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Sezione III; sentenza 22 marzo 1984, n. 246; Pres. Felici, Est. Minicone; Confederazione italianapiccola e media industria-Confapi (Avv. Sciacca) c. Min. lavori pubblici (Avv. dello StatoCarbone), Confederazione generale dell'industria italiana - Confindustria (Avv. Sorrentino,Lepore)Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 5 (MAGGIO 1984), pp. 199/200-201/202Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175733 .
Accessed: 28/06/2014 13:37
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PARTE TERZA
Le indicazioni stesse vanno lette come comprensive e di valuta
zioni della gestione e del buon andamento dell'azione amministra
tiva.
personale temporaneo e di rendere agevolmente ostensivo, attraverso la istituzione di un apposito fondo speciale, l'onere complessivo della
spesa sopportata da ciascun ente allo scopo. L'istituzione del fondo non era obbligatoria, ma dato che la sua
istituzione risulta finalizzata alla erogazione delle specifiche spese sopra indicate, nel caso di mancata istituzione dello stesso l'unica possibile logica conseguenza doveva essere quella del divieto di assunzione di
personale precario, non potendo ammettersi che si possa fare luogo ad assunzioni di personale straordinario con imputazione della spesa agli ordinari capitoli di bilancio.
Non tutti gli enti, i quali hanno trasmesso i conti consuntivi e fornito gli elementi integrativi richiesti, hanno prodotto una puntuale risposta in ordine allo specifico quesito rivolto in materia.
Dagli elementi acquisiti emergono, comunque, comportamenti in contrasto con le norme vigenti; alcuni enti non hanno provveduto all'istituzione del fondo, ma hanno disposto assunzioni di personale temporaneo con imputazione delle relative spese sui capitoli di bilancio relativi al personale di ruolo; altri enti, pur avendo istituito il fondo, non hanno imputato le spese per il personale temporaneo al fondo stesso, ma agli appositi capitoli di bilancio; altri infine, hanno superato i limiti di incremento della spesa del 25 % e del 40 % normativamente predeterminati, ovvero hanno calcolato detto incremen to tenendo conto delle previsioni e non degli impegni dell'anno 1980, che erano stati inferiori alle previsioni, in violazione della norma, secondo la quale l'importo del fondo non poteva superare la spesa sostenuta nell'anno precedente, aumentata del coefficiente di rivaluta zione, ovvero hanno rispettato tale limite in preventivo, ma lo hanno, poi, sostanzialmente disatteso, avendo, in corso di esercizio, disposto rilevanti variazioni in aumento della dotazione del fondo.
Anche in ordine al conferimento di incarichi professionali i dati acquisiti mostrano come solo in parte essi siano stati finalizzati ad attività di studio e di ricerche; l'oggetto e il contenuto dell'incarico risulta individuato con generiche locuzioni che non consentono di stabilire l'esatta prestazione richiesta.
14. - Nell'analisi della gestione finanziaria e dell'azione amministrati va degli enti locali, esposta nei precedenti punti, sono ripetutamente emersi riferimenti alla situazione normativa.
Sia la verifica condotta in ordine alla concreta applicazione delle disposizioni vigenti e, in particolare, dei risultati conseguiti rispetto alle finalità indicate dal legislatore, sia l'emergere di problemi che non trovano nelle disposizioni stesse soluzioni ovvero queste non risultino adeguate, inducono a talune prime notazioni — che potranno essere riprese ed ampliate sulla base di più estese acquisizioni di elementi e successive valutazioni — sulle modifiche alla disciplina vigente in materia.
Costituisce dato di comune consenso l'esigenza di una riforma del sistema delle autonomie e della finanza locale e, pertanto, più che giustificare l'auspicio, che si formula, varrà ribadire la valutazione negativa sul sistema sin qui adottato della decretazione d'urgenza e della variazione annuale delle regole di gestione. Ciò per i ritardi che si sono determinati nella formazione dei bilanci preventivi, l'incertezza circa le disponibilità finanziarie disponibili, la mancanza di chiarezza ed ordine dell'attività di gestione considerata anche sotto il profilo dei rapporti fra amministrazioni e cittadini. A quest'ultimo propostito va detto che il ricorso, anno per anno, a provvedimenti legislativi d'urgenza e il ripetersi di ampie divergenze fra decreto-legge e legge di conversione hanno portato molto spesso, nel campo delle entrate proprie, a doppie delibere comunali e/o provinciali di contenuto diverso a seconda di quanto stabilito nei due successivi atti normati vi. E questo certamente incrina il principio della certezza del diritto ed anche la chiarezza dei rapporti fra amministrazioni e cittadini, tanto più necessaria quanto più la legislazione si ispiri al criterio della responsabilità fiscale degli enti locali.
