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sezione III penale; sentenza 29 settembre 1999; Pres. Avitabile, Est. Mannino, P.M. Izzo (concl....

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sezione III penale; sentenza 29 settembre 1999; Pres. Avitabile, Est. Mannino, P.M. Izzo (concl. diff.); ric. Piccirilli e altri. Conferma Pret. Reggio Emilia-Montecchio 10 dicembre 1998 Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 10 (OTTOBRE 2000), pp. 561/562-565/566 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23195573 . Accessed: 24/06/2014 23:10 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.109.12 on Tue, 24 Jun 2014 23:10:12 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione III penale; sentenza 29 settembre 1999; Pres. Avitabile, Est. Mannino, P.M. Izzo (concl.diff.); ric. Piccirilli e altri. Conferma Pret. Reggio Emilia-Montecchio 10 dicembre 1998Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 10 (OTTOBRE 2000), pp. 561/562-565/566Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195573 .

Accessed: 24/06/2014 23:10

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GIURISPRUDENZA PENALE

b) che servire al cliente di un ristorante cibi preparati con

sostanze alimentari congelate, senza informarlo di tale qualità di esse, significa fornire allo stesso aliud pro alio-,

c) che la detenzione nella cella frigorifera del locale di cibi

congelati, senza che ve ne fossero altri, simili, freschi e senza che nel menù fosse contenuta alcuna indicazione al riguardo, deve ritenersi integrare gli estremi di una condotta costituita da atti idonei, diretti in modo non equivoco a frodare gli av

ventori.

Avverso la sentenza d'appello il Perin ha proposto ricorso

per cassazione chiedendone l'annullamento per violazione di legge e difetto di motivazione.

Deduce, in particolare, il ricorrente:

I) che nessuna norma di legge imporrebbe di specificare nella

lista delle vivande esibita ai clienti di un ristorante le caratteri

stiche di origine e qualità delle materie prime impiegate nella

preparazione dei cibi somministrati nel locale;

II) che l'uso di materie prime congelate, nella preparazione dei cibi, non sarebbe vietato dalla legge;

III) che il sopralluogo dei carabinieri del Nas era stato effet

tuato in un giorno di chiusura al pubblico del ristorante, quan do nessun cliente si trovava dunque nel locale e le cucine non

erano in funzione;

IV) che, pertanto, nessun tentativo di frode in commercio

può essere ipotizzato, non essendovi stata alcuna contrattazione

con clienti, né esibizione ad alcuno di loro del menù del ri

storante;

V) che nessun avventore avrebbe potuto presumere che i cibi

indicati nel menù fossero freschi e non congelati;

VI) che la sua responsabilità penale, in ordine al reato ascrit

togli, sarebbe stata, dunque, affermata illegittimamente. Motivi della decisione. — A mente dell'art. 515 c.p. commet

te il delitto di frode in commercio colui il quale, nell'esercizio

di un'attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pub

blico, consegni all'acquirente una cosa mobile per un'altra, ov

vero una cosa mobile per origine, provenienza, qualità o quan tità, diversa da quella dichiarata o pattuita.

L'elemento materiale del reato di che trattasi consiste, quin

di, nel «consegnare» all'acquirente una cosa mobile non con

forme a quella convenuta, il che presuppone l'esistenza di un'at

tività contrattuale (pattuizione-dichiarazione) fra venditore ed

acquirente. Il tentativo di frode in commercio è configurabile ogni qual

volta la situazione prospettata sia idonea a trarre in inganno la clientela che ha la legittima aspettativa di vedersi venduto, o servito, il prodotto richiesto o reclamizzato.

La semplice detenzione, da parte di un ristoratore, di alimen

ti congelati o surgelati, non corredata da altri elementi circo

stanziati, non può ritenersi integrare l'ipotesi del tentativo di

frode in commercio mancando, in tal caso, il requisito dell'uni

vocità degli atti, ravvisabile solo se e quando vi sia stato alme

no un inizio di contrattazione con un determinato acquirente

(v., conf., Cass., sez. Ili, 26 giugno 1998, Zannotti, Foro it.,

Rep. 1999, voce Frode in commercio, n. 4, e 25 febbraio 1998, Ferreri, id., Rep. 1998, voce cit., n. 9).

