sezione III penale; sentenza 25 novembre 2004; Pres. Postiglione, Est. Petti, P.M. Meloni (concl.conf.); ric. Proc. gen. App. Ancona in c. Servidei. Annulla senza rinvio Trib. Urbino 27 maggio2004Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 3 (MARZO 2005), pp. 145/146-151/152Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200250 .
Accessed: 25/06/2014 09:53
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 185.2.32.60 on Wed, 25 Jun 2014 09:53:11 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA PENALE
ciale, oltre che alle figure che presentano aspetti di più costante
e assidua continuità nel concreto esercizio delle funzioni (come, in particolare, i giudici di pace, i componenti laici degli organi giudiziari minorili e delle sezioni agrarie e i giudici onorari ag gregati, nonché, in precedenza, i conciliatori, su cui v. in parti colare Cass. 24 ottobre 1994, Jovino, id., Rep. 1995, voce Com
petenza penale, n. 102), va riconosciuta anche a quelle che, in
dipendentemente dal più flessibile atteggiarsi di questo (in rela
zione alle contingenti situazioni degli uffici e alle scelte dei ri
spettivi preposti), si caratterizzano comunque per la formale du
revolezza dell'incarico in un plesso giudiziario definito: tali so
no, oltre ai (pregressi) vice pretori, i giudici onorari di tribunale
(figura che nel sistema ha sostituito quella del vice pretore e che
si caratterizza per la triennalità e confermabilità dell'incarico) e
(per l'applicabilità delle stesse regole dei giudici onorari di tri bunale) i vice procuratori onorari. Rispetto ai quali ultimi non è
inutile notare che le sopra ricordate pronunce di Cass. 30 giugno
1999, Daccò, cit., e 21 febbraio 2000, Siracusano, cit., che si ri
fanno ai criteri della sentenza Bilotta, valorizzano erroneamente
in senso negativo proprio la temporaneità ed episodicità delle
funzioni riferite alla circostanza — irrilevante, secondo quanto
sopra osservato — del loro concreto esercizio sulla base di
«deleghe». Dalla disciplina speciale restano quindi fuori solo i giudici
popolari di corte d'assise e di corte d'assise d'appello, che, de
signati per sorteggio, espletano un incarico meramente interi
nale, espressione non dell'ausilio istituzionale previsto dal 2°
comma dell'art. 106 Cost., bensì del principio di partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia, di cui al
l'ultimo comma dell'art. 102 Cost.
Non sembra invece neppure rientrare nella problematica in
esame, in quanto non dà luogo a un'autonoma identificabile fi
gura di magistrato onorario — e ha comunque palesemente ca
rattere episodico, sicuramente preclusivo dell'applicabilità della
disciplina de qua —
l'espletamento, in sé considerato, delle
funzioni di p.m. nelle udienze dibattimentali tenute (già) dal
pretore e (ora) dal tribunale in composizione monocratica.
Alla stregua di quanto sopra, l'impugnata sentenza e quella
pronunciata il 23 novembre 1999 dal Tribunale di Torino, se
zione distaccata di Ciriè, devono essere annullate senza rinvio e
gli atti devono essere trasmessi per l'ulteriore corso al p.m.
presso il Tribunale di Milano, competente alla stregua del crite
rio originariamente previsto nella norma citata, applicabile ai
procedimenti relativi ai reati commessi anteriormente all'entrata
in vigore della 1. 420/98, in forza del 1° comma dell'art. 8 di
tale legge (per coincidenza, peraltro, la competenza sarebbe
comunque la stessa anche alla stregua del criterio tabellare in
trodotto da tale normativa).
Il Foro Italiano — 2005.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 25
novembre 2004; Pres. Postiglione, Est. Petti, P.M. Meloni
(conci, conf.); ric. Proc. gen. App. Ancona in c. Servidei. An
nulla senza rinvio Trib. Urbino 27 maggio 2004.
Lavoro (collocamento e mobilità della mano d'opera) — In
terposizione illecita di mano d'opera — Somministrazione
di mano d'opera — «Abolitio criminis» — Esclusione (Cod. pen., art. 2; 1. 23 ottobre 1960 n. 1369, divieto di inter mediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro e
nuova disciplina dell'impiego di mano d'opera negli appalti di opere e di servizi, art. 1, 2; d.leg. 10 settembre 2003 n. 276, attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato
del lavoro, di cui alla 1. 14 febbraio 2003 n. 30, art. 18).
Posto che il d.leg. n. 276 del 2003 non ha determinato /'abolitio
criminis della fattispecie di reato prevista dall'art. 1 l. n.
