sezione III penale; sentenza 26 marzo 2003; Pres. Vitalone, Est. Onorato, P.M. Geraci (concl.conf.); ric. P.m. in c. B. Conferma Trib. Napoli, ord. 29 luglio 2002Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 11 (NOVEMBRE 2003), pp. 603/604-609/610Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197907 .
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PARTE SECONDA
punibilità anche dei fatti privi dell'elemento specializzante ag
giuntivo, in contrasto con la regola secondo la quale nessuno
può essere punito per un fatto che secondo la legge posteriore non costituisce reato (art. 2, 2° comma, c.p.). Senza considerare
che nel caso dell'art. 223, 2° comma, n. 1,1. fall, la totale aboli
zione è giustificata con l'affermazione, immotivata, che «l'ele
mento aggiuntivo, il rapporto di causalità con il dissesto, è tale
da ascrivere alla nuova fattispecie un significato lesivo del tutto
diverso da quello della fattispecie abrogata» e che qualora si
aderisse alla tesi della sentenza Tosetti rimarrebbe da verificare
se la punibilità debba permanere (come ha ritenuto Cass. 16 ot
tobre 2002, Bencivelli) nel caso in cui comunque risulti appli cabile l'art. 223, 2° comma, n. 2,1. fall.
La sentenza Tosetti merita invece di essere condivisa quando afferma che una volta ritenuta l'inapplicabilità del nuovo art.
223, 2° comma, n. 1,1. fall, ai fatti commessi prima della rifor
ma rimane da stabilire se sia o meno applicabile la norma in
criminatrice sulle false comunicazioni sociali (nello stesso senso
si è espressa Cass. 3 ottobre 2002, De Massa), ma va precisato che nella ricostruzione operata dalle sezioni unite la questione si
pone solo se, nel caso concreto, non risulta il collegamento cau
sale tra il reato societario e il dissesto.
7. - Rimane da affrontare l'ultima questione, relativa ai poteri di cognizione e di decisione della Corte di cassazione quando,
dopo la pronuncia della sentenza impugnata, si sia verificata una
successione di leggi penali, per effetto della quale sia rimasto
parzialmente abolito il reato al quale si riferisce la condanna.
E stato affermato che, in caso di abolizione parziale, in tanto
può pronunciarsi una condanna per un fatto precedentemente
commesso, che presenti tutti gli elementi richiesti dalla nuova
fattispecie, in quanto questi elementi siano stati contestati e ab
biano formato oggetto di un accertamento rispetto al quale la
parte abbia avuto modo di difendersi (v. sez. un. 20 giugno 1990, Monaco, id., 1990, II, 637; 25 ottobre 2000, Di Mauro,
cit.), ma occorre precisare che il principio affermato deve trova
re applicazione adattandosi al fenomeno della successione di
leggi penali e al rapporto in cui esso nel caso concreto si pone
rispetto al giudizio, cioè tenendo conto del momento in cui in
terviene la successione (nella fase delle indagini preliminari, nel
giudizio di primo grado, in quello di appello, in quello di cassa
zione o in quello di rinvio), perché a seconda del momento pro cessuale le regole della contestazione e dell'accertamento pos sono avere applicazioni diverse. Non può pretendersi che esse
vengano applicate come se la nuova legge fosse già in vigore al
momento della prima contestazione, perché al processo può chiedersi solo di registrare correttamente la vicenda, nel modo
compatibile con lo stadio processuale nel quale esso si trova
quando la vicenda interviene, considerato che nel caso di aboli
zione parziale la nuova fattispecie risulta confermativa della
precedente nel perimetro ideale in cui tra le due c'è coinciden
za: è nell'ambito di questo perimetro che viene impedito l'ef
fetto retroattivo dell'abrogazione della precedente disposizione e si rende necessario un accertamento, rispetto al quale la parte abbia modo di difendersi, che il fatto commesso presenta tutti i
nuovi elementi richiesti.
Un accertamento del genere nel giudizio di cassazione non è
possibile: la Corte di cassazione è chiamata a decidere sulla ba
se dell'accertamento compiuto dal giudice di merito e contenuto
nella sua sentenza. Se nelle more tra la pronuncia della decisio
ne impugnata e la trattazione del ricorso è intervenuta un'aboli
zione parziale è alla decisione impugnata che la Corte di cassa
zione deve fare riferimento per stabilire se gli elementi richiesti
dalla nuova legge avevano o meno formato oggetto dell'accer
tamento giudiziale, e in caso affermativo su di essi deve eserci
tare il suo giudizio; ma se quegli elementi non hanno formato
oggetto di accertamento e la Corte di cassazione si trova in pre senza di un fatto che, per come è stato accertato dal giudice di
merito, rientra nell'ambito dell'abolizione, e dunque non è più
previsto come reato, non può che trarne le conseguenze imposte
dagli art. 129 e 620, 1° comma, lett. a), c.p.p. Un annullamento
con rinvio in funzione meramente esplorativa non può ritenersi
consentito. E vero che il sistema processuale deve adattarsi per far fronte alle sopravvenienze legislative e che specifiche regole
Il Foro Italiano — 2003.
di adattamento nel giudizio di cassazione possono essere ravvi
sate negli art. 609, 2° comma, e 619, 3° comma, c.p.p., ma è an
che vero che la Corte di cassazione, posta di fronte a una sen
tenza di condanna per un fatto che nei termini in cui è stato ac
certato viene a risultare non più previsto come reato, non può sottrarsi alla regola dell'art. 129 c.p.p. adducendo il dubbio che
ulteriori accertamenti da parte del giudice di rinvio potrebbero condurre a conclusioni diverse.
