sezione III penale; sentenza 23 marzo 1998; Pres. Giammanco, Est. Novarese, P.M. Fraticelli(concl. diff.); ric. Zagra. Annulla senza rinvio App. Catania 17 marzo 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 1 (GENNAIO 1999), pp. 11/12-17/18Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193073 .
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PARTE SECONDA
n. 13; 20 gennaio 1989, Castellani, ibid., voce Antichità, n. 70,
nonché Cass. 10 aprile 1979, Mancinelli, id., 1981, II, 17, che
è esattamente negli stessi termini di Cass. 6 aprile 1976, Catani,
id., Rep. 1977, voce cit., n. 42: secondo queste sentenze do
vrebbe applicarsi solo la 1. n. 1089 del 1939, perché posteriore e anche speciale rispetto alla norma del codice penale.
Ma, ad avviso di questo collegio, la tesi che esclude il concor
so formale dei due reati, ritenendo quello codicistico assorbito
in quello speciale, non è sostenibile. Si deve infatti ricordare
che sia l'applicabilità del principio di abrogazione legislativa ta cita, di cui all'art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale,
sia l'applicabilità del principio di specialità di cui all'art. 15
c.p., presuppongono una comparazione tra fattispecie normati
ve astratte, la quale — se correttamente effettuata — esclude
l'applicazione di entrambi i principi. 3.1. - Più in particolare, il principio di specialità di cui al
l'art. 15 c.p. disciplina il c.d. concorso apparente di norme re
golanti la stessa materia, stabilendo che la norma speciale si
deve applicare al posto di quella più generale. Ma presupposto dell'istituto disciplinato dall'art. 15 è, appunto, che entrambe
le norme configurino la stessa fattispecie penale, anche se una
delle due preveda ulteriori elementi di specialità rispetto all'altra.
Orbene, la contravvenzione di cui alla 1. n. 1089 del 1939
configura un reato di condotta, giacché l'attività di demolire,
rimuovere, modificare o restaurare cose di interesse storico
artistico senza l'autorizzazione del ministero competente, perfe ziona il reato anche ove non produca concretamente una lesio
ne del patrimonio storico-artistico della nazione. Al contrario
la contravvenzione di cui all'art. 733 c.p. configura un reato
di evento, e più esattamente un reato di danno, giacché si perfe ziona solo quando la condotta dell'agente provochi la distruzio
ne, il deterioramento o il danneggiamento di monumenti o altre
cose di pregio rilevante, se dal fatto derivi un nocumento al
patrimonio artistico nazionale (questo ulteriore nocumento al
patrimonio nazionale è stato correttamente inteso come condi
zione di punibilità). È quindi evidente che le due norme disciplinano fattispecie
diverse, che solo in parte coincidono: anche quando si tratti
di cose private notificate come d'interesse storico o artistico ai
sensi degli art. 2, 3, 5 e 12 1. n. 1089, vi sono alcune condotte
(per esempio la rimozione o il restauro senza previa autorizza
zione amministrativa) che integrano il primo reato — perché
sfuggono al previo controllo dell'autorità tutoria — ma non
necessariamente il secondo — perché possono non danneggiare, ma addirittura migliorare, la cosa di interesse artistico. Per con
seguenza esula la sfera di applicabilità del principio di speciali tà. Il che vuol dire che quando una condotta concreta viola
entrambe le disposizioni penali, si configura un concorso for
male di reati ai sensi dell'art. 81 c.p. 3.2. - Tanto meno può sostenersi che la legge speciale, in
quanto posteriore nel tempo, abbia tacitamente derogato alla
norma codicistica, perché il principio lex posterior derogat prio
ri, come disciplinato dall'art. 15 preleggi, presuppone che la
legge successiva sia oggettivamente incompatibile o regoli inte
ramente la materia disciplinata dalla legge precedente. Ma le
considerazioni testé svolte circa la diversità delle fattispecie tipi che in esame dimostrano anche che fra le stesse non esiste in
compatibilità né completa identità di materia.
4. - È invece fondato il secondo motivo di ricorso (n. 2.2).
Infatti, come si desume necessariamente dal tenore letterale
della norma — che individua l'oggetto materiale del reato nella
«cosa propria» — soggetto attivo del reato di cui all'art. 733
c.p. è solo il proprietario della cosa, non il possessore in quanto tale e tanto meno il semplice detentore. Terzi estranei 'alla pro
prietà possono solo concorrere col proprietario alla commissio
ne della contravvenzione; ovvero possono rispondere nei con
grui casi per il delitto di danneggiamento su cosa altrui di cui
all'art. 635 c.p. Questa interpretazione letterale risponde anche
alla ratio esplicita della norma, che — nell'interesse pubblico alla salvaguardia del patrimonio artistico, storico e archeologi co della nazione — ha voluto costituire un vincolo giuridico a carico dei proprietari privati di cose aventi pregio artistico, storico o archeologico, impedendo loro di danneggiarle o dete
riorarle. Come dice la relazione ministeriale sul progetto del
codice penale «in sostanza si ha qui una limitazione, penalmen
II Foro Italiano — 1999.
te sanzionata, al diritto di proprietà, fondata sul concetto della
prevalenza dell'interesse pubblico su quello privato» (II, 519).