1369 del 1960 e sanzionata dall'art. 2 di detta legge, com
mette il reato punito dall'art. 18 d.leg. cit. il soggetto non
autorizzato il quale fornisca mano d'opera senza organizzar ne il lavoro e senza assumere il rischio d'impresa. (1)
(1)1.- Secondo la pronuncia in epigrafe vi è continuità normativa tra la somministrazione di lavoro introdotta dal d.leg. n. 276 del 2003 e la
fornitura di mere prestazioni di lavoro vietata dall'art. 1 e penalmente sanzionata dall'art. 2 1. n. 1369 del 1960. Il d.leg. 276/03 ha introdotto un elemento specializzante in senso lato, ossia per aggiunta, della fatti
specie, consistente nella mancanza di autorizzazione del soggetto che fornisca la manodopera. La somministrazione non autorizzata penal mente rilevante ai sensi dell'art. 18 d.leg. 276/03 corrisponderebbe al
l'interposizione illecita di manodopera già sanzionata dall'art. 2 1.
1369/60 e poi consentita, sotto forma di fornitura di lavoro temporaneo, nel rispetto di determinati limiti ed alle sole imprese autorizzate, dalla 1.
24 giugno 1997 n. 196. L'art. 85, 1° comma, lett. c), d.leg. n. 276 del 2003 ha previsto
l'abrogazione della 1. n. 1369 del 1960; secondo la Cassazione, dunque, si tratterebbe di un fenomeno di abolitio sine abrogatone, che com
porta l'applicazione del 3° e non del 2° comma dell'art. 2 c.p. In termini, Cass. 20 dicembre 2004, Infante; 24 febbraio 2004, Guer
ra; 29 gennaio 2004, Paganoni, e 11 novembre 2003, Marinig, inedite; sulla permanente antigiuridicità dei fatti penalmente vietati dalla 1.
1369/60, cfr., in motivazione, Cass. 18 agosto 2004, n. 16146, Foro it., 2004,1, 2994.
Si profila, peraltro, un'opinione diversa della giurisprudenza di me
rito, che ravvisa l'abolizione, ad opera dell'art. 85 d.leg. 276/03, delle
contravvenzioni già previste dagli art. 1 e 2 1. n. 1369 del 1960, esclu
dendo la successione normativa per la diversità degli elementi costitu tivi delle fattispecie: Trib. Ferrara 24 dicembre 2003, Guida al dir., 2004, fase. 7, 84; Trib. Arezzo 14 novembre 2003, Dir. e pratica lav.,
2003, 665; Trib. Ferrara 4 novembre 2003, ibid., 519. In dottrina, sostiene che il d.leg. 276/03 abbia determinato un'inver
sione dei principi sottesi alla 1. n. 1369 del 1960, ammettendo di regola la somministrazione, purché debitamente autorizzata, L. Iero, Il nuovo
apparato sanzionatorio in materia di mercato del lavoro, in Lavoro
giur., 2004, 1223; in tal senso anche A. Miscione, Appalto di manodo
pera dopo il d.leg. 276/03: non punibilità del divieto, in Dir. e pratica lav., 2004, 515.
II. - Sulla continuità normativa tra la somministrazione di manodope ra e la disciplina del lavoro interinale (già) apprestata dalla 1. 196/97, cfr. Cass. 18 agosto 2004, n. 16146, cit.. nonché, da ultimo, Cass. 29
gennaio 2004, Paganoni, cit. Sul lavoro interinale, v. Cass. 27 febbraio 2003, n. 3020, id., 2003, I,
1029, con nota di richiami ed osservazioni di A.M. Perrino. III. - Un nuovo apparato sanzionatorio, anche per i profili in questio
ne, è stato contemplato dal d.leg. 6 ottobre 2004 n. 251, correttivo del
d.leg. 276/03, che ha introdotto il comma 5 bis dell'art. 18 d.leg. 276/03.
In dottrina, sul decreto 251/04, v. M. Miscione, Il «correttivo» 2004 del d.leg. 10 settembre 2003 n. 276, in Lavoro giur., 2004, 621; L. Ie
ro, Il nuovo apparato sanzionatorio in materia di mercato del lavoro, cit.
IV. - Sulla natura permanente del reato previsto dalla 1. 1369/60, cfr.
Cass. 23 marzo 2001, Grandinetti, Foro it., Rep. 2001, voce Lavoro
(rapporto), n. 635. V. - Sulla necessità di comparazione in concreto, in caso di succes
sione delle leggi penali nel tempo, ai fini dell'individuazione della di
sposizione più favorevole al reo, cfr. Cass. 2 ottobre 2003, Fittipaldi, Ced Cass., rv. 226475.
Da ultimo, sulla disciplina dell'art. 2 c.p., in ipotesi di modifica di
disposizione integratrice della norma penale, Cass. 2 dicembre 2003,
Stellacelo, Foro it., 2004, II, 275.
