Sezione III penale; sentenza 2 marzo 1962; Pres. Civiletti P., Est. Muscolo, P. M. Peluso (concl.conf.); ric. P. m. c. TorregrossaAuthor(s): G. P.Source: Il Foro Italiano, Vol. 86, No. 1 (1963), pp. 21/22-23/24Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23153273 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
La Corte, eco. —• In fatto e in diritto. — Con quattro suc
cessivi verbali la Questura di Milano denunciava la peri
patetica C. C. per essere stata sorpresa lungo il viale Maino, nelle notti del 25 marzo, del 7 e 22 aprile, nonché ancora
del 17 maggio 1959 mentre « con andatura dinoccolata
invitava al libertinaggio, in modo scandaloso, i passanti ed alcuni individui a bordo di auto private ». Tale è l'espres sione che si legge in tutti e quattro i verbali.
Il Pretore di Milano procedeva a carico della C. per ade
scamento continuato ai sensi degli art. 5 legge 20 febbraio
1958 n. 75 e 81 cod. pen., avvenuto in Milano il 27 marzo
1959, ma al pubblico dibattimento si precisava che i fatti
erano stati commessi dal marzo al maggio. Il Pretore, con sentenza 27 ottobre 1959, redatta su
modulo a stampa, affermava la responsabilità dell'imputata « per essere risultati i fatti provati dai verbali » malgrado al
pubblico dibattimento l'imputata si fosse protestata inno
cente, e malgrado non fossero stati sentiti i verbalizzanti
e non fosse stata disposta la lettura dei verbali.
Su gravame della C. il Tribunale di Milano, con sen
tenza 27 aprile 1960 l'assolveva con formula piena rile
vando che non bastava per l'affermazione della respon sabilità l'indicazione contenuta nei verbali, in mancanza
di fatti specifici da cui desumere in modo non equivoco l'adescamento scandaloso e motivo molesto.
Ricorre il Procuratore generale presso la Corte d'ap
pello lamentando la violazione dell'art. 475, nn. 2 e 3, cod. proc. pen. per la incompleta contestazione e per non
avere i Giudici di merito accertato ai sensi dell'art. 520
cod. proc. pen., attraverso la escussione dei verbalizzanti, se le espresse parole della legge, riferite da costoro, aves
sero corrispondenza nei fatti concretamente avvenuti.
Il ricorso è privo di fondamento.
Premessa, invero, la insussistenza della denunciata
incompletezza della contestazione, in quanto al pubblico dibattimento di primo grado rimaneva precisato che i
fatti erano stati commessi dal marzo al maggio 1959, la
sentenza impugnata non merita censura.
Di fronte al gravame interposto dall'imputata, con
dannata in base a sentenza redatta su modulo a stampa, con motivazione più apparente che reale, leggendosi sem
plicemente che i fatti erano risultati provati dai verbali
(anch'essi redatti a stampa su conforme prediposta ter
minologia « sorpresa a passeggiare con andatura dinoc
colata ad invitare al libertinaggio in modo scandaloso i
passanti ed alcuni individui a bordo di auto private ») il Tribunale ebbe ad assolvere con formula piena, in quanto il procedere con andatura dinoccolata non può costituire, in mancanza di altri elementi, adescamento al libertinaggio, ben potendo rappresentare una personale caratteristica
dell'incedere, e, d'altra parte, nè dai verbali nè dagli atti
assunti risultavano fatti specifici da cui dedurre che quel dinoccolamento fosse molesto e scandaloso, tanto più che
l'imputata, incensurata, aveva costantemente protestato la propria innocenza.
Per questi motivi, ecc.
Il redattore dei moduli a stampa dei verbali della questura ha scambiato dinoccolato per ancheggiante o provocante o giù di lì, e il Pretore, senza prendersi neppure la cura di consultare un qualsiasi dizionario della lingua italiana, ha apposto il sug gello della sentenza a stampa sullo svarione grammaticale.
Duole davvero che la Suprema corte, cui adsunt ben più gravi impugnazioni, debba occuparsi di sì squallide vicende.
V. A.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione III penale ; sentenza 2 marzo 1962 ; Pres. Civi letti P., Est. Muscolo, P. M. Peluso (conci, conf.) ric. P. m. c. Torregrossa.
(Dichiara inammissibile ricorso avverso App. Caltanisetta 29 gennaio 1960)
Previdenza sociale — Assegni familiari — Omessa
corresponsione ai lavoratori — Conc)ua)|lio otte nuto dall'I.n.p.s. per false attestazioni — Pecu lato del datore di lavoro (Cod. pen., art. 314, 315, 640 ; d. pres. 30 maggio 1955 n. 797, t. u. delle norme concernenti gli assegni familiari).
