Sezione III penale; sentenza 5 aprile 1961; Pres. Auriemma P., Est. Bartolomei, P. M. Marucci(concl. conf.); ric. RosanovaSource: Il Foro Italiano, Vol. 85, No. 5 (1962), pp. 153/154-155/156Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23150630 .
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153 GIURISPRUDENZA PENALE 151
ulteriore riflessione. La mancata contestazione della reci
diva non sempre è l'effetto di una mera dimenticanza
oppure della non avvenuta acquisizione agli atti del cer
tificato del casellario ; assai spesso invece deve ascriversi
ad una consapevole deliberazione dell'organo competente.
Specie per. quanto concerne la contestazione suppletiva,
può ben accadere che il P. m. ometta di richiederla, non
ritenendo che ne ricorrano gli estremi, ovvero che il giu dice decida di disattendere la domanda, con argomentazioni cui l'organo dell'accusa presti acquiescenza. In codeste ipo tesi la questione, relativa alla sussistenza o meno della
circostanza aggravante, anche se non risulta espressamente discussa in sentenza, rientra fra quelle trattate e decise
dal giudice ; sicché nei suoi confronti, in difetto di un
qualsiasi gravame, opererebbe la preclusione del giudicato.
Ora, di fronte ad una simile eventualità, non si vede
come potrebbe il giudice superiore (e in particolare la Corte
di cassazione) affrontare ex officio il problema riguardante la sussistenza della recidiva, e risolverlo per suo conto
sulla semplice scorta del certificato del casellario, col ri
schio di pervenire a risultati diversi da quelli in precedenza
raggiunti ed accettati dalle parti. Il problema, che sta alla base dell'odierno gravame, me
rita di essere esaminato anche da un altro angolo visuale, che più direttamente concerne i rapporti di interdipendenza tra recidiva e ampiezza del termine prescrizionale del reato.
Secondo le modalità del codice in vigore, la prescri
zione, quale causa generale di estinzione dell'illecito, viene
posta in riferimento, non già alla persona del reo e agli attributi che subiettivamente la caratterizzano, bensì ad
un concreto episodio criminoso, con ogni sua possibile com
ponente accessoria sia aggravante sia attenuante (art. 157, 2° comma). In altre parole la legge prescrive che, al fine
di stabilire se il decorso del tempo abbia spento o meno
l'interesse statuale all'attuazione della pretesa punitiva,
bisogna tener conto della effettiya entità che l'illecito as
sume dal punto di vista della corrispondente reazione san
zionatoria. È senza dubbio vero che la pena da tener pre sente è quella edittale, vale a dire quella prevista in astratto
dalla norma applicabile al fatto, e non invece la pena che
possa infliggersi ovvero che sia stata inflitta in concreto ;
però va messo in tutta evidenza che la edittabilità della
sanzione deve essere riferita, non tanto ad una ipotetica
figura criminosa, contrassegnata dal suo astratto nomen
iuris, quanto ad una reale manifestazione di reato, con tutte
le note distintive, principali ed accessorie, in concreto accer
tate dal giudice. Stante la disposta correlazione fra le effettive carat
teristiche circostanziali dell'episodio giudicato e la entità
della pena edittale, ne deriva che il termine prescrizio nale è destinato a mutare a seconda delle modifiche che
l'entità dell'illecito subisce nelle varie fasi del procedimento.
Accertato, per esempio, in primo grado un delitto puni
bile con pena detentiva fino ai cinque anni, il termine
di prescrizione si matura in dieci anni ; ma, se nel grado
superiore viene riconosciuta una circostanza attenuante,
oppure viene dichiarata la prevalenza di quest'ultima su
un elemento aggravatore già ritenuto, la pena edittale
risulta inferiore ai cinque anni, onde la prescrizione si
verificherà dopo un quinquennio. Per converso, affermata
in appello, su gravame del P. m., una circostanza aggra vante già esclusa dal giudice inferiore, il termine prescri
zionale, che sarebbe stato di cinque anni, diventa di dieci,
in conseguenza della diversa configurazione assunta dal
l'illecito nel giudizio di impugnazione. Date le peculiarità del sistema in vigore, è giocoforza
concludere che una circostanza aggravante del reato, in
tanto può essere presa in conto, ai fini di delimitare il
termine di prescrizione, in quanto risulti atta ad influire
sulla effettiva individuazione della pena : il che si verifica
sia in conseguenza dell'avvenuta contestazione che con
senta i paralleli riflessi sul piano sanzionatorio, sia per
effetto della pronunzia del giudice che in una determinata
fase del procedimento abbia comunque ritenuto (anche se
non contestato) la circostanza aggravatrice in questione.
