sezione III penale; sentenza 21 gennaio 1992; Pres. Accinni, Est. Postiglione, P.M. Iuraci (concl.conf.); ric. Valsecchi. Conferma App. Trieste 7 febbraio 1991Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 11 (NOVEMBRE 1993), pp. 647/648-651/652Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188264 .
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PARTE SECONDA
spazio-temporale, essendo sufficiente che l'imputato abbia ac
quisito, sia pure per breve tempo, la disponibilità della cosa
indebitamente ottenuta.
Quindi, anche se la consegna del danaro si svolge sotto la
vigilanza della polizia e l'estorsore resti nel possesso del danaro
per pochi istanti, non si verte in tema di tentativo perché il
delitto deve ritenersi consumato, in quanto tale reato si realizza
nel momento e nel luogo in cui si verificano l'ingiusto profitto e il danno patrimoniale.
Pertanto, nel caso di specie, bene hanno fatto i giudici di
merito a ritenere avvenuta la consumazione del reato de quo, essendo riusciti i due malviventi ad impossessarsi del denaro
(anche se in cifra notevolmente minore a quella richiesta), sia
pure per alcuni attimi, nonostante l'intervento dei militi, con
cordato con la vittima. Conclusione, questa, vieppiù giustifica
ta nell'ipotesi in esame, tenuto conto delle modalità specifiche di svolgimento dell'accaduto, descritte in narrativa.
Quanto al secondo motivo di gravame giova premettere che, in tema di estorsione, l'aggravante delle più persone riunite nel
commettere la violenza e/o minaccia — elementi costitutivi di
tale delitto — si giustifica per la maggiore idoneità dell'azione
a produrre più gravi effetti fisici e/o psicologici in danno del
soggetto passivo, di cui tendono ad elidere o diminuire la capa cità di resistere. E secondo l'orientamento di gran lunga mag
gioritario nella giurisprudenza di questa Suprema corte (v., da
ultimo, sent. 3 dicembre 1990, Silvestro e altro, id., Rep. 1992,
voce cit., n. 8), l'aggravante de qua ricorre tutte le volte in
cui la violenza o minaccia sia percepita dal soggetto passivo come proveniente da più persone, anche se una sola di queste abbia fatto ricorso alla violenza o minaccia.
Per quanto poi riguarda la minaccia telefonica — a parte il caso in cui le minacce siano reiterate e provenienti da persone diverse — l'aggravante è da ritenersi sussistente ogniqualvolta il soggetto passivo abbia acquisito la sensazione che essa pro
venga non solo dal singolo che la profferisce, ma che costui
manifesti le comuni, perverse, intenzioni di più persone, inten
zioni di cui si faccia portavoce.
Orbene, nella specie — a parte la circostanza che i Lodico
hanno riferito di aver telefonicamente parlato con due persone
diverse, apparentemente di età diversa, entrambe le quali aveva
no profferito minacce, come puntualizzato nella gravata senten
za —, è decisiva la considerazione che le richieste estorsive «erano
apparse alle parti lese riunite da un unico proposito criminoso
a loro danno e da una unica conduzione della vicenda estorsiva
medesima».
Ed è quanto basta perché venga ritenuta — a giusta ragione — ricorrente, nel caso di cui trattasi, l'aggravante in questione.
Anche per quanto riguarda la denegata prevalenza della con
cessa attenuante della lievità del danno sulla contestata aggra vante e la recidiva, la decisione impugnata appare sorretta da
adeguata e logica motivazione, con riferimento ai precedenti pe nali dell'imputato, anche specifici, alle gravi modalità del fatto, al particolare disvalore del delitto commesso, ed alla pericolosi tà sociale del prevenuto scaturente anche dallo scarso livello
morale dimostrato con il coinvolgimento nell'azione delittuosa
di un giovanissimo congiunto. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato.
Il Foro Italiano — 1993.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 21 gen naio 1992; Pres. Accinni, Est. Postiglione, P.M. Iuraci
(conci, conf.); ric. Valsecchi. Conferma App. Trieste 7 feb braio 1991.
Sanità pubblica — Rifiuti — Attività di trasporto a carattere
interregionale — Autorizzazione distinta e autonoma di ogni
regione — Necessità (D.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, attua
zione delle direttive (Cee) n. 75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/403 relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policloro trifenili e n. 78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi, art. 1, 6, 25).