In tal senso è la concorde dottrina, nonché la migliore giuris
prudenza di questa corte (Cass. 17 ottobre 1986, Lunari, id.,
Rep. 1988, voce cit., n. 49). Non può invece condividersi quella
giurisprudenza, secondo cui «il soggetto attivo del reato ex art.
733 c.p. può essere rappresentato sia dal proprietario sia dal
possessore o dal detentore, dato che un'interpretazione eccessi
vamente restrittiva del termine 'proprio' paradossalmente esclu
derebbe dalla tutela penale una serie di beni pubblici che in
quanto res communes omnium non possono definirsi strido sensu
'propri' di determinate persone fisiche preposte alla loro effetti
va salvaguardia» (così Cass. 12 maggio 1993, Cinelli, id., Rep.
1994, voce cit., n. 67; sostanzialmente alle stesse conclusioni
arriva Cass. 6 giugno 1988, Fantilli, id., Rep. 1990, voce cit.,
n. 69, succitata). Invero, quest'ultima interpretazione, nel ten
tativo di superare quella puramente letterale, finisce per adotta
re una estensione analogica della fattispecie penale, che è vieta
ta dall'ordinamento giuridico, e che a rigore non è neppure ri
chiesta dalla ragione politica addotta a sostegno, posto che il
danneggiamento di monumenti o cose artistiche di proprietà pub blica non resta affatto privo di tutela penale, potendo essere
sempre perseguito d'ufficio ai sensi dell'art. 635 c.p. Nella fattispecie di causa, il Salogni non era proprietario del
l'arco di Sottocastello, crollato durante le operazioni di restau
ro e consolidamento, ma era semplice rappresentante legale del
la impresa incaricata dei lavori. Come tale non poteva essere
ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 733 c.p. 5. - Gli altri motivi di ricorso (2.3 e 2.4), peraltro non privi
di fondamento, restano assorbiti.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 23 mar
zo 1998; Pres. Giammanco, Est. Novarese, P.M. Fraticelli
(conci, diff.); ric. Zagra. Annulla senza rinvio App. Catania
17 marzo 1997.
Frode in commercio e nelle industrie — Prodotti alimentari con
termine minimo di conservazione scaduto — Vendita — Rea
to — Esclusione (Cod. pen., art. 515; d.leg. 27 gennaio 1992
n. 109, attuazione delle direttive 89/395/Cee e 89/396/Cee, concernenti l'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei
prodotti alimentari, art. 18).
La sola offerta al pubblico di un prodotto alimentare con ter
mine minimo di conservazione scaduto, non accompagnata da comportamenti idonei a trarre in inganno l'acquirente cir
ca la qualità del prodotto stesso (quale lo spostamento ne!
tempo o l'alterazione del termine indicato dal produttore), non integra il delitto tentato o consumato di frode in com
mercio, sia perché it termine minimo di conservazione ha una
mera funzione di garanzia e non comporta necessariamente
il venir meno delle caratteristiche nutrizionali e di freschezza
dell'alimento, sia perché difetta l'elemento costitutivo della
consegna di una cosa diversa da quella dichiarata in quanto il termine minimo di conservazione è adeguatamente indicato
in etichetta. (1)
(1) In senso contrario, v. Cass. 7 luglio 1994, Timperi, Foro it., 1995, II, 487, con nota di richiami e osservazioni di Paone, Frode in com mercio e vendita di merce con termine minimo di conservazione scaduto.
In senso analogo, v., anche, Cass. 21 novembre 1997, Paveglio, Riv.
pen., 1998, 247 (che, tra l'altro, ha puntualizzato che non può rinvenir si nella scadenza del termine minimo di conservazione una non genuini tà naturale, consistente nell'artificiosa alterazione dei prodotti nella lo ro essenza e nella loro composizione normale mediante commistione
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GIURISPRUDENZA PENALE
II
PRETURA DI TOLMEZZO; sentenza 7 aprile 1998; Giud. Dies;
imp. Ferrari.