This content downloaded from 185.2.32.60 on Wed, 25 Jun 2014 09:53:11 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
PARTE SECONDA
Fatto. — Con sentenza del 27 maggio 2004, il Tribunale di
Urbino, in composizione monocratica, assolveva Paolini Enzo e
Servidei Luca, dai reati loro ascritti, rispettivamente con la for
mula perché il fatto non sussiste e perché il fatto non è più pre visto dalla legge come reato. Al Paolini si era addebitato il de
litto di lesioni colpose in danno del dipendente Santucci Ernesto
mentre al Servidei quello di cui agli art. 1 e 2 1. 23 ottobre 1960
n. 1369 perché, nella qualità di legale rappresentante della so
cietà cooperativa a r.l. Under Pressure, aveva ricevuto in appalto dalla ditta Lav Fer s.r.l. dei fratelli Paolini & C. l'esecuzione di
mere prestazioni di lavoro, mediante l'impiego di manodopera da parte di ventidue soci lavoratori analiticamente indicati nel
capo d'imputazione. Fatto commesso in Acqualonga fino al me
se di settembre del 2001.
Il tribunale a fondamento della decisione osservava, per
quanto riguardava il delitto di lesioni colpose, che non v'erano
prove certe a carico del datore di lavoro, perché le dichiarazioni
del dipendente, peraltro contraddittorie, erano rimaste prive di
riscontri e, per quanto riguardava la contravvenzione di cui agli art. 1 e 2 1. n. 1369 del 1960, che, al momento del sopralluogo, i
soci della cooperativa Under Pressure, ancorché formalmente
forniti per lavori di facchinaggio e pulizia, erano in realtà ad
detti ad altre mansioni anche specialistiche tanto è vero che la
voravano insieme con il personale della ditta, sia alle macchine
che a lavori di pura manovalanza; che utilizzavano i macchinari
propri della Lav Fer; che erano inseriti nel processo produttivo dalla ditta citata e osservavano i turni di lavoro imposti dal
VI. - Ai fini della distinzione tra l'interposizione illecita di manodo
pera e l'appalto di servizi, la Cassazione in epigrafe prende le distanze dal criterio tradizionale che punta sulla natura imprenditoriale del sog getto fornitore, sostenendo che l'appaltatore si distingue dal fornitore di
manodopera e, oggi, dal somministratore, soltanto qualora organizzi i mezzi necessari per l'esecuzione del contratto ed assuma il relativo ri schio d'impresa. Suffraga la propria tesi richiamando l'art. 84, 2°
comma, d.leg. n. 276 del 2003, che ha invitato il ministro del lavoro e delle politiche sociali a dettare «codici di buone pratiche ed indici pre suntivi in materia d'interposizione illecita ed appalto genuino che ten
gano conto della rigorosa verifica della reale organizzazione dei mezzi e dell'assunzione effettiva del rischio tipico d'impresa».
Vi è, tuttavia, contrasto sul significato da assegnare all'organizza zione dei mezzi.
Per l'affermazione dell'interposizione illecita di manodopera nell'i
potesi in cui l'organizzazione imprenditoriale dell'appaltatore consista nella mera gestione del personale, v. Cass. 18 agosto 2004, n. 16146, cit.; 22 agosto 2003, n. 12363, e App. Napoli 26 settembre 2003, id., 2003,1, 2942.
Contra, identificano l'organizzazione ad impresa del fornitore con
l'organizzazione del lavoro dei dipendenti, in caso di mancanza o di scarsità di mezzi materiali, Cass. 6 febbraio 2004, n. 2305, id., Mass., 141; 19 novembre 2003, n. 17574, id., Rep. 2003, voce cit., n. 842; 25
giugno 2001, n. 8643, id., 2001,1, 3109. In dottrina, segnalano la labilità del criterio che riduce l'organizza
zione dei mezzi alla sola organizzazione e direzione del lavoro, A.M.
Perrino, Trasferimento d'azienda ed appalto di servizi: linee di un
progressivo avvicinamento (nota a Cass. 25 giugno 2001, n. 8643, cit.), ibid., 3113; P. Chieco, Somministrazione, comando, appalto. Le nuove
forme di prestazione di lavoro a favore del terzo, in P. Curzio (a cura
di), Lavoro e diritto dopo il d.leg. 276/03, Bari, 2004, 151.
Sostengono che, perché sussista appalto lecito, è necessaria la pre senza di mezzi, consistenti anche in beni immateriali, risultando insuf ficienti a distinguere l'appalto dalla somministrazione il mero esercizio del potere organizzativo e direttivo e l'assunzione del rischio d'impre sa, P.G. Alleva, La nuova disciplina degli appalti di lavoro, in G. Ghezzi (a cura di), Il lavoro tra progresso e mercificazione, Roma, 2004, 175; F. Scarpelli, Interposizione illecita, somministrazione irre
golare, somministrazione fraudolenta, in G. Ghezzi (a cura di), Il lavo ro tra progresso e mercificazione, cit., 154; M.G. Greco, L'obbliga zione solidale negli appalti dopo la riforma del mercato del lavoro, in Lavoro giur., 2004, 923.
VII. - La circolare del ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 7 del 22 febbraio 2005, sulla somministrazione di lavoro, in premessa sembra prendere partito per l'abrogazione, operata dal d.leg. n. 276 del
2003, sia della 1. n. 1369 del 1960, sia degli art. 1-11 1. 196/97. VIII. - Sulle relazioni tra appalto e trasferimento d'azienda, cfr.