Sanità pubblica — Rifiuti — Attività di trasporto — Iscrizione all'albo nazionale delle imprese esercenti servizi di smaltimen
to dei rifiuti — Effetti — Rinvio alla data di effettiva opera tività dell'albo (D.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, art. 25; d.l.
31 agosto 1987 n. 361, disposizioni urgenti in materia di smal
timento dei rifiuti, art. 10; 1. 29 ottobre 1987 n. 441, conver
sione in legge, con modificazioni, del d.l. 31 agosto 1987 n.
361).
Per il trasporto da una regione all'altra di rifiuti è necessaria
un'autorizzazione autonoma e distinta di ogni regione, sicché
il reato formale di carenza di autorizzazione in una regione si realizza a prescindere dal fatto che il soggetto sia in regola
rispetto ad altre regioni. (1)
Per le imprese esercenti attività di trasporto di rifiuti, l'art. 10
d.l. 31 agosto 1987 n. 361, convertito nella l. 29 ottobre 1987
n. 441, che ha istituito l'albo nazionale delle imprese esercen
ti servizi di smaltimento dei rifiuti, prevede che l'iscrizione
all'albo sostituisce l'autorizzazione regionale di cui all'art. 6
d.p.r. 915/82: tale regime giuridico è però condizionato alla
operatività effettiva dell'albo da fissarsi con decreto del mini
stro dell'ambiente che ancora non è stato emanato. (2)
(1) La sentenza conferma l'indirizzo espresso da Cass. 12 gennaio
1989, Paulicelli, Foro it., 1989, II, 466; 16 aprile 1991, Guarino, id., Rep. 1992, voce Sanità pubblica, n. 357; 2 luglio 1991, Crepuscoli, ibid., n. 363: in particolare, si ribadisce la necessità che il trasportatore di
rifiuti si munisca di tante autorizzazioni per quante sono le regioni da
attraversare.
In argomento, una conferma di questo orientamento si è avuta anche
con Corte giust. 28 marzo 1990, causa 359/88, id., 1990, IV, 293: «L'at
tribuzione della competenza al rilascio delle autorizzazioni a trasportare rifiuti ad autorità non aventi competenza a livello nazionale è compati bile con l'art. 5 della direttiva del Consiglio 75/442». Ciò significa,
per l'appunto, che legittimamente il legislatore italiano ha previsto sin
gole autorizzazioni per il trasporto interregionale di rifiuti. In senso
contrario, v. Pret. Genova 7 luglio 1988, id., 1989, II, 263, con nota di richiami, e, da ultimo, Pret. Savona-Varazze 30 novembre 1992, Nuovo
dir., 1993, 599, secondo cui, in caso di trasporto di rifiuti attraverso
più regioni, non si rinviene un principio generale secondo cui occorra una sola autorizzazione ovvero occorrano più autorizzazioni rilasciate
da tutte le regioni interessate dal trasporto. In dottrina, aderisce senza tentennamenti all'opinione della Cassazio
ne, Amendola, Smaltimento dei rifiuti e legge penale, Napoli, 1985,
71, mentre dissentono F. e P. Giampietro, Lo smaltimento dei rifiuti. Commento al d.p.r. n. 915/82, Rimini, 218, i quali ritengono che «qua lora si tratti di attività di raccolta e trasporto regionale o interregionale, la domanda va presentata alla regione ove ha inizio la raccolta e il
trasporto e a tutte quelle, nel cui territorio il soggetto intende svolgere entrambe le attività. Pertanto, l'interessato non è tenuto ad inviare la
domanda alle regioni che verranno soltanto attraversate dal trasporta tore né a quelle in cui è sito l'impianto al quale intende conferire i
rifiuti trasportati». (2) Nello stesso senso della sentenza in epigrafe, Cass. 2 luglio 1991,
Crepuscoli, cit., si era già espressa sostenendo che «la semplificazione del regime autorizzatorio intervenuta con l'art. 10 1. 29 ottobre 1987
n. 441, secondo cui l'iscrizione all'albo nazionale delle imprese di tra
sporto dei rifiuti «sostituisce l'autorizzazione», è subordinata all'effet
tiva operatività dell'albo, fissata con decreto del ministro dell'ambiente
e alle relative prescrizioni e, comunque, ai fini penali non comporta il venir meno del regime autorizzatorio e delle relative sanzioni per le
imprese non iscritte all'albo nazionale».
