sezione III penale; sentenza 23 gennaio 1984; Pres. Bottini, Est. Battimelli, P. M. Cecere (concl.conf.); ric. Di Giuseppe. Conferma Trib. Bari 6 aprile 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 1 (GENNAIO 1985), pp. 3/4-7/8Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177554 .
Accessed: 28/06/2014 19:15
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 46.243.173.84 on Sat, 28 Jun 2014 19:15:26 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
PARTE SECONDA
anche la posizione di coloro che, anteriormente all'entrata in
vigore della legge (e, cioè, quando il fatto non era ancora
preveduto come reato, ma era punito con sole sanzioni ammini
strative), possedevano all'estero disponibilità valutarie o attività di
qualsiasi genere costituite in violazione delle norme valutarie
vigenti al momento del fatto, imponendo ad essi — sotto commi
natoria di sanzioni penali — l'osservanza di alcune prescrizioni
(dichiarazione all'ufficio dei cambi, rientro dei capitali, ecc.) e
disponendo, con il 2° comma, che l'osservanza delle prescrizioni medesime rendeva inapplicabili le sanzioni valutarie e fiscali
vigenti al momento del fatto.
Tale articolo venne successivamente sostituito dalla 1. 8 ottobre
1976 n. 689 (con la quale venne convertito in legge, con
modificazioni, il d.l. 10 agosto 1976 n. 543) che provvide, da un
lato, a posticipare al 19 novembre 1976 il termine per la
prescritta dichiarazione all'ufficio italiano dei cambi (termine poi
prorogato ancora al 3 dicembre 1976 dal d.l. 19 novembre 1976
n. 759, convertito nella 1. 21 dicembre 1976 n. 863) e, dall'altro, a
specificare, più in dettaglio, gli adempimenti da compiere, dispo
nendo, in particolare, con l'art. 3, lett. e), che « quando tali
attività sono costituite da aeromobili, navi o natanti non iscritti
in pubblici registri nazionali, i possessori entro la detta data
possono importarli trasferendone la proprietà a loro nome senza
corrispettivo e iscriverli nei pubblici registri nazionali secondo le
formalità stabilite ».
Con il detto art. 3, inoltre, venne aggiunto all'art. 2 1. n. 159
un art. 2 bis del seguente tenore: « I residenti che, tramite
l'interposizione di non residente o la partecipazione in società o
in enti od organizzazioni estere di qualsiasi tipo, possiedono in
Italia attività di qualsiasi genere costituite anteriormente al 6
marzo 1976 possono, entro il 19 maggio 1977, rendersi cessionari
senza corrispettivo, previo adempimento degli obblighi di cui al
1° comma del precedente art. 2 dei quali ricorrano i presuppo sti », mentre con il 5° comma di tale articolo la dizione di cui
all'art. 2, 2° comma, 1. 30 aprile 1976 n. 159 venne sostituita
dalla seguente: « L'osservanza delle prescrizioni di cui ai prece denti comma rende inapplicabili le sanzioni amministrative pre viste dalle norme valutarie e fiscali vigenti al momento del
fatto ». Ciò premesso, e premesso altresì' che nel caso in esame la
questione sottoposta all'esame di questa suprema corte riguarda l'incidenza e la portata — rispetto al delitto di contrabbando di
cui all'art. 216 t.u. leggi doganali — della sanatoria prevista dalle
citate norme valutarie e, in particolare, se l'osservanza delle
prescrizioni ivi contenute e dirette ad assicurare il rientro in
Italia dei capitali e delle attività abusivamente costituite all'estero
comporti o meno la non punibilità del reato di contrabbando di
imbarcazione battente bandiera estera, la cui navigazione nelle
acque nazionali sia avvenuta in violazione del divieto e dei limiti
previsti dalla convenzione di Ginevra del 18 maggio 1956, osserva
la corte.
