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sezione III penale; sentenza 29 settembre 1998; Pres. Tonini, Est. Onorato, P.M. Siniscalchi (concl....

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sezione III penale; sentenza 29 settembre 1998; Pres. Tonini, Est. Onorato, P.M. Siniscalchi (concl. diff.); ric. Olimpio. Annulla senza rinvio App. Napoli 3 dicembre 1997 Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 5 (MAGGIO 1999), pp. 337/338-341/342 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23193508 . Accessed: 28/06/2014 18:09 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.90 on Sat, 28 Jun 2014 18:09:40 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione III penale; sentenza 29 settembre 1998; Pres. Tonini, Est. Onorato, P.M. Siniscalchi(concl. diff.); ric. Olimpio. Annulla senza rinvio App. Napoli 3 dicembre 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 5 (MAGGIO 1999), pp. 337/338-341/342Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193508 .

Accessed: 28/06/2014 18:09

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GIURISPRUDENZA PENALE

senza dell'avverbio 'intenzionalmente' utilizzato dal legislatore nella configurazione della fattispecie astratta del reato».

Certa è pertanto l'esclusione delle ipotesi di dolo eventuale,

cosicché non possono considerarsi volute le conseguenze della

condotta che all'agente si presentano come probabili o possibili. Peraltro nel caso concreto il danno arrecato ai candidati esclusi

è evento certo, in quanto necessariamente collegato al processo causale direttamente derivante dalla condotta messa in atto: il

voler favorire, per ragioni politiche, alcuni candidati implica infatti la prevaricazione nei confronti degli altri, che non costi

tuisce rischio della condotta ma conseguenza inevitabile della

stessa.

Trattasi pertanto di dolo diretto, dovendo ritenersi volute dal

l'agente, secondo le pacifiche affermazioni della giurispruden

za, le conseguenze connesse in modo evidente e necessario con

l'evento verso cui è diretta l'azione e che da questo derivino

con un rapporto di causalità immancabile.

Senza dire che secondo la più recente giurisprudenza anche

delle sezioni unite, i confini del dolo diretto sono stati estesi

sino a ricomprendere le ipotesi in cui «l'ulteriore accadimento

si presenta all'agente come probabile» e cioè quando l'agente

non si sia limitato ad accettare il rischio dell'evento, bensì «ac

cettando l'evento, lo abbia voluto, sicché, in tale ipotesi, l'ele

mento psicologico si configura nella forma di dolo diretto e

non di quello di dolo eventuale» (Cass., sez. un., 14 febbraio

1996, Mele, id., Rep. 1996, voce Reato in genere, n. 36).

Ne consegue che l'interpretazione in materia di elemento sog

gettivo si rivela decisiva ai fini della sussistenza del delitto in

esame, in quanto se si ritiene che la nuova formulazione nor

mativa richieda il dolo diretto la fattispecie criminosa risulta

integrata in tutti i suoi elementi costitutivi, mentre ad opposta

conclusione deve pervenirsi nel caso in cui si reputi che la nor

ma richieda il dolo intenzionale, il quale ricorre «quando la

realizzazione del fatto è addirittura lo scopo perseguito dall'a

gente» (Cass. 3 luglio 1996, Garbin e altri, id., Rep. 1997, voce

cit., n. 35), quindi il fine precipuo avuto di mira dal soggetto.

Neil'affrontare tale indagine occorre ricordare che, secondo

quanto più volte ribadito nel corso dei lavori parlamentari, i

nuovi profili della fattispecie normativa rispondono all'esigenza

di circoscrivere l'area dei comportamenti illeciti e, di conseguenza,

rendere più selettivo il ricorso degli organi giudiziari alla norma

incriminatrice: tale assunto non può non assurgere al ruolo di

canone ermeneutico nell'applicazione della norma, in quanto

espressione della ratio che ha spinto il legislatore alla riforma.