Ne deriva che, ove l'elemento accessorio non abbia formato
obietto di apposita contestazione (nè in via ordinaria nè
in sede dibattimentale) e il giudice non ne abbia tenuto
alcun conto nella fissazione concreta della pena, la circo
stanza, in difetto di gravame del P. m., non può essere
più valutata come requisito accidentale dell'illecito idoneo
ad incidere sulla entità della sanzione corrispondente ; essa
costituisce un elemento del tutto estraneo alla struttura
effettiva del reato, e come tale non è in grado di incidere
sulla individuazione del termine di prescrizione. Quanto si è ora osservato a proposito delle circostanze
aggravatrici in genere, vale ovviamente per la recidiva, se è vero cbe, secondo i codici odierni, la stessa appartiene al novero di quegli elementi accidentali. Adottata codesta
equiparazione, non può accedersi alla tesi, talora enunciata, secondo cui dell'inasprimento di pena, dovuto a recidiva, dovrebbe sempre tenersi conto, a prescindere dall'avvenuta
contestazione, in quanto esso rientrerebbe già nell'ambito
della pena base, prevista per il reato, consumato o tentato,
giusta il disposto ex art. 157, 1° capov., cod. penale. In
fatti, se codesta norma contrappone, ai fini del computo della sanzione edittale, relativa alla previsione criminosa
concreta, il reato semplice al reato circostanziale ; e se, d'altra parte, la recidiva rientra fra gli elementi acciden
tali dell'illecito, è evidente cbe l'aumento sanzionatorio, dovuto a recidiva, non può cbe ricollegarsi alla presenza della circostanza accessoria nella struttura del reato ; sic
ché, ove di quest'ultima non si possa tener conto, il corri
spondente riflesso sulla entità della pena è del pari desti
nato a non manifestarsi.
Alla stregua di tutte le considerazioni cbe precedono, deve ritenersi cbe, quando la circostanza della recidiva non
sia stata contestata nè comunque valutata dal giudice nella
individuazione della pena, il giudice del gravame non può, in
difetto di specifica impugnazione, tener conto dell'aumento
di pena ad essa dovuto, al fine di stabilire il termine pre scrizionale del reato. Poicbè il Tribunale di Milano, giudi cando in sede di rinvio, si è attenuto alla predetta esatta
direttiva, il ricorso proposto dal P. m. deve essere respinto. Per questi motivi, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione III penale ; sentenza 5 aprile 1961 ; Pres. Atjeiemma
P., Est. Bartolomei, P. M. Marucci (conci, conf.) ;
ric. Eosanova.
(Conferma App. Napoli 6 giugno 1961)
IVotaro — Inabilitazione — Incostituzionalità della
normativa — Infondatezza manifesta (Costituzione
della Repubblica, art. 27 ; 1. 16 febbraio 1913 n. 89,
ordinamento del notariato, art. 139, 158). IVotaro — Inabilitazione — Omissione nella sentenza
di condanna — Ordinanza — Contraddittorio —
Esclusione (L. 16 febbraio 1913 n. 89, art. 158 ; cod.
proc. pen., art. 149). IVotaro — Inabilitazione all'esercizio delle funzioni
notarili — Abrogazione della lej)jjc 8 giugno 1874
n. 1937 — Irrilevanza (L. 16 febbraio 1913 n. 89,
art. 5, 139, 142 ; 1. 8 giugno 1874 n. 1937, sui giurati, art. 5 ; 1. 10 aprile 1951 n. 287, riordinamento dei giu dizi d'assise, art. 9, 10).
IVotaro — Inabilitazione — Omissione nella sentenza
di condanna — Destituzione di diritto — Proce
dura di correzione — Ammissibilità (L. 16 feb
braio 1913 n. 89, art. 158).
È manifestamente infondata la questione d'incostituzionalità
degli art. 139 e 158, 2° comma, della legge notarile, i quali
prevedono l'immediata esecutorietà della sentenza che, in
determinati casi, dichiara l'inabilitazione di diritto del
notaro, per il contrasto che si assume sussistere tra queste
norme e la presunzione d'innocenza del prevenuto, pre
vista nell'art. 27 della Costituzione. (1)
(1) Non risultano precedenti specifici. La Suprema corte
oltre ad affermare che la inabilitazione è misura cautelare ana
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155 PARTE SECONDA 156
L'ordinanza, con la quale si dichiara la destituzione o l'ina
bilitazione del notaro omesse nella sentenza di condanna, non deve essere pronunciata nel contraddittorio del no
taro. (2)
Malgrado l'abrogazione della legge 8 giugno 1874 n. 1937, richiamata nell'art. 5, n. 3, della legge notarile, pud essere
ancora -pronunciata la inabilitazione di diritto del notaro, condannato per falso. (3)
La procedura prevista nell'art. 158, 3° comma, della legge no
tarile si applica anche per correggere l'omissione, nella
sentenza di condanna, della inabilitazione di diritto. (4)
La Corte, ecc. — Lette le conclusioni del P. m., con le
quali chiede dichiararsi manifestamente infondata l'ecce
zione d'illegittimità costituzionale degli art. 139 e 158 della
legge notarile 16 febbraio 1913 n. 89 e rigettarsi nel resto
il ricorso.