Al menzionato quesito la Corte d'appello di Venezia ha ritenu
to di dover dare risposta positiva, sostenendo che la sanatoria
prevista dall'art. 2, 2° comma, 1. 30 aprile 1976 n. 159, modificato
dall'art. 3, 5° comma, 1. 8 ottobre 1976 n. 689, dovrebbe rendere
inapplicabili non solo le sanzioni amministrative, ma anche quelle
penali previste dalle norme valutarie e fiscali vigenti al momento
del fatto, dato che, seguendo una diversa e più letterale interpre tazione della norma, si perverrebbe ad affermare l'esistenza di un
vero e proprio obbligo di autodenuncia imposto dalla legge, come
tale inconciliabile con i principi generali dell'ordinamento giuridi co e, in particolare, con il principio della inviolabilità del diritto
di difesa garantito dall'art. 24 Cost.
La decisione della corte veneziana non può essere condivisa, sia perché si basa su di una interpretazione della norma contraria
alla lettera ed allo spirito della stessa, sia perché l'avanzato
sospetto di incostituzionalità non ha ragione d'essere.
Quanto al primo rilievo, non può infatti non osservarsi come
l'interpretazione accolta dal giudice di merito si presenti carente
per un duplice ordine di considerazioni.
Innanzitutto, perché non considera che, sia pure a voler tenere
conto solamente della più generica formulazione dell'art. 2, 2° comma, 1. 30 aprile 1976 n. 159, la sanatoria ivi prevista si
riferiva alle sanzioni valutarie fiscali vigenti al momento del
fatto; per cui, considerato che anteriormente al 6 marzo 1976 la
abusiva costituzione di attività o disponibilità valutarie all'estero
non era prevista dalla legge come reato, ma costituiva mero
illecito amministrativo, appare ragionevole ritenere che il legisla
tore, pur parlando genericamente di sanzioni, abbia, in realtà,
inteso riferirsi unicamente a quelle di carattere amministrativo
contenute nelle leggi valutarie e fiscali.
Il Foro Italiano — 1985.
In secondo luogo, e comunque, perché ogni e qualsiasi dubbio
interpretativo al riguardo non può che cadere dopo che il
legislatore, con l'art. 3, 5" comma, della successiva 1. 8 ottobre
1976 n. 689, ha provveduto — con una specificazione da valere
come interpretazione autentica — ad oggettivare la sanatoria de
qua, testualmente precisando che la stessa era limitata alle sole
sanzioni amministrative previste dalle norme valutarie e fiscali
vigenti al momento del fatto.
Per quanto attiene al preteso dubbio di costituzionalità, deve
poi osservarsi come, in realtà, nessun contrasto può essere ravvi
sato tra la disciplina dettata dalla legge valutaria e l'art. 24 Cost.
Proprio in relazione ad un caso in cui si sollevava questione di
costituzionalità relativamente ad una norma che imponeva a
determinati cittadini di denunciare all'autorità di vigilanza e di
controllo un loro futuro comportamento che, se messo in atto,
costituiva reato, la Corte costituzionale, con sentenza n. 10 del 16
febbraio 1963 (Foro it., 1963, I, 615) ha dichiarato la manifesta
infondatezza della questione, osservando che l'art. 24 Cost., in
tutto il suo contenuto (oltre che per il suo 2° comma che, nel
parlare in particolare del diritto di difesa, stabilisce essere la
difesa diritto inviolabile « in ogni stato e grado del procedimen to ») si riferisce esclusivamente al giudizio ed alle garanzie assicurate a chi deve agire in giudizio o comunque subire un
giudizio, o non si estende a considerare i momenti anteriori dai
quali esso trae origine. Tale principio è stato, poi, ulteriormente ribadito dalla Corte
costituzionale con la successiva sentenza n. 149 del 15 dicembre
1967 (id., 1968, I, 570). Conseguentemente, per le suesposte ragioni, il ricorso del pro
curatore generale deve essere accolto e, per l'effetto, l'impugnata sentenza deve essere annullata per violazione di legge ed il
giudizio rinviato, per nuovo esame, ad altra sezione della Corte
d'appello di Venezia.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione 111 penale; sentenza 23
gennaio 1984; Pres. Bottini, Est. Battimelo, P.M. Cecere
(conci, conf.); ric. Di Giuseppe. Conferma Trib. Bari 6 aprile 1983.
