sezione III penale; sentenza 3 aprile 2003; Pres. Toriello, Est. Postiglione, P.M. Geraci (concl.conf.); ric. Vagnozzi. Annulla senza rinvio G.i.p. Trib. Roma 8 aprile 2002Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 12 (DICEMBRE 2003), pp. 667/668-669/670Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199736 .
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PARTE SECONDA
razione della condotta illecita considerata e della pluralità di
forme in cui può avvenire, sia per le conseguenze ambientali di
essa, non costituisce un illecito «proprio» od un reato «proprio», nel senso di poter essere posto in essere solo da parte di alcuni
soggetti e non di altri, in quanto il legislatore intende evitare un
evento quale che sia l'autore o quali che siano gli autori.
A riprova di ciò nel caso di società od enti, l'art. 14 d.leg. 22/97 non solo introduce il divieto generale di abbandono (1° e
2° comma), ma, dopo aver fatte salve le sanzioni amministrative
e penali, introduce l'obbligo della rimozione, recupero e ripri stino a carico di «chiunque» abbia violato il divieto, eventual
mente in solido con il proprietario o titolare di diritti reali e
della «persona giuridica» in quanto tale (3° comma). Anche il traffico illecito dei rifiuti (art. 53), divenuto ora de
litto, è costruito nella stessa logica di sanzionare la condotta di
«chiunque» (con sanzione più grave nel caso di spedizioni tran
sfrontaliere di rifiuti pericolosi). Nel caso in esame, con apprezzamento di fatto incensurabile
in Cassazione perché logicamente e correttamente motivato, si è
ritenuto che Grossi e Canevali erano in possesso di deleghe spe cifiche, come quella del 30 settembre 1993, nella quale si legge, tra l'altro, che essa conferiva una «attribuzione di responsabilità ed autorità», con il dovere di «promuovere tutte le azioni neces
sarie per prevenire il verificarsi di non conformità durante l'ef
fettuazione dei servizi di trasporto». Lo stesso incarico ufficiale nella struttura dell'impresa quale
responsabile del servizio sicurezza e del servizio trasporto non
può avere rilevanza solo interna ove attenga ad attività (il tra
sporto di sostanze e rifiuti pericolosi) che coinvolgono la salute
delle persone. Nel caso in esame era in discussione la mancata adozione in
concreto di misure per il singolo trasporto di rifiuti pericolosi (non solo l'olio dei trasformatori, ma gli stessi trasformatori del
tutto obsoleti), sicché occorreva verificare l'idoneità del mezzo
di trasporto, l'ancoramento del carico e la predisposizione di
misure di prevenzione opportune in caso di incidente.
Le sostanze ed i rifiuti pericolosi nel trasporto devono essere
identificati nella loro natura e resi riconoscibili con etichettatura
e formulario apposito ed essere accompagnati nella dinamica di
provenienza, percorso, destinazione e finale utilizzazione.
Non basta per escludere la responsabilità dell'ente od impresa aver dato «istruzioni» interne all'autista, perché le normative
internazionali, comunitarie e nazionali «canalizzano» la respon sabilità per il rischio a monte nel soggetto economico come tale
e questo principio vale sia per i profili civili ed amministrativi, sia per quello penale.
Ritenuta pertanto la responsabilità penale degli imputati, deve
rilevarsi che il reato si è tuttavia estinto per intervenuta prescri zione essendo stato accertato il 7 maggio 1998 ed essendo de
corsi quattro anni e sei mesi previsti dalla legge.
Il Foro Italiano — 2003.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 3
aprile 2003; Pres. Toriello, Est. Postiglione, P.M. Geraci
(conci, conf.); ric. Vagnozzi. Annulla senza rinvio G.i.p. Trib.
Roma 8 aprile 2002.
Alimenti e bevande (igiene e commercio) — Reati — Richie
sta di archiviazione — Comunicazione — Persona offesa — Estremi (Cod. proc. pen., art. 408; 1. 30 aprile 1962 n.
283, disciplina igienica della produzione e della vendita delle
sostanze alimentari e delle bevande, art. 5).