Attesoché il ricorrente, col primo mezzo, ritiene che
sia l'art. 139 della legge notarile, che prevede determinati
casi d'inabilitazione di diritto del notaio all'esercizio delle
sue funzioni, sia l'art. 158, 4° comma, della stessa legge, che
prevede l'immediata esecutorietà della declaratoria d'ina
bilitazione, nonostante appello, siano inconciliabili col di
vieto di considerare l'imputato colpevole prima della con
danna definitiva (art. 27 Costituzione), poiché farebbero
discendere effetti penali d'immediata esecuzione da sen
tenza non ancora irrevocabile ; attesoché l'eccezione d'in
costituzionalità delle predette norme è manifestamente
infondata, sia r>erchè l'inabilitazione all'esercizio delle fun
zioni notarili non è pena accessoria, ma misura cautelare
analoga a quella della custodia preventiva prevista dalla
stessa Costituzione (art. 13), sia perchè il richiamato art. 27,
pur vietando che l'imputato sia considerato"*colpevole sino
alla condanna definitiva, non esclude l'applicazione prov visoria di pene accessorie e misure di sicurezza, che presup
pongono affatto la colpevolezza dell'imputato, non avendo
altro fine che quello di provvedere ad esigenze di difesa del
l'ordine sociale nella pendenza del processo ; attesoché è in
fondato anche il secondo mezzo, con cui si lamenta che non
sia stato citato il notaio interessato, affinchè, ai sensi del
l'art. 149 cod. proc. pen., fosse emanata, anche in suo con
traddittorio, l'ordinanza impugnata, sollecitata dal P. m., affinchè ""fosse riparata, con la pronuncia dell'inabilitazione, l'omissione in cui incorse, la precedente sentenza del Tri
bunale. E ciò perchè l'art. 158, 3° comma, della legge nota
rile prevede espressamente (con norma speciale, derogativa di quella generale, contenuta dal menzionato art. 149 a
Ioga alla custodia preventiva dell'art. 13 della Costituzione, ri badisce che l'art. 27 della Costituzione non esclude che si pos sano applicare pene accessorie e misure di sicurezza, le quali non
presuppongono la colpevolezza dell'imputato, ma assicurano l'or dine sociale nella pendenza del processo.
Sulla natura della inabilitazione, cons., in nota alla sentenza
riportata, Benzi, 'Vecchi 'e'nuovi temi in ordine alla # inabili tazione notarile », in Giusi, pen., 1962, II, 122. Nel senso che la inabilitazione è misura cautelare, cfr. Cass. 11 novembre 1957, Mattina, Foro it., Rep. 1958, voce Notaro, nn. 57, 58 ; 18 giugno 1956, n. 2119, id.. Rep. 1956, voce cit., n. 47 ; 15 luglio 1955, Moneta Caglio, id., Rep. 1955, voce cit., n. 60 ; Trib. Trapani 23 novembre 1955, P., id., Rep. 1957, voce cit., n. 43 (anche nel senso che non è in contrasto con l'art. 27 della Costituzione).
(2) Nel senso che non occorre contraddittorio, cfr. Cass. 30 ottobre 1951, Sisto, Foro it., Rep. 1952, voce Notaro, n. 28.
(3) Nel senso che l'art. 5, n. 3, non è stato abrogato, v. Cass. 11 novembre 1957, Mattina, Foro it., Rep. 1958, voce
Notaro, n. 59 ; 25 gennaio 1955, R. E., id., Rep. 1959, voce cit., n. 49 ; 25 novembre 1952, Cimminò, id., Rep. 1952, voce cit., n. 27.
(4) Non risultano precedenti. In dottrina cfr. : Benzi, cit. s^P atanè, L'inabilitazione
del notaio, in Giur. it., 1958, IV, pag. 65 ; De Luca, Con siderazioni intorno all'inabilitazione di diritto del notaio e al
l'organo competente a dichiararla, id., 1960, II, 123 ; Gaeta, L'inabilitazione all'esercizio delle funzioni notarili, in Vita not., 1955, 498 ; Longi, Le pene disciplinari a carico di notai in pendenza di giudizio penale, id., 1953, 367 ; Manzini, L'inabilitazione no tarile conseguente a processo penale, in Giur. Cass. pen., 1952, 3° quadr., 172 ; Jannitti Pikomaixo, Notariato e archivi notarili, voce dell'Enciclopedia forense, Milano, vol. V.
proposito delle ordinanze emesse nella procedura di corre
zione degli errori materiali) che l'omissione eventuale della
sentenza può essere riparata «con ordinanza clie sarà ema
nata senza contraddittorio»; attesoché privo di pregio è anche
il terzo mezzo, con cui si sostiene che non possa essere pro nunciata inabilitazione di diritto del notaio per alcuno dei
reati (nella specie, per il reato di falso), indicati nell'art. 5, n.
3, della legge notarile, mediante richiamo della legge 8 giugno 1874 n. 1937 (al fine di stabilire un parallelismo di acquisiti accordi per la nomina rispettivamente a notaio e a giu
rato), essendo stata tale legge abrogata dalla legge 10 aprile 1951 n. 237, che stabilisce nuovi e diversi requisiti dei giudici
popolari. Invero, come questa Corte ha avuto occasione di
rilevare (Cass., Sez. ìli, 11 novembre 1957, Mattina, Foro
it., Rep. 1958, voce Notaro, n. 59), l'inabilitazione di di
ritto all'esercizio delle funzioni notarili, stabilite dall'art.
139, n. 2, per il caso di condanna del notaio per alcuno dei
reati, indicati nell'art. 5, n. 3, mediante richiamo della legge del 1874, non è stata resa inoperante per effetto dell'abro
gazione della legge del 1874, poiché il richiamo a quella
legge da parte della successiva legge notarile è valso solo
ad integrare il contenuto normativo dell'art. 139, evitando
un analitico riferimento ad una serie di reati giustificativi della misura cautelare ; attesoché non può essere accolto
neppure il quarto, ed ultimo mezzo, con cui si contesta
che all'omissione della sentenza penale di condanna in
ordine alla pronuncia di inabilitazione possa ripararsi, da
parte del giudice penale, mediante ordinanza, giacché l'or
dinanza riparatrice sarebbe dall'art. 158, 3° comma, pre vista soltanto riguardo a sentenze che producono di diritto
la destituzione e questa non sia stata dichiarata.
Infatti, nel testo dell'art. 158, è richiamato anche l'art.
139, che contempla la dichiarazione d'inabilitazione di
diritto del notaio, laddove lo stesso articolo, al 3° comma,
prevede la procedura riparatrice, riferendosi all'omissione, nella sentenza, sia della dichiarazione di destituzione sia
della dichiarazione d'inabilitazione : come si desume dal
testuale dettato dalla norma, secondo la quale a tale pro cedura si può far luogo « quando tali dichiarazioni siano
state omesse ».
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione III penale ; sentenza 23 marzo 1961 ; Pres. Gua
dagno, Est. Conti, P. M. Parlatore (conci, conf.) ; riCi Crescenti.
(Gassa Pret. Messina 8 ottobre 1960)
Previdenza sociale — Invalidità e vecchiaia -— Lavoro
domestico — Associceli abilità — Limiti (Cod. civ., art. 2240 ; 1. 2 aprile 1958 n. 339, tutela del rapporto di lavoro domestico, art. 1).
Ai fini dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità e la
vecchiaia, non può essere preso in considerazione un
rapporto di lavoro domestico con prestazioni inferiori alle
quattro ore giornaliere. (1)
La Corte, ecc. — Il secondo motivo è fondato e merita
accoglimento. Osservò il Pretore che, pur essendo rimasto
accertato in fatto che la Cambria ehbe a prestare meno di
quattro ore lavorative al giorno, cionondimeno non poteva
(1) Non risultano precedenti specifici ; in conformità a
quanto ritenuto dalla Suprema corte, v. Trib. Torino 7 giugno
1961, Foro it., Rep. 1961, voce Previdenza sociale, nn. 127, 128.
Circa la nozione di lavoro domestico e circa l'ininvocabilità, da parte di chi presti la sua attività nella convivenza familiare
per meno di quattro ore nella giornata, della tredicesima mensi
lità, v. Pret. Roma 28 febbraio 1961, id., 1961,1, 874, con nota di
riferimenti giurisprudenziali e dottrinali, ai quali adde F. Sirchia, I lavoratori addetti ai servizi familiari e la legislazione sociale, in II nuovo dir., 1960, 725. Nello stesso senso Pret. Roma 15 no
vembre 1960, Foro it., Rep. 1961, voce Lavoro (rapporto), n. 169 ; contra Pret. Roma 31 maggio 1961, ibid., nn. 173, 174.
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