Alimenti e bevande (igiene e commercio) — Latte annacquato — Vendita — Reato — Esclusione — Fattispecie (Cod. pen., art. 515; 1. 30 aprile 1962 n. 283, disciplina igienica della pro duzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle be
vande, art. 5; d.p.r. 14 gennaio 1997 n. 54, regolamento re
cante attuazione delle direttive 92/46 e 92/47/Cee in materia
di produzione e immissione sul mercato di latte e di prodotti a base di latte, art. 5).
Il superamento del valore dell'indice crioscopico del latte (rap
presentativo del punto di congelamento del prodotto) stabili
to dalle vigenti disposizioni (d.p.r. 54/97) può far ritenere verosimile l'aggiunta di acqua nel latte, ma non è sufficiente a giustificare la condanna per la contravvenzione di cui al
l'art. 5, lett. a), l. 283/62 e per il delitto di cui all'art. 515
c.p. quando, per l'entità minima del superamento di quel va
lore, per la sua possibile modificabilità in ragione di elementi
variabili (ad esempio, modalità di conservazione, trattamen
to, durata), per i margini di errore nella misurazione e per la conformità ai limiti di legge di altri valori, pure rilevanti, si deve ragionevolmente escludere che il latte sia stato effetti vamente annacquato. (2)
di sostanze estranee o sottrazione di principi nutritivi caratteristici, e
neppure una non genuinità formale, che ricorre qualora i prodotti con
tengano sostanze diverse da quelle che la legge prescrive per la loro
composizione). Il delitto di frode in commercio si consuma soltanto con la consegna
materiale della merce all'acquirente, mentre la semplice detenzione e/o
l'esposizione per la vendita con indicazioni mendaci non configura nep pure la forma tentata del reato perché gli atti idonei diretti in modo
non equivoco devono concernere un inizio di contrattazione con acqui rente determinato: in questi termini, Cass. 17 aprile 1996, Billè, Guida al diritto, 1996, fase. 34, 87, che ha ritenuto non configurabile il delitto
in un caso in cui nel listino delle pizze era indicato l'uso della mozzarel
la e nell'esercizio era stata riscontrata la sola presenza di fiordilatte.
Invero, questa statuizione è contrastante con l'orientamento larga mente maggioritario in materia: v., al riguardo, Cass. 13 febbraio 1997, Redini, Foro it., Rep. 1997, voce Frode in commercio, n. 9 (nella spe cie, relativa ad annullamento con rinvio di sentenza con la quale il giu dice di merito aveva escluso nella messa in vendita di pane grattugiato non regolamentare presso la panetteria dell'imputato la configurabilità del tentativo perché mancava un principio di trattativa o di negoziazio ne, la Suprema corte ha osservato che l'errore che inficia simile argo mentazione consiste nel ritenere che la semplice messa in vendita della
merce in un esercizio sia per sé stessa estranea alla fase della trattativa
contrattuale e quindi ancora esterna alla fattispecie penale del tentativo
di frode in commercio); 6 febbraio 1995, Cherubini, id., Rep. 1996, voce cit., n. 2 (relativa al sistema di vendita al pubblico adottato dai
supermercati). Anche con riferimento all'ipotesi degli alimenti surgelati non indicati
come tali nella lista delle vivande, si segnala una recente sentenza che si pone «fuori del coro»: per Cass. 25 febbraio 1998, Ferreri, Riv. pen., 1998, 431, infatti, non integra l'ipotesi del tentativo di frode in com
mercio la semplice detenzione da parte di un ristoratore, non correlata da altri elementi circostanziali, di prodotti alimentari congelati o surge lati, poiché difetta il requisito della univocità degli atti mancando un
inìzio di contrattazione con un acquirente determinato.
Per integrare la fattispecie di cui all'art. 515 c.p. non occorre che
la cosa sostituita sia contrassegnata da un marchio (emblema o denomi
nazione) o sia altrimenti tutelata da legge speciale, non occorre, cioè, oltre alla divergenza tra cosa consegnata e cosa pattuita, che quest'ulti ma sia tutelata per la sua provenienza, origine o qualità tipica: sul pun
to, v. Cass. 18 marzo 1997, Stopponi, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 7 (nella specie, da parte di un cliente era stato chiesto formaggio «Emmental» e l'esercente aveva consegnato invece il diverso formaggio «Seland»: la Suprema corte ha ritenuto realizzata la consegna di aliud
pro alio considerando rilevante il fatto che il formaggio consegnato era diverso per qualità da quello richiesto perché l'Emmental, svizzero, francese o tedesco che sia, o groviera è tipico formaggio a pasta dura, mentre il Seland è formaggio a pasta tenera).
In materia di produzione di vini a denominazione di origine control
lata, Cass. 5 marzo 1997, Solaro, ibid., n. 6, ha sostenuto che può essere legittimamente contestata la violazione dell'art. 515 c.p. nel caso
Il Foro Italiano — 1999.