In senso contrario, v. Pret. Firenze 24 marzo 1988, Foro it., 1989,
II, 263: «A seguito dell'entrata in vigore della 1. n. 441 del 1987, il
cui art. 10 prevede l'istituzione di un albo nazionale delle imprese che
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GIURISPRUDENZA PENALE
Svolgimento del processo. — La Corte d'appello di Trieste,
con sentenza in data 7 febbraio 1991, in parziale riforma di
quella del Pretore di Trieste del 6 febbraio 1990, condannava
Valsecchi Giovanni Battista e Rocca Antonio rispettivamente alla pena di mesi sei di arresto e lire tre milioni di ammenda
il primo ed alla pena di mesi quattro di arresto e lire 1.500.000
di ammenda il secondo, per violazione dell'art. 26 d.p.r. 915/82.
Riteneva la corte che gli imputati avevano effettuato fasi di
smaltimento di rifiuti tossici e nocivi senza autorizzazione re
gionale.
Osservava la corte che la natura tossica e nociva dei rifiuti
poteva essere ricavata con certezza dagli atti ed in particolare dai documenti accompagnatori dei trasporti: trattavasi, infatti,
di resine polimerizzate e semipolimerizzate, sottoprodotto del
esercitano smaltimento dei rifiuti, non è più previsto come reato il fatto
di raccogliere e trasportare rifiuti tossici e nocivi senza essere muniti dell'autorizzazione prevista dall'art. 6 d.p.r. 915/82 tenuto conto, a questo
riguardo, che il citato art. 10 prevede espressamente per le imprese di
trasporto che, una volta divenuto operativo l'albo su ricordato, l'iscri
zione in esso sostituisca l'autorizzazione regionale e tenuto conto che
non è stata introdotta alcuna sanzione per l'inosservanza di detto
obbligo». La decisione riportata non pare aver approfondito il valore dell'iscri
zione nell'albo previsto dal più volte menzionato art. 10 ai fini dell'e
ventuale esclusione del reato di cui all'art. 25 d.p.r. 915/82.
Sul tema, neppure la dottrina è pervenuta ad appaganti riflessioni:
infatti, Amendola, Smaltimento di rifiuti e legge penale, Napoli, 1985,
dopo aver osservato che lascia perplessi il disposto di cui al 2° comma dell'art. 10, afferma che in tal modo non vi saranno più prescrizioni
penalmente vincolanti per coloro che eserciteranno attività di trasporto dei rifiuti in quanto costoro, non avendo autorizzazione, non saranno
tenuti a rispettarne le prescrizioni. Per Correrà, Smaltimento dei rifiuti solidi urbani e dei rifiuti tossici
e nocivi, Milano, 1992, 80, «si determina in pratica un vero e proprio meccanismo abrogativo della disposizione di cui al suddetto art. 6 d.p.r. 915/82 per la parte che riguarda l'obbligo di autorizzazione regionale
per le attività di trasporto dei rifiuti».
In argomento, da ultimo, Paone, I reati in materia di inquinamento,
Torino, 1993, in corso di pubblicazione, osserva che «...l'orientamento
del Supremo collegio non ci persuade del tutto. Infatti, se il legislatore ha stabilito che l'iscrizione sostituisce l'autorizzazione, non è possibile sostenere fondatamente che il regime autorizzatorio previsto dall'art.