Il ricorrente afferma, nei motivi di ricorso, che l'ispezione dei carabinieri del Nas sarebbe avvenuta in giornata di chiusura

al pubblico del ristorante, quando cioè nessun avventore era

nel locale e le cucine non erano in funzione.

Di tale circostanza di fatto non v'è traccia nella motivazione

delle decisioni di merito che, essendo di segno conforme, si in

tegrano, ma sia il pretore che la corte d'appello hanno omesso

di indicare se e quali atti univoci, ulteriori e diversi dalla deten

zione nella cella frigorifera di cibi congelati e dall'omessa indi

cazione di essi nel menù, fossero addebitabili all'imputato e di

specificare se nel locale vi fossero clienti, in attesa di essere

serviti, ai quali fosse stato esibito il detto menù.

Poiché il reato di cui all'art. 515 c.p. si consuma solo con

la consegna materiale, all'acquirente o al cliente, di merce di

versa da quella dichiarata o pattuita, è evidente che perché sia

configurabile il tentativo di tale delitto occorre individuare e

specificare gli atti, della condotta dell'imputato, diretti in modo

non equivoco a consegnare o servire concretamente al cliente

cose mobili — nel caso in specie, cibi — diverse da quelle di

chiarate (nel menù). Alla luce delle esposte considerazioni, la sentenza impugnata

deve essere annullata, con rinvio, per nuovo giudizio che, previ

gli accertamenti in punto di fatto eventualmente ritenuti neces

sari, terrà conto dei principi di diritto sopra enunciati.

Il Foro Italiano — 2000.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 29 set tembre 1999; Pres. Avitabile, Est. Mannino, P.M. Izzo

(conci, diff.); ric. Piccirilli e altri. Conferma Pret. Reggio Emilia-Montecchio 10 dicembre 1998.

Alimenti e bevande (igiene e commercio) — Pubblicità inganne vole — Depenalizzazione — Esclusione (L. 30 aprile 1962 n.

283, disciplina igienica della produzione e della vendita delle

sostanze alimentari e delle bevande, art. 13; d.leg. 27 gennaio 1992 n. 109, attuazione delle direttive 89/395/Cee e

89/396/Cee, concernenti l'etichettatura, la presentazione e la

pubblicità dei prodotti alimentari, art. 2, 18, 29).

L'art. 13 l. 30 aprile 1962 n. 283, che vieta la pubblicità ingan nevole dei prodotti alimentari, non è stato abrogato a seguito dell'entrata in vigore del d.leg. 27 gennaio 1992 n. 109. (1)

(1) I. - Sulla questione, v. Cass. 31 ottobre 1997, Benso, Foro it., 1998, II, 323, con nota di richiami di Paone.

Da ultimo, v. Cass. 5 settembre 1999, La Gaipa, Riv. pen., 1999, 973 (un prodotto denominato «formaggio per pizza», in realtà contene va non formaggio, ma grassi di origine vegetale).

Per una fattispecie di pubblicità ingannevole di un prodotto cosmeti

co, v. Corte giust. 13 gennaio 2000, causa C-220/98, Foro it., 2000, IV, 170.

Da ultimo, in argomento, v. Corte giust. 4 aprile 2000, causa C-465/98, inedita: l'art. 2, n. 1, lett. a, i, della direttiva del consiglio 18 dicembre 1978 n. 79/112/Cee, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari destinati al consumatore finale, nonché la relativa pubblici tà, non osta all'utilizzazione dell'indicazione «naturalmente pura» ap posta su una confettura di fragole che contenga l'addensante pectina nonché tracce o residui di piombo, di cadmio e di pesticidi nei seguenti tenori: 0,01 mg/kg di piombo, 0,008 mg/kg di cadmio, 0,016 mg/kg di procimidone e 0,005 mg/kg di vinclozulina.

II. - Con la sentenza in epigrafe, la Corte di cassazione ha ribadito la tesi del persistente carattere penale della norma di cui all'art. 13 1. n. 283 del 1962 (nello stesso senso, v. Cass. 5 ottobre 1999, Colautti, inedita; 24 maggio 1999, Porressere, Ced Cass., rv. 214229) con argo mentazioni che non si discostano da quelle già più volte addotte in

passato (per una critica in merito, cfr. Paone, Vendita e propaganda di sostanze alimentari: questione di costituzionalità (nota a Corte cost. 22 ottobre 1996, n. 356, Foro it., 1997, I, 1306) in Dir. ind., 1997, 157).