8. - Posti questi principi diventa agevole la decisione relativa
al reato di false comunicazioni sociali, per il quale è stato con
dannato Giordano, e al reato di bancarotta impropria, per il
quale è stato condannato Onofrio.
L'accertamento operato dalla sentenza impugnata non pre senta elementi dai quali possa desumersi che le false comunica
zioni sociali commesse da Giordano abbiano comportato il su
peramento delle soglie previste dalla nuova disposizione (il
reato inoltre sarebbe prescritto), perciò deve pronunciarsi l'an
nullamento senza rinvio perché il fatto non è più previsto come
reato.
Il fatto di bancarotta impropria addebitato a Onofrio non ri
sulta abbia cagionato o concorso a cagionare il dissesto della
società, anzi questo effetto è da escludere perché secondo l'ac
certamento dei giudici di merito il dissesto già esisteva intera
mente e le falsità oggetto dell'addebito riguardavano un'opera zione (l'acquisto simulato dell'impresa di Giordano) priva di ef
fettiva rilevanza.
Esclusa la bancarotta societaria potrebbe residuare, come si è
visto, il reato dell'art. 2621 c.c., ma anche questo è da escludere
perché non risulta il superamento delle soglie. Perciò anche ri
spetto al fatto per il quale è stato condannato Onofrio deve pro nunciarsi l'annullamento senza rinvio perché lo stesso non è più
previsto come reato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 26
marzo 2003; Pres. Vitalone, Est. Onorato, P.M. Geraci
(conci, conf.); ric. P.m. in c. B. Conferma Trib. Napoli, ord.
29 luglio 2002.
Concorso di persone nel reato — Concorso morale — Confi
gurabilità — Esclusione — Fattispecie di violenza sessuale
(Cod. pen., art. 110, 609 bis). Favoreggiamento — Reato — Autofavoreggiamento attra
verso autore mediato — Causa di non punibilità — Fatti
specie (Cod. pen., art. Ill, 378, 384).
Non risponde a titolo di concorso morale nella violenza ses
suale subita dalla propria moglie, il marito che abbia moral
mente giustificato lo stupro parlando con la stessa vittima e
non con l'autore materiale del delitto; infatti, non può esservi
concorso morale a prescindere da un'effettiva influenza sul
l'autore materiale del reato. (1) Non è punibile, ai sensi dell'art. 384 c.p., il c.d. autofavoreg
giamento attraverso autore mediato, cioè l'autofavoreggia mento commesso attraverso la condotta di terzi indotti (nella
specie, all'imputato era stato contestato il delitto di favoreg
giamento inforza della norma estensiva di cui all'art. Ili
c.p., avendo egli determinato a commettere il medesimo reato
la moglie e la cognata, direttamente non punibili ex art. 384
c.p. per aver agito nella necessità di salvare il marito e co
gnato da un grave nocumento nella libertà e nell'onore). (2)
(1-2) I. - Con la sentenza in epigrafe la Cassazione torna a pronun ciarsi sul controverso problema dei limiti di rilevanza penale della con dotta di compartecipazione psichica (in argomento, cfr. Fiandaca
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GIURISPRUDENZA PENALE
Svolgimento del procedimento. — 1. - D.B. (padre) e G.B.
(figlio) venivano sottoposti a indagini preliminari per concorso
nei delitti di maltrattamenti (art. 572 c.p.), lesioni personali (art. 582 e 585, 1° comma, c.p.), violenza sessuale (art. 609 bis, 1° e
2° comma, n. 1, c.p.) e minacce (art. 612 c.p.), commessi in
danno di A.D.M., rispettivamente nuora del primo e moglie del
secondo.
G.B. era altresì indagato per favoreggiamento (art. 111, 378 e
384 c.p.), perché aveva determinato la moglie A.D.M. e la co
Musco, Diritto penale, parte generale, Bologna, 2001, 465 ss.; Manto
vani, Diritto penale, parte generale, Padova, 2001, 539 ss.; Donini, La
partecipazione al reato tra responsabilità per fatto proprio e responsa bilità per fatto altrui, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1984, 175 ss.; Semina
ra, Riflessioni sulla condotta istigatoria come forma di partecipazione al reato, id., 1983, 1121 ss.; da ultimo, Sereni, Istigazione al reato e
autoresponsabilità. Sugli incerti confini del concorso morale, Padova,
2000), in particolare nell'ipotesi di adesione morale all'altrui fatto cri
minoso manifestata esclusivamente alla vittima del reato. L'interesse
per la decisione si giustifica altresì in quanto la corte configura un'ine
dita fattispecie di favoreggiamento non punibile: il c.d. autofavoreg
giamento attraverso autore mediato, ossia l'autofavoreggiamento com messo mediante la condotta di terzi indotti.