Tale ratio è a ben vedere l'unica che consenta una esauriente

spiegazione della presenza, esclusiva tra le fattispecie delittuose

previste dal codice e dalle leggi speciali, del termine «intenzio

nalmente». Ogni altro tentativo di interpretazione porterebbe

a risultati assurdi, tanto più che, avendo l'ordinamento già uti

lizzato la parola «intenzione» nell'art. 43 c.p. ad esplicare il

concetto di delitto, inteso da dottrina e giurisprudenza com

prensivo non solo del dolo diretto ma anche di quello eventua

le, si rischierebbe di affermare che il ricordato avverbio sarebbe

stato apposto in modo del tutto inutile e fuor di luogo.

Come è stato messo in evidenza più sopra, nell'ipotesi di com

portamenti del tipo di quelli in esame va sempre affermata la

presenza di un dolo diretto a tali comportamenti costituiscono

l'oggetto, a quanto risulta, della generalità dei procedimenti pe

nali coinvolgenti profili non patrimoniali del vantaggio perse

guito dai pubblici amministratori, non emergendo allo stato che

ne pendano per casi strutturalmente difformi come quello, cui

s'è pur fatto cenno in sede di discussione, dell'abuso d'ufficio

posto in essere al di fuori di ogni situazione concorsuale o para

concorsuale, con l'indebita promozione di un alunno in sede

d'esame.

Dato certo è che il legislatore della riforma ha voluto limitare

l'intervento del giudice penale nella materia caratterizzata da

una troppo ampia estensione del concetto di abuso d'ufficio

e, sulla scorta di quanto appena sopra esposto, altrettanto certo

è che ogni interpretazione diversa da quella delle sentenze della

Suprema corte 17 dicembre 1997 e 4 maggio 1998 (sopra citate)

renderebbe non solo senza senso ma addirittura senza effetto

la riforma.

Il Foro Italiano — 1999 — Parte II-9.

Va in definitiva affermato che per la configurazione della fat

tispecie novellata dell'art. 323 c.p. si richiede, per non esulare

dal caso concreto, che il danno cagionato costituisca lo scopo dell'azione. Il che, a ben vedere, rappresenta una riaffermazio

ne della specificità dell'elemento soggettivo già richiesto nella

precedente formulazione della citata norma (reato di pericolo).

Orbene, da tutte le risultanze di questo giudizio, è dato di

escludere che il danno ingiusto subito dai candidati esclusi fosse

10 scopo precipuo dell'azione degli imputati, attenti invece, co

me si è dimostrato, ad interessi di altra natura.

A questo punto, ferma restando la legittimità della contesta

zione suppletiva operata dal pubblico ministero, per le ragioni elencate nelle ordinanze in data 19 novembre 1997, 27 gennaio 1998 ed ancora in data odierna, non può farsi a meno di notare

che il fatto concreto già sintetizzato nell'originaria contestazio

ne di reato è rimasto tale anche secondo la nuova ipotesi, paci fico oltretutto risultando che nulla di nuovo è emerso sia sotto

11 profilo materiale che sotto quello psicologico nel comporta mento ascritto agli imputati che non fosse contenuto nell'origi naria ipotesi accusatoria, rappresentando il danno successiva

mente contestato conseguenza necessariamente correlata con il

solo vantaggio esplicitato inizialmente.

Ciò non può non condizionare la scelta della formula assolu

toria, nel senso che pertinente al caso concreto deve essere quel la del fatto non più previsto dalla legge come reato.

La conclusione qui raggiunta estende i suoi effetti a posizioni che in diverso contesto normativo avrebbero comportato even

tuali questioni sulla presenza dell'elemento soggettivo nell'ipo tesi di reato. Ci si riferisce in particolare ai casi (ad es. Arioli

e Corti) per i quali in sede di discussione è stata prospettata

l'incompatibilità del concorso, nel delitto divenuto di evento a

forma vincolata, mediante un'asserita condotta omissiva in ef

fetti inesistente, dal momento che con la partecipazione alla de

libera attraverso il voto favorevole, si è invece realizzato un

comportamento attivo da parte dei predetti imputati. L'eventuale omessa partecipazione all'attività di lottizzazione

di cui si è più sopra trattato inciderebbe invero sulla questione della presenza dell'elemento soggettivo.