Il datore di lavoro, che, registrando falsamente nei rendiconti mensili di aver corrisposto ai lavoratori dipendenti gli assegni familiari, ottiene dalVI.n.p.s. il conguaglio della somma corrispondente e se ne appropria, commette il delitto di peculato. (1)
La Corte, ecc. — (Omissis). Secondo il sistema attual
mente in vigore, la corresponsione degli assegni familiari ai lavoratori, fatta eccezione per il settore agricolo, è disci
plinata dalla legge (decreto pres. 30 maggio 1955 n. 797) in modo che si svolgano simultaneamente le due operazioni di riscossione dei contributi e di erogazione degli assegni agli aventi diritto. Tale duplice operazione si compie a mezzo dei datori di lavoro, i quali, agendo come delegati del
l'I.n.p.s., mensilmente faranno le distinte delle somme da loro dovute per il primo titolo e di quelle pagate per il
secondo, con l'effetto che, secondo che abbiano versato somme superiori od inferiori ai contributi dovuti, saranno ammessi al conguaglio a loro favore o a favore dell'Ente.
Quest'ultimo può eventualmente disporre anticipazioni in relazione alla previdibile eccedenza media delle erogazioni sull'ammontare dei contributi dovuti e al periodo di tempo occorrente per le operazioni di rimborso.
Da tale sistema derivano due indeclinabili conseguenze La prima è costituita dal fatto che, come è stato chia
(1) Con questa sentenza la Cassazione affronta ancora una volta il tormentato problema della qualificazione, in termini penalistici, del comportamento del datore di lavoro, che, regi strando falsamente nei prescritti moduli d'aver corrisposto ai lavoratori gli assegni familiari, ottiene dall'Istituto previdenziale in sede di conguaglio la somma corrispondente e se ne appro pria. La giurisprudenza e la dottrina sono divise : da una parte, sostenendosi che il datore di lavoro, nel complesso sistema previsto per la corresponsione ai lavoratori degli assegni, opera come pubblico ufficiale, si ritiene che costui, tenendo il com
portamento sopra descritto, si appropria di somme ancora
appartenenti all'ente pubblico e commette pertanto peculato ; dall'altra parte, si ritiene configurabile il delitto di malversazione, posto che il datore di lavoro, incaricato di un pubblico servizio, si appropria di somma giuridicamente appartenente a] lavoratore. Altri, infine, ritiene nel comportamento indicato configurab le il delitto di truffa aggravata perchè commessa in danno dell'ente
pubblico. Pertanto la soluzione del quesito, di rilevante interesse pratico sotto il profilo della misura della pena, è conseguenziale alla spiegazione del meccanismo predisposto dalla legge e alla
qualificazione della posizione'del datore di lavoro in detto" mec canismo.
Per la non configurabilità del reato di appropriazione indebita, v. Cass. 13 dicembre 1960, Biondi, Foro it., Pep. 1961, voce Previdenza soc., n. 673. Per la configurabilità della mal versazione, v. Cass. 9 giugno 1960, Perlangeli, ibid., voce Malver sazione, n. 8 ; 26 febbraio 1959, Borri, id., Kep. 1959, voce cit., n. 10.
Per la configurabilità del delitto di truffa aggravata, v. invece Trib. Enna 3 marzo 1959, Biondi, id., 1959, II, 236, con
ampia nota di richiami. In dottrina, v., da ultimo, Aixieri, Reati del datore di lavoro
in materia di ass. jam., in Giusi, pen., 1960, II, 575 ; Ciampi, Sui reati in materia di ass. jam., id., 1961, II, 76 ; Luciani, La tutela penale degli ass. jam., in Riv. dir. lav., 1961, I, 187 in particolare nh 5-8 ; r. P. Grosso, Dichiarazioni non veritiere su moduli G. 8. 2 : jalsità in documento pubblico o jalsità in scrit tura privata ?, i- Riv. it. dir. proc. pen., 1961, 818. Per altri riferi menti v C arullo, Gli ass. jam., in Trattato di dir. lav. ili Borsi e Pergolesi, 1959, IV, 1, pag. 216 in nota.
Nella sentenza qui pubblicata la Corte richiama la prece dente pronuncia 17 aprile 1961, Vaccari, Foro it., Rep. 1961, voce Falsità in atti, n. 39, secondo la quale il datore di lavoro, ai fini dell'attività certificatrice impostagli nel sistema previdenziale, deve considerarsi pubblico ufficiale e quindi, in ipotesi di falsità, deve farsi riferimento all'art. 477 cod. penale.