I
Svolgimento del processo. — Zagra Silvana ha proposto ri
corso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello di Catania, emessa in data 17 marzo 1997, con la quale veniva
condannata per il delitto tentato di frode in commercio per aver
commesso atti idonei diretti in modo non equivoco, consistenti
nel vendere al pubblico una cassetta di polpi congelati, con ter
mine minimo di scadenza superato, a smerciare prodotti ali
mentari aventi qualità inferiore a quella dichiarata o pattuita,
perché con termine minimo di conservazione (tmc) scaduto, de
ducendo quali motivi l'inosservanza e l'erronea applicazione della
legge penale, in quanto non era configurabile il reato contesta
to, giacché non è esatta l'equiparazione tra prodotto scaduto
e quello in cattivo stato di conservazione ovvero diverso per
qualità, la mancanza ed illogicità di motivazione al riguardo
e, comunque, l'omessa applicazione del 2° comma dell'art. 530
c.p.p. in assenza di qualsivoglia altro indizio tranne quello del
tmc scaduto.
Motivi della decisione. — Il ricorso appare fondato, sicché
l'impugnata sentenza deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
Ed invero, in punto di fatto è pacifico che trattasi di prodotti con tmc scaduto, caratterizzato dalla dicitura «da consumarsi
preferibilmente entro il. . .», sicché, secondo la quasi unanime
dottrina e giurisprudenza, detta indicazione concerne un termi
in cui venga commercializzato vino prodotto in quantità superiore a
quella fissata dal disciplinare di produzione giacché siffatta produzione non è utilizzabile ai fini della denominazione di origine controllata, in
dipendentemente dalle cause che hanno determinato l'eccedenza. In materia di preparazione e commercio dei mangimi, Cass. 3 dicem
bre 1997, Abbate, Ced Cass., rv. 209807, ha ritenuto configurabile il concorso reale tra l'art. 22, 1° comma, 1. 281/63 e l'art. 515 c.p., in
quanto i beni giuridici tutelati non soltanto non sono identici (la garan zia della qualità dei prodotti venduti, nel primo caso; la tutela della correttezza e lealtà commerciale, nel secondo), ma neppure omogenei e non può perciò trovare applicazione il principio di specialità fissato dall'art. 9, 1° comma, 1. 689/81.
In dottrina, da ultimo, v. Giraldi, Frodi industriali e commerciali:
problematiche attuali e recenti orietamenti giurisprudenziali, in Riv. trim, dir. pen. economia, 1996, 215; in generale, v. Conti, Frode in commer cio e altri attentati alla fiducia commerciale, voce del Digesto pen., Torino, 1991, V, 313.
(2) La sentenza in epigrafe da un lato evidenzia che il superamento dei vari parametri di genuinità fissati da regolamenti e/o circolari mini
steriali è solo un indizio della sussistenza della contravvenzione prevista dall'art. 5, lett. a), 1. n. 283 e dall'altro lato sottolinea che occorre
acquisire sempre la prova rigorosa dell'effettiva manipolazione e/o al terazione del prodotto alimentare (sembra qui di riecheggiare quanto sostenuto da Cass., sez. un., 27 settembre 1995, Timpanaro, Foro it.,
1996, II, 220). Secondo Cass. 13 novembre 1997, Andergassen, Ced Cass., rv. 209724,
in un caso in cui era stato contestato l'art. 5, lett. d) (impiego, nella
preparazione di patatine fritte, di olio di palma per frittura contenente una quantità di sostanze polari pari al trentacinque per cento, superiore al limite massimo del venticinque per cento, indicato in una circolare del ministero della sanità, e perciò in stato di alterazione o comunque nocivo), correttamente il giudice di merito aveva ricavato la prova del l'alterazione dell'olio usato per la frittura facendo riferimento sia a no zioni di comune esperienza, sia al risultato delle analisi. La stessa sen tenza precisa che le eventuali indicazioni contenute in circolari del mini
stero della sanità costituiscono solo un parametro scientificamente valido al quale ancorare il giudizio e non già un necessario completamento della norma incriminatrice che pertanto non può essere considerata norma
penale in bianco.
In un caso analogo, Cass. 4 dicembre 1997, Antonioli, ibid., rv. 209874, ha ribadito che era corretto riferirsi ai parametri contenuti nella circola
re ministeriale, ma ha ritenuto di qualificare il fatto nel senso di ravvi
sare la contravvenzione di cui all'art. 5, lett. b), anziché d). In argomento, va segnalata anche Cass. 27 gennaio 1998, Cerutti,
ibid., rv. 210330, che ha confermato la condanna per il reato di cui
all'art. 5, lett. b (ma forse sarebbe stato più corretto ipotizzare la viola
zione della lett. d) emessa a carico di una commerciante che aveva po sto in vendita frutti di mare di vario tipo alterati.