Si è prima auspicata la riforma delle autonomie e della finanza locale in quanto le due discipline non sembrano poter essere oggetto di separate valutazioni.
Lo stato di incertezza che sussiste in sede locale circa l'ambito delle scelte di spesa, che dovrà certo formare oggetto di specifica attenzione, ne costituisce riprova.
Al di là delle definizioni di « formule » sui poteri locali o di elencazioni di spese consentite è soltanto con la determinazione di criteri obiettivi e non condizionabili per il trasferimento di fondi dello Stato, dell'ambito delle risorse proprie — criteri e ambito da stabilire in sintonia con le attività ed i servizi che vanno resi alla collettività — che potrà essere rivalutatala la funzione di interpretare le esigenze locali proprie degli organi rappresentativi.
Ciò ove sia, da un lato, preclusa ogni possibilità di far ricadere sulla finanza statale conseguenze di scelte di spesa che debbono essere consentite agli enti locali nei soli e concreti limiti delle disponibilità finanziarie e sia impedito, dall'altro, che nuovi compiti vengano affidati agli enti locali senza copertura degli oneri relativi.
Sotto il primo profilo, i dati emergenti dalle analisi di gestione svolte e che hanno dimostrato la distanza che intercorre tra i dati di previsione e dati consuntivi hanno anche posto in evidenza l'esigenza che i risultati di amministrazione, quelli di competenza, le situazioni economiche non possono continuare ad essere oggetto di constatazioni ex post, ma con appositi strumenti normativi sia previsto che il pareggio, ove compromesso dallo svolgersi della gestione, sia assicurato
Coerenti con l'indicato piano delle rilevazioni sono i correlativi criteri di esame dei conti che riguardano le verificazioni e valutazioni dei dati di gestione ad esso funzionali.
con misura adeguate: in altri termini, che le gestioni vengano tenute con costante attenzione ai risultati consuntivi.
Un secondo argomento è venuto in rilievo per la constatata diversità di interpretazione della normativa vigente, emersa dall'esame dell'attivi tà degli enti locali. Ciò è risultato, a titolo di esempio, nel settore dell'attività gestoria (si fa riferimento alla individuazione delle entrate e delle spese una tantum alla utilizzazione del fondo speciale di spesa per il personale temporaneo) e in quella dell'amministrazione del personale (si tratta dei rilevati casi di inquadramenti del personale, di incarichi professionali). È evidente, anzitutto, che risulta carente un momento di coordinamento nell'attività di controllo. Carenza la quale rileva i suoi effetti negativi, più che nei casi in cui i rimedi giurisdizionali possano garantire la tutela degli interessi e diritti individuali, in quelli ove l'esercizio del controllo doveva essere inteso a tutelare gli interessi pubblici fìssati dalle norme che impongono divieti e limitazioni alle scelte amministrative.
La mancata osservanza di questi divieti e limitazioni ha determinato effetti di trascinamento per le situazioni privilegiate che ne conseguono. Si ha, cosi, una realtà nella quale successivi interventi normativi assumono, ormai con periodicità ricorrente, funzione di sanatoria. Ma questa, a parte le ipotesi in cui sia indirizzata solo a precludere il perseguimento di responsabilità concrete, non sempre risulta idonea a ricondurre la realtà suddetta nel disegno progettato. Disegno che, se era coerente con scelte finanziarie, lascia le stesse nel limbo delle intenzioni oltre a compromettere, con la certezza, la stessa obbligato rietà delle norme.
15. - Adempiuto, cosi, all'obbligo di riferire al parlamento sui risultati dell'esercizio della nuova funzione, attribuita alla corte, può rilevarsi che il rapporto dell'istituto con le assemblee legislative viene ad arricchirsi con il presente referto, che si aggiunge a quello delle sezioni riunite centrali o regionali per il bilancio dello Stato e delle regioni a statuto speciale, nonché della sezione controllo enti, per quanto concerne gli enti, a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Manca, per una compiuta visione della finanza pubblica l'esame della gestione finanziaria delle regioni ad autonomia ordinaria.