La vicenda concreta pone sul tappeto la questione della configurabi lità o meno del concorso morale nel reato di violenza sessuale in capo al soggetto che. parlando con la vittima dello stupro, giustificava
espressamente l'altrui comportamento criminoso. Allo stesso soggetto, condannato con sentenza confermata in Cassazione per i reati di mal
trattamenti e lesioni personali in danno alla moglie, era stato inoltre contestato il delitto di favoreggiamento in forza dell'art. Ili c.p., per avere egli determinato la moglie e la cognata — direttamente non puni bili ex art. 384 c.p. — a dichiarare il falso alla polizia giudiziaria, al fi
ne di eludere le investigazioni dell'autorità in ordine ai delitti commes
si.
II. - Con la pronuncia in rassegna, la corte si allinea all'indirizzo co
stante della giurisprudenza di legittimità, secondo cui ai fini della sussi
stenza del concorso morale è necessario l'apporto di un contributo cau
sale alla determinazione o al rafforzamento del proposito criminoso
(cfr. Cass. 17 ottobre 1985, Onorato, Foro it., Rep. 1987, voce Concor
so di persone nel reato, n. 13; 18 aprile 1988, Maricca, id., Rep. 1990, voce cit., n. 9; 18 gennaio 1993, Tufano, Giust. pen.. 1994, II, 8, e Foro
it., Rep. 1994, voce cit., n. 14; 5 aprile 1993, Palazzini, ibid., n. 16. Cfr.
altresì Cass. 5 febbraio 1998, Brescia, id., Rep. 1998, voce cit., n. 19, la
quale richiede, ai fini della configurabilità del concorso di persone, un
contributo causale in termini, sia pur minimi, di facilitazione della con
dotta delittuosa, mentre ritiene la semplice conoscenza, l'adesione mo
rale, o l'assistenza inerte e senza iniziative a tale condotta, insufficienti
a realizzare la fattispecie concorsuale; Trib. Venezia 22 maggio 1996,
id., 1997, II, 356, con nota di Genovese, secondo cui non può esservi
complicità morale a prescindere da un'effettiva influenza sulla psiche dell'esecutore materiale del reato; in dottrina, tra gli altri, Seminara,
op. cit., 1123 ss.). La sentenza su riprodotta ribadisce che, nel concorso
morale, il giudizio di responsabilità deve essere basato sull'accerta
mento di un'effettiva influenza causale sulla psiche dell'autore mate
riale, non essendo sufficiente ad integrare gli estremi di una comparte
cipazione psichica penalmente rilevante la mera connivenza o l'adesio
ne morale, anche se manifestata all'esecutore materiale del reato (in senso parzialmente difforme, cfr. Trib. min. Genova 1° luglio 1996, Foro it., 1998, II, 68, che ha ritenuto responsabile a titolo di concorso morale nell'uccisione della propria madre, la figlia minorenne, chia
mata a rispondere di aver dato un consapevole apporto al rafforzamento
della volontà criminosa dell'autore del delitto, lamentandosi con lui del
comportamento della madre nei loro confronti, manifestando avversio
ne e aggressività verso la stessa ed assumendo un atteggiamento di
connivenza circa attività preparatorie del delitto; in ordine alla diffe
renza tra connivenza non punibile e concorso morale, cfr. Cass. 4 di
cembre 1996, Famiano, id., Rep. 1997, voce cit., n. 23; 3 giugno 1994,
Campostrini, id., Rep. 1995, voce cit., n. 19; 26 maggio 1993, Menzio,
id., Rep. 1994, voce cit., n. 18, ove si pone l'accento sulla diversità, sotto il profilo ontologico e giuridico, tra la partecipazione alla realiz
zazione dell'illecito idonea ad integrare gli estremi dell'ipotesi concor
suale e la «mera adesione interna ad una condotta altrui penalmente ri
levante, che nessun contributo arreca alla commissione del reato»), A fortiori risulta assolutamente priva di rilevanza penale, l'adesione
o giustificazione morale dello stupro manifestata alla stessa vittima, e
non al soggetto attivo, per di più successivamente alla commissione del
reato: «per quanto eticamente riprovevole e aberrante sia questa giusti ficazione, non si vede come possa aver rafforzato il proposito crimino
II Foro Italiano — 2003.
gnata G.D.M. a dichiarare falsamente alla polizia giudiziaria che il tentativo di suicidio posto in essere dalla prima era scatu
rito da una lite tra le sorelle, anziché dai continui maltrattamenti
praticati dallo stesso B. in danno della moglie, così aiutando
quest'ultimo a eludere le investigazioni dell'autorità per i delitti
commessi.