Cass. 13 gennaio 2005, n. 493, in questo fascicolo, I, 690, con nota di A.M. Perrino, Trasferimento d'azienda ed appalto di servizi.' le rela
zioni pericolose, che dà conto anche della bibliografia relativa al d.leg. 276/03.
Il Foro Italiano — 2005.
committente, per cui era perfettamente configurabile il reato
contestato, sennonché tutta la 1. n. 1369 del 1960 sull'interposi zione di manodopera in generale era stata abrogata dal d.leg. n.
276 del 2003 con conseguente abolizione piena ed effettiva
della fattispecie prevista dagli art. 1 e 2 1. n. 1369 del 1960; che
in base all'art. 29 d.leg. cit. era consentito l'appalto di servizi
mentre le ipotesi penalmente rilevanti erano limitate all'attività
d'intermediazione posta in essere da soggetti non autorizzati.
Precisava che non v'era alcuna coincidenza tra gli elementi
strutturali della fattispecie contestata e quelli previsti dalla nuo
va legge, posto che questi ultimi sono tutti incentrati sull'eserci
zio dell'attività d'intermediazione di manodopera da parte di
soggetti non abilitati o fuori delle ipotesi previste dalla legge, elementi questi che non potevano essere accertati con riferi
mento ad imprese operanti nel regime antecedente la riforma.
Ricorre in Cassazione il procuratore della repubblica presso il
Tribunale di Urbino limitatamente all'assoluzione del Servidei
denunciando, con l'unico mezzo d'annullamento, la violazione
di legge penale (art. 2 c.p. in relazione agli art. 1 e 2 1. n. 1369
del 1960, 4, 18 e 85 d.leg. n. 276 del 2003). Assume che la fatti
specie dedotta in giudizio, già qualificabile e punibile secondo
l'abrogata disciplina come appalto di mere prestazioni di lavoro,
resta ugualmente assoggettata a sanzione penale in quanto eser
citata da soggetto non autorizzato.
Diritto. — La corte rileva anzitutto che il reato di cui agli art.
1 e 2 1. n. 1369 del 1960 è stato contestato al solo Servidei e non
pure al Paolini che aveva utilizzato i lavoratori e che l'impu
gnazione è stata proposta nei confronti del solo Servidei. Di
conseguenza il ruolo d'udienza va corretto nel senso che il no
minativo del Paolini deve essere depennato. Rileva altresì che la
prestazione lavorativa è cessata, come risulta dalla stessa conte
stazione, nel mese di settembre del 2001. Pertanto, trattandosi di
contravvenzione punibile con la sola pena pecuniaria, giacché non è stato contestato lo scopo lucrativo, il reato si è ormai pre
scritto, non essendo intervenuta alcuna sospensione del dibatti
mento imputabile a impedimento del difensore o degli imputati. Occorre quindi stabilire, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., se possa essere pronunciata una sentenza di proscioglimento con formula
più favorevole della declaratoria di estinzione del reato per pre scrizione e segnatamente se possa essere confermata la sentenza
impugnata che ha assolto il Servidei perché il fatto non è più
previsto dalla legge come reato. Ad avviso di questo collegio la
sentenza impugnata non va condivisa.
Il problema che si pone consiste nello stabilire se l'illecito
ascritto al prevenuto sia stato o no abolito a seguito dell'entrata
in vigore del d.leg. n. 276 del 2003 (c.d. riforma Biagi). Della questione questa sezione si è già occupata ed ha escluso l'abro
gazione con le decisioni 11 novembre 2003, Marinig, e 24 feb
braio 2004, Guerra, nonché con la decisione 29 gennaio 2004,
Paganoni, la quale, pur escludendo un'abrogazione totale, ha
tuttavia precisato che l'utilizzazione di macchine ed attrezzature
di proprietà del committente, nella nuova definizione del con
tratto d'appalto, non assume alcuna valenza. Questo collegio, condividendo l'orientamento già espresso dalla corte di merito
all'insussistenza dell'abolitio criminis, ritiene opportuno ribadi
re soprattutto la distinzione tra appalto lecito e intermediazione
vietata, sia in base alla 1. n. 1369 del 1960 che in base al d.leg. n. 276 del 2003. In proposito giova premettere che si può parla re di abolitio criminis quando la nuova fattispecie esclude la ri
levanza penale di fatti che in precedenza costituivano reato,
ponga cioè nel nulla il disvalore penale, astrattamente conside
rato, della fattispecie abrogata; che si verifica, invece, un feno
meno di successione di leggi penali allorché il disvalore del
fatto permanga ancorché diversamente specificato o modificato.