L'assimilazione cosi operata con attività dell'istituto che hanno già avuto modo di consolidarsi, nella prassi e con l'approfondimento dei rapporti con le assemblee legislative, consente di indicare come, in aggiunta all'annuale referto sulla gestione finanziaria e sul buon andamento dell'azione amministrativa degli enti locali, possano sia essere resi rapporti autonomi, ove fatti rilevanti emergano nel corso dell'esame, sia condotte indagini specifiche su richiesta del parlamento.
Si conferma, cioè, per il settore della finanza locale, che l'inten sificazione dei rapporti tra Corte dei conti e parlamento può costituire un fatto innovatore che si colloca nella logica propria della Carta costituzionale che vuole sia assicurato al sindacato politico delle camere il diretto apporto della magistratura contabile.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA
ZIO; Sezione III; sentenza 22 marzo 1984, n. 246; Pres.
Felici, Est. Minicone; Confederazione italiana piccola e me dia industria-Confapi (Aw. Sciacca) c. Min. lavori pubblici (Avv. dello Stato Carbone), Confederazione generale dell'in dustria italiana - Confìndustria (Avv. Sorrentino, Lepore).
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA
ZIO; Sezione III; sentenza 22 marzo 1984, n. 246; Pres.
Opere pubbliche — Albo nazionale dei costruttori edili —
Comitato centrale — Rappresentanti di categorie — Scelta su indicazioni delle organizzazioni competenti — Decreto ministe riale — Organizzazioni più rappresentative — Omessa motiva zione — Illegittimità — Fattispecie (L. 10 febbraio 1962 n. 57, istituzione dell'albo nazionale dei costruttori, art. 6, 7).
È illegittimo il decreto col quale il ministro dei lavori pubblici, nel ricostituire il comitato centrale per l'albo nazionale dei costruttori edili, abbia assegnato i seggi riservati ai rappresen tanti delle categorie dei costruttori non artigiani a persone tutte designate dalla Confindustria, senza compiere alcuna ve
rifica e senza svolgere una puntuale motivazione circa il carattere rappresentativo di altra organizzazione (nella specie, la Conjapi) aspirante alla designazione dei propri rappresen tanti. (1)
(1) La soluzione sfavorevole all'attuale, vincitrice, ricorrente, contenu ta nella sentenza T.A.R. Lazio, sez. I, 30 giugno 1976, n. 388, Foro it., 1976, III, 314, che negava l'ingresso ai rappresentanti del la Confapi nei comitati regionali per l'albo nazionale dei costrut tori (da costituire con criteri analoghi a quelli da adottare per la formazione del comitato centrale) non deve far pensare ad un ravvedimento del tribunale sul grado di rappresentatività di tale organizzazione. La decisione in epigrafe, viceversa, senza addentrarsi nella valutazione del carattere rappresentativo delle organizzazioni designanti (il che avrebbe, peraltro, comportato delicati problemi in ordine all'ampiezza dei poteri giurisdizionali del giudice amministtrativo
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Diritto. — 1. - La Confapi — Confederazione italiana della
piccola e media industria — impugna, come esposto nella norma
tiva un fatto, il decreto ministeriale 10 luglio 1982, di ricostitu
zione del comitato centrale per l'albo nazionale dei costruttori, lamentando l'immotivata esclusione (non preceduta neppure da
attività istruttoria) di propri rappresentanti dai sei posti riservati, dalla I. n. 57 del 1962, ai rappresentanti delle imprese costruttrici,
posti assegnati tutti a membri designati dalla Confindustria.
2. - Il ricorso è fondato.
3. - Occorre premettere, per darsi carico di espresso rilievo
formulato dalla Confindustria, che la 1. n. 57/62, nel prevede re (art. 6) la composizione del comitato di cui trattasi, riserva
otto rappresentanti alla categoria dei costruttori (dei quali due
esponenti delle imprese artigiane) da scegliersi ciascuno fra una
terna di nomi sottoposti dalle organizzazioni competenti più rap
presentative (art. 7). Ora non può ritenersi, come afferma la confederazione con
trointeressata, che la legge in parola abbia voluto introdurre un
criterio maggioritario nel senso di riservare tutti i posti disponibi li alla organizzazione più rappresentativa in assoluto per ciascuna
delle categorie interessate.
Tale criterio, che confliggerebbe con il principio pluralistico che è alla base del vigente ordinamento in materia partecipativa
e, in definitiva, con gli stessi precetti costituzionali che tutelano
l'associazionismo sindacale, dovrebbe, in verità, risultare ine
quivocamente dal dettato legislativo, il che nella fattispecie che
interessa, non è dato riscontrare.
