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Sezione III penale; sentenza 9 aprile 1960; Pres. Ross P., Est. Grieco, P.M. Moscarini (concl....

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Sezione III penale; sentenza 9 aprile 1960; Pres. Ross P., Est. Grieco, P.M. Moscarini (concl. conf.); ric. Zironda Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 8 (1960), pp. 173/174-175/176 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23152213 . Accessed: 28/06/2014 17:05 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 141.101.201.167 on Sat, 28 Jun 2014 17:05:49 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: Sezione III penale; sentenza 9 aprile 1960; Pres. Ross P., Est. Grieco, P.M. Moscarini (concl. conf.); ric. Zironda

Sezione III penale; sentenza 9 aprile 1960; Pres. Ross P., Est. Grieco, P.M. Moscarini (concl.conf.); ric. ZirondaSource: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 8 (1960), pp. 173/174-175/176Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23152213 .

Accessed: 28/06/2014 17:05

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173 GIURISPRUDENZA PENALE 174

da solo, il Cancelliere, mentre la querela stessa sarebbe

valida ove il Pretore avesse creduto di non dover procedere all'atto medesimo.

Ciò premesso, la Corte osserva che è infondato anche il

motivo, con il quale si deduce la mancanza di motivazione

in ordine alla eccepita tardiva presentazione della querela. Sulla eccezione, che era stata oggetto di un apposito motivo

di appello, la Corte si sofferma a lungo, per concludere

che la Scatolini ebbe conoscenza certa della gravidanza della figliuola, soltanto il 9 febbraio 1957 a seguito delle

comunicazioni fattele dalla vicina di casa Mancini Zandira, alla quale la Faccendini Mirella aveva confidato ogni cosa,

allorché, essendo il giorno 8 detto mese fuggita di casa

per non rivelare il suo stato ai genitori, era stata raggiunta dal padre a Terontola.

La Corte di merito valutò diligentemente ogni ele

mento, e ritenne che la madre, vedendo l'addome della

figliuola ingrossarsi, aveva avuto, è vero, sospetti, che,

però, erano svaniti, allorché pochi giorni prima del Natale

1956, aveva condotto la figlia presso un medico, il dott.

Mattinati, dal quale aveva saputo che la tumescenza

dell'addome era dovuta a fatti meteorici derivanti da

insufficienza epatica,. Il medico, è certo, aveva pietosa mente mentito, perchè la ragazza, che pur si era detta

consapevole del suo stato, aveva minacciato il suicidio, ma di tale menzogna non ebbe contezza la Scatolini, la

quale in quel momento, credette a quanto il medico le

aveva riferito. Da questo dato di fatto la Corte di appello trae la conclusione, ineccepibile dal punto di vista logico, che la Faccendini non soltanto non aveva informato i

genitori del suo stato, ma era atterrita dal pensiero di

quella che sarebbe stata la reazione dei genitori stessi.

Tutte le considerazioni, pertanto che il ricorrente

svolge nel motivo di ricorso, altro non costituiscono che

una censura al convincimento del Giudice di merito, su

una questione di fatto che, per essere correttamente mo

tivato, non può essere sindacato in questa sede.

La Corte di merito, anzi, nel motivare il suo convinci

mento sulla tempestività della querela, osservò che la

determinazione a sporgere querela presuppone, non solo

la conoscenza certa del fatto illecito, ma anche la conoscenza

dell'autore del fatto stesso, e nella specie non solo era

provato che la Faccendini non aveva avuto, prima del 9

febbraio 1957, certezza della gravidanza della figlia, ma

era al di fuori di qualsiasi dubbio, che soltanto in tale

data aveva saputo dei rapporti intimi intercorsi tra la

figlia ed il Metelli, e che quindi autore della gravidanza della figliuola era il Metelli stesso.

Tale ulteriore criterio seguito dalla Corte di appello non merita censura. L'art. 124 cod. pen. dispone che il

diritto di querela non può essere esercitato decorsi tre

mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce reato.

Orbene, un fatto può costituire reato solo in quanto sia

stato commesso da una persona imputabile e punibile,

e, pertanto, la conoscenza della persona alla quale la causa

materiale e psicologica del fatto risale è assolutamente

necessaria ai fini della decorrenza del termine di deca

denza. Devési, anzi, osservare che, poiché trattasi di un ter

mine di decadenza, i criteri che l'interprete deve seguire non

possono che essere rigorosi, onde devesi pervenire alla

dichiarazione di decadenza solamente quando sia certo

ohe l'offeso lasciò decorrere il termine dopo che ebbe pre senti tutti gli elementi atti ad influire sulla sua volontà,

e tra questi elementi è preminente la individuazione dello

autore del fatto delittuoso.