La questione, comunque, è tutta da rivedere alla luce della modifica

apportata in materia dal d.leg. 30 dicembre 1999 n. 507 (Le leggi, 2000, I, 342) emesso in attuazione della delega contenuta nell'art. 1 1. 25 giu gno 1999 n. 205.

L'art. 1 ha trasformato in illeciti amministrativi tutti i reati in mate ria alimentare contemplati da varie leggi speciali e specificati nell'elenco

allegato al decreto, ad eccezione delle violazioni previste dagli art. 5, 6 e (in parte) 12 1. n. 283: tra i reati che sopravvivono alla depenalizza zione non è più menzionato l'art. 13 e pertanto non vi dovrebbero esse re più dubbi nel ritenere che la norma incriminatrice ivi contenuta sia definitivamente «uscita di scena».

Un ulteriore motivo che corrobora la conclusione che le infrazioni in materia di pubblicità ingannevole non sono più sanzionate penal mente è ricavabile dalla modifica che l'art. 8 d.leg. 25 febbraio 2000 n. 68, attuazione della direttiva 97/4/Ce, che modifica la direttiva

79/112/Cee, in materia di etichettatura, presentazione e pubblicità dei

prodotti alimentari destinati al consumatore finale (ibid., 1106), ha ap portato all'art. 18 d.leg. 109/92. Nella nuova versione di questa norma non compare più la clausola di riserva penale che in precedenza era

presente solo nel 1° comma e non nel 2° (che prevedeva una specifica sanzione amministrativa proprio per l'inosservanza delle norme in tema di etichettatura, pubblicità e presentazione dei prodotti alimentari): or

bene, in passato, secondo una certa tesi giurisprudenziale, l'applicazio ne della sanzione penale in tutti i casi di pubblicità ingannevole era

giustificata proprio dalla presenza di tale clausola di riserva penale. Oggi, anche questo argomentare non ha più spazio (ammesso però che in passato ne avesse!).

In questo contesto, segnaliamo che il Tribunale di Foggia (ord. 24 mar zo 2000, inedita), in una fattispecie in cui era emerso che sulla confezione di olive in salamoia era apposta la dicitura «D.O.C.» (Drupa Originale Cerignola), ritenuta atta a trarre in inganno i consumatori, perché l'acro nimo «D.O.C.» è usato per la tutela dei vini a denominazione di origine controllata e perciò la sua adozione finisce col conferire un particolare pregio ai prodotti di che trattasi, si è posto il quesito se la condotta posta in essere dal prevenuto rientrasse tuttora nell'area dell'illecito penale (ri cordiamo che nel presente caso era stato contestato il delitto di cui all'art. 517 c.p.) oppure non fosse riconducibile alla sfera dell'illecito ammini strativo in forza del recente provvedimento di depenalizzazione.

Il tribunale osserva che, in tema di pubblicità ingannevole, la norma di cui all'art. 13 1. n. 283 si pone come speciale rispetto a quella di cui all'art. 517 c.p. poiché entrambe le norme puniscono il fatto di

porre in vendita prodotti con denominazioni o nomi idonei ad indurre in errore il compratore sulle qualità o provenienza dei prodotti, ma

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PARTE SECONDA

Fatto e diritto. — Condannati con la sentenza sopra indicata

quali colpevoli dei reati loro ascritti — per aver posto in vendita

e propagandato il prodotto «condimento balsamico Cavalli» in

recipienti per forma e colore analoghi a quelli dell'«aceto balsa

mico tradizionale di Modena e Reggio Emilia» in modo da trarre

in inganno il consumatore sull'assimilabilità dei due prodotti —

Marco Balduino Piccirilli, Anna Cadoppi, Giovanni e Roberto Lui

gi Cavalli e Franco Bonacini propongono ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi. (Omissis)

2. - Inosservanza ed erronea applicazione della legge (art. 606, 1° comma, lett. b, c.p.p.) in quanto il d.leg. 27 gennaio 1992

n. 109 ha trasformato in illecito amministrativo la contravven zione prevista dall'art. 13 1. 30 aprile 1962 n. 283.