G. P.
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PARTE SECONDA 24
rito con la sentenza 17 aprile 1961, rio. Vaccari (Foro it.,
Rep. 1961, voce Falsità in atti, n. 39), di questa stessa
Sezione, al datore di lavoro, per questa sua attività diret
tamente connessa con la finalità primaria perseguita dal
l'Ente pubblico nell'interesse dello Stato, e che è perciò
pubblico, compete, per quanto riguarda i rapporti tenuti
con l'I.n.p.s. e in quanto delegato dall'Ente stesso per il
conseguimento del fine sociale di cui questo ultimo è in
vestito nei confronti dei lavoratori, la qualità di pubblico ufficiale. Egli, infatti, non solo contribuisce con la propria
prestazione a rendere attuali le provvidenze stabilite in
favore dei beneficiari, ma nello svolgimento di tutte le
formalità prescritte, con la compilazione dei modelli legali e la relativa funzione certificatrice, dà vita a quel parti colare rapporto organico che concorre a formare la volontà
dell'Ente diventando un elemento indispensabile per il rag
giungimento dei suoi fini istituzionali. E, pertanto, gli ille
citi commessi nello svolgimento di tale attività non pos sono che essere considerati in relazione alla suddetta qua lità del soggetto.
La seconda conseguenza consiste nel fatto che, se il
datore di lavoro, data tale sua qualità, non corrisponde
gli assegni familiari ai suoi dipendenti e fa figurare il
contrario nei rendiconti mensili, consuma lo stesso illecito
che commetterebbe convertendo in proprio profitto il
denaro eventualmente versatogli dall'Istituto a titolo di
anticipazione per il pagamento degli assegni ai lavoratori.
In entrambi i casi, infatti, egli si appropria di denaro del
l'I.n.p.s. Nel secondo caso, invero, non è discutibile l'ap
partenenza all'Istituto del denaro da lui ricevuto con un
incarico ben preciso, e nel primo caso non può mettersi
in dubbio che egli, prima ancora di chiedere il conguaglio, si era appropriato dei contributi che avrebbe dovuto ver
sare all'I.n.p.s. e che questi gli aveva lasciato in possesso con l'incarico di devolverli a titolo di assegni familiari
per i suoi dipendenti. E in entrambi i casi l'unico reato
ipotizzabile è il peculato, non potendosi parlare nè di truffa, nè di malversazione. La truffa sarebbe configurabile sol
tanto ove il rapporto di lavoro fosse simulato e il soggetto attivo avesse tratto in inganno l'Ente previdenziale, facendo
figurare persone che non hanno prestato la loro opera alle dipendenze dell'impresa o l'hanno prestata in misura
inferiore a quella denunziata e ricavando così un illecito
profitto, non quando la condotta del datore di lavoro sia
diretta a completare l'effetto della sua attività illecita già instauratasi con l'appropriazione delle somme da lui ef
fettivamente dovute a titolo di contributi, in conseguenza della reale esistenza di un rapporto di lavoro dal quale
gli deriva l'incarico di pagare gli assegni familiari.
Il titolo di malversazione non sarebbe applicabile perchè il compito svolto dal datore di lavoro, per quanto concerne
le operazioni di versamento delle somme dovute a titolo
di assegni familiari, si esaurisce non prima che le somme
stesse vengano concretamente da lui consegnate al lavora
tore. Soltanto in quel momento costui ne acquista la pro
prietà in concomitanza con la realizzazione del fine perse
guito dalla legge, mentre prima di esso non può vantare
se non un semplice diritto di credito. Quelle somme, invero,
appartengono ancora all'Ente pubblico, che ne dispone a
mezzo del datore di lavoro, e non al privato lavoratore, che ne consegue la proprietà col versamento in sue mani.
Se, pertanto, il datore di lavoro se ne appropria, com
mette sottrazione ai danni dell'Ente e non ai danni del
suo dipendente. Alla stregua di tali principi esattamente il ricorrente
si duole della qualificazione giuridica data all'illecito adde bitato al Torregrossa e, di conseguenza, la sentenza im
pugnata deve essere annullata con rinvio.
Per questi motivi, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I penale ; sentenza 26 febbraio 1962 ; Pres. Maca
luso P., Est. Peteone, P. M. Peluso (conol. conf.) ; rio. Rignanese (Aw. Regina, Teekacini).
(Oonferma Assise app. Bari 24 giugno 1959)
Circostanze di reatu — Motivi di particolare valore
morale o sociale — Insussistenza — Fattispecie
(Cod. pen., art. 62, n. 1).