La persona offesa, cui deve essere comunicata la richiesta di
archiviazione della notitia criminis in materia di violazioni
alimentari, è anche la persona fisica sulla quale cade l'azio
ne del colpevole, in quanto le contravvenzioni previste dal
l'art. 5 l. 283/62 sono poste oltre che a tutela della pubblica salute, anche a tutela di un interesse del privato. (1)
Fatto e diritto. — La vicenda in questione trae origine dal
l'acquisto, da parte di Rita Vagnozzi, in data 6 marzo 2000,
presso il supermercato Pam di viale d'Africa n. 2, in località
Formello, di una confezione di sei bottiglie di acqua minerale di
marca Uliveto.
Al momento del consumo della prima bottiglia, la Vagnozzi si rendeva conto che il liquido contenuto presentava macrosco
pici elementi di anomalia e sporgeva denuncia.
Sulle bottiglie, prelevate dall'autorità giudiziaria in data 14
marzo 2000 e trasmesse al presidio multizonale di prevenzione -
settore tossicologico-Asl Rm 5 per le analisi del caso, venivano
effettuati accertamenti tecnici che confermavano che «la botti
glia aperta, contenente circa duecento mi di liquido marroncino»
presentava sul fondo «corpuscoli neri, priva di odori caratteri
stici». Si evidenziava altresì che la bottiglia in questione, con sca
denza febbraio 2001, faceva parte del lotto L04001B.
Altre due bottiglie, contraddistinte come reperto «B», con
scadenza febbraio 2001, appartenevano al diverso lotto
L05302E. Le ultime tre, reperto «C», sempre con scadenza febbraio
2001, erano parte del lotto L04001B.
Per il reperto «A» il risultato dell'analisi evidenziava ancora
«con caratteristiche chimiche non ascrivibili all'acqua minerale
in etichetta e la presenza di corpuscoli amorfi di origine terro
sa».
Dall'atto di indagine emergeva: a) la constatazione della non genuinità del liquido contenuto
nella bottiglia; b) le bottiglie contenute nella confezione acquistata presso il
supermercato Pam appartenevano a tre lotti di produzione diver
si.
A fronte di tale risultato il pubblico ministero avanzava la ri
ti) Questione nuova in relazione alla denunciata violazione delle norme in materia di produzione e commercio degli alimenti.
In termini generali, la Suprema corte ha più volte chiarito che la fa coltà di proporre opposizione alla richiesta di archiviazione spetta esclusivamente alla persona offesa e non anche al semplice danneggiato dal reato, pur se denunziante.
Tuttavia, nel caso di reati plurioffensivi si registra un'apertura da
parte della Cassazione: infatti, sulla premessa che la persona offesa, cui deve essere comunicata la richiesta di archiviazione della notitia crimi
nis, sia anche la persona fisica sulla quale cade l'azione del colpevole, pur se l'incriminazione sia prevista a tutela di un interesse pubblico ge nerale, Cass. 28 febbraio 2002, Nurcaro, Foro it., Rep. 2002, voce In
dagini preliminari, n. 24, ha sostenuto che il reato di disturbo e mole stia alle persone non solo è volto a tutelare la tranquillità pubblica per i
potenziali riflessi sull'ordine pubblico, ma costituisce anche un'offesa alla quiete privata di tal ché il soggetto leso da comportamenti contem
plati dalla citata norma incriminatrice ha diritto all'avviso di cui all'art.
408, cpv., c.p.p. Ma ancora più innovativa appare la posizione espressa da Cass. 4
novembre 1997, Luchi. id., Rep. 1998, voce cit., n. 48, secondo cui, in un caso in cui era stata denunciata una costruzione abusiva, il ruolo di sollecitazione probatoria e di impulso procedimentale assegnato dal l'art. 408 c.p.p. alle persone offese dal reato deve estendersi, conside rata l'evidente ratio della norma, anche alle persone danneggiate dal reato individuate come tutti quei soggetti che possono esercitare l'azio ne civile nel processo penale.
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GIURISPRUDENZA PENALE
chiesta di archiviazione del procedimento sostenendo che non
esistevano «elementi sufficienti per ipotizzare la responsabilità del produttore, sussistendo la possibilità di attribuire il processo di alterazione del liquido contenuto nella bottiglia ... alla mani
polazione successiva di terze persone non identificabili, e non
apparendo comunque proficuo lo svolgimento di ulteriori inda
gini, atteso il tempo trascorso dall'accertamento del fatto».