Il g.i.p. del Tribunale di Nola, in data 12 luglio 2002, dispo neva a carico dei predetti la misura cautelare della custodia in
carcere.
so dello stupratore», non essendovi alcuna prova in ordine alla relazio ne causale tra la condotta di adesione morale del presunto concorrente e
tutte le modalità rilevanti del fatto concreto. La soluzione accolta nella sentenza in rassegna, scaturisce, come lo
gica conseguenza, dal recepimento della «teoria della causalità psichi ca» (per una completa disamina della prospettiva della causalità psichi ca, cfr. Sereni, op. cit., 8 ss.) come criterio di demarcazione dei confini del concorso morale. In forza di tale criterio, pur essendo prospettabili diverse versioni del modello della «causalità psicologica», si ritiene
sempre necessaria, al fine di integrare la fattispecie concorsuale, la sus
sistenza di un effettivo e specifico nesso causale tra il contributo «atipi co» del complice e il comportamento illecito dell'autore, che assuma la
veste di un'influenza del primo sul determinismo psicologico del se
condo (cfr. Cass. 14 dicembre 1995, Giacalone, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 21, ove si afferma che, «affinché l'adesione della volontà
possa costituire concorso morale come rafforzamento del disegno cri
minoso da altri concepito, occorre in concreto dimostrare il rapporto di
causalità tra l'adesione del terzo — che in caso di risposta positiva di
venta concorrente — e l'incentivo che ne deriva all'attività dell'autore
materiale»). Scelto l'approccio oggettivo-causale, risulta decisiva al fine di deli
mitare l'area penalmente rilevante della partecipazione morale, la de
scrizione del primo termine del rapporto eziologico, cioè la precisazio ne delle condotte condizionanti all'interno del variegato panorama di
ipotesi che potrebbero rientrare sotto la generica formula del «raffor
zamento psichico». In proposito, si sono alternate soluzioni giurispru denziali tutt'altro che univoche, spesso dettate dall'esigenza di asse
condare le ragioni di prevenzione generale di volta in volta avvertite
come più opportune, anche a discapito della materialità e offensività
del contributo morale.
Così, ad un orientamento che ha escluso la configurabilità de! con
corso criminoso sia nel caso di mera connivenza o inerte adesione mo
rale sia nell'ipotesi di presenza passiva sul luogo del delitto, quand'an che possa derivarne per l'agente un senso di maggiore sicurezza (cfr. Cass. 5 febbraio 1982, Busolini, Riv. pen., 1982, 968, e Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 10; 17 ottobre 1985, Onorato, cit.; 12 novembre
1992, Rayab Abdelaziz, id., Rep. 1993, voce cit., n. 16, e, per esteso, Cass. pen., 1994, 2418, con nota di Svariati, Concorso di persone nel
reato fra vecchie e nuove prospettive; Trib. Venezia 22 maggio 1996,
cit.; Cass. 5 febbraio 1998, Brescia, cit., la quale ha escluso che integri concorso la mera presenza in casa o l'essere assiduo frequentatore della
casa in cui si consuma il reato di cessione di stupefacenti), si è contrap
posto un indirizzo più rigorista, per il quale la presenza non casuale sul
luogo del reato è idonea a integrare gli estremi del concorso morale non
solo quando essa abbia agevolato la realizzazione dell'illecito o abbia
trasmesso all'esecutore un senso di sicurezza, ma anche quando sia di
retta ad incoraggiare l'azione delittuosa, o manifesti una chiara appro vazione del fatto criminoso, e addirittura quando la manifestazione di
«consenso» sia obiettivamente idonea a costituire soltanto un ostacolo
al formarsi di «una volontà di resipiscenza» nell'autore del reato (cfr. Cass. 9 aprile 1983, Malaponti, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 24, per la quale «anche la semplice presenza sul posto e nel tempo della com
missione del reato può integrare una partecipazione punibile, purché
esprima una volontà criminosa del partecipe uguale a quella dell'autore
materiale e quest'ultimo tragga dalla presenza altrui uno stimolo all'a
zione o un maggior senso di sicurezza nella propria condotta»; 23 otto
bre 1989, Masserini, id., Rep. 1990, voce cit., n. 11; nel senso che co
stituisce concorso la mera adesione morale all'azione criminosa altrui, v. Cass. 2 ottobre 1990, Yankson, Riv. pen., 1991, 714, e Foro it., Rep. 1991, voce cit.. n. 11; 7 luglio 1992, Rendina, id., Rep. 1993, voce cit., n. 12; 26 maggio 1993, Menzio, id., Rep. 1994, voce cit., n. 18, secon
do cui «si ha concorso ai sensi dell'art. 110 c.p., e non semplice conni
venza, ogni volta che l'agente partecipa, in qualunque modo, alla rea
lizzazione dell'illecito, e quindi anche quando, con la sua presenza,
agevola o rafforza il proposito criminoso altrui»; nello stesso senso, Cass. 22 novembre 1994, Sbrana, Riv. pen., 1995, 1350, e Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 21).