Diritti d'autore — Composizioni musicali tutelate — Diffusione
ad opera di emittente privata — Autorizzazione — Difetto —
Reato — Sussistenza (L. 22 aprile 1941 n. 633, protezione del
diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, art.
171). Diritti d'autore — Composizioni musicali tutelate — Diffusione
ad opera di emittente privata — Autorizzazione — Difetto —
Reato — Depenalizzazione — Esclusione (L. 22 aprile 1941 n.
633, art. 171; 1. 24 novembre 1981 n. 689, modifiche al sistema
penale, art. 32).
La radiodiffusione da parte di emittente privata di brani mu
sicali incisi su dischi e su altri supporti meccanici senza il
consenso dell'autore, o, per esso, della S.i.a.e., integra gli estremi del reato previsto dall'art. 171, 1" comma, lett. b), l.
633/41. (1) Il reato previsto dall'art. 171, 1° comma, lett. b), l. 633/41,
essendo punibile nelle forme aggravate, contemplate nella se
conda parte dello stesso articolo, anche con la reclusione, sia
pure in forma alternativa, rientra tra le ipotesi per le quali il
2° comma dell'art. 32 l. 689/81 esclude la depenalizzazione. (2)
(1-4) Prevalente è ormai da considerarsi l'orientamento che ritiene
integri gli estremi del reato di cui all'art. 171, 1° comma, lett. b), 1.
633/41 la diffusione da parte delle emittenti private di opere musicali la cui tutela è affidata alla S.i.a.e. in assenza del consenso degli aventi
diritto, grazie anche alla ferma posizione assunta sul punto dalla
Cassazione penale. Cfr. da ultimo: Pret. Oristano 9 marzo 1984, Dir.
autore, 1984, 212; Pret. Reggio Emilia 29 marzo 1984, ibid., 216; Pret. Bologna 23 marzo 1983, ibid., 96; Pret. Asti 5 ottobre 1983, ibid., 98; Trib. Napoli, ord. 7 novembre 1983, ibid., 92; Cass. 30
novembre 1983, Beltrame, ibid., 86; Pret. Riva del Garda 25 maggio 1982, Foro it., Rep. 1983, voce Diritti d'autore, n. 52; Pret. Sanremo 20 gennaio 1983, ibid., n. 58; Cass. 15 dicembre 1982, Morselli, id., 1983, II, 504, con nota di richiami.
Tutt'altro che univoco è invece l'orientamento in ordine alla avve nuta depenalizzazione o no dell'art. 171 della legge sul diritto d'autore.
Se infatti Pret. Gioia del Colle 16 marzo 1983, id., Rep. 1983, voce
This content downloaded from 46.243.173.84 on Sat, 28 Jun 2014 19:15:26 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA PENALE
II
PRETURA DI CAGLIARI; sentenza 2 febbraio 1984; Giud.
Crispo; imp. Conca.
Diritti d'autore — Composizioni musicali tutelate — Diffusione
ad opera di emittente locale — Autorizzazione — Difetto —
Reato — Depenalizzazione — Esclusione (L. 22 aprile 1941 n.
633, art. 171; 1. 24 novembre 1981 n. 689, art. 32). Diritti d'autore — Composizioni musicali tutelate — Diffusione
ad opera di emittente privata — Autorizzazione — Difetto —
Reato — Sussistenza (L. 22 aprile 1941 n. 633, art. 171).
Il reato di cui all'art. 171, 1° comma, lett. b), l. 633/41 non può ritenersi depenalizzato in virtù del disposto del 2° comma
dell'art. 32 l. 689/81, posto che trattasi di reato punibile nelle
ipotesi aggravate, contemplate nella seconda parte dello stesso
articolo, con pena detentiva, anche se alternativa a quella
pecuniaria. (3)
Risponde del reato di cui all'art. 171, 1" comma, lett. b), l.
