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sezione III penale; sentenza 23 marzo 1998; Pres. Giammanco, Est. Novarese, P.M. Fraticelli (concl....

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sezione III penale; sentenza 23 marzo 1998; Pres. Giammanco, Est. Novarese, P.M. Fraticelli (concl. diff.); ric. Zagra. Annulla senza rinvio App. Catania 17 marzo 1997 Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 1 (GENNAIO 1999), pp. 11/12-17/18 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23193073 . Accessed: 28/06/2014 19:13 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.55 on Sat, 28 Jun 2014 19:13:26 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione III penale; sentenza 23 marzo 1998; Pres. Giammanco, Est. Novarese, P.M. Fraticelli(concl. diff.); ric. Zagra. Annulla senza rinvio App. Catania 17 marzo 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 1 (GENNAIO 1999), pp. 11/12-17/18Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193073 .

Accessed: 28/06/2014 19:13

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PARTE SECONDA

n. 13; 20 gennaio 1989, Castellani, ibid., voce Antichità, n. 70,

nonché Cass. 10 aprile 1979, Mancinelli, id., 1981, II, 17, che

è esattamente negli stessi termini di Cass. 6 aprile 1976, Catani,

id., Rep. 1977, voce cit., n. 42: secondo queste sentenze do

vrebbe applicarsi solo la 1. n. 1089 del 1939, perché posteriore e anche speciale rispetto alla norma del codice penale.

Ma, ad avviso di questo collegio, la tesi che esclude il concor

so formale dei due reati, ritenendo quello codicistico assorbito

in quello speciale, non è sostenibile. Si deve infatti ricordare

che sia l'applicabilità del principio di abrogazione legislativa ta cita, di cui all'art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale,

sia l'applicabilità del principio di specialità di cui all'art. 15

c.p., presuppongono una comparazione tra fattispecie normati

ve astratte, la quale — se correttamente effettuata — esclude

l'applicazione di entrambi i principi. 3.1. - Più in particolare, il principio di specialità di cui al

l'art. 15 c.p. disciplina il c.d. concorso apparente di norme re

golanti la stessa materia, stabilendo che la norma speciale si

deve applicare al posto di quella più generale. Ma presupposto dell'istituto disciplinato dall'art. 15 è, appunto, che entrambe

le norme configurino la stessa fattispecie penale, anche se una

delle due preveda ulteriori elementi di specialità rispetto all'altra.

Orbene, la contravvenzione di cui alla 1. n. 1089 del 1939

configura un reato di condotta, giacché l'attività di demolire,

rimuovere, modificare o restaurare cose di interesse storico

artistico senza l'autorizzazione del ministero competente, perfe ziona il reato anche ove non produca concretamente una lesio

ne del patrimonio storico-artistico della nazione. Al contrario

la contravvenzione di cui all'art. 733 c.p. configura un reato

di evento, e più esattamente un reato di danno, giacché si perfe ziona solo quando la condotta dell'agente provochi la distruzio

ne, il deterioramento o il danneggiamento di monumenti o altre

cose di pregio rilevante, se dal fatto derivi un nocumento al

patrimonio artistico nazionale (questo ulteriore nocumento al

patrimonio nazionale è stato correttamente inteso come condi

zione di punibilità). È quindi evidente che le due norme disciplinano fattispecie

diverse, che solo in parte coincidono: anche quando si tratti

di cose private notificate come d'interesse storico o artistico ai

sensi degli art. 2, 3, 5 e 12 1. n. 1089, vi sono alcune condotte

(per esempio la rimozione o il restauro senza previa autorizza

zione amministrativa) che integrano il primo reato — perché

sfuggono al previo controllo dell'autorità tutoria — ma non

necessariamente il secondo — perché possono non danneggiare, ma addirittura migliorare, la cosa di interesse artistico. Per con

seguenza esula la sfera di applicabilità del principio di speciali tà. Il che vuol dire che quando una condotta concreta viola

entrambe le disposizioni penali, si configura un concorso for

male di reati ai sensi dell'art. 81 c.p. 3.2. - Tanto meno può sostenersi che la legge speciale, in

quanto posteriore nel tempo, abbia tacitamente derogato alla

norma codicistica, perché il principio lex posterior derogat prio

ri, come disciplinato dall'art. 15 preleggi, presuppone che la

legge successiva sia oggettivamente incompatibile o regoli inte

ramente la materia disciplinata dalla legge precedente. Ma le

considerazioni testé svolte circa la diversità delle fattispecie tipi che in esame dimostrano anche che fra le stesse non esiste in

compatibilità né completa identità di materia.

4. - È invece fondato il secondo motivo di ricorso (n. 2.2).