La dottrina tende ad accogliere invece una soluzione più restrittiva,
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PARTE SECONDA
2. - Su istanza di riesame presentata dagli indagati, il Tribu
nale di Napoli, con ordinanza del 29 luglio 2002, confermava la
misura carceraria nei confronti di D.B. per tutti i reati ascrittigli. Inoltre annullava la misura cautelare per G.B. in relazione al
delitto di violenza sessuale, per mancanza di indizi di colpevo
lezza, e a quello di favoreggiamento, non essendo configurabile il favoreggiamento a favore di sé stesso. In ordine ai residui de
litti a carico del medesimo (maltrattamenti, lesioni e minacce), riconsiderate le esigenze cautelari, il tribunale sostituiva la mi
affermando la totale estraneità al diritto penale delle manifestazioni
passive di mera adesione psichica, semplice connivenza non accompa gnata da un obbligo giuridico di attivarsi, consenso tacito al reato altrui, nonché della presenza inattiva sul luogo del delitto, anche se eventual mente ne derivi un sentimento di sicurezza per chi delinque (cfr. Fian
daca-Musco, Diritto penale, parte generale, cit., 466; Mantovani, Di ritto penale, cit., 539; Sereni, op. cit., 170 ss.).
Al di là della scelta dei criteri idonei a tracciare i confini del concor so morale e a selezionare le forme di partecipazione psichica suscetti bili di rientrare nell'ambito di applicazione dell'art. 110 c.p., occorre rebbe esaminare l'istituto del concorso morale in un'ottica costituzio nalmente orientata, e alla luce di principi cardine dell'ordinamento pe nale, quale il principio di tassatività, di materialità e della personalità della responsabilità penale (cfr. Mantovani, op. cit., 539; Sereni, op. cit., 1 ss., il quale incentra il problema dell'ambito di rilevanza penale del concorso morale sullo studio del rapporto tra istigazione e sfera di
autoresponsabilità dell'istigato). Alla luce di una «lettura costituziona le» della decisione in epigrafe, l'esito cui è pervenuta la corte appare uno sbocco obbligato, considerato che l'eventuale opposta soluzione avrebbe sicuramente contrastato con il valore costituzionale della li bertà di opinione (cfr. Sereni, op. cit., 143, per il quale «la definizione del tipo di condizionamento rilevante, ai fini del passaggio dall'autore
sponsabilità alla responsabilità in concorso, non può non tener conto anche dei contenuti delle libertà costituzionali, prima fra tutte, per i condizionamenti psichici, della libertà di opinione»),
III. - La seconda questione sottoposta al vaglio della Cassazione, re lativa alla configurabilità del delitto di favoreggiamento in capo all'im
putato, si segnala all'attenzione, oltre che per l'articolato meccanismo di attribuzione del fatto di reato all'autore, per l'inedita soluzione pro spettata dalla corte.
Quanto al primo aspetto, la responsabilità penale a titolo di favoreg giamento personale è imperniata, nella richiesta del ricorrente, sull'ap plicazione dell'art. Ili c.p., secondo il quale chi ha determinato a commettere un reato una persona non imputabile o non punibile a ca
gione di una condizione o qualità personale risponde del reato da questa commesso. La ricostruzione della fattispecie concreta nei suddetti ter
mini, peraltro, presuppone una previa interpretazione dell'art. Ili c.p. come ipotesi di «reità mediata», dove solo il soggetto determinatore viene considerato responsabile per aver strumentalizzato, ai fini delit
tuosi, l'altrui condotta criminosa non punibile (cfr. Latagliata, Con corso di persone nel reato, voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1961, Vili, 573; in giurisprudenza, Cass. 7 novembre 1989, Morone, Riv. pen., 1990, 837, e Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 22; 9 luglio 1987, Cuna Mensur, id., Rep. 1988, voce cit., n. 22; nel senso che l'art. 111 c.p. costituisce «un'ipotesi circostanziata del concorso di persone nel reato», v. Dell'Andro, La fattispecie plurisoggettiva in diritto pe nale, Milano, 1956; Padovani, Le ipotesi speciali di concorso nel reato, Milano, 1973; Pedrazzi, Il concorso di persone nel reato, Milano, 1952, 35 ss.; in giurisprudenza, Cass. 15 novembre 1977, Spada, Giust.
pen., 1978, II, 133, e Foro it., Rep. 1978, voce Sequestro di persona, nn. 3-5).
