espletamento delle mansioni inerenti al servizio prestato abbia costi

tuito condicio sine qua non dell'illecito produttivo del danno, per aver

ne agevolato in modo decisivo la realizzazione (Cass. 20 giugno 2000,

Occhipinti, cit.; 9 dicembre 1998, Savi, Riv. pen., 1999, 357, e Foro it..

Rep. 1999, voce Danni penali, n. 3, ove si afferma che la distinzione

concettualmente operabile tra due diversi rapporti — quello tra il com

portamento del dipendente e l'evento dannoso, legati da nesso di cau

salità; e quello tra il comportamento del dipendente e l'amministrazio

ne, legati da nesso di «riferibilità» in ragione dei fini istituzionali —

viene sostanzialmente compendiata nell'unico rapporto «tra mansioni

espletate e danno prodotto» in termini di «occasionalità necessaria»). L'orientamento in questione ha trovato accoglimento anche nella

sentenza su riprodotta, con la quale la Cassazione ha condannato l'as

sessorato regionale alla pubblica istruzione al risarcimento del danno in

solido con l'imputata. Nella specie, il collegamento di occasionalità necessaria, tra l'illecito

penale posto in essere dalla maestra e le incombenze affidategli, viene

ravvisato dalla corte nel fatto che il reato di abuso sessuale è stato non

soltanto commesso nel contesto di funzioni pubbliche, bensì agevolato «causalmente» dallo svolgimento di quelle mansioni di educazione de

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