3. - Erronea applicazione della legge penale (art. 606, 1° com

ma, lett. b, c.p.p.) in quanto l'art. 13 1. 30 aprile 1962 n. 283 con

templa la reclamizzazione di qualità inesistenti di un prodotto, ma

non di caratteristiche da esso realmente possedute. (Omissis)

l'art. 13 prevede in più, come elemento specializzante, che il prodotto posto in vendita sia una sostanza alimentare sicché, come norma spe ciale, prevale su quella di cui all'art. 517. Sulla base di questo dato e dell'art. 9, 1° comma, 1. 689/81, che prevede, in caso di concorrenza sullo stesso fatto tra norma penale e norma amministrativa, la preva lenza di quella più specifica, il tribunale opina che si potrebbe ricondur re la condotta in esame all'area dell'illecito depenalizzato tenendo an che conto del dato letterale dell'art. 517 c.p. che menziona esclusiva mente i prodotti industriali, come oggetto della possibile induzione in errore e non, come fa l'art. 515, le sostanze alimentari.

Il tribunale, però, disattendendo gli argomenti anzi riferiti, ha soste nuto l'applicabilità dell'art. 517 per le seguenti ragioni: «Anzitutto dal la lettura della relazione al d.leg. 507/99, si registra come il legislatore delegato non abbia voluto minimamente far retrocedere la soglia della

punibilità penale, nei casi in cui il consumatore finale fosse peculiar mente esposto alla violazione dei doveri di trasparenza e lealtà da parte degli imprenditori commerciali nei suoi confronti. In questo senso di mantenimento del presidio penalistico verso il bene giuridico dell'aspet tativa, da parte del consumatore, di chiarezza nella pubblicità e di cor

rispondenza tra prodotto e nomenclatura di presentazione del medesi

mo, va allora letta la clausola di salvaguardia inserita nell'art. 1 d.leg. 507/99, laddove si fanno salve le norme del codice penale. Milita in tal senso anche l'introduzione dell'aggravante ex art. 517 bis c.p., la quale, richiamando genericamente gli art. 515, 516 e 517 c.p., manife sta una difesa rafforzata per gli alimenti che godono di particolari spe cificità, senza operare alcuna distinzione tra i perimetri previsionali dei tre delitti. Infine anche per la nozione di 'prodotti industriali' va impe gnata una lettura che si raccordi all'attuale momento storico e che si nutra delle avvenute trasformazioni del mondo agricolo, che non è cer to più quello presente agli occhi del legislatore degli anni trenta».

III. - Circa le novità normative in materia di etichettatura, presenta zione e pubblicità dei prodotti alimentari destinati al consumatore fina

le, si è già detto del d.leg. 25 febbraio 2000 n. 68 che apporta alcune modificazioni al d.leg. 109/92; si segnala, al riguardo, la circ. 31 marzo

2000, n. 165 del ministero dell'industria, del commercio e dell'artigia nato (ibid., II, 61), recante linee guida relative al principio della dichia razione della quantità degli ingredienti (art. 8 d.leg. 109/92) nonché ulteriori informazioni per la corretta applicazione delle disposizioni ri

guardanti l'etichettatura dei prodotti alimentari. Si segnalano, inoltre, il d.leg. 25 febbraio 2000 n. 84, attuazione del

la direttiva 98/6/Ce relativa alla protezione dei consumatori in materia di indicazione dei prezzi offerti ai medesimi (ibid., I, 1343), finalizzato a migliorare l'informazione del consumatore e ad agevolare il raffronto dei prezzi; il d.p.r. 11 aprile 2000 n. 132, regolamento recante norme di attuazione della direttiva 99/39/Ce, che modifica la direttiva 96/5/Ce

sugli alimenti a base di cereali e gli altri alimenti destinati ai lattanti ed ai bambini (ibid., 1866).