Infatti, come si desume necessariamente dal tenore letterale

della norma — che individua l'oggetto materiale del reato nella

«cosa propria» — soggetto attivo del reato di cui all'art. 733

c.p. è solo il proprietario della cosa, non il possessore in quanto tale e tanto meno il semplice detentore. Terzi estranei 'alla pro

prietà possono solo concorrere col proprietario alla commissio

ne della contravvenzione; ovvero possono rispondere nei con

grui casi per il delitto di danneggiamento su cosa altrui di cui

all'art. 635 c.p. Questa interpretazione letterale risponde anche

alla ratio esplicita della norma, che — nell'interesse pubblico alla salvaguardia del patrimonio artistico, storico e archeologi co della nazione — ha voluto costituire un vincolo giuridico a carico dei proprietari privati di cose aventi pregio artistico, storico o archeologico, impedendo loro di danneggiarle o dete

riorarle. Come dice la relazione ministeriale sul progetto del

codice penale «in sostanza si ha qui una limitazione, penalmen

II Foro Italiano — 1999.

te sanzionata, al diritto di proprietà, fondata sul concetto della

prevalenza dell'interesse pubblico su quello privato» (II, 519).

In tal senso è la concorde dottrina, nonché la migliore giuris

prudenza di questa corte (Cass. 17 ottobre 1986, Lunari, id.,

Rep. 1988, voce cit., n. 49). Non può invece condividersi quella

giurisprudenza, secondo cui «il soggetto attivo del reato ex art.

733 c.p. può essere rappresentato sia dal proprietario sia dal

possessore o dal detentore, dato che un'interpretazione eccessi

vamente restrittiva del termine 'proprio' paradossalmente esclu

derebbe dalla tutela penale una serie di beni pubblici che in

quanto res communes omnium non possono definirsi strido sensu

'propri' di determinate persone fisiche preposte alla loro effetti

va salvaguardia» (così Cass. 12 maggio 1993, Cinelli, id., Rep.

1994, voce cit., n. 67; sostanzialmente alle stesse conclusioni

arriva Cass. 6 giugno 1988, Fantilli, id., Rep. 1990, voce cit.,

n. 69, succitata). Invero, quest'ultima interpretazione, nel ten

tativo di superare quella puramente letterale, finisce per adotta

re una estensione analogica della fattispecie penale, che è vieta

ta dall'ordinamento giuridico, e che a rigore non è neppure ri

chiesta dalla ragione politica addotta a sostegno, posto che il

danneggiamento di monumenti o cose artistiche di proprietà pub blica non resta affatto privo di tutela penale, potendo essere

sempre perseguito d'ufficio ai sensi dell'art. 635 c.p. Nella fattispecie di causa, il Salogni non era proprietario del

l'arco di Sottocastello, crollato durante le operazioni di restau

ro e consolidamento, ma era semplice rappresentante legale del

la impresa incaricata dei lavori. Come tale non poteva essere

ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 733 c.p. 5. - Gli altri motivi di ricorso (2.3 e 2.4), peraltro non privi

di fondamento, restano assorbiti.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 23 mar

zo 1998; Pres. Giammanco, Est. Novarese, P.M. Fraticelli

(conci, diff.); ric. Zagra. Annulla senza rinvio App. Catania

17 marzo 1997.

Frode in commercio e nelle industrie — Prodotti alimentari con

termine minimo di conservazione scaduto — Vendita — Rea

to — Esclusione (Cod. pen., art. 515; d.leg. 27 gennaio 1992

n. 109, attuazione delle direttive 89/395/Cee e 89/396/Cee, concernenti l'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei

prodotti alimentari, art. 18).

La sola offerta al pubblico di un prodotto alimentare con ter

mine minimo di conservazione scaduto, non accompagnata da comportamenti idonei a trarre in inganno l'acquirente cir

ca la qualità del prodotto stesso (quale lo spostamento ne!

tempo o l'alterazione del termine indicato dal produttore), non integra il delitto tentato o consumato di frode in com

mercio, sia perché it termine minimo di conservazione ha una

mera funzione di garanzia e non comporta necessariamente

il venir meno delle caratteristiche nutrizionali e di freschezza

dell'alimento, sia perché difetta l'elemento costitutivo della

consegna di una cosa diversa da quella dichiarata in quanto il termine minimo di conservazione è adeguatamente indicato

in etichetta. (1)

(1) In senso contrario, v. Cass. 7 luglio 1994, Timperi, Foro it., 1995, II, 487, con nota di richiami e osservazioni di Paone, Frode in com mercio e vendita di merce con termine minimo di conservazione scaduto.

In senso analogo, v., anche, Cass. 21 novembre 1997, Paveglio, Riv.

pen., 1998, 247 (che, tra l'altro, ha puntualizzato che non può rinvenir si nella scadenza del termine minimo di conservazione una non genuini tà naturale, consistente nell'artificiosa alterazione dei prodotti nella lo ro essenza e nella loro composizione normale mediante commistione

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GIURISPRUDENZA PENALE

II

PRETURA DI TOLMEZZO; sentenza 7 aprile 1998; Giud. Dies;

imp. Ferrari.