Per tutti gli imputati deve dunque valere la formula assoluto

ria sopra precisata.

Conseguenziali sono l'omessa pronuncia sulle richieste delle

parti civili e la restituzione dei documenti in sequestro ai sog

getti presso i quali essi si trovavano alla data dell'esecuzione

del provvedimento.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 29 set

tembre 1998; Pres. Tonini, Est. Onorato, P.M. Siniscalchi

(conci, diff.); ric. Olimpio. Annulla senza rinvio App. Napoli

3 dicembre 1997.

Tabacco — Commercio e vendita al pubblico — Sigarette in

pacchetti privi delle avvertenze a tutela della salute — Reato

— Depenalizzazione (L. 29 dicembre 1990 n. 428, disposizio

ni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza

dell'Italia alle Comunità europee (legge comunitaria per il

1990), art. 46; 1. 22 febbraio 1994 n. 146, disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'I

talia alle Comunità europee (legge comunitaria per il 1993),

art. 23).

Per effetto dell'entrata in vigore della I. 22 febbraio 1994 n.

146 deve considerarsi depenalizzato il reato previsto dall'art.

461. 29 dicembre 1990 n. 428 relativo alla commercializzazio

ne di tabacchi privi delle avvertenze specifiche previste dalla

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PARTE SECONDA

legge a tutela della salute (nella specie, trattavasi di pacchetti di sigarette privi della avvertenza «nuoce gravemente alla

salute»), (1)

Fatto e diritto. — 1. - Con sentenza del 31 ottobre 1996 il

Tribunale di Napoli dichiarava Michele Olimpio colpevole del reato di contrabbando doganale di Kg. 450 di tabacchi lavorati

esteri (art. 25, 282, lett. /, 292, 296 d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43) aggravato ai sensi dell'art. 2 1. 18 gennaio 1994 n. 50, del

reato di evasione dell'Iva all'importazione per la stessa merce

(art. 1, 67 e 70 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633), e del reato di

cui all'art. 46, 3° comma, 1. 29 dicembre 1990 n. 428, per aver

messo in commercio i tabacchi predetti privi delle avvertenze

specifiche previste dalla legge a tutela della salute. Il tribunale, riuniti i reati nella continuazione, condannava l'Olimpio alla

pena complessiva di un anno di reclusione e lire novanta milio

ni di multa. 2. - Su gravame dell'imputato, la Corte di appello di Napoli,

con sentenza del 3 dicembre 1997 confermava integralmente la

sentenza di primo grado. 2.1. - Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso il

difensore, deducendo soltanto «difetto di motivazione in ordine

al rigetto della richiesta difensiva di concessione delle attenuanti

generiche». 3. - Il ricorso è generico e infondato.

Generico perché — come risulta dal motivo sopra completa mente e letteralmente riportato — non specifica affatto le ra

gioni in forza delle quali sostiene il vizio di motivazione della

sentenza impugnata. Infondato perché la stessa sentenza ha congruamente e legit

timamente giustificato il diniego delle attenuanti generiche, fa

cendo riferimento ai precedenti penali dell'Olimpio e alla gravi tà dei fatti contestati, quale desumibile dalla notevole quantità dei tabacchi sottratti ai diritti di confine.

4. - Peraltro va rilevato d'ufficio che l'illecito previsto dal

l'art. 46 1. 29 dicembre 1990 n. 428 è ormai depenalizzato per effetto dell'entrata in vigore della 1. 22 febbraio 1994 n. 146.

Vero è che al riguardo la giurisprudenza di questa corte non

è univoca.

Le sentenze più risalenti nel tempo hanno concordemente af

fermato che la 1. 22 febbraio 1994 n. 146, laddove con il suo

art. 23 ha introdotto una sanzione amministrativa per la com

mercializzazione dei tabacchi con etichettature non conformi al

le prescrizioni dettate per la tutela della salute del consumatore, non ha abrogato, né espressamente né implicitamente, la norma

di cui all'art. 46 1. 29 dicembre 1990 n. 428 (Cass., sez. Ili, 16 febbraio 1996, Montagna, Foro it., Rep. 1996, voce Tabac

co, n. 2; 21 marzo 1997, Marzano, id., Rep. 1997, voce Con

trabbando, n. 17; 8 aprile 1997, Petralia, ibid., voce Tabacco, n. 1).