Infine, va detto che dal 10 aprile i regolamenti della commissione 10

gennaio 2000 n. 49/00, che modifica il regolamento (Ce) 1139/98 del

consiglio concernente l'obbligo di indicare nell'etichettatura di alcuni pro dotti alimentari derivati da organismi geneticamente modificati caratte ristiche diverse da quelle di cui alla direttiva 79/112/Cee (ihid., V, 131) e n. 50/00, concernente l'etichettatura dei prodotti e ingredienti alimen tari contenenti additivi e aromi geneticamente modificati o derivati da

organismi geneticamente modificati (ibid., 132) sono in vigore: essi ren dono obbligatorio indicare nell'etichettatura le caratteristiche dei pro dotti ottenuti da organismi geneticamente modificati (Ogm) e la presen za di additivi e aromi geneticamente modificati o derivati da Ogm per qualsiasi prodotto. Vista l'impossibilità di escludere ogni contaminazio ne accidentale di prodotti e ingredienti alimentari mediante Dna o pro teine derivate da modificazioni genetiche della soia e del granturco, la commissione Ce ha fissato all'uno per cento la soglia minima di presen za di questi organismi durante l'intera catena di produzione. L'obbligo dell'indicazione della presenza di organismi geneticamente modificati non è però esteso ai produttori di materie prime, così da rendere necessari test di laboratorio (di cui non esiste ancora una versione ufficiale) per stabilire se venga superato il limite dell'uno per cento. [V. Paone]

Il Foro Italiano — 2000.

L'art. 29, 2° comma, d.leg. 27 gennaio 1992 n. 109 abroga

esplicitamente il d.p.r. 18 maggio 1982 n. 322 e, genericamente, tutte le disposizioni in materia di etichettatura, di presentazione e di pubblicità dei prodotti alimentari e relative modalità che

siano diverse o incompatibili con quelle in esso stabilite.

Non rientra, quindi, in questa disposizione l'art. 13 1. 30 apri le 1962 n. 283, sia perché non è direttamente abrogato in quanto non specificamente menzionato dalla norma abrogatrice; sia per ché la fattispecie in esso delineata non è né diversa, né incompa tibile ma conforme, ed anzi più specifica e articolata, rispetto a quella dell'art. 2 d.leg. n. 109 del 1992, cit. (Cass., sez. Ili, 6 febbraio 1995, Cherubini, Foro it., Rep. 1996, voce Alimenti

e bevande, n. 70; 28 giugno 1994, Avetrani, id., Rep. 1995, voce

cit., n. 105; sez. VI 19 ottobre 1993, Martino, id., 1995, II, 120).

Infatti, l'art. 2 d.leg. n. 109 del 1992, cit., disponendo in

tema di pubblicità dei prodotti, prescrive che l'etichettatura, la

presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari:

1. non devono indurre in errore l'acquirente sulle caratteri stiche del prodotto e precisamente sulla natura, sull'identità, sulla qualità, sulla composizione, sulla quantità, sulla durabili

tà, sul luogo di origine o di provenienza, sul modo di otteni

mento o di fabbricazione del prodotto stesso; 2. non devono essere tali da indurre ad attribuire al prodotto

proprietà atte a prevenire, a curare o guarire malattie umane

né accennare a tali proprietà che non possiede; 3. non devono evidenziare caratteristiche particolari quando tut

ti i prodotti alimentari analoghi possiedano le stesse caratteristiche.

E l'art. 13 cit. — facendo divieto di propagandare col mezzo

della stampa o in qualsiasi altro modo sostanze alimentari e,

quindi, con attività corrispondente all'etichettatura, presenta zione e pubblicità previste dalla norma predetta, rispetto alla

quale l'adozione di denominazioni o nomi impropri, frasi pub

blicitarie, marchi o attestati di qualità, o genuinità da chiunque rilasciati nonché disegni illustrativi ha funzione meramente esem

plificativa, 1) in modo da sorprendere la buona fede e da indur

re in errore gli acquirenti circa la natura, sostanza, qualità o le proprietà nutritive delle sostanze alimentari stesse; 2) vantan

do particolari azioni medicamentose, e, quindi, con modalità

corrispondenti a quelle richieste dalla norma predetta — detta

una disposizione non solo non incompatibile, ma neppure di

versa, indipendentemente dalla redazione formale, da quella del

già visto art. 2, dal momento che entrambe perseguono il mede simo fenomeno della pubblicità ingannevole in termini e con

modalità coincidenti.