Alimenti e bevande (igiene e commercio) — Latte annacquato — Vendita — Reato — Esclusione — Fattispecie (Cod. pen., art. 515; 1. 30 aprile 1962 n. 283, disciplina igienica della pro duzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle be

vande, art. 5; d.p.r. 14 gennaio 1997 n. 54, regolamento re

cante attuazione delle direttive 92/46 e 92/47/Cee in materia

di produzione e immissione sul mercato di latte e di prodotti a base di latte, art. 5).

Il superamento del valore dell'indice crioscopico del latte (rap

presentativo del punto di congelamento del prodotto) stabili

to dalle vigenti disposizioni (d.p.r. 54/97) può far ritenere verosimile l'aggiunta di acqua nel latte, ma non è sufficiente a giustificare la condanna per la contravvenzione di cui al

l'art. 5, lett. a), l. 283/62 e per il delitto di cui all'art. 515

c.p. quando, per l'entità minima del superamento di quel va

lore, per la sua possibile modificabilità in ragione di elementi

variabili (ad esempio, modalità di conservazione, trattamen

to, durata), per i margini di errore nella misurazione e per la conformità ai limiti di legge di altri valori, pure rilevanti, si deve ragionevolmente escludere che il latte sia stato effetti vamente annacquato. (2)

di sostanze estranee o sottrazione di principi nutritivi caratteristici, e

neppure una non genuinità formale, che ricorre qualora i prodotti con

tengano sostanze diverse da quelle che la legge prescrive per la loro

composizione). Il delitto di frode in commercio si consuma soltanto con la consegna

materiale della merce all'acquirente, mentre la semplice detenzione e/o

l'esposizione per la vendita con indicazioni mendaci non configura nep pure la forma tentata del reato perché gli atti idonei diretti in modo

non equivoco devono concernere un inizio di contrattazione con acqui rente determinato: in questi termini, Cass. 17 aprile 1996, Billè, Guida al diritto, 1996, fase. 34, 87, che ha ritenuto non configurabile il delitto

in un caso in cui nel listino delle pizze era indicato l'uso della mozzarel

la e nell'esercizio era stata riscontrata la sola presenza di fiordilatte.

Invero, questa statuizione è contrastante con l'orientamento larga mente maggioritario in materia: v., al riguardo, Cass. 13 febbraio 1997, Redini, Foro it., Rep. 1997, voce Frode in commercio, n. 9 (nella spe cie, relativa ad annullamento con rinvio di sentenza con la quale il giu dice di merito aveva escluso nella messa in vendita di pane grattugiato non regolamentare presso la panetteria dell'imputato la configurabilità del tentativo perché mancava un principio di trattativa o di negoziazio ne, la Suprema corte ha osservato che l'errore che inficia simile argo mentazione consiste nel ritenere che la semplice messa in vendita della

merce in un esercizio sia per sé stessa estranea alla fase della trattativa

contrattuale e quindi ancora esterna alla fattispecie penale del tentativo

di frode in commercio); 6 febbraio 1995, Cherubini, id., Rep. 1996, voce cit., n. 2 (relativa al sistema di vendita al pubblico adottato dai

supermercati). Anche con riferimento all'ipotesi degli alimenti surgelati non indicati

come tali nella lista delle vivande, si segnala una recente sentenza che si pone «fuori del coro»: per Cass. 25 febbraio 1998, Ferreri, Riv. pen., 1998, 431, infatti, non integra l'ipotesi del tentativo di frode in com

mercio la semplice detenzione da parte di un ristoratore, non correlata da altri elementi circostanziali, di prodotti alimentari congelati o surge lati, poiché difetta il requisito della univocità degli atti mancando un

inìzio di contrattazione con un acquirente determinato.

Per integrare la fattispecie di cui all'art. 515 c.p. non occorre che

la cosa sostituita sia contrassegnata da un marchio (emblema o denomi

nazione) o sia altrimenti tutelata da legge speciale, non occorre, cioè, oltre alla divergenza tra cosa consegnata e cosa pattuita, che quest'ulti ma sia tutelata per la sua provenienza, origine o qualità tipica: sul pun

to, v. Cass. 18 marzo 1997, Stopponi, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 7 (nella specie, da parte di un cliente era stato chiesto formaggio «Emmental» e l'esercente aveva consegnato invece il diverso formaggio «Seland»: la Suprema corte ha ritenuto realizzata la consegna di aliud

pro alio considerando rilevante il fatto che il formaggio consegnato era diverso per qualità da quello richiesto perché l'Emmental, svizzero, francese o tedesco che sia, o groviera è tipico formaggio a pasta dura, mentre il Seland è formaggio a pasta tenera).