Alcune sentenze più recenti hanno invece affermato che il

citato art. 23 1. 146/94 ha implicitamente abrogato l'art. 46 1.

(1) Nel risolvere in senso affermativo la questione relativa alla avve nuta depenalizzazione del reato di cui all'art. 46 1. 428/90, in tema di commercializzazione di tabacchi privi delle avvertenze specifiche pre viste dalla legge a tutela della salute, la decisione consolida l'indirizzo

interpretativo accolto dalle più recenti sentenze in argomento (in parti colare, Cass. 5 dicembre 1997, Picardi, Ced Cass., rv. 209503; 5 dicem bre 1997, Borrelli, inedita; 18 dicembre 1997, Longo, id., rv. 209967; da ultimo, Cass. 30 settembre 1998, Liberato, id., rv. 212167), e si

pone quindi in aperto contrasto con quanto aveva viceversa contrasse

gnato l'orientamento di alcune prime difformi decisioni (Cass. 16 feb braio 1996, Montagna, Foro it., Rep. 1996, voce Tabacco, n. 2, e Cass.

pen., 1996, 2579; 21 marzo 1997, Marzano, Foro it., Rep. 1997, voce

Contrabbando, n. 17, e Impresa, 1997, 1890; 8 aprile 1997, Petralia, Foro it., Rep. 1997, voce Tabacco, n. 1).

Sulla responsabilità civile dei produttori di sigarette, cfr. Corte di strettuale federale, distretto orientale della Luisiana, ord. 17 febbraio 1995, id., 1995, IV, 305, con nota di G. Ponzanellt, «Class action», tutela dei fumatori e circolazione dei modelli giurìdici.

Sulla pubblicità dei prodotti da fumo, cfr. Trib. Roma, ord. 3 set tembre 1997, e 7 agosto 1997, id., 1998, I, 248, con nota di P. Laohez

za, In una nuvola di fumo: pubblicità del tabacco, gran premio di for mula uno e provvedimenti di urgenza, e Tar Lazio, sez. Ili, ord. 8 ottobre 1998, n. 1368, ibid., HI, 600.

Il Foro Italiano — 1999.

428/90, trasformando così da illecito penale a illecito ammini

strativo la commercializzazione di tabacchi con etichettature non

conformi alle prescrizioni vigenti (Cass. 5 dicembre 1997, Picar

di e altri; 5 dicembre 1997, Borrelli; 18 dicembre 1997, Longo). Ad avviso del collegio quest'ultima è la tesi esatta.

4.1.- Per chiarezza è opportuno premettere un sommario ex

cursus della normativa comunitaria e nazionale che si è succe

duta (ma meglio sarebbe dire accavallata) nella soggetta materia.

4.1.1. - Per prima è stata la direttiva 89/622/Cee del 13 no

vembre 1989 a proporsi l'armonizzazione delle disposizioni de

gli Stati membri della Comunità europea concernenti le avver

tenze di carattere sanitario che devono figurare nelle unità di

condizionamento dei prodotti del tabacco e le menzioni del te

nore di catrame e di nicotina sui pacchetti di sigarette (art. 1, modificato dall'art. 1 della direttiva 92/41/Cee). L'art. 4 di tale

direttiva (anch'esso modificato dalla direttiva 92/41/Cee) ha sta

bilito che tutte le unità di condizionamento (i.e. confeziona

mento) dei prodotti del tabacco rechino un'avvertenza generale «nuoce gravemente alla salute», nonc.hé altre avvertenze specifi che alternative per i pacchetti di sigarette e per altre unità di

confezionamento dei prodotti del tabacco.