La parte offesa ha proposto ricorso per cassazione avverso il
provvedimento di archiviazione emesso dal g.i.p. presso il Tri
bunale di Roma, in data 8 aprile 2002, che aveva ritenuto legit timato soltanto lo Stato e non la Vagnozzi denunciante.
Il ricorso è fondato.
Le contravvenzioni di cui agli art. 5 e 6 1. 283/62 sono poste a
tutela della salute delle persone, quali consumatori (Cass. 22
febbraio 2002, Giacobbe, Foro it., Rep. 2002, voce Alimenti e
bevande, n. 36; 4 marzo 1998, Costa, id., Rep. 1998, voce cit., n. 87; 7 dicembre 1992, Fabbro, id., Rep. 1993, voce cit., n. 74; 28 febbraio 1990, Cervellati, id., Rep. 1991. voce cit., n. 82; 29
giugno 1983, Bechelli, id., Rep. 1987, voce cit., n. 72; 21 giu
gno 1977, Strambelli, id., Rep. 1978, voce cit., n. 60). La salute costituisce un diritto fondamentale umano alla luce
dei principi costituzionali (soprattutto art. 2, 32, 41 Cost.), di
ritto che ha non solo un contenuto procedimentale (informazio
ne, partecipazione ed accesso di ogni persona), ma sostanziale, toccando il benessere psico-fisico della persona.
Con l'atto unico europeo e gli altri strumenti successivi (art. I30R; BOS; 130T), la tutela dei consumatori è divenuta una
componente primaria della politica comunitaria.
Di conseguenza, fermo rimanendo l'obbligo delle istituzioni
nella protezione — anche per via giudiziaria
— della salute co
me interesse pubblico, deve riconoscersi l'autonomo interesse
giuridico delle persone e delle formazioni sociali ad accedere
alla giustizia a tutela della salute quale diritto fondamentale e
bene giuridico personale e sociale.
Deve anzi sottolinearsi che la sfera di protezione costituzio
nale è stata estesa nella 1. cost. n. 3 del 2001 anche all'ambiente, all'ecosistema ed ai beni culturali, ossia a beni esterni con i
quali la vita delle persone è in relazione inscindibile.
Nel caso in esame è fuori questione che il cittadino ha diritto
a partecipare ad un processo attinente alla genuinità o meno
dell'acqua minerale acquistata in un mercato pubblico, perché direttamente coinvolto.
In conseguenza, dalla (erroneamente) ritenuta inammissibilità
dell'opposizione proposta dalla parte offesa, discende la ricorri
bilità — ex art. 409, 6° comma, c.p.p. — del provvedimento di
archiviazione impugnato. Le sezioni unite di questa Suprema corte infatti (sent. 14 feb
braio 1996, Testa, id.. Rep. 1996, voce Indagini preliminari, nn.
62, 67, e 9 giugno 1995, Bianchi, id., Rep. 1995. voce cit., n.
45) hanno affermato che l'illegittima declaratoria d'inammissi
bilità sacrifica il diritto al contraddittorio della parte offesa in
termini equivalenti o maggiormente lesivi rispetto all'ipotesi di
mancato avviso per l'udienza preliminare sicché il predetto vi
zio è riconducibile alle ipotesi d'impugnabilità contemplate dal
l'art. 409, 6° comma, ed ai casi di ricorso indicati nell'art. 606, lett. c), c.p.p.
Il Foro Italiano — 2003.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione V penale; sentenza 3 feb
braio 2003; Pres. Calabrese, Est. Ferrua, P.M. (conci,
conf.); ric. P.m. in c. Celletti. Annulla Trib. Rieti, ord. 26
aprile 2002.
Furto — Esposizione alla pubblica fede — Circostanza ag
gravante —
Fattispecie di furto di casco adagiato su moto
ciclo (Cod. pen., art. 625).