In materia di produzione di vini a denominazione di origine control

lata, Cass. 5 marzo 1997, Solaro, ibid., n. 6, ha sostenuto che può essere legittimamente contestata la violazione dell'art. 515 c.p. nel caso

Il Foro Italiano — 1999.

I

Svolgimento del processo. — Zagra Silvana ha proposto ri

corso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello di Catania, emessa in data 17 marzo 1997, con la quale veniva

condannata per il delitto tentato di frode in commercio per aver

commesso atti idonei diretti in modo non equivoco, consistenti

nel vendere al pubblico una cassetta di polpi congelati, con ter

mine minimo di scadenza superato, a smerciare prodotti ali

mentari aventi qualità inferiore a quella dichiarata o pattuita,

perché con termine minimo di conservazione (tmc) scaduto, de

ducendo quali motivi l'inosservanza e l'erronea applicazione della

legge penale, in quanto non era configurabile il reato contesta

to, giacché non è esatta l'equiparazione tra prodotto scaduto

e quello in cattivo stato di conservazione ovvero diverso per

qualità, la mancanza ed illogicità di motivazione al riguardo

e, comunque, l'omessa applicazione del 2° comma dell'art. 530

c.p.p. in assenza di qualsivoglia altro indizio tranne quello del

tmc scaduto.

Motivi della decisione. — Il ricorso appare fondato, sicché

l'impugnata sentenza deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

Ed invero, in punto di fatto è pacifico che trattasi di prodotti con tmc scaduto, caratterizzato dalla dicitura «da consumarsi

preferibilmente entro il. . .», sicché, secondo la quasi unanime

dottrina e giurisprudenza, detta indicazione concerne un termi

in cui venga commercializzato vino prodotto in quantità superiore a

quella fissata dal disciplinare di produzione giacché siffatta produzione non è utilizzabile ai fini della denominazione di origine controllata, in

dipendentemente dalle cause che hanno determinato l'eccedenza. In materia di preparazione e commercio dei mangimi, Cass. 3 dicem

bre 1997, Abbate, Ced Cass., rv. 209807, ha ritenuto configurabile il concorso reale tra l'art. 22, 1° comma, 1. 281/63 e l'art. 515 c.p., in

quanto i beni giuridici tutelati non soltanto non sono identici (la garan zia della qualità dei prodotti venduti, nel primo caso; la tutela della correttezza e lealtà commerciale, nel secondo), ma neppure omogenei e non può perciò trovare applicazione il principio di specialità fissato dall'art. 9, 1° comma, 1. 689/81.

In dottrina, da ultimo, v. Giraldi, Frodi industriali e commerciali:

problematiche attuali e recenti orietamenti giurisprudenziali, in Riv. trim, dir. pen. economia, 1996, 215; in generale, v. Conti, Frode in commer cio e altri attentati alla fiducia commerciale, voce del Digesto pen., Torino, 1991, V, 313.

(2) La sentenza in epigrafe da un lato evidenzia che il superamento dei vari parametri di genuinità fissati da regolamenti e/o circolari mini

steriali è solo un indizio della sussistenza della contravvenzione prevista dall'art. 5, lett. a), 1. n. 283 e dall'altro lato sottolinea che occorre

acquisire sempre la prova rigorosa dell'effettiva manipolazione e/o al terazione del prodotto alimentare (sembra qui di riecheggiare quanto sostenuto da Cass., sez. un., 27 settembre 1995, Timpanaro, Foro it.,

1996, II, 220). Secondo Cass. 13 novembre 1997, Andergassen, Ced Cass., rv. 209724,

in un caso in cui era stato contestato l'art. 5, lett. d) (impiego, nella

preparazione di patatine fritte, di olio di palma per frittura contenente una quantità di sostanze polari pari al trentacinque per cento, superiore al limite massimo del venticinque per cento, indicato in una circolare del ministero della sanità, e perciò in stato di alterazione o comunque nocivo), correttamente il giudice di merito aveva ricavato la prova del l'alterazione dell'olio usato per la frittura facendo riferimento sia a no zioni di comune esperienza, sia al risultato delle analisi. La stessa sen tenza precisa che le eventuali indicazioni contenute in circolari del mini

stero della sanità costituiscono solo un parametro scientificamente valido al quale ancorare il giudizio e non già un necessario completamento della norma incriminatrice che pertanto non può essere considerata norma

penale in bianco.