A parte il raffronto fra le due norme, la finalità di depenaliz zazione mediante sostituzione dei reati preesistenti con illeciti

amministrativi deve ritenersi esclusa dal tenore dell'art. 18 d.leg. 109/92 il quale, nel punire con sanzione amministrativa pecu niaria chiunque confezioni, detenga per vendere o venda pro dotti alimentari non conformi alle norme in esso contenute —

e, quindi, difformi anche dal disposto dell'art. 2 stesso decreto — fa salvo testualmente il caso che il fatto costituisca reato. La coincidenza, risultante dall'analisi che precede, delle norme dettate dagli art. 2 d.leg. 109/92 e 13 1. 283/62 implica che i fatti che rientrano nella previsione della prima costituiscono

reato ai sensi della seconda e, pertanto, a tenore dell'art. 18

d.leg. 109/92, restano qualificati come illecito penale e non co me illecito amministrativo.

Questo atteggiamento del legislatore conferma la conclusio

ne, cui già per altra via si perviene, che l'art. 13 1. 30 aprile 1962 n. 283 non sia stato abrogato per essere sostituito con

un illecito amministrativo e sia tuttora vigente. In ogni caso l'art. 13 1. n. 283 del 1962 si sottrae all'abroga

zione implicita da parte dell'art. 29 d.leg. n. 109 del 1992, ciò

in forza dell'art. 9 1. 24 novembre 1981 n. 689 che, dettando

norme generali in tema di depenalizzazione, richiama espressa mente al 3° comma gli art. 5, 6, 9 e 13 1. 283/62 per stabilire

che le disposizioni penali in essi previste si applicano anche quan do gli stessi fatti sono puniti da disposizioni amministrative che

hanno sostituito disposizioni penali speciali, vale a dire da san

zioni amministrative stabilite per legge in sostituzione di sanzio ni penali previste da norme speciali.

Il sistema degli art. 2 e 18 d.leg. n. 109 del 1992, nella misura in cui eccettua dalla qualificazione e punizione come illeciti am

ministrativi i fatti che costituiscono reato, si pone, dunque, sul

piano sistematico come norma parallela rispetto a quella del l'art. 9 1. n. 689 del 1981 in quanto entrambe concorrono nella

conservazione dell'illecito penale sancito dall'art. 13 1. n. 283 del 1962. Altrettanto inconsistenti sono il terzo e il quarto moti

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GIURISPRUDENZA PENALE

vo d'impugnazione dei primi quattro imputati e il terzo motivo del quinto, perché si ha pubblicità ingannevole allorché l'im

prenditore non si limiti ad esaltare le qualità possedute dal pro prio prodotto, ma lo presenti e pubblicizzi in forme tali da in

generare negli acquirenti la convinzione che i due prodotti siano sostanzialmente assimilabili, cioè che il proprio prodotto abbia le medesime caratteristiche e proprietà dell'altro.

Nel caso in esame gli accertamenti compiuti dal primo giudi ce, posti alla base dell'imputazione e della sentenza, portano univocamente alla conclusione che gli imputati, lungi dal ma

gnificare soltanto il proprio condimento balsamico, abbiano ope rato effettivamente nel senso suindicato.

La motivazione del pretore indica, a titolo esemplificativo, vari elementi della condotta degli imputati che hanno valore

inequivoco di pubblicità ingannevole, come l'indicazione nell'e tichetta del condimento Cavalli che il prodotto è ottenuto me diante lenta fermentazione di mosto d'uva cotto, cioè con un

procedimento che l'art. 5 d.p.r. 12 febbraio 1965 n. 162 con sente soltanto al vino Marsala e all'aceto balsamico di Modena e Reggio Emilia; la precisa somiglianza dell'effige posta sull'eti chetta del condimento con quella dell'etichetta dell'aceto; l'ana

logia delle confezioni, del contenitore e delle modalità di vendi

ta, confermate dalla testimonianza che nella salumeria del Bo nacini il condimento Cavalli veniva presentato come aceto bal samico.