Per un'ipotesi di vendita di latte annacquato in cui è stato ravvisato
l'art. 5, lett. a), 1. 283/62, v. Pret. Trento-Tione di Trento 10 novembre
1995, Foro it., 1997, II, 121, con nota di richiami.
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PARTE SECONDA
ne di garanzia nel senso che non configura alcun vizio di com
mestibilità o di commercialità, ma solo garantisce da parte del
produttore a rivenditori e consumatori la conservazione delle
qualità nutrizionali dell'alimento, che potrebbe non solo essere
consumato oltre tale data, ma non aver perduto alcuna sua
qualità.
Pertanto, non assumono rilievo le non infondate critiche ri
volte da un settore della dottrina ad una nota decisione di que ste sezioni unite (Cass., sez. un., 27 settembre 1995, Timpana
ro, Foro it., 1996, II, 220) circa l'avvenuta equiparazione tra
tmc e data di scadenza per alimenti deperibili, indicata con la
dicitura «da consumarsi entro il . . .» ai fini della configurabili tà del reato previsto dall'art. 5, lett. b), 1. n. 283 del 1962.
La diversa configurazione giuridica del fatto, effettuata dalla
pubblica accusa e condivisa dai giudici di merito, tributaria di minoritaria dottrina, incontra, quindi, già un primo ostacolo
in quanto sostenuto e rilevato in tema di tmc, sicché può non
sussistere una diversità qualitativa del prodotto. Non ignora il collegio una pronuncia di questa corte (Cass.
7 luglio 1994, Timperi, id., 1995, II, 487), emessa, però, in un quadro giurisprudenziale differente rispetto a quello delineato
dalla su riferita decisione delle sezioni unite, secondo la quale, in considerazione del bene giuridico tutelato dal delitto ex art.
515 c.p. e della condotta tipica punita consistente nella conse
gna di una cosa diversa per origine, provenienza, qualità o quan tità da quella oggetto del contratto, indipendentemente dalla
possibilità del compratore di accorgersi con la normale diligen za della difformità tra merce richiesta e consegnata, configura il delitto de quo la consegna di merce priva degli essenziali re
quisiti di freschezza, che attengono alla sua qualità, qual è quella con tmc scaduto, nonostante la confezione rechi l'indicazione
del periodo entro il quale va consumata.
Ed invero, a parte la già rilevata insussistenza dei vizi quali
tativi, non derivante dalla scadenza del tmc, attesa la funzione
di garanzia, nella struttura del delitto previsto dall'art. 515 c.p. uno degli elementi costitutivi è la difformità fra quanto dichia
rato e quanto consegnato, sicché, essendo il tmc adeguatamente indicato in etichetta non può asserirsi consegnata una cosa di
versa da quella pattuita o dichiarata.
Proprio la possibilità di configurare detto delitto nella vendi
ta con il sistema del self service evidenzia come la richiesta non
sia elemento essenziale della fattispecie, giacché gli elementi con
trattuali sono la dichiarazione e la pattuizione e si concludono
con il pagamento del relativo prezzo. Pertanto deve affermarsi che la sola offerta di un prodotto
alimentare con tmc scaduto senza essere accompagnata da al
cun comportamento idoneo a trarre in inganno l'acquirente quale 10 spostamento nel tempo o l'alterazione del termine minimo
di consumazione indicato dal produttore, configurante il delitto
di truffa, non integra il delitto tentato o consumato di frode
in commercio, perché difetta sia l'elemento costitutivo della con
segna di una cosa diversa da quella dichiarata sia perché il tmc
ha una funzione di garanzia e non comporta necessariamente
11 venir meno delle caratteristiche nutrizionali e di freschezza
dell'alimento.
Nella fattispecie contestata, invece, appare configurabile sol
tanto l'illecito amministrativo di cui all'art. 18 d.leg. n. 109
del 1992.
II
Svolgimento del processo. — In seguito a decreto di citazione
emesso dal procuratore della repubblica di Tolmezzo il 15 lu
glio 1997 e regolarmente notificato all'imputato e al difensore, il nominato in oggetto era tratto a giudizio di questo pretore
per rispondere dei reati in rubrica indicati. All'udienza del 7 aprile 1998, svoltasi nella contumacia del
l'imputato, respinta l'eccezione preliminare di incompetenza ter
ritoriale di questo pretore avanzata dalla difesa (cfr. ordinanza
di pari data), è stata esperita l'istruttoria dibattimentale me
diante acquisizione di prove documentali e l'esame del teste Gian
paolo Rossi e, all'esito, pubblico ministero e difesa hanno con
cluso come da verbale.