In conformità a questa direttiva, il d.m. 31 luglio 1990, ema

nato dal ministro delle finanze di concerto con il ministro della

sanità, ha stabilito che tutte le unità di condizionamento dei

prodotti del tabacco devono recare l'avvertenza generale «nuo

ce gravemente alla salute»; mentre le sigarette e altre unità di

condizionamento diverse dalle sigarette devono recare anche una

avvertenza specifica fra quelle alternativamente indicate nel de

creto; infine le unità di condizionamento dei tabacchi da fumo

e da mastico devono recare anche la specifica avvertenza «pro voca il cancro». Il decreto specifica inoltre in modo analitico

il modo e lo spazio (percentuale rispetto alla superficie totale

dell'unità di condizionamento) in cui devono essere apposte le

avvertenze (art. 3). 4.1.2.- Successivamente è entrata in vigore la 1. 29 dicembre

1990 n. 428, cioè la cosiddetta legge comunitaria annuale, che

delegava il governo a emanare i decreti legislativi recanti le nor

me occorrenti per dare attuazione alle direttive comunitarie com

prese nell'ali. A (il quale — si noti bene — non include la diret

tiva 89/622/Cee, né altre direttive a tutela della salute dei con

sumatori dei prodotti di tabacco).

Peraltro, nell'art. 46, 1° comma, di questa legge si prevedeva che il ministro delle finanze, di concerto con il ministro della

sanità, doveva dettare disposizioni tecniche per il condiziona

mento e l'etichettatura dei tabacchi lavorati in conformità alle

prescrizioni della direttiva 89/622/Cee (evidentemente ignoran do che il ministro aveva già emanato un decreto in materia).

Ottemperando a questa previsione, il ministro ha poi emanato

due decreti (16 luglio 1991 e 26 luglio 1993) con cui ha aggior nato il citato art. 3 del precedente d.m. 31 luglio 1990, per adeguarlo alle modifiche apportate nell'ordinamento comunita

rio con la direttiva 92/41/Cee.

Infine, il 3° comma dello stesso art. 46, puniva con l'ammen

da (fino a cinquanta milioni) e con l'arresto (fino a un anno) la commercializzazione di tabacchi lavorati con condizionamen to privo a) delle avvertenze relative al tenore di catrame o nico

tina, b) della avvertenza generale «nuoce gravemente alla salu

te», c) delle avvertenze specifiche per i pacchetti di sigarette. 4.1.3. - Da ultimo, è entrata in vigore la 1. 22 febbraio 1994

n. 146, cioè la c.d. legge comunitaria annuale, che delegava il governo a emanare i decreti legislativi recanti le norme occor

renti per dare attuazione alle direttive comunitarie comprese nel

l'ali. A (che ancora una volta non include alcuna direttiva in

materia di commercializzazione di tabacchi e di tutela della sa

lute dei consumatori). I principi e i criteri generali a cui devono informarsi i decreti

legislativi del governo sono specificati nell'art. 2, e stabiliscono, tra l'altro, che «salva l'applicazione delle norme penali vigenti, ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni con tenute nei decreti legislativi, saranno previste sanzioni ammini

strative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti

stessi».

È da tener presente, inoltre, che a norma dell'art. 7, «al fine di assicurare la piena integrazione delle norme comunitarie nel

l'ordinamento nazionale, il governo, salve le norme penali vi

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GIURISPRUDENZA PENALE

genti, è delegato ad emanare (. . .) disposizioni recanti sanzioni

penali o amministrative per le violazioni di direttive delle Co

munità europee, attuate ai sensi della presente legge in via rego

lamentare o amministrativa, e di regolamenti comunitari vigenti alla data in vigore della presente legge».

È chiaro quindi che per le direttive comunitarie da attuare

per via legislativa il governo può prevedere sanzioni penali o

amministrative «salva l'applicazione delle norme penali vigen

ti»; e anche per le direttive da attuare in via regolamentare o

amministrativa, il governo può prevedere sanzioni penali o am

ministrative «salve le norme penali vigenti». Ma è da sottoli

neare — per quello che si osserverà in seguito — che sia le

direttive da attuare in via legislativa (elencate nell'ali. A), sia

quelle da attuare in via regolamentare o in via amministrativa

(elencate rispettivamente negli all. C ed E) non comprendono la materia del condizionamento e della etichettatura dei tabacchi.