In un caso analogo, Cass. 4 dicembre 1997, Antonioli, ibid., rv. 209874, ha ribadito che era corretto riferirsi ai parametri contenuti nella circola

re ministeriale, ma ha ritenuto di qualificare il fatto nel senso di ravvi

sare la contravvenzione di cui all'art. 5, lett. b), anziché d). In argomento, va segnalata anche Cass. 27 gennaio 1998, Cerutti,

ibid., rv. 210330, che ha confermato la condanna per il reato di cui

all'art. 5, lett. b (ma forse sarebbe stato più corretto ipotizzare la viola

zione della lett. d) emessa a carico di una commerciante che aveva po sto in vendita frutti di mare di vario tipo alterati.

Per un'ipotesi di vendita di latte annacquato in cui è stato ravvisato

l'art. 5, lett. a), 1. 283/62, v. Pret. Trento-Tione di Trento 10 novembre

1995, Foro it., 1997, II, 121, con nota di richiami.

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PARTE SECONDA

ne di garanzia nel senso che non configura alcun vizio di com

mestibilità o di commercialità, ma solo garantisce da parte del

produttore a rivenditori e consumatori la conservazione delle

qualità nutrizionali dell'alimento, che potrebbe non solo essere

consumato oltre tale data, ma non aver perduto alcuna sua

qualità.

Pertanto, non assumono rilievo le non infondate critiche ri

volte da un settore della dottrina ad una nota decisione di que ste sezioni unite (Cass., sez. un., 27 settembre 1995, Timpana

ro, Foro it., 1996, II, 220) circa l'avvenuta equiparazione tra

tmc e data di scadenza per alimenti deperibili, indicata con la

dicitura «da consumarsi entro il . . .» ai fini della configurabili tà del reato previsto dall'art. 5, lett. b), 1. n. 283 del 1962.

La diversa configurazione giuridica del fatto, effettuata dalla

pubblica accusa e condivisa dai giudici di merito, tributaria di minoritaria dottrina, incontra, quindi, già un primo ostacolo

in quanto sostenuto e rilevato in tema di tmc, sicché può non

sussistere una diversità qualitativa del prodotto. Non ignora il collegio una pronuncia di questa corte (Cass.

7 luglio 1994, Timperi, id., 1995, II, 487), emessa, però, in un quadro giurisprudenziale differente rispetto a quello delineato

dalla su riferita decisione delle sezioni unite, secondo la quale, in considerazione del bene giuridico tutelato dal delitto ex art.

515 c.p. e della condotta tipica punita consistente nella conse

gna di una cosa diversa per origine, provenienza, qualità o quan tità da quella oggetto del contratto, indipendentemente dalla

possibilità del compratore di accorgersi con la normale diligen za della difformità tra merce richiesta e consegnata, configura il delitto de quo la consegna di merce priva degli essenziali re

quisiti di freschezza, che attengono alla sua qualità, qual è quella con tmc scaduto, nonostante la confezione rechi l'indicazione

del periodo entro il quale va consumata.

Ed invero, a parte la già rilevata insussistenza dei vizi quali

tativi, non derivante dalla scadenza del tmc, attesa la funzione

di garanzia, nella struttura del delitto previsto dall'art. 515 c.p. uno degli elementi costitutivi è la difformità fra quanto dichia

rato e quanto consegnato, sicché, essendo il tmc adeguatamente indicato in etichetta non può asserirsi consegnata una cosa di

versa da quella pattuita o dichiarata.

Proprio la possibilità di configurare detto delitto nella vendi

ta con il sistema del self service evidenzia come la richiesta non

sia elemento essenziale della fattispecie, giacché gli elementi con

trattuali sono la dichiarazione e la pattuizione e si concludono

con il pagamento del relativo prezzo. Pertanto deve affermarsi che la sola offerta di un prodotto

alimentare con tmc scaduto senza essere accompagnata da al

cun comportamento idoneo a trarre in inganno l'acquirente quale 10 spostamento nel tempo o l'alterazione del termine minimo

di consumazione indicato dal produttore, configurante il delitto

di truffa, non integra il delitto tentato o consumato di frode

in commercio, perché difetta sia l'elemento costitutivo della con

segna di una cosa diversa da quella dichiarata sia perché il tmc

ha una funzione di garanzia e non comporta necessariamente

11 venir meno delle caratteristiche nutrizionali e di freschezza

dell'alimento.

Nella fattispecie contestata, invece, appare configurabile sol

tanto l'illecito amministrativo di cui all'art. 18 d.leg. n. 109

del 1992.

II

Svolgimento del processo. — In seguito a decreto di citazione

emesso dal procuratore della repubblica di Tolmezzo il 15 lu

glio 1997 e regolarmente notificato all'imputato e al difensore, il nominato in oggetto era tratto a giudizio di questo pretore

per rispondere dei reati in rubrica indicati. All'udienza del 7 aprile 1998, svoltasi nella contumacia del

l'imputato, respinta l'eccezione preliminare di incompetenza ter

ritoriale di questo pretore avanzata dalla difesa (cfr. ordinanza

di pari data), è stata esperita l'istruttoria dibattimentale me

diante acquisizione di prove documentali e l'esame del teste Gian

paolo Rossi e, all'esito, pubblico ministero e difesa hanno con

cluso come da verbale.