Motivi della decisione. — Ritiene questo pretore di dover as
solvere l'imputato da entrambi i reati ascrittigli perché il fatto
Il Foro Italiano — 1999.
non sussiste, non emergendo dall'istruttoria dibattimentale pro va certa al riguardo ed emergendo invece concreti elementi
contrari.
L'imputato è accusato della contravvenzione prevista e puni ta dagli art. 5, lett. a), e 6 1. 30 aprile 1962 n. 283 per aver
venduto latte annacquato e del delitto previsto e punito dal
l'art. 515 c.p. per aver venduto al supermercato «Il pellicano» di Tarvisio latte diverso per qualità da quella dichiarata avendo
il prodotto un punto di congelamento (indice crioscopico) non
conforme alla normativa vigente. Parte del fatto risulta pacifico ed accertato in termini di asso
luta certezza dall'istruttoria dibattimentale.
A seguito di un controllo dei Nas in data 19 gennaio 1996
presso il supermercato «Il pellicano» di Tarvisio fu eseguita un'a
nalisi di latte parzialmente scremato Uht Dulco in vendita in
quell'esercizio, prodotto e fornito al supermercato dalla Sterlin
garda alimenti s.p.a. di cui l'odierno imputato è il legale rap
presentante (cfr. verbale di prelevamento di campione). L'anali
si del latte ha evidenziato un indice crioscopico pari a -0,517
superiore di 3 millesimi al limite fissato dalla normativa vigente
pari -0,520. Questo valore sta ad indicare il punto di congelamento del
latte ed è uno dei valori fondamentali per accertare un'eventua
le aggiunta d'acqua nel latte; infatti quanto più il valore si avvi
cina allo 0°C tanto più si può legittimamente supporre che il
latte sia annacquato. Va evidenziato che tutti gli altri valori
rilevanti a tal fine e, in particolare, la percentuale di grasso ed il c.d. «residuo secco magro» risultavano entro i limiti fissati
dalla normativa vigente (cfr. certificato Asl n. 4 Medio Friuli
di data 30 gennaio 1996). A seguito di richiesta della società produttrice del latte venne
eseguito, in data 30 maggio 1996, quando cioè il prodotto era
ampiamente scaduto, un'ulteriore analisi che ha dato un esito
ancora peggiore, essendo risultato l'indice crioscopico pari a
-0,514 (cfr. certificato istituto superiore di sanità). Il teste a discarico Gianpaolo Rossi, direttore tecnico della
Sterlingarda alimenti s.p.a. di Castiglione Stiviere (Mn), ha di chiarato che: l'impresa, oltre ad altri prodotti alimentari, quali succhi di frutta, dolciumi e formaggi, raccoglie circa sei milioni
di litri di latte al giorno, confezionandoli per diversi marchi
commerciali; prima della raccolta vengono fatte delle analisi an
che in riferimento all'indice crioscopico; oltre la metà del latte
raccolto è destinato al trattamento Uht che consiste nel portare il latte ad alte temperature per qualche secondo e ciò viene fatto
con macchinari in regola con le disposizioni vigenti e con proce dure tali da escludere che vi possa essere un contatto e un tra
vaso d'acqua nel latte; all'esito del trattamento vengono esegui te ulteriori analisi, anche in riferimento all'indice crioscopico, non solo dall'impresa produttrice ma anche dalle imprese titola
ri dei marchi commerciali cui il latte prodotto è destinato; tali
analisi, naturalmente, vengono eseguite sempre su campione, ed hanno dato esito sempre positivo, ossia con valore minore
(ossia più lontano dallo zero) al limite vigente di -0,520; il valo
re in questione può subire delle modificazioni in conseguenza delle modalità di conservazione (ad es., a temperature molto
rigide), perché se il latte si congela, anche solo in parte, quando torna allo stato liquido si ha una modifica della struttura con
possibili alterazioni anche del punto di congelamento; un altro
fattore che può influire è il tempo di vita del prodotto, nel
senso che un latte scaduto può subire un innalzamento del pun to di congelamento (ossia più vicino allo zero); l'indice criosco
pico non è l'unico valore rilevante al fine di accertare una pos sibile aggiunta d'acqua nel latte, essendo molto importanti an
che altri valori, quali la percentuale di grasso, il c.d. residuo
secco magro e il peso specifico, tutti valori che nel caso di spe cie erano conformi ai limiti di legge; spesso accade che per il
latte proveniente dall'estero da paesi con limiti meno rigorosi l'indice crioscopico sia superiore al limite vigente in Italia e dun
que il punto di congelamento più vicino allo zero ed allora,
previa certificazione veterinaria, quel latte viene destinato per la produzione di altri prodotti, quali dolciumi o ricotta; dopo la riforma del 1997, di recepimento' di una direttiva Cee, il limi te del -0,520 è stato confermato ma in modo non più assoluto
nel senso che sono ammessi valori anche superiori (più vicini
allo zero) purché gli altri valori sopra indicati siano rispettati.