Né può omettersi dall'osservare che la querela è un

negozio processuale, un atto di autonomia privata, il

quale, in tanto può essere liberamente compiuto, in quanto esista la conoscenza di tutte le circostanze del fatto, e,

tra queste circostanze, la conoscenza dell'offensore ha

una rilevanza determinante, tanto più che il prosciogli

mento del querelato può determinare la condanna del

querelante al pagamento delle spese del procedimento

anticipate dallo Stato, e la condanna alla rifusione delle

spese in favore dell'imputato, e tanto più che vi sono

reati per i quali la querela, uua volta proposta, è irrevo

cabile. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione iii penale ; sentenza 9 aprile 1960 ; Pres. Eosso P.,

Est. grbieco, P.M. Moscakini (conci, conf.) ; ric. Zi

ronda.

(Gassa Pret. Schio 14 aprile 1959)

Amnistia e indulto — Omessa denuncia del cessato

rapporto «li lavoro — Natura e nozione del reato

— Accertamento «(indiziale —- Applicabilità del

benelicio (D. pres. 11 luglio 1959 n. 460, concessione

di amnistia e indulto, art. 6 ; 1. 29 aprile 1949 n. 264,

provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e

di assistenza ai lavoratori disoccupati, art. 21, 27).

La contravvenzione di cui agli art. 21, 27 legge 29 aprile 1949 n. 264 (mancata comunicazione all'ufficio competente delle generalità dei lavoratori, per i quali sia cessato il

rapporto di lavoro), costituisce una particolare figura di

reato omissivo permanente, perchè, a differenza di quanto suole accadere nella generalità dei reati omissivi permanenti Vaccertamento giudiziale del reato qui non si limita ad

interrompere, ma fa cessare la situazione antigiuridica ;

di conseguenza l'amnistia prevista per tal reato dall'art. 6

decreto pres. 11 luglio 1959 n. 460 è applicabile, anche

senza alcuna denunzia da parte del datore di lavoro, se

il reato commesso fu accertato dall'autorità. (1)

La Corte ecc. — Fatto. — Zironda Girolamo Tran

quillo, con sentenza del Pretore di Schio del 14 aprile 1959,

venne condannato a 90.000 lire di ammenda per contraV

vemzione agli art. 21 e 27, 3° comma, legge 29 aprile 1949

n. 264, avendo omesso di comunicare al competente Ufficio

di collocamento il licenziamento dell'operaio Gregori Gio

vanni avvenuto il 10 luglio 1958, giusta quanto risultava

dal rapporto dell'Ispettore del lavoro in data 20 gennaio

1959, nel quale erasi dato atto che il fatto e la data del li

cenziamento risultavano dal libro matricola della azienda e

dalle ammissioni in tali sensi dello stesso imputato. Ha ricorso in questa sede lo Zironda chiedendo, con

motivi aggiunti, l'applicazione della amnistia di cui al

decreto pres. 11 luglio 1959 n. 460.

Diritto. — La sentenza impugnata deve essere annul

lata senza rinvio, per essere il reato estinto a seguito della

amnistia concessa col decreto pres. 11 luglio 1959 n. 460.

L'art. 6 di questo decreto concede amnistia per i reati

previsti nell'art. 27, 3° comma, legge 29 aprile 1949 n. 264,

a condizione che la denuncia della cessazione del rapporto

di lavoro venga effettuata nel termine di 120 giorni dalla

data del decreto stesso, sempre che il termine stabilito

per la denuncia non sia successivo al 23 ottobre 1958.

Per l'art. 21 legge 29 aprile 1949 n. 264 i datori di lavoro,

soggetti alla disciplina dell'avviamento al lavoro, debbono

comunicare, entro cinque giorni, al competente ufficio, il

nome e la qualità dei lavoratori, di cui, per qualsiasi mo

tivo, sia cessato il rapporto di lavoro, e tale omissione è

punita dall'art. 27, 3° comma, con l'ammenda da lire 500

a lire 1000 per ogni lavoratore e per ogni giorno di ritardo.