6, lett. d), rimanga» vigente ed operante «anche dopo l'entrata in vigo re della 1. 441/87: non vi è dubbio, infatti, che la sostituzione di un
provvedimento con un altro comporta che il secondo è espunto dall'or
dinamento. D'altro canto, se non fosse questo il significato della dispo sizione, non si riuscirebbe a capire perché il legislatore avrebbe dovuto
differenziare la disciplina delle imprese di trasporto rispetto alle altre
imprese che effettuano fasi dello smaltimento dei rifiuti diverse dal tra
sporto e per le quali è inequivocabile che l'iscrizione nell'albo si aggiun
ge (anzi, precede addirittura) all'autorizzazione regionale. Se la nostra
opinione è corretta, il corollario è che, in mancanza di una sanzione
apposita per la violazione dell'obbligo di iscrizione nell'albo e nell'im
possibilità di ricorrere alla sanzione contenuta nell'art. 25 che si riferi
sce all'obbligo di autorizzazione (che è un provvedimento tutt'affatto
diverso), non è punibile chi eserciti quell'attività senza l'iscrizione nel
l'albo... la previsione dell'iscrizione in un albo nazionale delle imprese esercenti attività di trasporto di rifiuti mira a superare l'impasse con
nessa alle situazioni in cui l'attività di smaltimento si esplica nel territo
rio di diverse regioni con la conseguente necessità, secondo l'orienta mento giurisprudenziale più rigoroso, di munirsi di tante autorizzazioni
per quante sono le regioni attraversate. È chiaro, allora, che la modifi
ca intervenuta nel 1987 non avrebbe pratico significato se si affermasse
ancora vigente e operante il regime autorizzatorio basato sul decreto
915/82. La risposta che abbiamo suggerito al problema non elimina
comunque un netto giudizio critico sul regime cosi congegnato che rite
niamo del tutto irrazionale, soprattutto se si tiene conto che non si
scorge alcuna differenza sostanziale in termini di pericolosità tra le ope razioni svolte dalle imprese di trasporto rispetto a quelle svolte dalle
altre imprese di smaltimento dei rifiuti».
Si segnala, infine, che Corte cost. 25 maggio 1992, n. 220, Foro it.,
Rep. 1992, voce Sanità pubblica, nn. 344-346, ha respinto il ricorso
per conflitto di attribuzioni sollevato dalla provincia di Bolzano avver
so il d.m. 21 giugno 1991 n. 324, regolamento delle modalità organizza tive e di funzionamento dell'albo nazionale delle imprese esercenti ser
vizi di smaltimento dei rifiuti nelle varie fasi, nonché dei requisiti, dei
termini, delle modalità e dei diritti di iscrizione.
Il Foro Italiano — 1993.
l'industria delle vernici, tossiche se ingerite e tossiche per via
inalatoria.
Avverso questa sentenza il Valsecchi ha proposto ricorso per
cassazione, deducendo preliminarmente la legittimità costituzio
nale dell'art. 26 d.p.r. 915/82 nella parte in cui non distingue rebbe la pena tra i diversi comportamenti di soggetti che effet
tuino il trasporto di rifiuti tossici e nocivi senza alcuna autoriz
zazione o con l'autorizzazione di almeno qualche regione. Lamenta inoltre che non sia stata disposta una perizia per
accertare la natura tossica e nociva dei rifiuti.
Osserva che con l'entrata in vigore della 1. 31 agosto 1987
n. 361, art. 10, 2° comma, la necessità dell'autorizzazione sa
rebbe stata superata dalla iscrizione delle imprese esercenti il
trasporto in un apposito albo nazionale.
Deduce, infine, che la difficile interpretazione della normati
va vigente doveva far escludere la responsabilità penale per ca
renza dell'elemento soggettivo della colpa, anche con riferimen
to all'altro imputato Rocca Antonio, semplice esecutore di ordini.
In una nota fatta pervenire prima dell'udienza è stata altresì
eccepita la prescrizione del reato.