Tra le varie teorie proposte per risolvere il problema, ferma re
stando la permanenza del disvalore del fatto astrattamente con
siderato, questa corte ritiene preferibile quella della «doppia pu nibilità in concreto» di cui v'è menzione nella decisione delle
sezioni unite 26 marzo 2003, Giordano (Foro it., 2003, II, 586): in base a tale teoria la fattispecie prevista dalla legge successiva
deve essere punita anche da quella precedente. Occorre quindi
procedere alla comparazione tra le fattispecie disciplinate dalle
leggi succedutesi nel tempo per stabilire se quella prevista dalla
1. n. 1369 del 1960 sia punibile, sia pure in parte, dal d.leg. n.
276 del 2003 e viceversa.
This content downloaded from 185.2.32.60 on Wed, 25 Jun 2014 09:53:11 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA PENALE
Ciò premesso, si rileva che l'art. 1 1. n. 1369 del 1960 puniva colui che violava il divieto di affidare in appalto, subappalto o
in qualsiasi altra forma, anche a società cooperative, l'esecuzio
ne di mere prestazioni di lavoro mediante impiego di manodo
pera assunta e retribuita dall'appaltatore. La norma anzidetta
aveva una sfera d'applicazione così ampia da comprendere
qualsiasi forma d'interposizione nel lavoro indipendentemente dallo strumento giuridico adoperato a tal fine nonché dalla natu
ra dell'opera o servizio. Per distinguere l'intermediazione ille
cita dall'appalto (d'opera o di servizi) lecito, previsto anche
dall'art. 3 della legge anzidetta, si precisava al 3° comma del
l'art. 1 cit. che si considerava appalto di mere prestazioni di la
voro, quindi illecito, anche quello per esecuzione di opere o di
servizi ove l'appaltatore avesse impiegato capitali, macchine ed
attrezzature fornite dall'appaltante. Per distinguere l'appalto le
cito dall'interposizione illecita era quindi determinante indivi
duare il soggetto titolare dei mezzi di produzione. Tale criterio, fondato su un concetto d'impresa che aveva subito rilevanti
modificazioni, si era rivelato progressivamente inadeguato a se
guito del processo di smaterializzazione dell'impresa ossia a se
guito della constatazione che un'impresa può esistere anche
senza il possesso di beni materiali. La giurisprudenza, per di
stinguere l'intermediazione illecita dall'appalto lecito, ha co
minciato a focalizzare la propria attenzione soprattutto sull'esi
stenza in capo all'appaltatore di un'autonoma organizzazione
dell'impresa e di assunzione del rischio. Si è invero statuito da
parte delle sezioni civili di questa corte che la presunzione le
gale assoluta di cui al 3° comma dell'art. 1 1. n. 1369 del 1960
era applicabile solo quando detto conferimento di mezzi fosse di
rilevanza tale da rendere del tutto marginale ed accessorio l'ap
porto dell'appaltatore; che la sussistenza o no della modestia di
tale apporto doveva essere accertata in concreto dal giudice del
merito, alla stregua dell'oggetto e del contenuto intrinseco del
l'appalto, con la conseguenza che, nonostante la fornitura di
macchine ed attrezzature da parte dell'appaltante, l'anzidetta
presunzione legale non era configurabile ove fosse risultato un
rilevante apporto dell'appaltatore mediante il conferimento di
capitale (diverso da quello impiegato in retribuzioni ed in gene re per sostenere il costo del lavoro) di know-how, di software ed
in genere di beni immateriali aventi rilievo preminente nell'e
conomia dell'appalto (cfr., tra le tante, Cass., sez. lav„ n. 4585
del 1994, id., Rep. 1994, voce Lavoro (rapporto), n. 477). An
che questa sezione penale, per distinguere l'appalto lecito dal
l'intermediazione illecita, ha posto l'attenzione soprattutto sul
l'assunzione del rischio d'impresa (Cass. 4 giugno 1997, Gaspa roli, id., Rep. 1998, voce cit., n. 672). In quest'ultima decisione
in particolare si è affermato: «In tema di appalto di mano d'ope ra ed interposizione nelle prestazioni di lavoro, di cui agli art. 1
e 2 1. 23 ottobre 1960 n. 1369, la circostanza che l'imprenditore fornisca all'interposto capitali, macchine ed attrezzature non
esaurisce ogni possibile forma di interposizione vietata, in
quanto l'illecito ben può configurarsi anche in mancanza della
fornitura degli anzidetti fattori di produzione. In particolare, nel
caso di prestazione di servizi, fondamentale è il riferimento al
requisito dell'autonomia di gestione e di organizzazione, la cui mancanza non può che collocare il negozio tra quelli vietati. La
verifica deve sicuramente riguardare l'assunzione del rischio
economico d'impresa in capo all'appaltatore, ma deve altresì
concernere la configurazione delle organizzazioni imprendito riali dell'appaltante e dell'appaltatore al fine di riscontrare se i
lavoratori impiegati per il raggiungimento dei risultati cui si ri
collega il servizio contrattualmente assunto siano effettivamente
diretti dallo stesso appaltatore ed agiscano realmente alle sue
dipendenze e nel di lui interesse: fra i parametri d'individuazio
ne dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato — carat
terizzato ex art. 2094 c.c. dalla prestazione dell'attività lavorati
va 'alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore' —
particolare rilevanza assumono, infatti, l'inserimento della pre stazione nella struttura organizzativa dell'impresa, la sottoposi zione del lavoratore alle direttive ed al controllo dell'imprendi
tore, il vincolo dell'orario di lavoro». In definitiva in base alla
giurisprudenza civile e penale di questa corte, già durante la vi
genza dell'art. 1 1. n. 1369 del 1960, per distinguere l'appalto lecito dall'intermediazione illecita, la proprietà dei fattori della
Il Foro Italiano — 2005.