633/41 il responsabile dell'emittente privata televisiva locale
che diffonde, senza averne diritto e senza aver ottenuto l'auto
rizzazione della S.i.a.e., programmi comprendenti opere musicali
affidate alla tutela di quest'ultima. (4)
I
Svolgimento del processo. — Con sentenza del 20 ottobre 1982
il Pretore di Bari condannava Di Giuseppe Vito Leonardo alla
pena di lire 200.000 di multa ed al risarcimento dei danni e delle
spese in favore della S.i.a.e. costituitasi parte civile, perché ritenuto responsabile del reato previsto dagli art. 81 c.p., 171, lett.
b), 1. 22 aprile 1941 n. 633. Proponeva impugnazione il Di
Giuseppe; il Tribunale di Bari con sentenza del 6 aprile 1983
rigettava l'appello condannando l'appellante alle maggiori spese in
favore della parte civile.
Ricorre l'imputato, deducendo violazione dell'art. 524, n. 1,
c.p.p., in relazione all'art. 1 c.p. e 171 1. 633/41, per avere il
tribunale applicato la analogia in violazione della norma penale, considerando la diffusione di un'opera come esecuzione, e la
diffusione come la radiodiffusione, fenomeni invece distinti ed
autonomamente considerati; la violazione dell'art. 524, n. 1, c.p.p. in relazione all'art. 171, lett. b), 1. 633/41, per essere stato
erroneamente punito come reato il fatto di colui che diffonde
opere musicali, fatto non previsto dalla norma citata come reato; la violazione dell'art. 524, n. 1, c.p.p., in relazione all'art. 199, 2"
comma, 1. 633/41, per non essere stato considerato che il disco, del quale era stata data diffusione attraverso la radio, costituiva
un complesso di operazioni che escludevano la ingerenza dell'au
tore dell'opera incisa, per essersi intromesso l'editore i cui rap
porti erano regolati dall'art. 119, 2° comma 1. citata; la violazione
dell'art. 524, n. 1, c.p.p. in relazione all'art. 51 c.p., per non aver
considerato altresì che l'acquirente di un disco ne diventa pro
prietario, e quindi acquista il diritto di radiodiffonderlo senza
alcuna autorizzazione; la violazione dell'art. 524, n. 2, c.p.p., in
relazione all'art. 32 1. 24 novembre 1981 n. 689, per errata
applicazione della normativa sulla depenalizzazione in tema di
fatti previsti dall'art. 171 1. 633/41, fatta eccezione per quelli
previsti dalla lett. e) di detto articolo.
Con memoria aggiunta il ricorrente insiste nella illustrazione
dei motivi più sopra riportati. Motivi della decisione. — La problematica sulla quale ampia
mente si diffonde la difesa del ricorrente è stata più volte
esaminata da questa corte, che con giurisprudenza uniforme e
consolidata ha invece ritenuto che la radiodiffusione dagli studi
di emittenti private di brani musicali incisi su dischi od altri
supporti meccanici senza il consenso dell'autore, o, per esso, dalla
S.i.a.e., configura il reato previsto dall'art. 171, 1° comma, lett. b), 1. n. 633/41 (vedi Cass. 20 novembre 1982, Memcatti, Foro it.,
cit., n. 47, ha raggiunto conclusioni identiche a quelle delle due
sentenze qui riportate, nel senso della avvenuta depenalizzazio ne si sono invece pronunciate Pret. San Giovanni Valdarno 4 marzo
1983, ibid., n. 46 (e in Dir. autore, 1983, 344, con nota di Santoro, Cenni sulla pretesa depenalizzazione in materia di diritto d'autore); Pret. Pontedera 23 marzo 1983, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 57; Pret. Foggia 14 aprile 1983, id., 1983, II, 504.