È significativo, anzi, che, per corroborare la propria tesi, la
resistente è costretta essa stessa ad intervenire sul testo legislativo
per giustificare il riferimento plurale alle « organizzazioni compe tenti più rappresentative » come derivante dall'avere la norma
fatto richiamo a più di una categoria fra quelle contemplate nell'art. 6 1. n. 57/62.
Ora, seppure una tale conclusione è grammaticalmente accetta
bile, essa, tuttavia, non solo non esclude una conclusione diversa
(ugualmente, anzi maggiormente, confortata dal tenore letterale
della disposizione), ma, anzi, mal si concilia con la logica della
normativa de qua. È sufficiente, infatti, osservare che la stessa molteplicità di posti
prevista per ciascuna categoria produttiva (ben sei riservati alle
imprese costruttrici non artigiane) è indice significativo della
intenzione del legislatore di assicurare la più larga partecipazione dei diversi interessi sindacalmente organizzati.
Se cosi non fosse, non si comprenderebbe, d'altra parte, perché la scelta del ministero, ai sensi dell'art. 7, debba operare su una
terna di nomi sottoposta per ciascun membro. Posto, infatti, il
principio che il complesso dei sei nominativi debba essere segna lato da una unica organizzazione sindacale (quella, appunto, più
rappresentativa), sarebbe stato sufficiente porre a carico di questa la designazione di un numero di membri, nel complesso, superio re a quello minimo, onde consentire all'organo ministeriale l'eser
cizio del potere selettivo.
£ evidente, invece, che la pluralità di nomi richiesta per ciascun rappresentante ha come proprio presupposto giustificativo
in materia, sui quali v. Cons. Stato, sez. IV, 29 luglio 1983, n. 624, Cons. Stato, 1983, I, 845), si inserisce in quel consolidato, e apprezza bile, orientamento giurisprudenziale (di cui la stessa sent. n. 388/76 è
espressione), secondo il quale è censurabile il comportamento dell'am ministrazione, la quale, nella formazione di organi collegiali in cui sia
prevista la presenza di componenti designati da associazioni sindacali, non proceda ad un'adeguata istruttoria e non spieghi le ragioni della scelta o dell'esclusione delle organizzazioni alle quali attribuisce o nega il potere di designazione, e, in particolare, non indichi i criteri in base ai quali individua le organizzazioni che ritiene maggiormente rappre sentative: in tal senso v. Cons. Stato, sez. IV, 27 gennaio e 2 marzo
1983, nn. 56 e 118, Foro it., 1983, III, 241, con nota di richiami di V.
Capozza, ove riferimenti di dottrina e giurisprudenza in ordine ai diversi modi di valutazione del grado di rappresentatività necessario
per assicurare la presenza sindacale nelle pubbliche istituzioni e nell'ambito dell'impresa.
Per un'interessante mediazione tra il principio del pluralismo sinda cale e la regola della proporzionalità, nella scelta dei componenti sindacali di pubblici collegi, v. T.A.R. Toscana 22 aprile 1983, n. 93, Trib. amm. reg., 1983, I, 2123, la quale risolve in favore di un'associazione sindacale locale aderente alla Confapi e in danno di
organismi sindacali affiliati alla Confindustria una vicenda analoga a
quella in esame. Quanto alla questione dell'attualità dei dati, sui quali basare l'affer
mazione della rappresentatività necessaria ai fini della designazione,
questione che non ha costituito oggetto della decisione in epi
grafe, ma di cui è cenno in mottivazione, v. Cons. Stato, sez. VI, 23
febbraio 1983, n. 106, Foro it., 1983, III, 436, con nota di richiami.
In generale, sulla motivazione dell'atto amministrativo, v., da ultimo,
Calzoni, Motivazione, sindacato sui motivi, formazione procedimentale
dell'atto, in Foro amm., 1982, 1001.
l'astratta possibilità che ogni membro sia espressione di una
organizzazione sindacale diversa.
Né può affermarsi che una siffatta previsione avrebbe di mira il
contemperamento degli interessi all'interno della organizzazione
più rappresentativa, perché un tale obiettivo è evidentemente
estraneo alla norma in questione, la quale, alla stregua di tutte
quelle aventi il fine di garantire la partecipazione sindacale ad
organi aventi pubbliche funzioni, si prefigge esclusivamente l'equo bilanciamento degli interessi sindacali di diversa ispirazione e
connotazione, aventi rilevanza esterna al fenomeno associativo, restando influenti le vicende organizzative interne a ciascun
sindacato, anche di livello confederativo.