produzione, pur avendo la sua valenza, non rappresentava l'uni
co elemento discretivo.
L'ambito d'applicazione dell'art. 1 1. n. 1369 del 1960 ha su bito progressivamente delle limitazioni, oltre che per effetto
dell'interpretazione giurisprudenziale alla quale dianzi si è fatto
riferimento, anche a seguito di numerosi interventi legislativi tra i quali il più significativo ai fini della presente decisione è
quello introdotto con la 1. n. 196 del 1997 con cui è stato inse
rito nel sistema il contratto di fornitura temporanea di prestazio ni di lavoro nei casi previsti dalla legge. La violazione delle re
gole dettate dalla legge anzidetta davano luogo al divieto di cui
all'art. 1 1. n. 1369 del 1960 con l'applicazione del relativo ap
parato sanzionatorio.
Il d.leg. n. 276 del 2003, pur abrogando la 1. n. 1369 del 1960, l'art. 27 1. n. 264 del 1949 ed i primi undici articoli della 1. n. 196 del 1997, per quanto qui interessa, non si pone in netto
contrasto con il sistema previgente, perché non si è ispirato al
principio della liceità dell'interposizione o intermediazione di
manodopera, ma ha solo ampliato deroghe già esistenti per ade
guare la normativa alle mutate condizioni del mondo del lavoro,
recependo in molti casi gli orientamenti giurisprudenziali come
ad esempio quello che richiede nell'appalto la rigorosa verifica
della reale organizzazione dei mezzi da parte dell'appaltatore e
dell'assunzione effettiva del rischio. D'altra parte, in base al
l'art. 1, 2° comma, lett. m), 1. delega n. 30 del 2003, il governo non avrebbe dovuto abrogare tout court la 1. n. 1369 del 1960
ma sostituirla con un'altra disciplina basata sull'ammissibilità
della somministrazione di lavoro, anche a tempo indeterminato, solo se effettuata da soggetti autorizzati; avrebbe dovuto con
fermare la sanzionabilità dell'interposizione illecita e ribadire il
previgente regime sanzionatorio. In esecuzione della delega il
legislatore, da un lato, ha distinto l'appalto lecito dalla sommi
nistrazione di manodopera e, dall'altro, nell'ambito della som
ministrazione ha differenziato quella lecita, effettuata dalle
agenzie autorizzate, da quella illecita compiuta da soggetti non
autorizzati, da quella irregolare posta in essere da soggetti auto
rizzati in violazione degli obblighi o divieti di cui agli art. 20 e 21 d.leg. n. 276 del 2003 nonché da quella fraudolenta, posta in
essere per eludere norme inderogabili di legge o di contratto
collettivo, prevedendo sanzioni diversificate, amministrative e
penali, oltre quella civile classica prevista anche dalla 1. n. 1369
del 1960. Tralasciando la somministrazione fraudolenta, sia perché di
essa non v'è traccia nella contestazione, sia perché tale reato è
difficilmente configurabile per le situazioni pregresse, come già statuito da questa corte nella decisione 29 gennaio 2004, Paga noni, cit., si rileva che la somministrazione di manodopera da
parte di soggetti non autorizzati corrisponde nei suoi elementi
costitutivi alla fattispecie già prevista dall'art. 1 1. n. 1369 del
1960, per cui non si è avuta alcuna abolitio criminis, ma è stata
solo ampliata l'area sottratta alla rilevanza penale dell'illecito.
In altre parole, con la riforma, si è specificato che la sommini
strazione di manodopera, prima sempre illecita, ora è tale solo
se compiuta da soggetto non autorizzato. Però, una volta attuata
da soggetto non autorizzato, gli elementi costitutivi del fatto so
no identici, giacché la somministrazione non autorizzata di cui all'art. 18 d.leg. n. 276 del 2003 corrisponde alla vecchia forni
tura di prestazioni lavorative.