La sentenza ha, dunque, applicato correttamente alla fatti

specie concreta la norma dell'art. 13 1. n. 283 del 1962, cit., ed ha offerto una motivazione adeguata e coerente della deci sione conseguentemente adottata, anche in ordine all'elemento

psicologico. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 21 set

tembre 1999; Pres. Pirozzi, Est. Silvestri, P.M. Siniscalchi

(conci, conf.); conflitto di competenza in c. Lanuto. Dichiara

competenza Tribunale di Fermo.

Violenza sessuale, atti sessuali con o in presenza di minorenni,

divulgazione di generalità o immagine della persona offesa — Violenza sessuale — Vittima infraquattordicenne — Circo

stanza aggravante — Natura — Circostanza ad effetto spe ciale — Esclusione — Effetti ai fini della competenza (Cod.

pen., art. 63 , 609 ter, cod. proc. pen., art. 4, 16).

A norma di quanto previsto dall'art. 63, 3° comma, c.p., non

è classificabile quale circostanza ad effetto speciale (e non è pertanto computabile ai fini della determinazione della com

petenza il relativo aumento di pena) la circostanza aggravante di cui all'art. 609 ter, 7° comma, n. 1, c.p. (applicabile nel

caso in cui la vittima del delitto di violenza sessuale abbia

età inferiore agli anni quattordici), in quanto la relativa va

riazione di pena, pur risultando fondata su di un'autonoma

determinazione edittale, è superiore di solo un quinto alla pe na prevista per il reato semplice. (1)

(1) Non constano precedenti editi. In dottrina, il problema della distinzione fra circostanze «ad effetto

comune» e circostanze «ad effetto speciale» è invece oggetto di un net to contrasto di opinioni: per un quadro riassuntivo delle varie opinioni, v., per tutti, M. Romano, Commentario sistematico del codice penale (art. 1-84), 2a ed., Milano, 1995, I, sub pre-art. 59, n. 25 ss., 601 ss. Più di recente, per una nuova disamina globale del dibattito, v. A.

Melchionda, Le circostanze del reato. Origine, sviluppo e prospettive di una controversa categoria penalistica, Padova, 2000, spec. 618 ss.

Più specificamente, sul problema della classificazione quali circostan ze «ad effetto speciale» delle aggravanti, in tema di reati sessuali, previ ste dall'art. 609 ter c.p., v. S. Del Corso, Commento all'art. 4 l. 66/96, in Legislazione pen., 1996, 444; A. Melchionda, Commento all'art. 4 l. 15 febbraio 1996 n. 66, in AA.VV., Commentari delle norme con tro la violenza sessuale e della legge contro la pedofilia, scritti coordi nati da A. Cadoppi, 2a ed., Padova, 1999, 149 ss.; S. Moccia, Il siste ma delie circostanze e le fattispecie qualificate nella riforma deI diritto

Il Foro Italiano — 2000.

Con sentenza del 19 gennaio 1999, pronunciata all'esito del l'udienza preliminare, il g.u.p. del Tribunale di Fermo dichiara va la propria incompetenza per territorio in ordine alla cogni zione del procedimento penale a carico di Lanuto Giuseppe, ritenendo che, agli effetti dell'art. 16 c.p.p., il reato più grave tra quelli contestati all'imputato fosse quello previsto dagli art. 56 e 609 bis c.p., commesso nel circondario del Tribunale di Macerata.

Con provvedimento del 12 marzo 1999 il g.i.p. del Tribunale

penale sessuale (l. 15 febbraio 1996 n. 66): un esempio paradigmatico di sciatteria legislativa, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1997, 408 ss.

In relazione alle principali implicazioni processuali della problemati ca, v., soprattutto, Cass., sez. un., 8 aprile 1998, Vitrano, Foro it., 1998, II, 772, con nota di richiami, nonché le più ampie precisazioni di G. De Amicis, Sulla rilevanza delle aggravanti ad effetto speciale ai fini della determinazione massima della custodia cautelare, in Cass. pen., 1997, 144 ss., e di L. Parlato, Concorso di aggravanti ad effetto speciale, riforma dell'art. 5 c.p.p. e principi costituzionali, id., 1999, 3608 ss.

Per ulteriori indicazioni sui termini complessivi della questione si rin via alla nota che segue.