Pur condividendo lo stesso iter argomentativo del ricorrente in ordi ne all'imputazione del fatto tipico, la corte perviene ad una diversa va lutazione del caso concreto, in quanto ritiene applicabile l'esimente di cui all'art. 384 c.p. anche all'autore mediato, essendo egli stato in realtà «chiamato a rispondere di avere favorito sé stesso attraverso la condotta indotta nelle due donne». Si configura pertanto un'ipotesi di
«autofavoreggiamento attraverso autore mediato», commesso cioè «per mezzo» di terzi indotti, non punibile in forza del principio nemo tenetur se detegere sancito dall'art. 384 c.p., il quale esclude la punibilità di colui che commette uno dei delitti contro l'amministrazione della giu stizia elencati tassativamente nella medesima disposizione per salvare sé medesimo, o un prossimo congiunto, da un grave e inevitabile no cumento nella libertà e nell'onore (la non punibilità dell'autofavoreg giamento «proprio», commesso cioè dallo stesso autore del reato pre supposto eludendo le investigazioni e sottraendosi alle ricerche del
l'autorità, è invero suscettibile di due diverse spiegazioni: da un lato, si ritiene operante in tale ipotesi la scriminante disciplinata dall'art. 384
Il Foro Italiano — 2003.
sura della custodia in carcere con quella del divieto di dimora
nel comune di Acerra.
3. - G.B. proponeva ricorso contestando gli indizi a suo carico
anche per i residui reati di maltrattamenti e di lesioni personali. Ma questa Corte di cassazione, con sentenza del 19 novembre
2002, ha rigettato il ricorso.
4. - Anche il procuratore della repubblica di Nola ha proposto ricorso contro la suddetta ordinanza, nella parte in cui ha an
nullato la misura cautelare relativa a G.B. per il concorso nella
violenza sessuale e per il favoreggiamento, deducendo inosser
vanza o erronea applicazione della legge penale e manifesta il
logicità della motivazione.
In ordine alla violenza sessuale continuata in danno di
A.D.M., il p.m. ricorrente osserva che, se è vero che il marito
non era presente agli episodi di violenza commessi material
mente dal padre D.B., è anche vero che quando la moglie gliene
parlò, egli —
dopo un'iniziale incredulità — alla fine mostrò
reiteratamente di avallare il comportamento del padre, dicendo
«è mio padre e può permetterselo» e anche «quello è mio padre e può fare questo e altro». Con ciò — secondo il p.m.
— G.B.
aveva indubbiamente fornito un contributo agevolativo alla
violenza sessuale perpetrata dal padre, rafforzando il proposito
c.p.: così, Cass. 22 febbraio 1982, Mancia, Giust. pen., 1983, II, 66, e Foro it.. Rep. 1983, voce Favoreggiamento, n. 28; in dottrina, cfr. Pa
dovani, Favoreggiamento, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1989, XIV; Fiandaca-Musco, Diritto penale, parte speciale, Bologna, 1999, 393. Dall'altro si rileva la mancanza di tipicità del fat
to, in quanto l'art. 378 c.p. sanziona penalmente l'aiuto prestato a «ta
luno», cioè a un soggetto diverso dall'agente: v., tra gli altri, Boscarel
u, La tutela penale deI processo, Milano, 1951, I, 219 ss.; Pulitanò, Il
favoreggiamento personale tra diritto e processo penale, Milano, 1984,
139). L'inedita vicenda esaminata dalla corte si potrebbe peraltro accostare
al caso dell'istigazione di altri al proprio favoreggiamento, il quale vie ne tradizionalmente ricondotto ad un'ipotesi di autofavoreggiamento «proprio» (cfr. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, Torino, 1962, V, 908; Pannain, Favoreggiamento personale e reale, voce del Novissimo digesto, Torino, 1961, VII, 148), anche se un'altra parte della dottrina (cfr. Boscarelli, op. cit., 249) lo considera pur sempre alla stregua di un contributo concorsuale punibile ex art. 110 c.p. Con tro quest'ultima tesi si osserva che in realtà non è possibile imputare all'istigatore una responsabilità a titolo di concorso morale, non essen do nei suoi confronti ricostruibile il fatto tipico di cui all'art. 378 c.p., sia pure nella forma della partecipazione: l'istigazione al proprio favo
reggiamento «impedisce in radice di riconoscere nel comportamento» dell'istigatore «un modo concorsuale di aiutare taluno» (Padovani, Fa
voreggiamento, cit., 2). La pronuncia in epigrafe mette altresì in evidenza, al fine di una
maggiore delucidazione della fattispecie in esame, la differenza che intercorre tra l'autofavoreggiamento attraverso autore mediato e il c.d.