Il furto di un casco adagiato su di un motociclo all'interno di
un parcheggio di un centro commerciale è da considerarsi
aggravato ai sensi dell'art. 625, n. 7, c.p., sia perché, alfine di procedere ai propri acquisti, il conducente deve lasciare il
citato oggetto, che altrimenti lo ingombrerebbe, sia perché, essendo l'uso del casco obbligatorio per circolare in motoci
cletta, non può dubitarsi che quest'ultimo costituisca corredo
indispensabile della medesima. (1)
II
TRIBUNALE DI RIETI; sentenza 9 maggio 2003; Giud. Fa
nelli; imp. Celletti e altro.
Furto — Esposizione alla pubblica fede — Circostanza ag
gravante — Esclusione — Fattispecie di furto di casco
adagiato su motociclo (Cod. pen., art. 625).
Premesso che l'obbligatorietà dell'uso del casco non toglie che
esso rimanga una dotazione del guidatore e non del mezzo, deve ritenersi che la consuetudine di lasciare in macchina
oggetti che possano ingombrare il proprietario nelle sue
normali occupazioni non possa estendersi ai motoveicoli, per i quali esiste una consuetudine di segno opposto, a causa del
l'evidente facilità di sottrazione; né può ritenersi che l'ab
bandono del casco sul motociclo sia dovuto ad una necessità
del proprietario, il quale invero potrebbe agevolmente custo
dirlo legandolo alla catena o riponendolo nell'apposito vano
o portandolo con sé; pertanto non può considerarsi aggra vato il furto di un casco adagiato su di un motociclo lasciato
all'interno di un parcheggio di un centro commerciale. (2)
(1-2) Non constano precedenti in termini. Le due sentenze in epigra fe, relative al medesimo caso giudiziario, si segnalano perché risolvono in modo contrastante la questione dell'applicabilità dell'aggravante dell'esposizione della cosa alla pubblica fede per necessità, per con
suetudine o per destinazione (art. 625, n. 7, c.p.) all'ipotesi del furto di un casco lasciato su un motociclo nel parcheggio di un centro commer ciale.
La Cassazione si è pronunciata nel senso della sussistenza dell'ag
gravante de qua, riproponendo un consolidato orientamento giurispru denziale formatosi in merito al furto degli oggetti, destinati al comfort o
al corredo della vettura, ed ivi lasciati incustoditi dal conducente che.
dopo avere parcheggiato la propria auto, si allontani per attendere alle normali occupazioni. In tal caso, è pacifica in giurisprudenza l'applica bilità dell'aggravante speciale del furto prevista dall'art. 625, n. 7, c.p., in quanto dalla semplice «scomodità» del trasporto degli oggetti sud detti deriverebbe la «consuetudine» di lasciarli esposti al «senso di ri
spetto e di onestà dei cittadini» (v. Cass. 5 maggio 1995. Ventura. Foro
it., Rep. 1996, voce Furto, n. 14; v. anche Cass. 29 settembre 1993, Violante, id.. Rep. 1994, voce cit., n. 10, e Riv. pen., 1994, 512; 28
maggio 1990, Milici, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 22, e 29 settem bre 1989, La Marza, ibid., n. 20).
Più in particolare, la sentenza su riprodotta, collocandosi nel solco del predetto orientamento giurisprudenziale, ha affermato che — poi ché l'uso del casco è obbligatorio per circolare in motocicletta e poi ché. di conseguenza, ne costituisce corredo necessario — il principio enunciato andrebbe esteso anche ai veicoli a due ruote. Facendo, inol
tre, leva sull'assunto secondo il quale colui che si reca in un centro
commerciale per fare acquisti deve lasciare, al pari del motociclo, an
che il casco che «altrimenti lo ingombrerebbe», la corte ha sostenuto che l'applicabilità dell'aggravante ex art. 625, n. 7. c.p. al caso di spe cie sarebbe altresì giustificata dalla «necessità» di lasciare il casco
esposto alla pubblica fede. La Cassazione sembrerebbe in tal modo aderire (implicitamente) a
quella impostazione dottrinale che sottolinea la necessità di reagire in
modo più rigoroso al furto' di quei beni, la cui esposizione alla fede
pubblica risponda ad esigenze pratiche comuni e contingenti, al fine di
sviluppare nel pubblico l'abitudine al rispetto della proprietà altrui (cfr. Antolisei, Manuale di diritto penale, parte speciale a cura di L. Conti,
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