Resta da esaminare, infine, l'art. 23 di questa legge.

Esso prevede ancora (al 2° comma) che il ministro delle fi

nanze, di concerto col ministro della sanità, detti con decreto

le disposizioni tecniche per il condizionamento e l'etichettatura

dei tabacchi lavorati, conformemente alle prescrizioni della di

rettiva 92/41/Cee, che — come s'è visto — ha aggiornato le

prescrizioni dettate dalla precedente direttiva 89/622/Cee.

Inoltre punisce (al 4° comma) «con la sanzione amministrati

va del pagamento di una somma da lire tre milioni a lire novan

ta milioni chiunque immetta in commercio prodotti di tabacco

recanti un condizionamento o un'etichettatura non conformi al

le prescrizioni dettate dall'art. 46 1. 29 dicembre 1990 n. 428,

dal presente articolo o dai relativi decreti di attuazione».

5. - Questa semplice ricognizione diacronica della normativa

già consente di concludere che l'ultima norma sanzionatrice, di

cui al 4° comma dell'art. 23 1. 22 febbraio 1994 n. 146, in quanto

norma posteriore che disciplina integralmente in modo nuovo

la materia già regolata dalla norma anteriore, ha abrogato taci

tamente il 3° comma dell'art. 46 1. 29 dicembre 1990 n. 428

(ex art. 15 preleggi). Alle violazioni delle prescrizioni dettate

per le avvertenze da apporsi sulle unità di condizionamento dei

tabacchi lavorati non sono più applicabili le sanzioni penali pre

viste dall'art. 46, perché queste sono state sostituite dalle san

zioni amministrative previste dall'art. 23.

5.1. - A questa evidente conclusione si obietta che la sanzione

penale dell'art. 46 resta ferma per quella particolare violazione

che consiste nella omissione della avvertenza generale «nuoce

gravemente alla salute» (almeno questa sembra la tesi sostenuta

nella succitata sentenza Montagna).

Ma la obiezione non ha pregio, perché ignora il tenore lette

rale dell'art. 23, il quale punisce solo con sanzione amministra

tiva ogni condizionamento non conforme alle prescrizioni del

l'art. 46, fra le quali è esplicitamente compresa (alla lett. b del

3° comma) anche la prescrizione relativa alla generale avverten

za «nuoce gravemente alla salute».

5.2. - Una seconda obiezione, adombrata nella sentenza Mon

tagna ed esplicitata nella sentenza Marzano, è che la mancanza

delle avvertenze prescritte è cosa diversa dalla non conformità

delle stesse avvertenze alle prescrizioni dettate, ovvero la man

canza di etichettatura è cosa diversa dalla etichettatura non con

forme; sicché la mancanza delle avvertenze sarebbe ancora pu

nita come reato, mentre l'apposizione di un'avvertenza diffor

me da quella prescritta (per esempio perché il testo è diverso,

o perché la collocazione è diversa o perché i caratteri sono più

piccoli) sarebbe punita come semplice illecito amministrativo.

Ma è stato facile replicare che la non conformità del condi

zionamento e dell'etichettatura alle prescrizioni dettate dall'art.

46 comprende letteralmente e logicamente anche la mancanza

totale delle avvertenze prescritte nello stesso articolo (cfr. spe

cialmente la sentenza Borrelli, cit.).

La prima difformità dalle prescrizioni è proprio la mancanza

delle avvertenze; anche se — ovviamente — pure l'apposizione

di avvertenze non regolamentari configura una difformità dalle

prescrizioni. Non si deve infatti dimenticare che il 4° comma

dell'art. 23 punisce come illecito amministrativo ogni condizio

namento o etichettatura non conformi alle prescrizioni dettate

dall'art. 46: non punisce invece l'apposizione di avvertenze non

conformi alle prescrizioni dettate dall'art. 46. La tesi che qui

Il Foro Italiano — 1999.

si critica invece legge la norma dell'art. 23 come se punisse con

la sanzione amministrativa l'apposizione di avvertenze non con

formi alle prescrizioni. 5.3. - Un terzo argomento usato a sostegno della tesi criticata

fa leva sulla salvezza delle norme penali vigenti operata dal

l'art. 7 1. 22 febbraio 1994 n. 146, che per conseguenza manter

rebbe in vigore anche la norma penale di cui all'art. 46 1. 29

dicembre 1990 n. 428 (così la sentenza Petralia, cit.).