autofavoreggiamento mediato, che si configura allorché il favoreggia mento del terzo costituisce il mezzo esclusivo e l'effetto automatico e riflesso del favoreggiamento di sé stesso (cfr. Cass. 6 aprile 1987, Ci
reddu, Foro it.. Rep. 1988, voce cit., n. 8; in senso conforme, Cass. 3
luglio 1980, Mastini, Cass. pen.. 1982, 473, e Foro it., Rep. 1982, voce
cit., n. 19; 14 dicembre 1992, Lacchè, id., Rep. 1993, voce cit., n. 4); la differenza attiene però esclusivamente alle modalità concrete della
condotta, sussistendo in entrambe le ipotesi la struttura caratteristica
dell'autofavoreggiamento. Si ritiene comunque che l'autofavoreggia mento «mediato» non sia punibile soltanto se compiuto all'esclusivo
scopo di salvare sé stessi, e dunque quando «la condotta è soggettiva mente polarizzata verso l'autofavoreggiamento, per modo che il favo
reggiamento di altri rappresenta una conseguenza necessitata» del pro prio favoreggiamento (Cass. 14 dicembre 1992, Lacchè, cit.; nello stes so senso, cfr. Cass. 3 luglio 1980, Mastini, cit., la quale ricostruisce la causa di non punibilità di cui all'art. 384 c.p. nei termini di un'ipotesi speciale dello stato di necessità, donde afferma che «non agisce per es servi stato costretto dalla necessità di salvare sé stesso colui che compie un atto, superfluo e non producente ai fini dell'autofavoreggiamento, per la libera scelta di aiutare altri ad eludere le investigazioni dell'auto
rità»; 4 ottobre 1996, Luceri, id., Rep. 1997, voce cit., n. 10, secondo cui «in tema di favoreggiamento non è configurabile l'esimente di cui all'art. 384 c.p. allorché il giudice di merito accerti [. . .] che l'imputato — ben conscio delle circostanze del fatto e delle sue implicazioni sul
piano penale — abbia agito al fine esclusivo di favorire il terzo respon sabile del reato»), [F. Serraino]
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GIURISPRUDENZA PENALE
criminoso di questi e sostenendo psicologicamente la sua con
dotta.
In ordine al delitto di favoreggiamento, il ricorrente osserva
che esso è configurabile, avendo il B. determinato moglie e co
gnata, non punibili ex art. 384 c.p., a dichiarare il falso davanti
alla polizia giudiziaria per evitare che fossero scoperte le sue re
sponsabilità. In tal caso al B. non è applicabile l'esimente di cui
al citato art. 384, «in quanto le false dichiarazioni alla polizia
giudiziaria non sono state rese dal B„ ma dalle donne da questo indotte» e ai sensi dell'art. Ili c.p. del reato «non potrà che ri
spondere il soggetto che ne ha strumentalizzato la condotta cri
minosa non punibile». Motivi della decisione. — 5. - Il primo motivo di ricorso è
palesemente infondato.
Secondo la legge penale e la giurisprudenza costante di que sta corte non può esservi concorso morale a prescindere da
un'effettiva influenza sull'autore materiale del fatto-reato. In
somma, a integrare il concorso non è sufficiente la mera conni
venza o l'adesione psichica, anche se manifestata a chi com
mette materialmente il reato.
Nel caso di specie, addirittura, l'adesione o giustificazione morale dello stupro commesso da D.B. fu manifestata dal figlio G. parlando con la stessa vittima, la moglie A.D.M., e non con
l'autore materiale dello stupro. Il che è chiaramente dimostrato
anche dal particolare che il figlio parlava del padre in terza per sona.
Orbene, per quanto eticamente riprovevole e aberrante sia
questa giustificazione, non si vede come possa aver rafforzato il
proposito criminoso dello stupratore, posto che nessuna prova esiste che la giustificazione filiale fosse ripetuta in presenza del
padre e prima che questi commettesse la violenza sessuale.
6. - Ma anche il secondo motivo non può essere accolto.
Come sottolinea lo stesso p.m. ricorrente, il delitto di favo
reggiamento era contestato a G.B. in forza della norma estensiva
di cui all'art. Ili c.p., secondo la quale chi ha determinato a
commettere un reato una persona non imputabile o non punibile a cagione di una condizione o qualità personale, risponde del
reato da questa commesso. Nella fattispecie concreta, il B. do
veva rispondere del favoreggiamento commesso «per mezzo»
delle sorelle D.M., direttamente non punibili ex art. 384 c.p. per aver agito nella necessità di salvare il marito e cognato da un
grave nocumento nella libertà o nell'onore.
Ciò che il ricorrente non considera è che, nel caso specifico, la causa di giustificazione speciale che vale per le autrici imme
diate a maggior ragione vale per l'autore mediato. Infatti il sog
getto favorito dalle false dichiarazioni rese dalle due sorelle alla
polizia giudiziaria era proprio il B., il quale era perciò chiamato
a rispondere di aver favorito sé stesso, attraverso la condotta in
dotta nelle due donne.