Non e spinta da motivi di particolare valore morale o soeiale, ma agisee per egoistico spirito di vendetta la donna elie, per vendicarsi delle mancate nozze, sopprime il fidanzato della
nipote affidata alla sua sorveglianza, con il quale ha libe
ramente intessuto una relazione carnale, e, in tal modo, lo sottrae alle nozze imminenti con la fidanzata in attesa
di diventare madre. (1)
La Corte, eoc. —- Come si rileva dalla impugnata sen
tenza, la Rignanese, pregata da sua sorella di accompa
gnare la nipote D'Augelo Maria neile passeggiate quoti diane ohe questa soleva fare col suo fidanzato Nasuto
Matteo, fini con Pinvaghirsi di costui ai punto da contrarre
col giovane una relazione intima. E poiche il Nasuto aveva
deciso di sposare la D'Angelo, clie aveva peraltro sedotto e reso incinta, la imputata, dopo avere piu volte minac
ciato di morte il giovane se non l'avesse sposata, pose in atto tale sua desisione affrontandolo il giorno 24 luglio 1956 lungo la via S. Francesco di Manfredonia ed esplo
dendogli oontro alcuni colpi di pistola ehe lo trassero a morte.
(1) Ofr., nel senso che «i motivi debbono ispirarsi a senti menti etici ed altruistici », Oass. 22 gennaio 1960, Somo, Foro it., Rep. 1961, voce Circostanze di reato, n. 64 ; nel senso che « deb bono trascendere dall'interesse anche morale dell'agente», Oass. 10 febbraio 1960, Pallini, ibid., n. 66 ; nel senso che «i motivi di vendetta non possono mai ritenersi di particolare valore morale o sociale », Oass. 8 giugno 1960, Mattino, ibid., n. 70 ; nel senso che «la gelosia esclude i motivi morali e sociali», Oass. 8 ottobre 1959, Gala, id., Rep. 1960, voce cit., n. 67 ; nel senso che «i motivi superiori debbono trovare suffragio nella comune coscienza di un determinato periodo storico », Cass. 21 gennaio 1960, Seno, ibid., n. 71 ; nel senso che «il movente deve corrispondere ad un sentimento di spiccata nobilta ed elevatezza », Oass. 14 giugno 1957, Sanna, id., Rep. 1958, voce cit., n. 46 ; nel senso che «il movente sia approvato dalla coscienza etica del popolo », Oass. 24 aprile 1958, TJrbano, ibid., n. 54 ; nel senso che «la tutela dell'onore sessuale attiene non solo all'interesse della donna violata, ma anche a quello dei suoi stretti congiunti », Cass. 13 marzo 1952, D'Elia, id., Rep. 1952, voce cit., n. 97 ; inoltre : Cass. 22 novembre 1954, Camisasca, id., Rep. 1956, voce cit., n. 115 ; 9 marzo 1956, Delia Rocca, ibid., n. 116 ; 14 marzo 1956, Panfilo, ibid., n. 118 ; 6 luglio 1955, Angiletta, ibid., n. 120 ; 20 febbraio 1956, Gregu, ibid., n. 123 ; Assise app. Oatanzaro 11 giugno 1954, Scaldaferri, ibid., n. 114 ; Cass. 13 gennaio 1953, Meruvelli, id., 1953, II, 57 ; 26 aprile 1949, Di Spirito, id., Rep. 1949, voce cit., n. 58 ; 10 gennaio 1947, Loiotile, id., Rep. 1948, voce cit., n. 46 ; 28 aprile 1937, Catarinella, id., Rep. 1937, voce cit., n. 22 ; 14 luglio 1934, Piorini, id., Rep. 1935, voce cit., n. 41.
Per la dottrina, cons. Pastore, Note critiche sulla giurispru denza in tema di art. 62, n. 1, cod. pen., in Temi nap., 1961, II, 125 ; Oaracciolt, Motivi di particolare valore morale o sociale erroneamente supposti, in Riv. it. dir. proc. pen., 1960, 1202 ; Olivieri, Osservazioni sui motivi di particolare valore morale o sociale, in Iustitia, 1959, 109 ; Brajda, Gelosia ed attenuante del particolare valore morale, in Foro nap., 1957, II, 53 ; Gua dagno, Sul fondamento dell'attenuante dei motivi di particolare valore morale o sociale, in Foro pen., 1955, 9 ; Bttcolo, I motivi di particolare valore morale o sociale, in Giust. pen., 1954, II, 849 ; Spataro, Sull'attenuante dei particolari motivi di valore morale o sociale, in Giur. sic., 1951, III, 57 ; Antolisei, Manuale di diritto penale, parte generale, 1952, pagg. 236, 237 e Pannaik, Manuale, pag. 382 e segg.
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