Il punto sull'orientamento della Corte di cassazione — che notizie di
stampa danno per confermato in un'autentica raffica di decisioni — è
svolto, da ultimo, da Pastore, Diritto d'autore e libertà d'emittenza ra diotelevisiva nella giurisprudenza di legittimità, in Dir. autore, 1984, 1 ss.
Il Foro Italiano — 1985.
Rep. 1983, voce Diritti d'autore, nn. 32, 35; 2 dicembre
1982, Marcheselli, ibid., n. 50; 29 novembre 1983, n. 1736). Con il primo ed il terzo motivo, che possono essere esaminati
congiuntamente, il ricorrente assume che nel fatto che gli è stato
contestato, consistente nella diffusione da parte di una emittente
radiofonica di brani musicali registrati su dischi, non si riscon
trano gli estremi del reato di cui all'art. 171, lett. b), 1. 22 aprile 1941 n. 633, sulla protezione del diritto di autore.
I motivi non sono fondati. La lett. b) dell'articolo sopra citato pu nisce chiunque, senza averne diritto, « rappresenta, esegue o recita
in pubblico o diffonde con o senza variazioni od aggiunte, un'opera altrui adatta a pubblico spettacolo od una composizione musicale ».
Ai sensi del precedente art. 16 1. 22 aprile 1941 n. 633, nel concetto
di diffusione è compresa anche la radiodiffusione e, contrariamen
te all'assunto del ricorrente, non è richiesto che essa avvenga in
pubblico dato che, secondo il chiaro disposto della lett. b) dell'art. 171, il requisito della pubblicità si riferisce esclusivamen
te alla rappresentazione, all'esecuzione ed alla recitazione. Non è
poi pertinente il richiamo all'ultima parte della stessa lett. b)
poiché la diffusione mediante altoparlante azionato in pubblico è
un'ipotesi diversa da quella della diffusione da emittente radiofo
nica, tanto vero che viene fatta rientrare nel concetto di esecu
zione. IÈ inesatto quindi sostenere, come fa il ricorrente, che il
legislatore abbia voluto punire soltanto la radiodiffusione median
te altoparlante, che, oltre tutto, si rivolge esclusivamente alle
persone presenti in un determinato luogo, mentre quella da
emittente radiofonica può avere ascoltatori ben più numerosi ed
ha quindi una maggiore potenzialità di lesione dell'altrui diritto.
Non è fondato neppure il secondo motivo, con il quale il
ricorrente assume che, quando l'autore ha autorizzato la registra zione dell'opera musicale su un disco o su un nastro, l'ulteriore
diffusione dell'opera stessa non è sanzionata penalmente ma dà
soltanto diritto ad un compenso. L'art. 61 1. 22 aprile 1941 n.
633, compreso nella sezione V opere registrate su apparecchi meccanici, dopo avere affermato nel 1° comma che l'autore ha il
diritto esclusivo, fra l'altro, di eseguire pubblicamente e di
radiodiffondere l'opera mediante l'impiego del disco od altro
strumento meccanico, precisa nel 2° comma che « la cessione del
diritto di riproduzione o del diritto di porre in commercio non
comprende, salvo fatto contrario, la cessione del diritto di esecu
zione pubblica o di radiofiffusione » e nel 3° comma che « per
quanto riguarda la radiodiffusione, il diritto di autore resta
regolato dalle norme contenute nella precedente sezione ». Sono
stati, pertanto, considerati come due diritti differenti quello di
riproduzione su apparecchio meccanico e quello di radiodiffusio
ne, con la conseguenza che è punibile anche la sola violazione di
quest'ultimo. Nella memoria difensiva e nella discussione orale si è pure
sostenuto che, essendo stata riconosciuta la legittimità delle emit
tenti radiofoniche private a seguito della sentenza 28 luglio 1976, n. 202 della Corte costituzionale (id., 1976, I, 2066), anche tali
emittenti, ai sensi degli art. 52 ss. 1. 22 aprile 1941 n. 633,
possono trasmettere opere senza il consenso dell'autore, salvo il
suo diritto ad un compenso.