Motivi della decisione. — Il ricorso è infondato. È manife
stamente infondata la questione di legittimità costituzionale del
l'art. 26 d.p.r. 915/82, in relazione all'art. 3 Cost., in quanto
il legislatore è libero nella sua discrezionalità di adottare la me
desima sanzione penale per le varie fasi di smaltimento dei ri
fiuti tossici e nocivi (trasporto, stoccaggio provvisorio, tratta
mento, stoccaggio definitivo in discarica controllata), ove man
chi il comune presupposto del preventivo controllo regionale che si esprime con una autorizzazione espressa e specifica. In
particolare, per il trasporto da una regione all'altra, appare del
tutto coerente stabilire la stessa sanzione per colui che sia privo di qualsiasi autorizzazione e colui che abbia qualche autorizza
zione, posto che è necessaria una autorizzazione autonoma e
distinta di ogni regione, sicché il reato formale di carenza di
autorizzazione in una regione si realizza, a prescindere dal fatto
che il soggetto sia in regola rispetto ad altre regioni. Va respinta l'eccezione preliminare di prescrizione, perché il
reato contestato fa riferimento non solo al trasporto di 80 fusti
di rifiuti tossici e nocivi, ma più ampiamente alla effettuazione
di «fasi di smaltimento di detti rifiuti senza la relativa autoriz
zazione dell'autorità regionale competente», mentre la data del
9 luglio 1987 si riferisce alla data di inizio dell'attività crimino sa, proseguita dopo il trasporto da Trieste a Genova con uno
stoccaggio provvisorio degli stessi rifiuti in quest'ultimo porto
senza l'autorizzazione specifica per tale fase di smaltimento. Ele
menti si ricavano dagli atti di causa ed in particolare dalla diffi
da a rimuovere i rifiuti rivolta alla società Veneziani produttrice
dei medesimi dal Consorzio autonomo del porto di Genova, diffida che fa riferimento ad un «imbarco che non ha avuto
luogo» ed una «giacenza nell'area, illegittima e non ulterior
mente tollerabile»
Tenuto conto della circostanza della indicazione nella bolla
identificatrice del trasporto, datata 9 luglio 1987, della destina
zione Romania e della mancanza di indicazione della fine del
trasporto, nonché — in punto di fatto — di un ulteriore tra
sporto da Genova a Pisa, ritiene la corte che l'attività dell'im
putato è proseguita dopo la data predetta, sicché il reato non
è prescritto. Il trasportatore di rifiuti tossici e nocivi assume la detenzione
di sostanze pericolose, con la relativa responsabilità penale, ove
non accerti con precisione il luogo esatto di destinazione ed il
soggetto al quale consegnare la merce.
La ditta Ecolife, incaricata della spedizione dei rifiuti in Ro mania (destinazione mutata poi per la Nigeria) il 23 settembre
1987 non aveva provveduto ancora a spostare il materiale dal
porto di genova, trasferimento verficatosi soltanto il 2 novem
bre 1987, come riconosce la stessa ditta produttrice dei rifiuti
nella nota del 15 gennaio 1988, sicché il trasportatore Valsecchi
non aveva realizzato la formale consegna ad un nuovo soggetto
legittimato a riceverli.
Manca agli atti qualsiasi segnalazione del Valsecchi alla ditta
Veneziani della impossibilità di effettuare la consegna, ma so
prattutto vi è la prova documentata di uno stoccaggio irregola
re ex art. 16 e 26 d.p.r. 915/82.
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PARTE SECONDA
Nel merito il ricorso è infondato. I rifiuti provenienti dall'in
dustria delle vernici (nella specie resine polimerizzate e semipo
limerizzate) si presumono tossici e nocivi in considerazione del
la loro provenienza ai sensi dell'art. 1.2, elenco 1.3, della deli
berazione 27 luglio 1984, del comitato interministeriale salvo
che il soggetto obbligato dimostri il contrario, sicché non è ob
bligatorio l'accertamento di ufficio con perizia. Il regime autorizzatorio previsto dall'art. 6, lett. d), d.p.r.
915/82 a favore delle regioni in materia di smaltimento dei ri
fiuti, rimane vigente ed operante anche dopo l'entrata in vigore del d.l. 31 agosto 1987 n. 361 (convertito nella 1. 441/87), che
ha introdotto l'ulteriore garanzia di un albo nazionale delle im
prese esercenti servizi di smaltimento dei rifiuti (art. 10). Per le imprese esercenti l'attività di trasporto (e solo limitata
mente a tale fase di smaltimento) è previsto che l'iscrizione al
l'albo sostituisce l'autorizzazione, ma le regioni continuano a
svolgere un ruolo importante attraverso le sezioni regionali del
l'albo stesso (raccolta delle domande di iscrizione, istruttoria,
parere, trasmissione delle domande al ministero dell'ambiente, verifica dell'osservanza delle condizioni).
Questo regime giuridico è condizionato alla operatività effet
tiva dell'albo, fissata con decreto del ministro dell'ambiente,
che ancora non è stato emanato.
Anche sotto questo profilo il ricorso appare infondato.