Motivi della decisione. — Ritiene questo pretore di dover as

solvere l'imputato da entrambi i reati ascrittigli perché il fatto

Il Foro Italiano — 1999.

non sussiste, non emergendo dall'istruttoria dibattimentale pro va certa al riguardo ed emergendo invece concreti elementi

contrari.

L'imputato è accusato della contravvenzione prevista e puni ta dagli art. 5, lett. a), e 6 1. 30 aprile 1962 n. 283 per aver

venduto latte annacquato e del delitto previsto e punito dal

l'art. 515 c.p. per aver venduto al supermercato «Il pellicano» di Tarvisio latte diverso per qualità da quella dichiarata avendo

il prodotto un punto di congelamento (indice crioscopico) non

conforme alla normativa vigente. Parte del fatto risulta pacifico ed accertato in termini di asso

luta certezza dall'istruttoria dibattimentale.

A seguito di un controllo dei Nas in data 19 gennaio 1996

presso il supermercato «Il pellicano» di Tarvisio fu eseguita un'a

nalisi di latte parzialmente scremato Uht Dulco in vendita in

quell'esercizio, prodotto e fornito al supermercato dalla Sterlin

garda alimenti s.p.a. di cui l'odierno imputato è il legale rap

presentante (cfr. verbale di prelevamento di campione). L'anali

si del latte ha evidenziato un indice crioscopico pari a -0,517

superiore di 3 millesimi al limite fissato dalla normativa vigente

pari -0,520. Questo valore sta ad indicare il punto di congelamento del

latte ed è uno dei valori fondamentali per accertare un'eventua

le aggiunta d'acqua nel latte; infatti quanto più il valore si avvi

cina allo 0°C tanto più si può legittimamente supporre che il

latte sia annacquato. Va evidenziato che tutti gli altri valori

rilevanti a tal fine e, in particolare, la percentuale di grasso ed il c.d. «residuo secco magro» risultavano entro i limiti fissati

dalla normativa vigente (cfr. certificato Asl n. 4 Medio Friuli

di data 30 gennaio 1996). A seguito di richiesta della società produttrice del latte venne

eseguito, in data 30 maggio 1996, quando cioè il prodotto era

ampiamente scaduto, un'ulteriore analisi che ha dato un esito

ancora peggiore, essendo risultato l'indice crioscopico pari a

-0,514 (cfr. certificato istituto superiore di sanità). Il teste a discarico Gianpaolo Rossi, direttore tecnico della

Sterlingarda alimenti s.p.a. di Castiglione Stiviere (Mn), ha di chiarato che: l'impresa, oltre ad altri prodotti alimentari, quali succhi di frutta, dolciumi e formaggi, raccoglie circa sei milioni

di litri di latte al giorno, confezionandoli per diversi marchi

commerciali; prima della raccolta vengono fatte delle analisi an

che in riferimento all'indice crioscopico; oltre la metà del latte

raccolto è destinato al trattamento Uht che consiste nel portare il latte ad alte temperature per qualche secondo e ciò viene fatto

con macchinari in regola con le disposizioni vigenti e con proce dure tali da escludere che vi possa essere un contatto e un tra

vaso d'acqua nel latte; all'esito del trattamento vengono esegui te ulteriori analisi, anche in riferimento all'indice crioscopico, non solo dall'impresa produttrice ma anche dalle imprese titola

ri dei marchi commerciali cui il latte prodotto è destinato; tali

analisi, naturalmente, vengono eseguite sempre su campione, ed hanno dato esito sempre positivo, ossia con valore minore

(ossia più lontano dallo zero) al limite vigente di -0,520; il valo

re in questione può subire delle modificazioni in conseguenza delle modalità di conservazione (ad es., a temperature molto

rigide), perché se il latte si congela, anche solo in parte, quando torna allo stato liquido si ha una modifica della struttura con

possibili alterazioni anche del punto di congelamento; un altro

fattore che può influire è il tempo di vita del prodotto, nel

senso che un latte scaduto può subire un innalzamento del pun to di congelamento (ossia più vicino allo zero); l'indice criosco

pico non è l'unico valore rilevante al fine di accertare una pos sibile aggiunta d'acqua nel latte, essendo molto importanti an

che altri valori, quali la percentuale di grasso, il c.d. residuo

secco magro e il peso specifico, tutti valori che nel caso di spe cie erano conformi ai limiti di legge; spesso accade che per il

latte proveniente dall'estero da paesi con limiti meno rigorosi l'indice crioscopico sia superiore al limite vigente in Italia e dun

que il punto di congelamento più vicino allo zero ed allora,

previa certificazione veterinaria, quel latte viene destinato per la produzione di altri prodotti, quali dolciumi o ricotta; dopo la riforma del 1997, di recepimento' di una direttiva Cee, il limi te del -0,520 è stato confermato ma in modo non più assoluto

nel senso che sono ammessi valori anche superiori (più vicini

allo zero) purché gli altri valori sopra indicati siano rispettati.