* * *

Il problema della distinzione fra circostanze «ad effetto speciale» e circostanze «ad effetto comune» (con specifico riferimento alle nuove

aggravanti dei reati sessuali).

1. - Nonostante l'indubbia sinteticità della motivazione, la sentenza in epigrafe presenta notevole interesse generale. Per quanto è dato sa pere si tratta, infatti, della prima presa di posizione esplicita, da parte della Suprema corte, sul controverso problema della classificazione quali circostanze «ad effetto speciale», ovvero «ad effetto comune», di quel le particolari ipotesi circostanziali, un tempo definite «ad effetto indi

pendente», che si caratterizzano per il fatto di comportare l'applicazio ne di una pena stabilita in astratto senza alcun rapporto di dipendenza diretta con la pena altrimenti prevista per il c.d. reato base.

Nel caso di specie, in particolare, la questione ha avuto occasione di essere affrontata con riguardo alla circostanza aggravante di cui al l'art. 609 ter, 1° comma, n. 1, c.p., relativa all'ipotesi di violenza ses suale su vittima infraquattordicenne. A ben vedere, anche questa corre lazione non è priva di rilievo ed importanza: proprio la recente riforma dei reati sessuali (introdotta dalla 1. n. 66 del 1996) e la connessa previ sione di un articolato insieme di nuove circostanze aggravanti caratte rizzate da una variazione indipendente di pena avevano, infatti, rilan ciato i termini di una problematica quanto mai controversa in dottrina, ma sulla quale non era ancora dato conoscere con certezza l'orienta mento dei giudici di legittimità (1).

Come in parte emerge dalla stessa massima in epigrafe, il nodo del problema è principalmente legato all'attuale formulazione dell'art. 63, 3° comma, c.p., ed alla connessa predeterminazione legislativa delle circostanze «ad effetto speciale». Per maggiore chiarezza, cerchiamo

comunque di procedere con ordine, muovendo da una pur sintetica ri costruzione dei singoli passaggi normativi, che hanno portato al deli nearsi della questione oggi affrontata da questa importante pronuncia della Suprema corte.

2. - In base alla disciplina originariamente prevista dal codice penale del 1930, la necessità di operare una netta distinzione fra le circostanze

(in seguito meglio definite) «ad effetto comune» e le circostanze c.d. «ad effetto speciale» fu direttamente ricollegata alla netta diversità del le regole applicabili nei vari casi di concorso di più circostanze (2).

Nell'ipotesi di concorso eterogeneo di circostanze l'originaria discipli na dell'art. 69 c.p. escludeva infatti dal c.d. giudizio di bilanciamento tutte le circostanze per le quali la legge stabilisse «una pena di specie diversa», ovvero determinasse «la misura della pena in modo indipen

(1) Segnalammo questa esigenza di rivalutazione del problema, alla luce delle concrete caratteristiche delle circostanze introdotte all'art. 609 ter c.p. dalla 1. 66/96, in A. Melchionda, Commento all'art. 4 I. 15 febbraio 1996 n. 66, in AA.VV., Commentari delle norme contro la violenza sessuale e della legge contro la pedofilia, scritti coordinati da A. Cadoppi, 2a ed., Padova, 1999, 149 ss. In termini analoghi, v. anche S. Del Corso, Commento all'art. 4 l. 66/96, in Legislazione pen., 1996, 444; S. Moccla, Il sistema delle circostanze e le fattispecie qualificate nella riforma del diritto penale sessuale (l. 15 febbraio 1996 n. 66): un esempio paradigmatico di sciatteria legislativa, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1997, 408 ss.

(2) Cfr., per tutti, M. Romano, Commentario sistematico del codice

penale (art. 1-84), 2a ed., Milano, 1995, I, sub pre-art. 59, n. 25, 602. Per ovvie esigenze di sintesi, in questa sede ci limiteremo a fornire solo le indicazioni strettamente necessarie all'analisi della questione in esa me. Per ogni più ampio riferimento, anche di tipo bibliografico, su questi originari aspetti della disciplina delle circostanze, cfr. A. Mel chionda, Le circostanze del reato. Origine, sviluppo e prospettive di una controversa categoria penalistica, Padova, 2000, spec. 618 ss.

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