Infine, la corte rileva che la normativa sui rifiuti non presen ta difficoltà di interpretazione in materia di smaltimento dei
rifiuti tossici e nocivi perché l'art. 16 d.p.r. 915/82 subordina
ogni fase ad autorizzazione espressa e specifica della regione
competente ed è ovvio che l'autorizzazione di una regione non
ha validità oltre l'ambito territoriale di riferimento, come ha
già ritenuto questa corte.
Non possono invocare la buona fede soggetti economici, co
me il ricorrente ed il suo dipendente Rocca che non solo hanno
violato consapevolmente e gravemente la normativa nazionale,
ma hanno esposto il nostro paese alla perdita di immagine a
livello internazionale con «esportazione» dei rifiuti medesimi ver
so paesi dell'est europeo (Romania) o dell'Africa (Nigeria) sen
za adeguate garanzie giuridiche ed economiche in ordine ai tem
pi e modi di smaltimento compatibilmente con la protezione dei valori fondamentali della salute e dell'ambiente (v. d.l.
361/87, art. 12 e d.l. 397/88, art. 9 bis).
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 6 di
cembre 1991; Pres. Brancaccio, Est. Pioletti, P.M. Gazza
ra (conci, conf.); Paglini. Conferma App. Bari 25 marzo 1991.
Appello penale — Diversità del fatto emersa per la prima volta
in appello — Sentenza di annullamento della decisione di pri mo grado ed ordinanza di trasmissione degli atti al pubblico ministero — Potere-dovere del giudice di appello — Ricorso
per cassazione — Ammissibilità — Richiesta di assoluzione
nel merito dal fatto contestato — Inammissibilità (Cost., art.
Ill; cod. proc. pen. del 1930, art. 90, 190, 477, 515, 519, 522).
È legittima, in applicazione analogica dell'art. 522, 10 comma,
c.p.p. del 1930, e non costituisce violazione del divieto di re
formatio in peius, neppure nel caso di impugnazione del solo
imputato, la sentenza con cui il giudice di appello, riscontrata
la diversità del fatto rispetto all'accusa contestata emersa per la prima volta nel giudizio di secondo grado, annulla la sen
tenza di primo grado disponendo, con ordinanza, la trasmis
II Foro Italiano — 1993.
sione degli atti al pubblico ministero, ai sensi degli art. 477,
2° comma, e 519 del medesimo codice. (1) La sentenza con cui il giudice di appello, riscontrata la diversità
del fatto rispetto all'accusa contestata, annulla la sentenza
di primo grado è ricorribile in Cassazione in applicazione del
la regola generale di cui agli art. Ili, 2° comma, Cost, e
190, 2° comma, c.p.p. del 1930, pur dovendosi dichiarare
inammissibile per manifesta infondatezza il ricorso con il quale si lamenta la mancata assoluzione nel merito dall'accusa ori
ginaria ex art. 152, cpv., c.p.p. del 1930 poiché, una volta
riscontrata la diversità del fatto rispetto all'accusa contestata,
il giudice è privato dei poteri di cognizione e deve adottare
i conseguenziali provvedimenti (annullamento della sentenza
di primo grado e trasmissione degli atti al pubblico ministe
ro), non vanificabili da un provvedimento assolutorio che pre
cluderebbe l'inizio di un nuovo procedimento ai sensi del
l'art. 90 del medesimo codice. (2)
(1-2) I. - Nel senso della prima massima, v. Cass. 9 gennaio 1990,
Scriva, Foro it., Rep. 1991, voce Appello penale, n. 126; sez. un. 24 ■novembre 1984, Alamia, id., Rep. 1985, voce cit., nn. 57, 78, 124, relativa a fattispecie in cui la diversità del fatto era già emersa in primo
grado ma non era stata, in quella sede, rilevata; 25 febbraio 1982, Di
Lorenzo, id., Rep. 1983, voce Sentenza penale, n. 163; 18 dicembre
1981, Laurenzi, ibid., nn. 161, 162; 4 marzo 1980, Pagano, id., Rep.
1981, voce cit., n. 170, nonché, in via meramente incidentale e con
riguardo al solo obbligo di trasmissione degli atti al p.m., Cass., sez.
un., 9 novembre 1968, Virgallita, id., Rep. 1969, voce Competenza pe nale, n. 46.