Queste ultime indicazioni riportate dal teste trovano puntuale

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Page 5: sezione III penale; sentenza 23 marzo 1998; Pres. Giammanco, Est. Novarese, P.M. Fraticelli (concl. diff.); ric. Zagra. Annulla senza rinvio App. Catania 17 marzo 1997

GIURISPRUDENZA PENALE

rispondenza nell'art. 5 d.p.r. 14 gennaio 1997 n. 54 che stabili

sce testualmente che il latte di vacca deve avere un punto di

congelazione inferiore o uguale a -0,520°C; è tollerato tuttavia

un punto di congelazione superiore a -0,520°C a condizione che

i controlli previsti nell'ali. C, capitolo I, lett. A, punto 3, lett.

b), escludano l'aggiunta di acqua. L'art. 26 d.p.r. cit. poi abro

ga espressamente il d.m. 14 maggio 1988 n. 212 il cui ali. A,

parte III, n. 3) prevedeva il limite del punto di congelamento del -0,520 senza alcun margine di tolleranza.

Infine dalla consulenza tecnica della difesa, a firma del prof. Bruno Battistotti, ordinario di tecnologia lattiero-casearia della

facoltà di agraria dell'università cattolica Sacro cuore di Milano

emerge con chiarezza che: l'indice crioscopico può subire modi

ficazioni in conseguenza della durata del prodotto e dei sistemi

di conservazione; che pur essendo l'indice crioscopico un valore

importante per stabilire la possibile aggiunta d'acqua nel latte

vi sono altri valori rilevanti quali la densità, il contenuto di

grasso, proteine, lattosio, cloruri, nonché il residuo secco-magro come riconosciuto dalla circolare 43809/79 dell'istituto superio re della sanità; che per affermare che un latte sia sicuramente

annacquato occorre un indice crioscopico superiore a -0,500 (ad

es., -0,490); che il superamento del valore vigente di -0,520,

soprattutto se di soli 3 millesimi, può giustificare solamente con

trolli più approfonditi anche perché la metodica ufficiale italia

na ammette un margine di errore nelle analisi pari a sei millesi

mi; che teoricamente un indice crioscopico di -0,517, senza te

ner conto degli altri valori rilevanti, potrebbe corrispondere ad

un'aggiunta d'acqua del tutto insignificante, pari a 0,54%. In ordine alla valutazione delle prove a discarico si deve os

servare che esse non sono state confutate in alcuna maniera

dal p.m., il quale si è limitato a fondare l'ipotesi accusatoria

sulla sola base dei risultati delle analisi compiute e sul supera mento del valore crioscopico vigente, senza fornire alcun ele

mento di valutazione ulteriore, sicché gli elementi di valutazio

ne forniti invece dalla difesa, anche in relazione all'autorevolez

za e competenza che va riconosciuta al consulente tecnico, non

possono venire disattesi.

Tali essendo le risultanze dell'istruttoria dibattimentale emer

ge in tutta evidenza, non solo la mancanza di prova sufficiente

dei fatti contestati, ma addirittura la prova positiva circa la lo

ro insussistenza e ciò soprattutto se si prende come punto di

riferimento le condotte incriminate, ossia l'esatta portata ogget tiva dei reati contestati che definisce con precisione quale debba

essere l'oggetto della prova che l'accusa deve fornire affinché

si possa riconoscere la penale responsabilità dell'imputato. Al riguardo va notato che l'art. 5, lett. a), 1. 283/62 non

punisce affatto chiunque venda latte con indice crioscopico su

periore a quello legale, ma assai più genericamente, chiunque venda (o detenga per la vendita, somministri ai propri dipen denti come mercede, o comunque distribuisca per il consumo) sostanze alimentari private anche in parte dei propri elementi

nutritivi o mescolate a sostanze di qualità inferiore o comunque trattate in modo da variarne la composizione naturale, salvo

quanto disposto da leggi e regolamenti speciali. Certamente, co

me la giurisprudenza non ha mancato di chiarire, nella previsio ne incriminatrice rientra anche il latte annacquato, sia perché

l'acqua è sostanza di qualità inferiore sia perché la sua aggiunta altera la composizione naturale del latte privandolo dei suoi con

tenuti nutritivi. Ma è evidente che, ai fini di una sentenza di

condanna, occorre che si fornisca prova rigorosa che il latte

in questione sia stato effettivamente annacquato; prova rigoro sa che può essere fornita solo in ottemperanza non solo delle

regole previste dalle disposizioni regolamentari vigenti in mate

ria ma anche delle regole scientifiche di analisi generalmente

riconosciute.