Per quanto concerne il contratto d'appalto il legislatore ha re
cepito il criterio fissato dalla giurisprudenza per distinguere tale
contratto da quello di somministrazione e in luogo della presun zione di cui all'art. 1, 3° comma, 1. n. 1369 del 1960, ha, con
l'art. 84, invitato il ministro a dettare «codici di buone pratiche e indici presuntivi in materia d'interposizione illecita ed appalto
genuino che tengano conto della rigorosa verifica della reale or
ganizzazione dei mezzi e dell'assunzione effettiva del rischio
tipico d'impresa». Da ciò consegue che, se manca l'assunzione
del rischio e l'organizzazione dei mezzi, non si può parlare di
appalto lecito ma di mera fornitura di prestazione lavorativa, la
quale fornitura, se effettuata da soggetti non autorizzati, è sotto
posta alla sanzione penale di cui all'art. 18 d.leg. n. 276 del
2003, e corrisponde sostanzialmente alla fattispecie già prevista dall'art. 1 1. n. 1369 del 1960. In conclusione dalla comparazio ne tra le fattispecie costituenti contravvenzioni sia in base alla 1.
n. 1369 del 1960 che in base al d.leg. n. 276 del 2003, emerge
This content downloaded from 185.2.32.60 on Wed, 25 Jun 2014 09:53:11 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
PARTE SECONDA
che l'attività di fornitura o somministrazione abusiva di mano
dopera, già prevista come reato dalla 1. n. 1369 del 1960, conti
nua ad essere penalmente rilevante, sia pure con alcune precisa zioni, anche in base al decreto legislativo cit. per cui alla fatti
specie è applicabile il 3° comma dell'art. 2 c.p. e non il 2°
comma.
La riprova si trae dall'intervento correttivo recentemente at
tuato dal legislatore con il d.leg. n. 251 del 6 ottobre 2004, con
cui tra l'altro si sono inasprite notevolmente le sanzioni già pre viste dall'art. 18 e si è inserito in tale articolo un nuovo comma
(il 5 bis) in forza del quale «nei casi di appalto privi dei requisiti di cui all'art. 29, 1° comma, e di distacco privo dei requisiti di cui all'art. 30, 1° comma, l'utilizzatore ed il somministratore
sono puniti con la pena dell'ammenda ...». Siffatta norma non
ha carattere innovativo ma interpretativo, giacché alla conclu
sione alla quale è giunto il legislatore si poteva pervenire in via
interpretativa anche in base al vecchio testo dell'art. 18. Invero, come già detto, la prestazione di fornitura di manodopera da
parte di un soggetto che non organizza il lavoro e non assume il
rischio d'impresa non è appalto, ma somministrazione, che di
venta illecita penalmente se attuata da soggetti non autorizzati.
Il nuovo testo dell'art. 5 ha reso esplicito ciò che prima era im
plicito. Nella fattispecie, anche se nella contestazione si parla impro
priamente di appalto, si è trattato di una mera fornitura di pre stazione lavorativa perché, come risulta dalla stessa sentenza, i
soci della cooperativa forniti per prestazioni di pulizia lavora
vano alle macchine insieme con gli operai assunti direttamente
dall'utilizzatore ed osservavano i turni e gli orari imposti dal
committente il quale in definitiva organizzava e dirigeva anche
il loro lavoro.
Per le considerazioni sopra esposte, questa corte non ritiene di
poter confermare la sentenza impugnata.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 14 ot
tobre 2004; Pres. Fabbri, Est. Piraccini, P.M. Veneziano
(conci, diff.); ric. Arcara. Conflitto di competenza.
Ordinamento penitenziario — Detenuti lavoratori — Attivi
tà prestata all'esterno del carcere — Qualificazione del
rapporto — Controversia — Competenza — Magistrato
di sorveglianza (L. 26 luglio 1975 n. 354, norme sull'ordi namento penitenziario e sulla esecuzione delle misure priva tive e limitative della libertà, art. 69; 1. 10 ottobre 1986 n.
663, modifiche alla legge sull'ordinamento penitenziario e
sulla esecuzione delle misure privative e limitative della li
bertà, art. 21).
Il reclamo in ordine alla qualificazione del rapporto di lavoro
fra il lavoratore detenuto e la ditta esterna all'organizzazione
penitenziaria va proposto, ai sensi dell'art. 69 l. n. 354 del
1975, al magistrato di sorveglianza (e non al giudice del la
voro), a nulla rilevando che nella specie si tratti di un lavoro
svolto all'esterno della struttura penitenziaria, atteso che la
controparte del detenuto è in ogni caso l'amministrazione
penitenziaria (e non il datore di lavoro quale terzo «estra
neo»), rappresentando l'attività lavorativa una specifica mo
dalità di esecuzione della pena. (1)
(1) La sentenza con la quale la prima sezione penale della Suprema corte attribuisce al magistrato di sorveglianza la competenza a statuire sul nomen iuris del rapporto di lavoro intercorrente fra il detenuto e la ditta «esterna» presso la quale quest'ultimo svolge attività lavorativa, si allinea — come sottolineato nella motivazione della pronunzia — al «costante orientamento espresso in materia dalle sezioni unite civili» della Cassazione (Cass. 26 gennaio 2001, n. 26/SU, Foro it., 2001, I,
Il Foro Italiano — 2005.