Ma — come la giurisprudenza ha da tempo chiarito — l'auto
favoreggiamento personale non è punibile, in forza del principio
generale secondo cui nemo tenetur se detegere, che trova
espressione proprio nella norma dell'art. 384 c.p., laddove
esenta da punibilità chi commette falsa testimonianza, frode
processuale, favoreggiamento o altri delitti contro l'attività giu diziaria per salvare sé medesimo da un grave e inevitabile no
cumento alla libertà o all'onore (cfr. Cass. 22 febbraio 1982,
Mancia, Foro it., Rep. 1983, voce Favoreggiamento, n. 28, per il favoreggiamento; 28 maggio 1985, Scianca, id., Rep. 1986, voce Falsa testimonianza, n. 22, nonché Cass. 15 ottobre 1996,
Cassese, id.. Rep. 1997, voce cit., n. 12, per la falsa testimo
nianza). Non v'è alcuna ragione per disapplicare questo principio
quando il delitto contro l'attività giudiziaria è commesso attra
verso autori mediati non imputabili o non punibili per condizio
ne o qualità personali. Sicché si deve concludere che l'autofavo
reggiamento, commesso anche attraverso la condotta di terzi in
dotti, non è punibile ai sensi dell'art. 384 c.p. Va aggiunto per chiarezza che questo autofavoreggiamento
attraverso autore mediato è cosa diversa dal c.d. autofavoreg
giamento mediato, con cui si designa il favoreggiamento di un
terzo, commesso come mezzo necessario per il favoreggiamento di sé stesso. Nel primo infatti la mediazione è soggettiva, nel
Il Foro Italiano — 2003.
senso che si induce e si utilizza il comportamento di un terzo
per favorire sé stessi. Nel secondo invece la mediazione è og
gettiva, nel senso che l'autore ricorre al favoreggiamento (a
vantaggio) di un terzo per favorire sé stesso. Trattandosi pur
sempre di autofavoreggiamento, in entrambi i casi è applicabile la causa di non punibilità di cui all'art. 384 c.p.
6.1. - Peraltro, le considerazioni sopra svolte non escludono
che nel caso di specie il B. possa rispondere di altri reati, quali il delitto di violenza privata di cui all'art. 610 c.p. o quello di
violenza per costringere a commettere un reato di cui all'art.
611 c.p. In particolare, quest'ultimo delitto ricorre anche quando il
reato-fine commesso non è punibile per qualsiasi causa. Ciò si
desume anche dalla considerazione che trattasi di fattispecie che
si perfeziona col semplice uso della violenza o minaccia al fine
di far commettere un reato, indipendentemente dalla realizza
zione del reato-fine (cfr., ex plurimis, Cass. 1° luglio 1997,
Spitaleri e altri, ibid., voce Violenza privata, n. 1). A maggior
ragione la fattispecie è integrata anche quando il reato-fine sia
commesso, ma non è punibile per qualsiasi ragione. Va da sé che in relazione al delitto di cui all'art. 611 c.p. non
è applicabile la causa di giustificazione speciale di cui all'art.
384 c.p., giacché esso non rientra nel novero di quelli contro
l'attività giudiziaria previsti da questa norma, ma ha la sua spe cifica ragion d'essere nell'esigenza di reprimere penalmente l'uso della violenza o minaccia per coartare la libertà morale
delle persone. È evidente che il principio nemo tenetur se dete
gere, per il suo stesso contenuto, discrimina solo i reati contro
l'attività giudiziaria, non quelli contro la libertà morale.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 6
marzo 2003; Pres. Postiglione, Est. Piccialli, P.M. Izzo
(conci, conf.); ric. Rossetto. Annulla senza rinvio Trib. Como
1° marzo 2002.
Alimenti e bevande (igiene e commercio) — Bottiglie di ac
qua minerale detenute in cattivo stato di conservazione —
Reato — Fattispecie (L. 30 aprile 1962 n. 283, disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze ali
mentari e delle bevande, art. 5). Reato in genere
— Impresa di notevoli dimensioni — Re
sponsabilità del legale rappresentante — Esclusione —
Fattispecie (Cod. pen., art. 42; 1. 30 aprile 1962 n. 283, art.
5).
Sussiste il reato di cui all'art. 5, lett. b), l. 30 aprile 1962 n.
283, contestato in relazione a sostanze alimentari detenute
per la vendita in cattivo stato di conservazione (nella specie,
bottiglie di acqua minerale conservate «in luogo esposto al
sole»), indipendentemente dall'eventuale modificazione delle
loro caratteristiche intrinseche, essendo sufficiente che le
modalità di conseri'azione delle stesse siano «cattive» per mancata osservanza di norme regolamentari o anche di co
mune diligenza e cautela. (1) In tutti i casi in cui l'apparato produttivo di una società di no
il) Sulla questione, v. Cass., sez. un., 19 dicembre 2001, Butti, Foro
it., 2002,11,217. In tema, da ultimo, v. Cass. 25 settembre 2002, Bompieri, id., Rep.
2002, voce Alimenti e bevande, n. 32 (per esteso, Riv. pen., 2003, 622) in fattispecie relativa al mancato inserimento di alimenti in frigorifero
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