Circa l'impossibilità di una pronunzia nel merito in ordine all'accusa
originaria contestualmente alla trasmissione degli atti al p.m. per il fat
to diverso, stante l'evidente incompatibilità logico-giuridica tra i due
tipi di statuizione ed attesa la preclusione che all'esercizio dell'azione
penale per il fatto diverso deriverebbe dal disposto dell'art. 90 c.p.p. dei 1930, v. Cass. 7 novembre 1990, Vittuari, id., Rep. 1992, voce Sen
tenza penale, n. 34; 3 aprile 1990, Mafrici, id., Rep. 1991, voce cit., n. 60; 6 novembre 1987, Venturini, id., Rep. 1989, voce cit., n. 56; 6 aprile 1987, Proc. rep. Roma, id., Rep. 1988, voce cit., n. 58; 12
luglio 1984, Lo Nigro, id., Rep. 1985, voce cit., n. 105; 3 luglio 1979,
Paternini, id., Rep. 1980, voce cit., n. 79 e, con specifico riferimento
al giudizio di appello, Cass. 9 gennaio 1990, Scriva, cit., ove si puntua lizza che il divieto riguarda sia il fatto contestato, perché non corri
spondente a quello accertato, che quello diverso, non essendo per que st'ultimo intervenuto l'esercizio dell'azione penale da parte del p.m.
Nel senso della ricorribilità per cassazione della sentenza di appello che annulla quella di primo grado per la ravvisata diversità del fatto
rispetto a quello originariamente contestato, ora con la puntualizzazio ne della natura sostanziale di sentenza del provvedimento, anche se adot tato con diversa denominazione, ed ora con la precisazione che il con
trollo di legittimità va circoscritto alla verifica dell'effettiva diversità
del fatto, onde accertare l'interesse del ricorrente al ripristino dell'origi naria imputazione, cfr. Cass. 25 maggio 1990, Roccella, id., Rep. 1991, voce Appello penale, n. 125; 5 marzo 1988, De Maria, id., Rep. 1989, voce cit., n. 76; 9 gennaio 1986, Ambrosio, id., Rep. 1987, voce cit., n. 83; 9 maggio 1985, Crisafulli, id., Rep. 1986, voce cit., n. 149; sez. un. 24 novembre 1984, Alamia, cit.; 29 maggio 1984, Montano, id.,
Rep. 1985, voce Sentenza penale, n. 101; 21 febbraio 1984, Onorato,
ibid., n. 102; 2 ottobre 1979, Lari, id., Rep. 1980, voce cit., n. 81; 16 ottobre 1979, Del Rosso, ibid., n. 83; 11 ottobre 1973, Seta, id.,
Rep. 1975, voce cit., nn. 72, 73; 23 gennaio 1971, Tirchino, id., Rep.
1971, voce Impugnazioni penali, nn. 42, 43.
Per la tesi, decisamente minoritaria, dell'inammissibilità del ricorso
v., invece, Cass. 23 marzo 1990, Tonduti, id., Rep. 1991, voce Senten
za penale, n. 61 (che ha provocato l'intervento delle sezioni unite di
cui alla sentenza surriportata); 9 novembre 1989, Pinna, inedita; 16
marzo 1973, Ascione, id., Rep. 1973, voce cit., n. 116; 15 gennaio 1971,
Troia, id., Rep. 1972, voce Impugnazioni penali, n. 28 e 8 marzo 1971,
Saltarini, ibid., voce Appello penale, n. 65.
Nel senso, infine, della ricorribilità solo da parte del pubblico mini
stero, e non anche dell'imputato per asserito difetto di interesse, cfr.
Cass. 25 gennaio 1972, Pozzoli, id., Rep. 1972, voce Impugnazioni pe
nali, n. 29; 31 marzo 1971, Mazzaglia, ibid., voce Sentenza penale, n. 162; 17 marzo 1967, Garbini, id., Rep. 1967, voce Impugnazioni
penali, n. 93; 26 novembre 1963, Bianco, id., 1964, II, 194.
Pacifica è, per contro, la non impugnabilità del provvedimento (an che se formalmente adottato con sentenza) con cui il giudice di primo grado disponga la trasmissione degli atti al p.m. per diversità del fatto
ex art. 477, 2° comma, c.p.p. del 1930, in ragione della ritenuta natura
meramente processuale ed ordinatoria del medesimo e della rilevata as
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