(1) Non risultano precedenti specifici editi. Circa la natura

invece non permanente ma istantanea della contravvenzione di

cui agli art. 11, 13 e 18 legge 29 aprile 1949 n. 264 (assunzione di lavoratori senza il preventivo nulla osta del competente ufficio

di collocamento), v. Cass. 24 febbraio 1958, De B 11", Foro it.,

Rep. 1958, voce Lavoro (collocamento), n. 23.

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175 PARTE SECONDA 176

Come dalla chiara formula delle norme predette ri

sulta, trattasi di reato omissivo nel quale la situazione

antigiuridica creata dalla violazione del precetto permane fino a quando l'agente non provveda all'adempimento di

quanto nel precetto medesimo è comandato, onde la fi

gura del reato permanente, che ricorre quando l'azione deve durare per tutto lo svolgimento del fatto, nel quale, cioè la efficacia dell'azione non può non svolgersi lungo l'in tero ciclo del fatto, con la conseguenza, quindi, che cessata la condotta, cessa anche l'evento dannoso. Deriva da ciò che ove non fosse intervenuta l'amnistia con la disposi zione dell'art. 6, l'evento dannoso determinato dalla omis

sione dello Zironda sarebbe ancora in atto.

Deve, però, avvertirsi, che si è in presenza di una parti colare figura di reato permanente ; nel mentre, in genere, nel reato omissivo permanente, pur dopo l'accertamento del reato, è necessaria la condotta dell'agente perchè la

situazione antigiuridica cessi, potendosi, con l'accertamento

giudiziale del reato, avere soltanto la interruzione della situazione predetta e non anche la cessazione, come accade

ad es. quando nei luoghi di lavoro non vengono eseguite le opere prescritte affinchè la distribuzione dell'acqua per lavarsi avvenga in modo da evitare l'uso di vaschette o di catinelle con acqua ferma, ed i lavandini siano nel numero di uno per ogni cinque dipendenti occupati in un turno, ed i lavandini collettivi dispongano di uno spazio di almeno 60 cm. per ogni posto (art. 37 decreto pres. 19 marzo 1956 n. 303), nel reato in questione, con l'accertamento del reato, la permanenza cessa, in quanto attraverso l'accertamento medesimo l'autorità viene a conoscere quanto il datore di lavoro avrebbe dovuto comunicarle, e che, invece, non conobbe per la disobbedienza alla norma da parte del

soggetto obbligato.

Presupposto logico dell'articolo 6 decreto pres. 11 luglio 1959 n. 460, in rapporto al reato previsto dall'art. 27, 3°

comma, legge 29 aprile 1949 n. 264, là dove dispone che l'amnistia si applica a condizione che la denunzia venga effettuata nel termine di 120 giorni dalla data del decreto

stesso, è che non vi sia stato accertamento, da parte della

autorità, della omissione della denuncia concernente la ces sazione del lavoro, onde chi lia violato l'obbligo, omet tendo di dare notizia della cessazione del rapporto di lavoro,

per avere diritto alla amnistia deve provvedere alla denun cia omessa nel termine di 120 giorni, a decorrere dall'11

luglio 1959, sempre che il termine stabilito per la denunzia medesima sia anteriore al 24 ottobre 1958, in mancanza della quale denunzia il reato già perfetto permane.

Quando, invece, il reato commesso è già stato accertato da parte dell'autorità, e la stessa, quindi, è venuta a cono

scenza, attraverso tale accertamento, della cessazione del

rapporto di lavoro, la denunzia di tale cessazione da parte del datore di lavoro, ai fini della amnistia, non ha ragione di essere.

Nella specie la cessazione del rapporto di lavoro avvenne il 10 luglio 1958, e col decorso del 15 stesso mese, entro il

quale la comunicazione della cessazione sarebbe dovuta

avvenire, termine anteriore al 24 ottobre 1958, comin ciò ad avere vita il reato, reato che venne poi accer tato con verbale dell'Ispettorato del lavoro in data 20

gennaio 1959, prima ancora, cioè, che avesse inizio il de corso del termine di 120 giorni di cui all'art. 6 decreto pres. 11 luglio 1959 n. 460.

All'amnistia, pertanto, lo Zironda ha diritto. Per questi motivi, cassa, eco.

CORTE SDPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione III penale ; sentenza 5 aprile 1960 ; Pres. Auriemma

P., Est. Gbieco. P. M. Tartaglia (conci, conf.) ; ric.