Fatto e diritto. — Arcara Francesco presentava al giudice del
lavoro di Lecco un ricorso per vedersi riconosciuta l'esistenza
di un rapporto di lavoro subordinato nell'attività che aveva pre stato come detenuto presso la cooperativa operaia Acquate.
Il giudice del lavoro aveva declinato la propria competenza, citando una costante e copiosa giurisprudenza della Suprema corte che aveva costantemente affermato, a sezioni unite civili
(sez. un. 14 dicembre 1999, n. 899/SU, Foro it., 2000, I, 434, e 26 gennaio 2001, n. 26/SU, id., 2001, I, 2890), la competenza funzionale del magistrato di sorveglianza per dettato legislativo. Si era affermato che dopo le modifiche legislative introdotte con
la 1. 10 ottobre 1986 n. 663, che avevano previsto la giuris dizionalizzazione del procedimento davanti al magistrato di
sorveglianza per determinate materie, quali quella relativa alle
controversie di lavoro, la competenza funzionale, quando uno
dei due contraenti era detenuto, spettava solo alla magistratura di sorveglianza perché il lavoro era una forma di esecuzione
della pena e quindi doveva essere sottratta alla competenza del
giudice civile. L'art. 69 ord. penit. ha infatti previsto la competenza del ma
gistrato di sorveglianza per i reclami in materia di attribuzione
della qualifica lavorativa, di mercede e di remunerazione. Le
sezioni unite civili avevano poi chiaramente affermato che tale
competenza funzionale operava sia che il lavoro del detenuto
venisse svolto all'interno del carcere o alle dipendenze del
l'amministrazione sia che venisse svolto all'esterno e che le dif
ferenze procedurali che potevano ravvisarsi tra il rito davanti al
giudice del lavoro e quello davanti al magistrato di sorveglianza erano dovute alla differenza sostanziale delle condizioni in cui
veniva prestata l'attività lavorativa da parte di un detenuto.
Il detenuto aveva quindi presentato un reclamo ai sensi del
l'art. 69 ord. penit. al magistrato di sorveglianza di Varese il
quale però aveva ritenuto di sollevare conflitto di competenza
negativa, sostenendo che nel caso in questione non è ravvisabile
la competenza del magistrato di sorveglianza perché la questio ne sottoposta all'esame non coinvolge i rapporti tra il detenuto e
l'amministrazione penitenziaria ma un terzo estraneo e che la
sua competenza sussiste solo per i rapporti di lavoro tra il dete
nuto e l'amministrazione e non anche per quelli tra il detenuto e
terzi.
Infatti rilevava che nella procedura disciplinata dall'art. 14
ter ord. penit. non era previsto l'intervento di soggetti estranei e
quindi egli non poteva citare la cooperativa che aveva assunto il
detenuto né tanto meno pronunciarsi sulla natura del rapporto di
lavoro instaurato. Riteneva che le sezioni unite civili si erano
pronunciate impropriamente anche su questo genere di rapporti di lavoro perché i casi sottoposti al loro esame erano sempre stati relativi a rapporti di lavoro interni all'amministrazione.
Va preliminarmente dichiarata l'ammissibilità del conflitto in
rito, perché dal rifiuto, formalmente manifestato, di due giudici a conoscere dello stesso procedimento è derivata una situazione
di stasi processuale che è irrisolvibile senza l'intervento di que sta Suprema corte.
Ritiene la corte di non doversi discostare dal costante orien
tamento espresso in materia dalle sezioni unite civili, con le
sentenze sopra richiamate. Il legislatore infatti ha operato una
scelta di competenza funzionale, ritenendo che tutto ciò che
2890, con nota di richiami, da ultimo confermata da Cass. 23 aprile 2004, n. 7711, id., 2004, I, 3102; contra, App. Roma 24 giugno 2004,
ibid.). Secondo la corte, infatti, la competenza funzionale del magi strato di sorveglianza (in luogo del giudice del lavoro) sulle controver sie riguardanti «l'attribuzione della qualifica lavorativa, la mercede e la remunerazione nonché lo svolgimento delle attività di tirocinio e di la voro e le assicurazioni sociali» (ex art. 69 1. n. 354 del 1975, come mo dificato dall'art. 21 1. n. 663 del 1986), si estende anche ai rapporti fra i detenuti e le imprese «esterne», non rilevando in senso differente l'esi stenza di un rapporto con un soggetto «terzo» rispetto all'amministra zione penitenziaria. A dimostrazione dell'assunto, la Suprema corte ri leva come «nel caso in questione era stata l'amministrazione peniten ziaria a stabilire con il datore di lavoro esterno che il lavoro sarebbe stato prestato dal detenuto con pagamento a seguito di presentazione di fattura nelle forme del contratto di prestazione d'opera e pertanto è solo l'amministrazione che deve essere chiamata in causa nel contenzioso instaurato dal detenuto».
This content downloaded from 185.2.32.60 on Wed, 25 Jun 2014 09:53:11 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions