sezione III penale; sentenza 5 dicembre 2003; Pres. Savignano, Est. Novarese, P.M. Meloni (concl.diff.); ric. Marziano. Conferma Trib. Siracusa-Lentini 3 ottobre 2001Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 4 (APRILE 2004), pp. 201/202-207/208Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199177 .
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201 GIURISPRUDENZA PENALE 202
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 5 di cembre 2003; Pres. Savignano, Est. Novarese, P.M. Meloni
(conci, diff.); ric. Marziano. Conferma Trib. Siracusa-Lentini
3 ottobre 2001.
CORTE DI CASSAZIONE;
Acque pubbliche e private — Tutela dall'inquinamento — Nozione di scarico nuovo —
Proroga dei termini di ade
guamento degli scarichi esistenti — Irrilevanza (D.leg. 11 maggio 1999 n. 152, disposizioni sulla tutela delle acque dal l'inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/Cee con
cernente il trattamento delle acque reflue urbane e della diret
tiva 91/676/Cee relativa alla protezione delle acque dall'in
quinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole, art. 59, 62; d.l. 24 giugno 2003 n. 147, proroga di termini e disposizioni urgenti ordinamentali, art. 10 bis; 1. 1° agosto 2003 n. 200, conversione in legge, con modificazioni, del d.l.
24 giugno 2003 n. 147).
Devono ritenersi nuovi anche gli scarichi esistenti alla data del
13 giugno 1999, ma non autorizzati, in quanto la disciplina transitoria di cui all'art. 62, 12° comma, d.leg. 152/99 si ap
plica solo agli scarichi esistenti, ma autorizzati; tale discipli na non è mutata neppure dopo l'intervenuta modifica dei
termini di adeguamento, di cui all'art. 62, 11° comma, d.leg. cit., operata dall'art. 10 bis l. 200/03 (nella specie, la titolare
di un esercizio di autolavaggio, il cui scarico preesisteva al
13 giugno 1999, è stata condannata per lo scarico di reflui senza autorizzazione). (1)
( 1 ) I. - La Cassazione decide, a quanto consta, per la prima volta una
questione di particolare rilevanza ai fini dell'applicazione della legge di tutela delle acque.
Infatti, il d.l. 147/03, convertito in 1. 200/03, ha stabilito che «i ter mini di cui all'art. 62, 11° comma, d.leg. 152/99 relativo agli scarichi
esistenti, ancorché non autorizzati, sono differiti fino ad un anno a de correre dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto» (cioè fino al 3 agosto 2004). Secondo una parte della dottrina (Ficco, Nuova sanatoria per gli sca
richi abusivi, in <www.dirittoambiente.com>), «A ben guardare, il te nore letterale della disposizione, a parte l'opportunità di prorogare un termine noto sin dal 1999 e riguardante un mero obbligo di richiesta di autorizzazione senza nessuna caducazione di quella già posseduta, su scita più di una perplessità poiché la proroga è riferita anche agli scari chi esistenti 'ancorché non autorizzati'. Tale inciso introduce una pro fonda frattura nel sistema di tutela delle acque dall'inquinamento vo luto dal d.leg. 152/99. Infatti, il provvedimento al suo art. 2, lett. cc bis) reca la definizione di 'scarichi esistenti' che sono solo ed esclusiva mente quelli già autorizzati alla data del 13 giugno 1999. Con il nuovo
art. 10 bis, dunque, si ha una vera e propria sanatoria di quanto ii d.leg. 152/99 aveva voluto espungere: lo scarico abusivo. La definizione di 'scarico esistente' rispondeva ad una diatriba che voleva lo scarico esi stente 'di fatto' (non autorizzato) equivalere a quello esistente 'di di
ritto' (autorizzato). La risposta era stata ferma: gli scarichi esistenti di
fatto che in ben ventitré anni di vigenza di 'legge Merli' non erano stati
ancora autorizzati venivano considerati contrari al sistema di tutela e
come tali perseguibili in termini anche penali. Ora, grazie all'art. 10
bis, la definizione di 'scarico esistente' non ha più ragione di esistere e tutto ritorna come se la pesante (ma inevitabile e ovvia) presa di posi zione contro l'inquinamento delle acque voluta dal d.leg. 152/99 non fosse mai intervenuta, e anche chi mai è stato autorizzato (o non ha mai voluto farsi autorizzare) ha un validissimo strumento di legalizzazione di una condotta che per oltre due decenni non ha certamente avuto le
caratteristiche della sostenibilità» (in senso analogo, v. Santoloci, Un
(silenzioso) regalo di mezza estate agli inquinatori: perdonati gli abusi
ad oltranza/, ibid.). Invero, anche Amendola, Nuovo condono per gli inquinatori delle
nostre acque?, ibid., esprimeva preoccupazione per l'introduzione del
l'espressione «ancorché non autorizzati» che si presta ad essere inter
pretata come un intero scardinamento dell'impianto del d.leg. 152/99, il
quale (art. 2, lett. cc bis) considera come esistenti solo gli scarichi che, al momento della sua entrata in vigore, fossero non solo fisicamente
esistenti, ma anche in regola con l'autorizzazione (ovviamente, in base
alle norme preesistenti). L'a. però ritiene tale conclusione inaccettabile
sostenendo che «a prescindere dalla intenzione di chi ha voluto questa norma .. . non sembra dubbio, proprio per il suo tenore letterale, che la
proroga deve riguardare solo gli scarichi già oggetto della concessione
del triennio contemplata dall'art. 62, 11° comma, e cioè:
a) gli scarichi esistenti ed autorizzati (nel 1999) ai fini di adeguarsi alle nuove disposizioni;
Il Foro Italiano — 2004 — Parte II-5.
Svolgimento del processo. — Marziano Giovanna ha proposto
appello qualificato ricorso per cassazione avverso la sentenza
del Tribunale di Siracusa, sezione distaccata di Lentini, emessa
in data 3 ottobre 2001, con la quale veniva condannata per i
reati di scarico di reflui di autolavaggio senza autorizzazione e
senza adozione delle misure idonee ad evitare un aumento anche
temporaneo dell'inquinamento, deducendo quali motivi la vio
lazione dell'art. 62, 12° comma, d.leg. 152/99, poiché lo scarico
b) gli scarichi esistenti e non autorizzati (nel 1999) in quanto l'ob
bligo di autorizzazione non era previsto dalla legge Merli ma è stato introdotto dal d.leg. 152/99, ai fini di richiedere l'autorizzazione;
c) gli scarichi esistenti ed autorizzati (nel 1999) ai fini di richiedere una nuova autorizzazione conforme al d.leg. 152/99.
Tra questi scarichi, quindi, ci sono anche quelli, esistenti ma 'non autorizzati' di cui alla lett. b), e pertanto è solo ad essi che si applica la
proroga attuale, e non a quelli esistenti ma non autorizzati per altri mo
tivi, e cioè già fuori legge e non compresi nella proroga iniziale del l'art. 62, 11° comma. In sostanza, quindi, la nuova proroga deve essere intesa nel senso di portare da tre a cinque anni il termine di cui all'art.
62, n. 11, ma sempre e solo con riferimento agli scarichi in esso con
templati». La Corte di cassazione, nella sentenza che si riporta, aderisce all'in
terpretazione sopra riportata (anche Santoloci, Proroga per gli scari chi illegali «esistenti» (d.l. 147/03): la Cassazione smentisce la sanato
ria per quelli non autorizzati, ibid., plaude alla decisione) idonea a re
stituire al sistema la sua coerenza interna. Da questo punto di vista, in
fatti, due sono i motivi addotti che vanno debitamente valorizzati: da un
lato, l'inciso «ancorché non autorizzati» va inteso nel senso di indicare
gli scarichi, esistenti al 13 giugno 1999, ma non autorizzati in quanto per essi l'obbligo di autorizzazione è stato introdotto dalla nuova disci
plina emanata nel 1999. Dall'altro lato, mancando una norma che san cisca l'abrogazione espressa della nozione di scarico esistente di cui al
l'art. 2, lett. cc bis), d.leg. n. 152, non è possibile attribuire ad una di
sposizione con un contenuto specifico e limitato la possibilità di intro
durre un'ipotesi di abrogazione implicita della preesistente disciplina. Come ricorda anche la sentenza in epigrafe, la giurisprudenza della
Cassazione è consolidata nel senso di ritenere lo scarico di autolavag
gio assimilabile a quello degli insediamenti produttivi (v., oltre Cass.
26 febbraio 2003, Panizza, Ced Cass., rv. 225291, citata in motivazio
ne, Cass. 15 maggio 2003, Nencioni, RivistAmbiente, 2003, 1356; 13
dicembre 2002, Canavese, ibid., 703; 18 dicembre 2000, Zanon, Foro
it., Rep. 2001, voce Acque pubbliche, n. 110). Da ultimo, sulla questio ne degli scarichi da insediamento industriale non assimilabili a quelli domestici, v. Cass. 14 marzo 2003, Di Grado, RivistAmbiente, 2003, 1359 (in tema di acque provenienti dal lavaggio dei pavimenti di un
complesso industriale); 4 aprile 2003, Terranova, Ced Cass., rv.
225313 (in tema di lavaggio di betoniere); 3 aprile 2003, Raffaelli, id., rv. 225378 (in tema di reflui provenienti da attività di autocarrozzeria); 24 ottobre 2002, Barattoni, RivistAmbiente, 2003, 439 (scarico prove niente dal lavaggio dei macchinari di una officina tipo-litografica).
II. - La giurisprudenza della Cassazione dell'ultimo periodo ha con
fermato orientamenti già affermatisi da tempo. È stata ad esempio ribadita la tesi che l'immissione non autorizzata
di acque reflue industriali senza il tramite di una condotta, o di un si
stema di convogliabilità, non è punita ai sensi del d.leg. 11 maggio 1999 n. 152, attesa la nozione di scarico contenuta nell'art. 2, 2° com
ma, lett. b), citato decreto, dovendosi diversamente configurare l'ipote si di abbandono incontrollato di rifiuti (liquidi) sanzionata dall'art. 51
d.leg. 5 febbraio 1997 n. 22 (Cass. 4 febbraio 2003, Arici, Ambiente, 2004, 81). In argomento, v. anche Cass. 31 gennaio 2003, Zanderigo, ibid., 79 (con nota di Prati, La Cassazione ritorna sulla nozione di
«scarico»; nella specie, si trattava di uno scarico costituito dal flusso
costante di liquami che defluivano dalla vasca di raccolta delle deiezio ni animali fino alla fossa di raccolta dei liquami stessi attraverso un
solco che correva lungo la pendenza intercorrente tra la vasca e la fossa
e che con il tempo si era formato nel terreno. La Cassazione ha ritenuto
che per tale fatto fosse applicabile l'art. 59 d.leg. n. 152 ribadendo
l'interpretazione che non sia necessario che lo scarico avvenga attra
verso una condotta artificialmente realizzata essendo sufficiente un
qualsiasi sistema con il quale si consente il passaggio o il deflusso delle
acque reflue). Cass. 17 dicembre 2002, Conte, id., 2003, 1175, con nota di Mazzo
leni, Trattamento di rifiuti costituiti da acque reflue, dal canto suo, ha
ribadito che l'interruzione funzionale del nesso di collegamento diretto
tra fonte di produzione e corpo ricettore trasforma automaticamente il
«liquame di scarico» in un ordinario «rifiuto liquido» e rende applica bile la disciplina dettata dal d.leg. 22/97 e non quella sulle acque (nella
specie, i liquami provenienti dall'attività di espurgo costituivano «ri
fiuti liquidi» poiché non vi era scarico diretto degli stessi nel corpo ri
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PARTE SECONDA
preesisteva al 13 giugno 1999, era relativo ad acque reflue as
similabili a quelle abitative ed agli insediamenti civili, esisteva
un'autorizzazione rappresentata dal provvedimento di abitabili
tà, e la carenza della prova dell'aumento anche temporaneo del
l'inquinamento. Motivi della decisione. — I motivi addotti sono infondati, sic
ché il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricor
rente al pagamento delle spese processuali.
cettore in quanto i liquami medesimi venivano trasportati verso un sito esterno di trattamento). Analogamente, per Cass. 25 giugno 2002, Ac
quafredda, Riv. pen., 2003, 748, i rifiuti allo stato liquido, costituiti da
acque reflue di cui il detentore si disfi senza versamento diretto nei
corpi ricettori, avviandole cioè allo smaltimento, trattamento o depura zione a mezzo di trasporto su strada o comunque non canalizzato, rien trano nella disciplina dei rifiuti dettata dal d.leg. 22/97 e il loro smalti mento deve essere autorizzato, mentre lo scarico di acque reflue liqui de, semiliquide e comunque convogliabili, diretto in corpi idrici ricetto
ri, specificamente indicati, rientra nell'ambito del citato d.leg. n. 152. Costituisce invece «scarico» e non «immissione occasionale» lo
sversamento reiterato di liquidi provenienti dal lavaggio della carta di macero di una cartiera collegato quindi a comportamenti connessi sta bilmente alla produzione industriale (Cass. 17 ottobre 2002, Taschetti, RivistAmbiente, 2003, 714).
In dottrina, sull'argomento, v., da ultimo, Scardaci, Liquami deri vanti da processi di depurazione: lo scarico irregolare e l'immissione
episodica, in Ambiente, 2003, 1078. Trova poi conferma il principio che lo scarico senza autorizzazione
di acque reflue provenienti da un insediamento produttivo in pubblica fognatura, già costituente reato ai sensi dell'art. 21 1. n. 319 del 1976, costituisce tuttora reato anche ai sensi del sopravvenuto d.leg. 152/99 che sanziona penalmente lo scarico non autorizzato di acque reflue in
dustriali, mentre l'art. 54 prevede come illecito amministrativo lo sca rico non autorizzato di acque reflue domestiche o di reti fognarie (così Cass. 6 febbraio 2003, Greco, Rivist Ambiente, 2003, 1362; 15 maggio 2003, Nencioni, ibid., 1356, che ha anche affermato che permane la ri levanza penale dello scarico discontinuo di reflui, che, sia pure qualifi cato dai requisiti della irregolarità, dell'intermittenza e della saltuarietà, risulti comunque collegato a un determinato ciclo produttivo industria
le, ancorché di carattere non continuativo). A questo riguardo, con rife rimento all'applicazione delle sanzioni amministrative per i fatti non
più previsti dalla legge come reato, v. Cass. 13 marzo 2003, Gravina, Riv. pen., 2004, 38.
E poi pacifico (v. Cass. 25 settembre 2002, Leonardi, RivistAmbien
te, 2003, 578) che lo scarico senza autorizzazione è penalmente irrile vante solo se non concerne le acque reflue industriali.
In tema di scarichi da frantoi oleari, si registrano, da ultimo, due de cisioni: secondo Cass. 22 gennaio 2003, Zomparelli, Ced Cass., rv.
224343, gli scarichi di liquami derivanti dalla molitura delle olive ef fettuati senza la prescritta autorizzazione non integrano il reato di cui all'art. 59 d.leg. 152/99 in quanto assimilabili alle acque reflue dome stiche solo se l'attività del frantoio sia inserita con carattere di norma lità e complementarietà in un'impresa dedita esclusivamente alla colti vazione del fondo ed alla silvicoltura ed in presenza delle condizioni
previste dall'art. 28 citato decreto, tra cui quella per la quale la materia
prima lavorata deve provenire per almeno due terzi esclusivamente dal l'attività di coltivazione dei fondi dei quali si abbia, a qualsiasi titolo, la disponibilità. Per Cass. 25 giugno 2003, Malignano, id., rv. 226320. le acque di vegetazione residuate dalla lavorazione meccanica delle oli ve possono essere oggetto di utilizzazione agronomica (ai sensi dell'art. I 1. 11 novembre 1996 n. 574), attraverso lo spandimento controllato su terreni adibiti ad uso agricolo, previa autorizzazione sindacale, non rientrando nella disciplina sui rifiuti di cui al d.leg. 22/97, a condizione che non abbiano subito alcun trattamento, né ricevuto alcun additivo ad eccezione della acque per la diluizione della pasta ovvero per la lavatu ra degli impianti.
In tema di controllo dei reflui degli scarichi, secondo Cass. 14 mag gio 2003, Lazzeroni, Ambiente, 2004, 183, il metodo di campionamento è regolamentato da una metodica flessibile, in quanto accanto al criterio
ordinario, riferito ad un campione medio prelevato nell'arco di tre ore, prevede la possibilità di criteri derogatori in relazione alle specifiche esigenze del caso concreto, quali quelle derivanti dalle prescrizioni contenute nell'autorizzazione allo scarico, dalle caratteristiche del ciclo
tecnologico, dal tipo di scarico così come dal tipo di accertamento, la cui valutazione spetta all'autorità amministrativa di controllo nonché in sede processuale, al giudice penale.
Sullo stesso argomento, Cass. 29 gennaio 2003, Piropan, Ced Cass., rv. 224456-224458, ha sviluppato tre profili di un certo interesse: in
primo luogo, l'ispezione dello stabilimento industriale, il prelievo ed il
II Foro Italiano — 2004.
Ed invero, uniforme giurisprudenza di questa corte ha rite
nuto lo scarico di autolavaggio assimilabile a quello degli inse
diamenti produttivi, sotto il vigore della precedente normativa
(Cass. 26 aprile 1982, Incerti, Foro it., Rep. 1983, voce Acque
pubbliche, n. 107), ed a quello di acque reflue industriali, se condo la recente (cfr., da ultimo, Cass. 26 febbraio - 13 maggio 2003, n. 21004, p.m. in proc. Panizza), per la presenza di caratte
ristiche inquinanti diverse e più gravi da quello di un insedia
campionamento delle acque reflue, le analisi dei campioni, configu rano attività amministrative che non richiedono l'osservanza delle nor me del codice di procedura penale stabilite a garanzia degli indagati e
degli imputati per le attività di polizia giudiziaria, atteso che l'unica
garanzia richiesta per le anzidette attività ispettive è quella prevista dall'art. 223 disp. att. c.p.p. che impone il preavviso all'interessato del
giorno, dell'ora e del luogo dove si svolgeranno le analisi dei campio ni. In secondo luogo, non è necessaria la redazione del verbale relati vamente alla indicazione delle metodiche seguite per il prelievo, il
campionamento e le analisi, atteso che risulta sufficiente la possibilità per l'imputato di partecipare e controllare le operazioni, e ciò anche a mezzo di un proprio consulente. Infine, non è applicabile il procedi mento di revisione delle analisi, di cui all'art. 15 1. 24 novembre 1981 n. 689, sia in quanto questo è riferibile agli accertamenti degli illeciti
amministrativi, sia per l'esistenza di specifiche garanzie difensive già previste per il campionamento e le analisi dei reflui, sia infine in quan to presupposto per la analisi di revisione è che il campione prelevato sia inalterabile per un congruo periodo di tempo, requisito da esclude re nei campioni degli scarichi, soprattutto di quelli trattati, le cui carat teristiche variano a seconda dello stadio della reazione chimica o bio chimica in atto.
In tema di responsabilità all'interno di un ente collettivo, Cass. 17 dicembre 2002, Canotti, id., rv. 223219, oltre a ribadire l'opinione che i destinatari della normativa sulla tutela delle acque, qualora si tratti di
persone giuridiche, sono i legali rappresentanti dell'ente imprenditore, ha sostenuto che la responsabilità penale discende dalla legge e non ri chiede un espresso conferimento, mentre è consentito delegare formal mente ad altri soggetti tecnicamente preparati i compiti imposti dalla
legge ai soggetti suindicati. Pertanto, in mancanza di formale e valida
delega, non può essere esclusa la responsabilità penale dell'ammini stratore anche se privo di competenza tecnica. Sul punto, v. anche Cass. 13 marzo 2003, Conci, RivistAmbiente, 2004, 203 (la delega di funzioni deve avere forma espressa e contenuto chiaro, deve garantire al dele
gato autonomia gestionale e capacità di spesa e deve essere attribuita a
persona professionalmente idonea, mentre non è richiesta la forma scritta né requisiti dimensionali dell'impresa tali da imporre il decen tramento delle mansioni).
Una segnalazione a parte meritano le ultime decisioni sul supera mento dei limiti tabellari.
Infatti, mentre Cass. 10 ottobre 2002, Santarnecchi, id., 2003, 336, e 23 gennaio 2003, Orsini, ibid., 1354, si riallacciano all'orientamento tradizionale (la prima decisione affermando che il superamento dei li miti di emissione indicati dalla tabella 3 dell'ali. 5 al d.leg. 152/99 co stituisce reato qualora risultino superati i parametri compresi nella ta bella 5 del medesimo allegato e illecito amministrativo negli altri casi, e la seconda decisione sostenendo che lo scarico extratabellare da in sediamento produttivo in fognatura conserva rilevanza penale solo se trattasi di sostanze indicate nella tabella 5 dell'ali. 5, ovvero di quelle di cui alla tabella 3A di cui al citato allegato), è fortemente innovativa Cass. 29 ottobre 2003, Bonassi, il cui testo è riassunto da Amendola, Sanzioni per inquinamento idrico: tutto da rifare?, in <www.
dirittoambiente.com>, in questi termini: «Il nuovo testo dell'art. 59, 5° e 6° comma, d.leg. 152/99 dopo le modifiche apportate con d.leg. 18
agosto 2000 n. 258 individua due tipi di soggetti di riferimento; — quelli che nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue indu
striali superano i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scari co sul suolo, nella tabella 4 dell'ali. 5;
— quelli che nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue indu
striali, superano i valori dei limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall'autorità competente a norma degli art.
33, 1° comma, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'ali. 5.
Diversamente dalla iniziale versione contenuta nel d.leg. 152/99 ori
ginario, la sanzione penale è stabilita indifferentemente per il supera mento di tutti i limiti previsti dalla tabella 3 e dalla tabella 4 d.leg. 152/99.
La sanzione penale rimane invece vincolata alle sostanze previste dalla tabella 5 solo nel caso in cui il superamento riguardi i limiti più restrittivi fissati dalle regioni.
Infatti l'attuale formulazione colloca la frase 'in relazione alle so
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GIURISPRUDENZA PENALE
mento civile per la presenza di olì minerali, sostanze chimiche e
particelle di vernice eventualmente staccabile dalle autovetture
ed esercizio di un servizio in forma professionale ed organizza ta.
Inoltre, l'autorizzazione allo scarico è caratterizzata dalla ti
picità delle forme, sicché non è ammesso alcun equipollente,
neppure il c.d. permesso di agibilità o abitabilità, peraltro relati
vo a differenti presupposti e diverse finalità.
Per quanto attiene alla carenza di prova circa l'aumento an
che temporaneo dell'inquinamento e la preesistenza dello scari
co all'entrata in vigore del d.leg. n. 152 del 1999 in data 11 giu
gno 1999, occorre rilevare che, nonostante l'effettuazione di
uno scarico senza autorizzazione e la violazione del divieto di
un aumento anche temporaneo dell'inquinamento costituiscano
stanze indicate nella tabella 5 dell'ali. 5' non più prima, ma dopo il ri
chiamo del ruolo regionale, con specifico riferimento all'ipotesi di li
miti più restrittivi fissati dalle regioni. Come è noto la violazione dei
limiti regionali 'diversi' da quelli statuali è sanzionata soltanto in via amministrativa (art. 54, 1° comma), mentre l'ipotesi di limiti più re strittivi ha bisogno di una specifica menzione per l'introduzione di una sanzione penale (spettando allo Stato stabilire le ipotesi di reato). Ed è
quello che si è operato con la nuova dizione, introdotta con l'utilizzo della congiunzione 'ovvero' che non ha valore correttivo (per precisare o integrare un concetto precedentemente espresso) ma disgiuntivo (nel senso della introduzione di una autonoma figura di reato).
La tabella 4 non è dunque collegata necessariamente al ruolo regio nale, ma ha una sua autonomia e ciò per tutte le sostanze in essa indi
cate (comprese quelle diverse dall'elenco della tabella 5). Sul piano logico e funzionale si giustifica lo spostamento della frase
'in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'ali. 5' con rife
rimento al solo ruolo (aggiuntivo e non sostitutivo) delle regioni, senza
alcuna interferenza con le autonome sanzioni penali per il superamento dei valori posti dallo Stato nelle tabelle 3 e 4. Quando questo supera mento avviene si applica la sanzione penale, abbia provveduto o meno
la regione a fissare limiti più restrittivi per alcune sostanze e con pena
aggravata per le sostanze contenute nella tabella 3A (che comprende un
numero di sostanze e processi pericolosi ben maggiori della tabella 5)». Amendola, nel commentare la sentenza, osserva che «la Cassazione
propone una lettura dell'art. 59, 5° comma (sanzioni penali per supe ramento di limiti) che, facendo leva sulle modifiche introdotte dal
d.leg. 18 agosto 2000 n. 258, ritorna sostanzialmente al vecchio regime della legge Merli dove, quanto meno per gli scarichi da insediamenti
produttivi, qualsiasi superamento rispetto a qualsiasi parametro delle
tabelle costituiva reato. Regime che era stato certamente limitato for
temente dalla prima stesura del d.leg. n. 152 del 1999 in cui la sanzione
penale era prevista solo per il superamento dei limiti relativo alle so
stanze di cui alla tabella 5. In realtà, con il decreto correttivo del 2000, a livello letterale, il riferimento a queste sostanze, che prima non ri
guardava i 'limiti più restrittivi imposti dalle regioni o dalle province autonome', viene posposto rispetto a questa locuzione, per cui (sempre a livello letterale) sono certamente possibili due interpretazioni: una, meno innovativa, secondo cui il riferimento a queste sostanze (da cui
dipende, in caso di superamento, l'esistenza del reato) riguarda tutto il
contesto precedente (tabella 3, tabella 4 e limiti più restrittivi), e l'altra — più innovativa — secondo cui adesso tale riferimento riguarda solo i
limiti più restrittivi, con la conseguenza che il superamento dei limiti
tabellari, sganciato da ogni riferimento alle predette sostanze, sarebbe
sempre e comunque reato». L'a. conclude che «Di fronte a conseguenze così rilevanti, anzi 'ri
voluzionarie', l'unico errore da non commettere è la divisione apriori stica tra 'falchi', che plaudono alla svolta, e 'colombe', che invece da
essa dissentono. A nostro sommesso avviso, invece, occorre procedere con molta cautela, limitandosi, per adesso ad aprire un dibattito ade
guato alla importanza della questione e riconoscendo, comunque, che la
sentenza in esame, pur se molti punti vanno approfonditi, si basa su so
lidi elementi ermeneutici con cui, piaccia o non piaccia, dottrina e giu
risprudenza non potranno evitare il confronto nel prossimo futuro».
Menzioniamo, infine, Cass. 4 febbraio 2003, Grilli, Ced Cass., rv.
224352, secondo cui il superamento dei limiti previsti dalla tabella 3
allegata al d.leg. n. 152 per le sostanze non incluse nella tabella 5 alle
gata allo stesso decreto (nella specie, aldeide formica) integra il reato di
cui all'art. 59, 5° comma, anziché l'illecito amministrativo di cui al
l'art. 54, solo ove sia provato il potere cancerogeno delle stesse secon
do le indicazioni dell'agenzia internazionale di ricerca sul cancro
(lare), atteso che la previsione di chiusura del punto 18 della tabella 5
non richiede soltanto la possibilità o la probabilità che una determinata
sostanza possa avere un potere cancerogeno, ma esige che questo sia
provato. [V. Paone]
Il Foro Italiano — 2004.
due autonomi e distinti reati, i cui presupposti ed elementi co
stitutivi sono differenti, il giudice aretuseo esattamente si è sof
fermato solo su quello concernente l'omessa autorizzazione, in
quanto si trattava di scarico esistente non autorizzato, sicché,
secondo uniforme giurisprudenza di questa corte (Cass. 17 di
cembre 1999, Scaramozza, id., Rep. 2000, voce cit., n. 182), re
cepita dal d.leg. n. 258 del 2000, all'art. 2, lett. cc bis), devono
ritenersi nuovi anche gli scarichi esistenti non autorizzati, in
quanto la disciplina transitoria di cui all'art. 62, 12° comma, d.leg. n. 152 del 1999 e successive modificazioni si applica solo
agli scarichi esistenti autorizzati.
Infatti «scarichi esistenti» sono quelli di acque reflue urbane
«che alla data 13 giugno 1999 sono in esercizio e conformi al
regime autorizzativo previgente ovvero ... gli scarichi di acque reflue domestiche che alla data del 13 giugno 1999 sono in
esercizio e conformi al regime autorizzativo previgente; gli sca
richi di acque reflue industriali che alla data del 13 giugno 1999 sono in esercizio e già autorizzati».
La disciplina, a parere del collegio, non è mutata neppure do
po l'intervenuta modifica dei termini di adeguamento, di cui al l'art. 62, 11° comma, d.leg. cit., operata dall'art. 10 bis intro
dotto dalla legge di conversione n. 200 del 2003 nel d.l. n. 147
del 2003 recante «proroga di termini e disposizioni urgenti or
dinamentali».
Infatti, a parte la specifica caratteristica del decreto legge su
citato, evidenziato dalla sua rubrica, la dizione dell'art. 10 bis
cit., secondo cui «i termini di cui all'art. 62, 11° comma, d.leg. 11 maggio 1999 n. 152, relativo agli scarichi esistenti, ancorché
non autorizzati, sono differiti fino ad un anno a decorrere dalla
data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto» (cioè fino al 3 agosto 2004), non ha fatto venire meno
la definizione legislativa degli scarichi esistenti su descritta. Ed invero l'infelice formulazione di questa proroga del ter
mine di «adeguamento degli scarichi esistenti» potrebbe essere
intesa come l'espressione sintetica di una pluralità di situazioni,
sicché l'inciso «ancorché non autorizzati» concerne quegli sca
richi, esistenti il 13 giugno 1999, ma non autorizzati, in quanto per essi l'obbligo di autorizzazione è stato introdotto solo suc
cessivamente in virtù della nuova disciplina predisposta dal
d.leg. n. 152 del 1999, secondo quanto sostenuto da un'autore
vole voce dottrinale, in quanto il richiamo all'11° comma del
l'art. 62 d.leg. cit. è onnicomprensivo e riguarda pure «gli scari
chi per i quali l'obbligo di autorizzazione preventiva è stato in
trodotto dalla presente normativa».
Tale esegesi deve essere privilegiata, perché, in tema di ecce
zioni ad una regola generale, non è possibile fornire un'inter
pretazione estensiva, ma occorre preferirne una restrittiva.
Peraltro, in assenza di un'abrogazione espressa della nozione
di scarico esistente di cui all'art. 2, lett. cc bis), d.leg. in esame,
non è possibile attribuire ad una disposizione con un contenuto
specifico e limitato la possibilità di introdurre un'abrogazione
implicita, mentre la locuzione su riferita sembra una cattiva sin
crasi di una pluralità di situazioni, disciplinate in maniera uni forme dall'art. 62, 11° e 12° comma, d.leg. cit.
Infine, proprio perché non è concepibile per le ragioni su rife
rite un'abrogazione tacita dell'art. 2, lett. cc bis), d.leg. cit. su
riportata, ove si volesse, in contrasto con i criteri ermeneutici su
evidenziati in tema di interpretazione di norme derogatorie di
una regola generale, ritenere estensibile il termine «non autoriz
zati» a tutti gli scarichi esistenti, non si può obliterare il sintag ma «conformi al regime autorizzativo previgente», sicché
l'espressione «non autorizzati» concernerebbe solo quegli scari
chi esistenti alla data del 13 giugno 1999, non muniti di formale autorizzazione, che, in relazione alla situazione fattuale, avreb
bero potuto ottenerla.
Pertanto, con questa esegesi si asseconderebbe un trend legis lativo perseguito incessantemente in questi ultimi tempi, secon
do cui si tende ad equiparare il formale provvedimento di auto
rizzazione all'esistenza di una regolare situazione concreta, sen
za considerare che gli obblighi di informazione, connaturati alle richieste di autorizzazioni o di provvedimenti abilitativi, in
campo ambientale rispondono ad esigenze di prevenzione e di
conoscenza per la protezione dei beni.
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PARTE SECONDA
Tuttavia, anche seguendo un'interpretazione così estensiva, non accoglibile, a parere del collegio, non si verserebbe, nella
fattispecie, nell'ipotesi di uno scarico di acque reflue industriali
conforme al regime autorizzativo previgente, perché nella de
scrizione dell'impianto «di depurazione» delle acque vengono indicati solo «due pozzetti dove avveniva la sedimentazione dei
fanghi», sicché le acque reflue industriali venivano immesse
nella pubblica fognatura senza alcun efficace trattamento pre ventivo richiesto in via generale dall'ente proprietario e da
quello gestore dell'impianto di depurazione per abbattere e/o ri
durre i carichi inquinanti. Infine, nella fattispecie in esame, non può farsi a meno di
notare che è stata pure contestata l'omessa adozione delle misu
re necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo dell'in
quinamento, costituente un obbligo cui soggiacciono i titolari
degli scarichi esistenti, ancorché autorizzati, durante il regime transitorio (Cass., sez. un., 19 dicembre 2001, Turina, id., 2002,
II, 342). Pertanto, poiché «l'aumento è ... un concetto per definizione
relativo e ... presuppone il raffronto tra due dati, che ... sono
quantitativi e qualitativi e, comunque, di fatto, riferiti allo sca
rico con la prescrizione che il dato fisico-chimico preesistente all'entrata in vigore della 1. (rectius d.leg.) 152/99 non può esse
re alterato in peius» ed i dati da comparare possono risultare «da
qualsiasi elemento» e «l'aumento potrà anche essere desunto da
fatti significativi» (Cass., sez. un., 19 dicembre 2001, Turina, cit.), i dati da comparare, come si evince dai passi tratti dalla
decisione delle sezioni unite, non devono provenire necessaria
mente da analisi, ma possono discendere pure da considerazioni
logiche oltre che da altre evenienze fattuali (ex gr. aumento
della produzione e mantenimento dello stesso depuratore, gua sto del sistema di depurazione, et similia).
Pertanto, ove venisse dimostrata l'assenza di qualsiasi con
trazione dell'attività svolta, la sua particolarità comporta ex se
un aumento anche temporaneo dell'inquinamento, giacché, al
trimenti, si dovrebbe presumere, contrariamente ad ogni logica, un'identica superficie ed un medesimo numero di auto lavate
con lo stesso detersivo per tutto il periodo. Perai**». detta considerazione è sviluppata soltanto per mera
ipotesi di studio, in quanto si ritiene condivisibile solo l'esegesi riferita per prima in ordine alla locuzione «non autorizzati» di
cui all'art. 10 bis 1. n. 200 del 2003 di conversione, con modifi
cazioni, del d.l. n. 147 del 2003, essendosi avanzata l'altra
esclusivamente per dimostrare come, nella fattispecie in esame, il reato sarebbe configurabile, pur in presenza di un'interpreta zione estensiva e lassista, contrastante con la natura del provve dimento, anche se espressione di un non condivisibile trend le
gislativo, sicché l'eventuale possibilità di configurare pure la
contravvenzione di aumento anche temporaneo dell'inquina mento costituisce un ulteriore segnale circa la necessità di san
zionare, comunque, dette situazioni illecite e pericolose per la
tutela dell'ambiente.
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CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 29 ot
tobre 2003; Pres. Fabbri, Est. Dubolino, P.M. Febbraro
(conci, conf.); ric. Galli. Conferma App. Milano 9 gennaio 2003.
Vilipendio — Vilipendio della bandiera — Reato — Estremi (Cod. pen., art. 292).
Per la sussistenza del reato di vilipendio della bandiera, di cui
all'art. 292 c.p., non è richiesta la presenza fisica della ban
diera, essendo quest'ultima tutelata non come oggetto in sé, ma unicamente per il suo valore simbolico suscettibile di es
sere leso anche da semplici manifestazioni verbali di disprez zo, la cui rilevanza penale richiede pertanto solo la percepi bilità da parte di altri soggetti e non anche la presenza della
res, da ritenersi, in quanto tale, come del tutto indifferen te. (1)
( 1 ) Nella specie il ricorrente, condannato in appello, in una pubblica riunione a carattere politico aveva pronunciato la frase: «da quando ho
appeso il tricolore nel cesso non soffro più di stitichezza». In ordine agli estremi integranti il reato di vilipendio della bandiera,
sanzionato dall'art. 292 c.p., v. G.i.p. Trib. Milano 25 maggio 2001, Foro it.. Rep. 2002, voce Vilipendio, n. 1, secondo cui, alla luce di una lettura costituzionalmente orientata di tale disposizione, costituisce vi
lipendio della bandiera il comportamento gratuitamente offensivo, fine a sé stesso e, dunque, esorbitante dal legittimo esercizio della libertà di
pensiero, in quanto non funzionale alla manifestazione della critica po litica, per cui la condotta priva di tali requisiti non costituisce vilipen dio, ma si colloca al di fuori della fattispecie legale (nella specie, è stata esclusa la configurabilità del reato a carico di alcuni manifestanti che avevano dato fuoco ad un vessillo con i colori della bandiera italia na al fine di esprimere il proprio dissenso verso il prefetto ed il governo da lui rappresentato, colpevoli, a loro giudizio, di avere immotivata mente sospeso un sindaco democraticamente eletto); Assise App. Trento 28 maggio 1990, id., Rep. 1992, voce cit., n. 2, commentata da
Pettenati, in Giur. merito, 1992, 954, per la quale invece tale reato non
può essere escluso dalle finalità di critica e di censura perseguite dal
l'agente, né dall'impostazione ideologica che lo sorregga, essendo suf ficiente che l'offesa sia insita nelle univoche espressioni di discredito
impiegate; Cass. 14 giugno 1988, Paris, Foro it.. Rep. 1990, voce cit., n. 1, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legit timità costituzionale dell'art. 292 c.p., in riferimento agli art. 9 e 10 della convenzione europea sui diritti dell'uomo esplicativi degli art. 21 e 25 Cost., in quanto il prestigio dello Stato, dei suoi emblemi e delle sue istituzioni rientra tra i beni costituzionalmente garantiti, per cui si
pone come limite ad altri diritti pure costituzionalmente protetti; Assise Bolzano 31 maggio 1985, id., Rep. 1987, voce cit., nn. 1, 2, secondo cui per bandiera nazionale deve intendersi quella ufficiale dello Stato od ogni altra bandiera portante i colori nazionali e l'espressione «vili
pendio», di cui all'art. 292 c.p., implica il concetto di sfregiare, di
sprezzare, mettere in ludibrio, porre in ridicolo, manifestare ostilità e tale può considerarsi la condotta di colui il quale ammaini ingiustifica tamente un drappo con i colori bianco, rosso e verde, tentando di ri muoverlo dall'asta sulla quale è issato.
La richiesta di referendum abrogativo dell'art. 292 c.p., unitamente ad altre trenta disposizioni del codice penale, è stata dichiarata legitti ma da Cass., uff. centr. referendum, ord. 2 dicembre 1980, id., Rep. 1981, voce Legge, n. 50, ma inammissibile, perché rivolta contro un
complesso di disposizioni dalle quali non è possibile estrarre un quesito comune, razionalmente unitario, da Corte cost. 13 febbraio 1981, n. 28, id., 1981,1, 918, con nota di richiami e osservazioni di Pizzorusso.
Supreme court Usa 21 giugno 1989, id., Rep. 1991, voce Diritto
comparato, n. 232, commentata da Nania, in Giur. costit., 1990, 1725, ha sostenuto che l'interesse statale a prevenire violazioni della pace so ciale non giustificava la condanna dell'imputato, per violazione della
legge del Texas sul vilipendio della bandiera, per avere egli dato alle fiamme la bandiera americana in segno di protesta; non vi fu alcuna ef fettiva rottura dell'ordine materiale quando la bandiera venne data alle fiamme dall'imputato, o in risposta a tale atto; la rottura, meramente
potenziale, dell'ordine materiale, non giustifica l'incriminazione del
l'imputato. In ordine al reato di vilipendio di cose, ai danni della religione catto
lica, v. Corte cost., ord. 23 maggio 2002, n. 213, Foro it., 2002,1, 2528, con nota di richiami, e sent. 20 novembre 2000, n. 508, ibid., 985. con nota di richiami, commentata da D'Amato, in Critica del diritto, 2000, 531, e da Casuscelli e Iannaccone, in Quaderni dir. e politica eccle siastica, 2002, 1141, che ha dichiarato incostituzionale l'art. 402 c.p. che prevedeva il reato di vilipendio della religione dello Stato.
Sul reato di vilipendio delle forze armate, v. Cass. 9 maggio 2000.
Ciapanna, Foro it., Rep. 2002, voce Udienza preliminare, n. 45; Corte
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