Manzella.

(Gassa App. Roma 25 agosto 1959)

Prostituzione — Sfruttamento «li prostituta — Nuova

configurazione del reato secondo la legge Merlin — Reato istantaneo e non abituale (Cod. pen., art.

534 ; 1. 20 febbraio 1958 n. 75, abolizione della regola mentazione della prostituzione e lotta contro lo sfrut

tamento della prostituzione altrui, art. 3, n. 8). Libertà personale dell'imputato — Quasi flagranza

— Espressione « immediatamente » — Significato —

Fattispecie (Cod. pen., art. 534 ; 1. 20 febbraio 1958

n. 75, art. 3, n. 8 ; cod. proc. pen., art. 237).

Il reato di sfruttamento di prostituta, come configurato dalla

legge Merlin, è reato istantaneo, a costituire il quale è

sufficiente anche un solo atto di sfruttamento, come quando

l'agente riceva, per una sola volta, il denaro che la donna

abbia ricavato dalla propria prostituzione ; ciò a differenza di quanto ritenuto secondo Vabrogato art. 534 cod. pen., il quale, prevedendo che Vagente si facesse mantenere dalla

prostituzione, indubbiamente configurava il reato in esame

come reato abituale. (1) Essendo il delitto di sfruttamento di prostituta un reato istan

taneo, non versa in stato di quasi flagranza lo sfruttatore che sia arrestato dopo sette ore dalla consegna dell'ultima

somma di denaro da parte della prostituta : la espressione

(1) Contra : Trib. Roma 28 aprile 1960, retro, 12, con nota :

per tale sentenza, il delitto di sfruttamento di prostituta è reato permanente, escludendosi che esista il reato nel caso di

episodio sporadico. Sostanzialmente contraria è anche Oass. 10 novembre

1959, Sona (Giusi, pen., 1960, II, col. 455, m. 526), per la quale il delitto in esame « può consistere in qualsiasi parassitaria partecipazione ai guadagni, in denaro od alle diverse utilità che la donna si procuri facendo commercio del proprio corpo ». Il richiamo a « qualsiasi parassitaria partecipazione » implica di per sè la negazione del reato nel caso si tratti di un solo, isolato, episodio, ma anzi postula la reiterazione e continuità dei fatti di sfruttamento.

La sentenza che pubblichiamo, invece, abbraccia la tesi estrema della sufficienza di un solo fatto di sfruttamento a

perfezionare il reato. Ora, tale conclusione si fonda, in sostanza, sul semplice significato letterale attribuito alla parola « sfrutta mento » : ben poco, invero, a giustificare il repentino, totale abbandono della definizione che tradizionalmente al concetto si1 dava nel diritto penale. In aggiunta alla interpretazione meramente letterale (per altro poco decisiva, stante che nel

linguaggio comune come nel sentimento sociale per « sfrutta mento » si intende il prolungato approfittamento parassitario del lavoro altrui, tal che non v'è sfruttamento se non v'è paras sitismo), dovrebbe poter,i dire che anche sotto il profilo logico e sistematico si giustifichi la conclusione della sentenza. Sotto tale profilo, non si comprenderebbe perchè mai il legislatore avrebbe dovuto adottare, nell'art. 3, n. 8, un concetto ristretto, non tecnico, contrastante con il comune sentire, invece di quello ormai acquisito dal diritto.

Nè si dica che tale significato la parola <i sfruttamento » aveva acquistato per il suo collegamento con il « mantenimento » richiesto dall'art. 534 cod. pen. (v. Caldora, Relazione sugli art. 3 e 4 legge Merlin, in Giust. pen., 1960, I, 149), per inferirne che — venuto meno, nella nuova legge, detto estremo del man tenimento — il concetto di sfruttamento abbia conseguentemente perduto il caratt 'r ; della continuità. Oi pare evidente, infatti, che il legislatore abbia voluto tagliar corto alle questioni sorte su tal requisito del mantenimento, precisando che lo sfrutta mento è punito in ogni caso, a prescindere da quelle che possano essere le finalità del reo o la sua vita. Previsione punitiva più ampia, che comunque non intacca il concetto di sfruttamento che, nella ratio legis, è rimasto e non poteva non rimanere che quello stesso assunto dall'abrogato art. 534 cod. penale.

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