D'altra parte, è sufficiente considerare il decreto impugnato per verificare che il ministero dei lavori pubblici ha tenuto presente
proprio il criterio pluralistico nella assegnazione di tutti gli altri
posti disponibili in seno al comitato, onde è sul concreto eserci
zio del potere, cosi' come attuato dall'amministrazione, che va
condotta la verifica di legittimità dell'impugnato provvedimento. Oltrettutto, la stessa avvocatura dello Stato ha espressamente
ammesso l'intendimento del ministero di operare secondo criteri
pluralistici, sia pure giustificando, nel caso di specie, l'omessa
designazione di rappresentanti della ricorrente.
4. - Premesso ciò, l'illegittimità del decreto ministeriale del 10
luglio 1982 balza con tutta evidenza dall'esame della documenta
zione depositata in atti dall'amministrazione. Si evince, infatti, da questa che la posizione della Confapi,
nonché pretermessa all'atto della assegnazione dei posti in seno al
comitato, non è stata neppure presa in considerazione nel mo
mento istruttorio, essendosi il ministero limitato a chiedere la
designazione dei membri direttamente alla Confindustra, senza
darsi carico di verificare quale consistenza associativa avesse
attualmente la Confapi, la quale, pure, aveva espressamente richiesto di essere tenuta presente in sede di ricostituzione del
comitato.
La totale assenza di istruttoria sul punto, del resto, oltre ad
evincersi documentalmente, è ammessa dall'avvocatura dello Sta
to, la quale la giustifica, tuttavia, addossando alla ricorrente
l'onere (non assolto) di dimostrare la evoluzione della propria
rappresentatività rispetto a quella già documentata in passato e
ritenuta insufficiente.
Ciò è, tuttavia, smentito dagli atti, dai quali risulta che la
Confapi, in sede di richiesta di nomina dei propri rappresentanti, aveva fornito, con apposita relazione, dati numerici sicuramente
innovativi rispetto a quelli dei quali il ministero asserisce il
possesso, e che la stessa aveva provveduto ad aggiornare al 31
dicembre 1981 i propri parametri di rappresentatività, inviando la
relativa documentazione probativa al ministro del lavoro e della
previdenza sociale, su richiesta di quest'ultimo, in data 12
gennaio 1982, ben anteriore a quella di emanazione dell'impugna to decreto.
A fronte di tali rilievi, del tutto ininfluenti appaiono le
argomentazioni della Confindustria circa l'assenza di rappresenta tività della Confapi, come pure inconferenti sono i dati forniti
dalla stessa per dimostrare tale carenza o per ricondurre gli interessi della ricorrente entro l'ambito prevalente delle imprese
artigianali, rappresentate con propri esponenti in seno al comita
to: tali osservazioni, infatti, non possono superare l'ostacolo
pregiudiziale posto dalla mancata verifica del grado di rappresen tatività della Confapi, nell'unica sede (quella ministeriale), istitu
zionalmente competente ad affermare o a negare tale rappresenta tatività, attraverso una puntuale analisi dei dati ed una altrettanto
puntuale motivazione in ordine alla positività o negatività delle
conclusioni.
Il ministero, invero, sottraendosi a tale obbligo di accertamento
e di motivazione è incorso negli stessi profili di illegittimità già censurati a suo tempo in fattispecie reciproca, nella quale il
dicastero aveva, altrettanto apoditticamente, affermato la rappre sentatività della Confapi (cfr. sent. n. 388 del 30 giugno 1976, Foro it., 1976, III, 314).
Va, invece, ribadito che la scelta ministeriale in ordine alla
inclusione o esclusione delle organizzazioni sindacali dal novero
di quelle abilitate a designare i propri rappresentanti in seno al
comitato centrale dell'albo nazionale costruttori, deve essere ido
neamente argomentata, sia a tutela di tutte le parti interessate al
relativo procedimento, sia allo scopo di consentire il sindacato
giurisdizionale sul corretto esercizio del potere. 5. - Il ricorso, in conclusione, va accolto e l'impugnato decreto
va annullato in parte qua, salve le ulteriori determinazioni
dell'autorità amministrativa. (Omissis)
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