Queste ultime indicazioni riportate dal teste trovano puntuale
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GIURISPRUDENZA PENALE
rispondenza nell'art. 5 d.p.r. 14 gennaio 1997 n. 54 che stabili
sce testualmente che il latte di vacca deve avere un punto di
congelazione inferiore o uguale a -0,520°C; è tollerato tuttavia
un punto di congelazione superiore a -0,520°C a condizione che
i controlli previsti nell'ali. C, capitolo I, lett. A, punto 3, lett.
b), escludano l'aggiunta di acqua. L'art. 26 d.p.r. cit. poi abro
ga espressamente il d.m. 14 maggio 1988 n. 212 il cui ali. A,
parte III, n. 3) prevedeva il limite del punto di congelamento del -0,520 senza alcun margine di tolleranza.
Infine dalla consulenza tecnica della difesa, a firma del prof. Bruno Battistotti, ordinario di tecnologia lattiero-casearia della
facoltà di agraria dell'università cattolica Sacro cuore di Milano
emerge con chiarezza che: l'indice crioscopico può subire modi
ficazioni in conseguenza della durata del prodotto e dei sistemi
di conservazione; che pur essendo l'indice crioscopico un valore
importante per stabilire la possibile aggiunta d'acqua nel latte
vi sono altri valori rilevanti quali la densità, il contenuto di
grasso, proteine, lattosio, cloruri, nonché il residuo secco-magro come riconosciuto dalla circolare 43809/79 dell'istituto superio re della sanità; che per affermare che un latte sia sicuramente
annacquato occorre un indice crioscopico superiore a -0,500 (ad
es., -0,490); che il superamento del valore vigente di -0,520,
soprattutto se di soli 3 millesimi, può giustificare solamente con
trolli più approfonditi anche perché la metodica ufficiale italia
na ammette un margine di errore nelle analisi pari a sei millesi
mi; che teoricamente un indice crioscopico di -0,517, senza te
ner conto degli altri valori rilevanti, potrebbe corrispondere ad
un'aggiunta d'acqua del tutto insignificante, pari a 0,54%. In ordine alla valutazione delle prove a discarico si deve os
servare che esse non sono state confutate in alcuna maniera
dal p.m., il quale si è limitato a fondare l'ipotesi accusatoria
sulla sola base dei risultati delle analisi compiute e sul supera mento del valore crioscopico vigente, senza fornire alcun ele
mento di valutazione ulteriore, sicché gli elementi di valutazio
ne forniti invece dalla difesa, anche in relazione all'autorevolez
za e competenza che va riconosciuta al consulente tecnico, non
possono venire disattesi.
Tali essendo le risultanze dell'istruttoria dibattimentale emer
ge in tutta evidenza, non solo la mancanza di prova sufficiente
dei fatti contestati, ma addirittura la prova positiva circa la lo
ro insussistenza e ciò soprattutto se si prende come punto di
riferimento le condotte incriminate, ossia l'esatta portata ogget tiva dei reati contestati che definisce con precisione quale debba
essere l'oggetto della prova che l'accusa deve fornire affinché
si possa riconoscere la penale responsabilità dell'imputato. Al riguardo va notato che l'art. 5, lett. a), 1. 283/62 non
punisce affatto chiunque venda latte con indice crioscopico su
periore a quello legale, ma assai più genericamente, chiunque venda (o detenga per la vendita, somministri ai propri dipen denti come mercede, o comunque distribuisca per il consumo) sostanze alimentari private anche in parte dei propri elementi
nutritivi o mescolate a sostanze di qualità inferiore o comunque trattate in modo da variarne la composizione naturale, salvo
quanto disposto da leggi e regolamenti speciali. Certamente, co
me la giurisprudenza non ha mancato di chiarire, nella previsio ne incriminatrice rientra anche il latte annacquato, sia perché
l'acqua è sostanza di qualità inferiore sia perché la sua aggiunta altera la composizione naturale del latte privandolo dei suoi con
tenuti nutritivi. Ma è evidente che, ai fini di una sentenza di
condanna, occorre che si fornisca prova rigorosa che il latte
in questione sia stato effettivamente annacquato; prova rigoro sa che può essere fornita solo in ottemperanza non solo delle
regole previste dalle disposizioni regolamentari vigenti in mate
ria ma anche delle regole scientifiche di analisi generalmente
riconosciute.