Insomma non può essere assunto come oggetto di incrimina

zione, come parrebbe ritenere il pubblico ministero, puramente e semplicemente il superamento, anche minimo, di un valore

previsto dai regolamenti, quando per l'entità del superamento,

la possibile modificabilità in ragione di elementi variabili (mo dalità di conservazione, trattamento, durata, ecc.), le regole scien

tifiche applicabili al caso anche in riferimento ai margini di er rore nella misurazione, la conformità ai limiti di legge di altri

valori, pure rilevanti, l'aggiunta d'acqua deve escludersi. Sul

piano della valutazione della prova poi appare decisiva la misu

ra dell'eventuale aggiunta d'acqua, perché sembra davvero da

escludere che una grande impresa di produzione di latte, quale

Il Foro Italiano — 1999.

deve considerarsi la società di cui l'imputato è legale rappresen tante, possa anche solo immaginare di realizzare un profitto con l'aggiunta d'acqua nella misura, davvero irrisoria, dello

0,54%. In considerazione poi che tutti gli altri parametri rile

vanti erano nei limiti di legge (cfr. risultati analisi del 30 gen naio 1996), del possibile margine di errore nella misurazione

(cfr. consulenza tecnica: sei millesimi), della possibile alterazio

ne in riferimento alla durata del prodotto e delle modalità di

conservazione (cfr. consulenza tecnica), si deve escludere che

il contestato annacquamento si sia in concreto davvero verifica

to. A maggior ragione ove si osservi che il d.p.r. 54/97 impone una valutazione complessiva dei valori rilevanti ai fini di accer

tare l'aggiunta di acqua. Sul punto va solo osservato che la

modifica normativa in parola non pone in alcun modo un pro blema di successione di leggi penali nel tempo a norma dell'art.

2 c.p., adombrato dalla difesa in fase di discussione finale, non

potendosi ritenere che il d.p.r. citato integri la norma incrimi

natrice, limitandosi semplicemente a fissare regole di accerta

mento per verificare l'aggiunta di acqua nel latte, tra l'altro

in ottemperanza a direttive comunitarie e a regole scientifiche

di generale condivisione (cfr. consulenza tecnica). In sostanza

anche sotto la vigenza del d.m. 212/88, oggi abrogato, alla stre

gua delle osservazioni sopra svolte, non si sarebbe potuto desu

mere l'aggiunta d'acqua del latte sulla sola base degli elementi

probatori a carico presenti in questo processo. Venuto meno il reato sub 1) dell'imputazione è evidente che

cade anche la contestazione sub 2), prescindendo dalla corret

tezza della qualificazione giuridica del fatto che appare assai

dubbia (infatti ad ammettere che il latte fosse stato annacquato si sarebbe potuto far questione, sulla sola base di tale elemento, del delitto di cui all'art. 516 c.p., non invece del delitto di cui

all'art. 515 c.p., contestato nel caso di specie).

L'imputato va pertanto mandato assolto da entrambi i reati

ascritti con la formula più ampia, ossia perché il fatto non

sussiste.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 27 gen naio 1998; Pres. Pioletti, Est. Onorato, P.M. Fraticelli

(conci, conf.); P.m. in c. Rizzi. Annulla Trib. Frosinone, ord.

13 maggio 1997.

Sanità pubblica — Rifiuti solidi urbani — Ordinanza contingi bile ed urgente — Sindacato del giudice ordinario (L. 20 mar

zo 1865 n. 2248, ali. E, sul contenzioso amministrativo, art.

5; d.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, attuazione delle direttive

(Cee) n. 75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/403 relativa allo smal

timento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili e n. 78/319

relativa ai rifiuti tossici e nocivi, art. 12; d.leg. 5 febbraio

1997 n. 22, attuazione delle direttive 91/156/Cee sui rifiuti, 91/689/Cee sui rifiuti pericolosi e 94/62/Ce sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio, art. 13).

In tema di smaltimento di rifiuti, ove risulti emessa una ordi

nanza contingibile ed urgente ai sensi dell'art. 13 d.leg. 5 feb braio 1997 n. 22, sussiste per il giudice penale il dovere di

controllare, senza alcuna limitazione, la legittimità della stes

sa al fine di garantire il rispetto del diritto alla salute ed al

l'ambiente che costituiscono i beni tutelati dalle norme penali in materia di rifiuti. (1)

(1-2) Le pronunce che si riportano sono accomunate dal fatto che

in esse è centrale la discussione circa la sindacabilità delle ordinanze

contingibili ed urgenti, anche se la fattispecie in cui tale provvedimento si colloca è diversa.

Infatti, nel caso della sentenza della Cassazione (da cui, per la verità,

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