Neppure questo assunto è fondato. Le norme sopra citate
trovano la loro ragione d'essere nel fatto che l'ente che
esercita la radiodiffusione in regime di concessione statale
agisce nel pubblico interesse, come risulta chiaramente dal
precedente art. 51. Le altre emittenti agiscono invece per interesse
commerciale o di gruppi privati e quindi la loro posizione non
può essere equiparata a quella dell'ente concessionario. Non
possono essere di conseguenza condivisi né l'opinione di alcuni
giudici di merito, che hanno ritenuto le norme in questione applicabili anche alle emittenti private, né il dubbio, avanzato da
qualche altro giudice, della legittimità costituzionale delle norme
stesse. La questione, comunque, è di scarso rilievo nel presente
giudizio, in cui si discute di radiodiffusioni diverse da quelle effettuate da teatri, sale di concerto od altri luoghi pubblici, che
sono regolate dall'art. 52 1. 22 aprile 1941 n. 633. IL successivo art. 59 dispone, infatti, che « la radiodiffusione delle opere
dell'ingegno dai locali dell'ente esercente il servizio della radio
diffusione è sottoposta al consenso dell'autore » e che « ad essa
non sono applicabili le disposizioni degli articoli precedenti, salvo
quelle dell'art. 55 » (che qui non interessa). Se quindi per tali
radiodiffusioni è richiesto che l'ente concessionario ottenga il
consenso dell'autore, a maggior ragione il consenso stesso deve
essere ritenuto necessario per le radiodiffusioni da emittenti
privati. Deve pertanto ritenersi che nel fatto ascritto al Di Giuseppe
ricorrano gli estremi del reato contestato; e ciò, senza che possa
This content downloaded from 46.243.173.84 on Sat, 28 Jun 2014 19:15:26 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
PARTE SECONDA
parlarsi di applicazione analogica della norma penale, dal mo
mento che la norma, intesa cosi come sopra è stato esposto, non
ha bisogno di interpretazioni diverse da quelle che le sono
proprie. Quanto da ultimo alla asserita depenalizzazione della norma
violata, osserva la corte che, essendo il reato in discussione
punito, nella ipotesi aggravata di cui al capoverso dell'art. 171,
anche con la reclusione, sia pure in forma alternativa, esso non
è compreso fra quelli per i quali può trovare applicazione la
innovazione normativa dell'art. 32 1. 24 novembre 1981 n. 689; il
2° comma dell'art. 32 esclude infatti tutti quei reati che, anche se
puniti con la sola multa, possono in astratto, per il concorso di
aggravanti, essere puniti anche con la reclusione, e ciò anche se
il reato sia contestato senza alcuna aggravante, e quindi sia in
concreto punibile solo con la multa.
Il rigetto del ricorso importa la condanna del ricorrente anche
alle spese in favore della parte civile.
II
Motivi della decisione. — Con rapporto del 24 novembre 1981
la Società italiana degli autori ed editori, a mezzo del direttore della
sede di Cagliari, denunciava Conca Patrizia, quale responsabile dell'emittente televisiva privata « Teleregione » per aver diffuso,
senza averne diritto, programmi comprendenti opere musicali
affidate alla tutela della S.i.a.e.; a titolo esemplificativo il rappor to indicava alcuni brani musicali tutelati, teletrasmessi il 5
settembre 1981.
Ravvisando nel fatto denunciato il reato di cui all'art. 171, lett.
b), 1. 22 aprile 1941 n. 633, questo pretore, con decreto penale del
16 febbraio 1982, condannava l'imputata alla pena di lire 200.000
di multa e, a seguito di rituale opposizione, emetteva decreto di
citazione a giudizio. All'odierno dibattimento, nel corso del quale è stata contestata
la continuazione fino al 2 agosto 1983, la Conca non ha contesta
to di avere trasmesso le composizioni musicali indicate e si è
limitata a sostenere di avere effettuato soltanto delle prove tecniche di trasmissione.