L'equivoco in cui cade questa interpretazione dovrebbe risul

tare evidente dalla ricognizione storica sopra riassunta (n. 4.1). In primo luogo — come s'è già sottolineato — le norme penali fatte salve dall'art. 7 sono quelle vigenti nelle materie discipli nate dalle direttive comunitarie che ai sensi della stessa legge comunitaria 146/94 sono attuate in via regolamentare o in via

amministrativa; così come le norme penali fatte salve dall'art.

2, lett. d), stessa legge sono quelle vigenti nelle materie delle

direttive comunitarie da attuarsi con decreti legislativi ai sensi

della medesima legge di delega: e nessuna di queste materie —

si ripete — riguarda il condizionamento e l'etichettatura dei pro dotti del tabacco.

In secondo luogo, poiché l'art. 23 stessa 1. 146/94 ha implici tamente abrogato l'art. 46 1. 428/90, è evidente che quest'ulti ma norma penale non era più vigente al momento in cui il go verno attuava in via legislativa, regolamentare o amministrativa

le direttive comunitarie di cui trattasi, corredandole discrezio

nalmente del relativo apparato sanzionatorio; anzi, a rigore non

era più vigente neppure nel momento in cui entrava in vigore la stessa legge delega 146/94 (cfr. ancora sul punto la sentenza

Borrelli e la sentenza Picardi, citate). 6. - Concludendo sul punto, la sentenza impugnata va annul

lata limitatamente al reato di cui all'art. 46 1. 428/90, contesta

to al capo d) della imputazione, perché non più preveduto dalla

legge come reato. Va quindi annullata la relativa pena, che ai

sensi dell'art. 620, lett. /)> c.p.p. si determina in cinque giorni di reclusione e lire un milione di multa.

CORTE D'APPELLO DI BOLOGNA; sentenza 4 dicembre

1998; Pres. Ruggeri, Est. Roi; imp. Balduzzi e altro.

CORTE D'APPELLO DI BOLOGNA;

Diritti d'autore — Opere letterarie — Riproduzione abusiva —

Fotocopiatura — Reato (L. 22 aprile 1941 n. 633, protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio,

art. 68, 171; 1. 22 maggio 1993 n. 159, norme in materia di

abusiva riproduzione di opere letterarie e abrogazione del con

tributo sulle opere di pubblico dominio di cui agli art. 177,

178 e 179 e all'ultimo comma dell'art. 172 1. 22 aprile 1941

n. 633, art. 1).

L'abusiva riproduzione, mediante fotocopiatura, di opere lette

rarie (nella specie, testi universitari) protette dal diritto d'au

tore costituisce reato. (1)

(1) La corte felsinea, nel confermare la sentenza pretorile di condan

na emessa nei confronti dei titolari di due copisterie, ha precisato che:

a) la fattispecie dell'abusiva riproduzione di opere letterarie, median

te macchine fotocopiatrici, non si può considerare depenalizzata a se

guito dell'entrata in vigore dell'art. 1 1. 159/93, disposizione che inten

de tutelare la veste grafica dell'opera; in senso conforme, v. Cass. 16

dicembre 1994, Nucci, Foro it., 1996, II, 231, con nota di R. Caso

(tale pronuncia — annotata da E. Svariati, Illecita riproduzione di

opere a stampa mediante fotocopiatura, in Cass, pen., 1996, 283; N.

Tilli, Tutela dell'editoria di fronte al fenomeno della reprografia, in

Riv. dir. ind., 1996, II, 216; S.R. Palumbieri, La riproduzione abusiva

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