Insomma non può essere assunto come oggetto di incrimina
zione, come parrebbe ritenere il pubblico ministero, puramente e semplicemente il superamento, anche minimo, di un valore
previsto dai regolamenti, quando per l'entità del superamento,
la possibile modificabilità in ragione di elementi variabili (mo dalità di conservazione, trattamento, durata, ecc.), le regole scien
tifiche applicabili al caso anche in riferimento ai margini di er rore nella misurazione, la conformità ai limiti di legge di altri
valori, pure rilevanti, l'aggiunta d'acqua deve escludersi. Sul
piano della valutazione della prova poi appare decisiva la misu
ra dell'eventuale aggiunta d'acqua, perché sembra davvero da
escludere che una grande impresa di produzione di latte, quale
Il Foro Italiano — 1999.
deve considerarsi la società di cui l'imputato è legale rappresen tante, possa anche solo immaginare di realizzare un profitto con l'aggiunta d'acqua nella misura, davvero irrisoria, dello
0,54%. In considerazione poi che tutti gli altri parametri rile
vanti erano nei limiti di legge (cfr. risultati analisi del 30 gen naio 1996), del possibile margine di errore nella misurazione
(cfr. consulenza tecnica: sei millesimi), della possibile alterazio
ne in riferimento alla durata del prodotto e delle modalità di
conservazione (cfr. consulenza tecnica), si deve escludere che
il contestato annacquamento si sia in concreto davvero verifica
to. A maggior ragione ove si osservi che il d.p.r. 54/97 impone una valutazione complessiva dei valori rilevanti ai fini di accer
tare l'aggiunta di acqua. Sul punto va solo osservato che la
modifica normativa in parola non pone in alcun modo un pro blema di successione di leggi penali nel tempo a norma dell'art.
2 c.p., adombrato dalla difesa in fase di discussione finale, non
potendosi ritenere che il d.p.r. citato integri la norma incrimi
natrice, limitandosi semplicemente a fissare regole di accerta
mento per verificare l'aggiunta di acqua nel latte, tra l'altro
in ottemperanza a direttive comunitarie e a regole scientifiche
di generale condivisione (cfr. consulenza tecnica). In sostanza
anche sotto la vigenza del d.m. 212/88, oggi abrogato, alla stre
gua delle osservazioni sopra svolte, non si sarebbe potuto desu
mere l'aggiunta d'acqua del latte sulla sola base degli elementi
probatori a carico presenti in questo processo. Venuto meno il reato sub 1) dell'imputazione è evidente che
cade anche la contestazione sub 2), prescindendo dalla corret
tezza della qualificazione giuridica del fatto che appare assai
dubbia (infatti ad ammettere che il latte fosse stato annacquato si sarebbe potuto far questione, sulla sola base di tale elemento, del delitto di cui all'art. 516 c.p., non invece del delitto di cui
all'art. 515 c.p., contestato nel caso di specie).
L'imputato va pertanto mandato assolto da entrambi i reati
ascritti con la formula più ampia, ossia perché il fatto non
sussiste.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 27 gen naio 1998; Pres. Pioletti, Est. Onorato, P.M. Fraticelli
(conci, conf.); P.m. in c. Rizzi. Annulla Trib. Frosinone, ord.
13 maggio 1997.
Sanità pubblica — Rifiuti solidi urbani — Ordinanza contingi bile ed urgente — Sindacato del giudice ordinario (L. 20 mar
zo 1865 n. 2248, ali. E, sul contenzioso amministrativo, art.
5; d.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, attuazione delle direttive
(Cee) n. 75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/403 relativa allo smal
timento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili e n. 78/319
relativa ai rifiuti tossici e nocivi, art. 12; d.leg. 5 febbraio
1997 n. 22, attuazione delle direttive 91/156/Cee sui rifiuti, 91/689/Cee sui rifiuti pericolosi e 94/62/Ce sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio, art. 13).
In tema di smaltimento di rifiuti, ove risulti emessa una ordi
nanza contingibile ed urgente ai sensi dell'art. 13 d.leg. 5 feb braio 1997 n. 22, sussiste per il giudice penale il dovere di
controllare, senza alcuna limitazione, la legittimità della stes
sa al fine di garantire il rispetto del diritto alla salute ed al
l'ambiente che costituiscono i beni tutelati dalle norme penali in materia di rifiuti. (1)
(1-2) Le pronunce che si riportano sono accomunate dal fatto che
in esse è centrale la discussione circa la sindacabilità delle ordinanze
contingibili ed urgenti, anche se la fattispecie in cui tale provvedimento si colloca è diversa.
Infatti, nel caso della sentenza della Cassazione (da cui, per la verità,
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