La S.i.a.e. si è costituita parte civile a mezzo del procuratore
speciale dott. Evangelisti il quale ha confermato che la Conca
trasmise attraverso le emittenti da lei gestite composizioni musica
li tutelate e ciò nonostante la lettera di diffida inviatale dalla
S.i.a.e.
L'istruttoria dibattimentale ha in tal modo dimostrato che le
emittenti private « Teleregione » e « Quarta rete » diffusero, a
mezzo della televisione, programmi comprendenti brani musicali
affidati alla tutela della S.i.a.e., senza avere ottenuto la preventiva autorizzazione di tale ente. Tali risultanze processuali consentono
di affermare la responsabilità penale della prevenuta in ordine al
reato contestato, pirca la sussistenza del quale è opportuno fare
alcune considerazioni. In primo luogo deve escludersi che incida
sul reato in esame la norma depenalizzatrice di cui all'art. 32 1.
24 novembre 1981 n. 689. Tale articolo stabilisce al 1° comma il
principio generale della depenalizzazione di tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell'ammenda,
escludendo, col 2° comma, tutti i reati che nelle ipotesi aggravate siano punibili con pena detentiva, anche se alternativa a quella pecuniaria. Prescindendo dalla tesi più rigorista di coloro per i
quali all'espressione « ipotesi aggravante » andrebbe riconosciuta la più ampia latitudine di contenuto, si da ritenere che essa vo
glia comprendere sia le circostanze aggravanti in senso tecnico
che le ipotesi in cui l'aggravante porta alla configurazione di un
reato autonomo, non può concordarsi con chi non vede nella
fattispecie ipotizzate dall'ultima parte dell'art. 171 della legge sul
diritto d'autore delle ipotesi aggravate del reato configurato nel 1°
comma e ritiene di ravvisare ipotesi autonome di reato.
L'art. 171 è composto di due parti: la prima prevede sei
ipotesi delittuose che hanno per oggetto il contenuto patrimoniale del diritto d'autore e sono sanzionate con la pena della multa; la
seconda commina la pena della reclusione o della multa se i
reati di cui alla prima parte sono commessi sopra un'opera altrui
non destinata alla pubblicazione, ovvero con usurpazione della
paternità dell'opera, ovvero con deformazione, mutilazione o altra
modificazione dell'opera, qualora ne risulti offesa all'onore e alla
reputazione dell'autore. Queste circostanze hanno per oggetto il
diritto morale e personale dell'autore. Per decidere se le ipotesi della seconda parte dell'articolo costituiscano figure autonome
piuttosto che circostanze aggravanti di quelle previste nella prima
parte, non è esatto riferisi alla pena diversa né all'interesse
protetto che non rappresentano nel nostro sistema un criterio
distintivo. Le ipotesi anzidette presentano struttura identica a
Il Foro Italiano — 1985.
quelle1 più semplici previste nella prima parte e prevedono lo
stesso comportamento di base con un quid pluris evidenziato dal
legislatore che ha comminato una pena più grave per i reati
ipotizzati nella prima parte del medesimo articolo qualora siano
commessi con le descritte circostanze. Sicché le circostanze della
riproduzione di un'opera non destinata alla pubblicazione, della
usurpazione della paternità e della qualificata deformazione, mutila
zione o modificazione presuppongono il reato principale del quale
rappresentano un di più sia pure con contenuto oggettivo diverso, ma non sostitutivo, e del quale stanno a dimostrare una maggiore
gravità. Tale aggiunta di elementi circostanziali al reato base non
determina una fattispecie autonoma e fa si che sussista la
condizione negativa della depenalizzazione stabilita dal 2° comma
dell'art. 32 sopra citato.
Superati i dubbi relativi alla depenalizzazione delle disposizioni che qui interessano, occorre esaminare se il reato in esame
sussista nei sui elementi soggettivi ed oggettivi. Si sostiene diffusamente dai rappresentanti delle emittenti pri
vate che l'art. 171, lett. b), non sarebbe applicabile alla ra
diodiffusione ed alla televisione dal momento che detta norma si
riferirebbe esclusivamente alla « radiodiffusione mediante altopar lante azionato in pubblico ».
L'assurdità di tale tesi appare evidente con la semplice lettura dell'art. 16 che, tra i mezzi di diffusione il cui impiego è tutelato dal diritto d'autore, elenca la radiodiffusione e la televisione. Se
dunque l'art. 16 fissa l'oggetto della «diffusione» e l'art. 171, nel determinare le sanzioni applicabili nei confronti di chi sfrutti illecitamente l'opera protetta, si riferisce anche alla diffusione di
un'opera altrui a qualsiasi scopo e in qualunque forma, ne scaturisce un risultato interpretativo di chiarezza inoppugnabile: non può non ricomprendersi nella dizione usata dal legislatore anche l'abusiva trasmissione radiofonica o televisiva di opere altrui, non potendosi dubitare che la radio e la televisione siano da comprendere oggi tra i più importanti mezzi di comunicazione di massa.
Quanto all'elemento soggettivo del reato, lo stesso atteggia mento tenuto dalla prevenuta che, nonostante le lettere di diffida
inviatele dalla S.i.a.e., prosegui nelle trasmissioni abusive (sia che
si trattasse di prove, sia di programmi definitivi), conferma
l'intenzionalità del comportamento in ordine all'utilizzazione di
opere protette senza averne diritto.
Pertanto, affermata la responsabilità penale dell'imputata, avuto
riguardo ai criteri dettati dall'art. 133 c.p. e ritenuta la continua
zione contestata in udienza, pena equa da irrogare appare quella di lire 400.000 di multa (p.b. lire 200.000 + 81 cpv = 400.000).
La condanna al pagamento delle spese processuali segue ai sensi
dell'art. 488 c.p.p.
L'imputata deve inoltre essere condannata al risarcimento del
danno, che dovrà essere liquidato in separato giudizio civile, ed
alla rifusione delle spese che si liquidano in complessive lire
162.100 di cui Mre 150.000 per onorari in favore della S.i.a.e.,
costituitasi parte civile.
Ricorrono infine le condizioni per la concessione del benefìcio
di cui all'art. 175 c.p.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; ordinanza 29
ottobre 1983; Pres. Mirabella Rei. Martuscelli, P. M. Ciani
(conci, conf.); ric. Medici. Annulla App. Roma, ord. 12 giu
gno 1981.
Valore aggiunto (imposta sul) — Fatturazione di operazioni inesistenti — Pregiudizialità tributaria — Esclusione (D.p.r. 26
ottobre 1972 n. 633, istituzione e disciplina dell'imposta sul
valore aggiunto, art. 50, 58).
Il definitivo accertamento tributario per i casi di fatturazione di operazioni inesistenti a seguito della sentenza n. 89/82 del
la Corte costituzionale non svolge più effetti ai fini dell'eser
cizio dell'azione penale, restando, per contro, in vigore quan to alle ipotesi di cui all'art. 50, 2° comma, d.p.r. 633/72. (1)
(1) Conformandosi a quanto già ritenuto da Cass. 27 aprile 1981,
Signorini (Foro it., 1982, II, 85, e annotata da Amodio, in Giur. it.,
1982, II, 97, nonché da Ramatoli, in Giust. pen., 1982, III, 90; sul
punto, da ultimo cfr. Trib. Bolzano 9 febbraio 1982, Foro it., Rep. 1983, voce Valore aggiunto (imposta sul), n. 161, e in Giur. merito,
1983, 759, con nota di Cerqua) il provvedimento in epigrafe è, per altro verso, conseguente all'affermata incostituzionalità dell'art. 58 d.p.r.
This content downloaded from 46.243.173.84 on Sat, 28 Jun 2014 19:15:26 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions