sezione istruttoria; ordinanza 30 gennaio 1986; Pres. Leoni, Rel. Cricchio; imp. SetteSource: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 6 (GIUGNO 1986), pp. 355/356-357/358Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180446 .
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PARTE SECONDA
Ciò premesso, non ritiene la corte che dalla sentenza impugna ta possano ricavarsi elementi che rendano evidente la prova della non colpevolezza dei prevenuti.
Escluso che tale prova possa concernere la mancanza di colpa nel comportamento dei due sanitari, specie in relazione a quelle doverose cautele di ricovero ed accertamenti clinici ospedalieri cui avrebbero dovuto provvedere nei confronti dell'infortunato da
essi visitato (e sulle quali cautele si sono chiaramente espressi i
periti fiorentini nella loro relazione, indicando tutto ciò che da
parte degli imputati sarebbe stato buona norma di prudenza fare
al momento della visita, e cioè disporsi il ricovero ospedaliero del
leso, da parte del dott. Lai, e provvedersi all'attuazione delle
misure necessarie, in particolare di osservazione in ospedale e di
indagini radiologiche, da parte del dott. Melis), si tratta di vedere
se una tale prova, evidente, di giuridica non colpevolezza dei
medici incriminati possa essere costituita dall'asserita mancanza di
un nesso di causalità certo tra le colpe attribuite ai sanitari e la
morte del povero Porcu Francesco.
Si dice, infatti, che la causa mortis va ricercata nella sepsi
esplosa con tremenda immediatezza e che essa avrebbe cagionato la morte del povero infortunato anche se egli fosse stato pronta mente ricoverato in ospedale e sottoposto ad intervento chirurgi co. Ciò sarebbe confermato anche dai periti fiorentini, i quali hanno detto che « non si può affermare che un immediato
intervento chirurgico avrebbe potuto evitare la morte del Porcu »,
e non vale riportare quanto hanno aggiunto gli stessi periti, e
cioè che « peraltro la precocità dell'intervento avrebbe concesso
un maggior numero di probabilità di successo terapeutico », in
quanto la questione non va posta in termini di probabilità ma di
certezza.
Il nesso causale — sostengono le difese — in quanto elemento
del reato va provato con assoluta certezza e poiché nella specie
tale certezza manca, si deve concludere che la morte dell'infortu
nato fu conseguenza esclusiva del fatto infettivo e non della
presunta negligenza ed imprudenza dei due sanitari, la cui
condotta non ha avuto quindi alcuna incidenza causale sul
l'evento.
La tesi non ha pregio. Ritiene, invero, la corte che nella
ricerca del nesso di causalità tra la condotta dell'imputato e
l'evento, in materia di responsabilità per colpa professionale
sanitaria, al critero della certezza degli effetti della condotta si
possa sostituire quello della probabilità di tali effetti (e della
idoneità della condotta a produrli), nel senso che il rapporto
causale sussiste anche quando l'opera del sanitario, se corretta
mente e tempestivamente intervenuta, avrebbe avuto non già la
certezza quanto soltanto serie ed apprezzabili possibilità di suc
cesso, tali che la vita del paziente sarebbe stata probabilmente salvata.
In particolare, per quanto si riferisce agli interventi chirurgici,
non sussiste mai la certezza assoluta che un tempestivo atto
operatorio possa avere pieno successo per i noti margini di
rischio che qualsiasi intervento comporta, e tuttavia se l'interven
to aveva ampie e riconosciute probabilità di successo per la
soluzione del caso, e la salvezza del paziente, non potrà sostener
si, solo perché sussisteva detto margine di rischio, che non fosse
certo che sarebbe valso a salvare la vita del malato. Ben può
affermarsi, pertanto, che sussiste sempre il nesso di causalità tra
la condotta imperita, negligente od imprudente del sanitario, che
non abbia disposto cautele ed accertamenti che avrebbero portato ad un sollecito intervento chirurgico su un infortunato e l'evento
mortale che ne è seguito, quanto tale intervento, anche se non
avrebbe salvato con certezza il ferito, aveva buone probabilità di
raggiungere tale scopo. È da aggiungere, altresì', che quando è in
gioco la vita umana anche solo poche probabilità di successo di
un immediato o sollecito intervento chirurgico sono sufficienti,
talché sussiste il nesso di causalità quando un siffatto intervento
non sia stato possibile a causa dell'incuria colpevole del sanitario
che ha visitato il paziente.
Nella specie, erano non poche le probabilità di successo di un
intervento precoce sul Porcu Francesco, non solo perché a dire
dei periti fiorentini « sia la teoria che la pratica indicano come
essenziale, per la guarigione dei casi del genere, la precocità dell'intervento », e perché le statistiche citate dagli stessi periti forniscono eloquenti indicazioni circa le percentuali di mortalità, che sono tanto più basse, per lesioni del genere, quanto più immediato e precoce è l'intervento chirurgico, ma soprattutto
perché, essendosi le lesioni agli organi interni dell'infortunato
verificate in due tempi (« in primo luogo essendo avvenuta la
ferita a tutto spessore del fegato, in un secondo tempo e verosi
milmente durante la nottata le lesioni intestinali seguite da
Il Foro Italiano — 1986.
« sintomatologia peritonitica conclamata ») è legittimo ritenere che se alla visita del dott. Lai e del dott. Melis fossero
immediatamente seguiti il ricovero ospedaliero e l'espletamen to delle opportune indagini anche radiologiche, le successive
lesioni intestinali non si sarebbero verificate e la peritonite
probabilmente sarebbe stata evitata, con tutte le conseguenze in
fettive riscontrate.
È dunque nel giusto la corte d'appello quando afferma, dopo le
esatte considerazioni sulla causa della morte e sul processo settico
instauratosi nell'addome, che « il protrarsi della sua presenza (del
corpo estraneo) negli organi interni del ferito non poteva non
aggravare l'efficacia patogena. Il frammento di vetro (corpo estraneo) per le caratteristiche stesse di tale oggetto e per la sua
spiccata e multiforme capacità lesiva, nella cavità addominale di un soggetto in stazione eretta e in movimento ha indubbiamente
esercitato un'azione traumatica ben oltre il momento dell'infortu
nio ».
Quanto sopra ha indotto i giudici alla conclusione che di conse
guenza « i termini effettivi del problema concernente l'incidenza
causale delle due condotte incriminate appaiono assai più com
plessi di quelli impliciti nello schema proposto dai periti », avendo intuito esattamente che non si trattava semplicemente di
ipotizzare un intervento operatorio cronologicamente anteriore, ma di rapportarlo alla entità delle lesioni quali si presentavano nell'immediatezza dell'infortunio, e quindi di considerarne l'esito
certo o probabile in relazione alle dette lesioni non ancora
complicate e aggravate dall'opera devastante del pezzo di vetro rimasto per tante ore nell'addome del povero infortunato.
Anche in considerazione di ciò, pertanto, non può assolutamen
te affermarsi che un più sollecito intervento non sarebbe valso ad
evitare la morte del giovane e che manchi di conseguenza la
certezza del nesso di causalità tra la condotta dei due sanitari e
l'evento; al contrario, esistono elementi più che fondati per ritenere che un tale precoce intervento avrebbe avuto notevoli e concrete probabilità di successo.
Ne discende che anche sotto tale profilo i ricorsi degli imputati sono infondati e vanno quindi rigettati.
CORTE D'APPELLO DI BOLOGNA; sezione istruttoria; ordi
nanza 30 gennaio 1986; Pres. Leoni, Rei. Cricchio; imp. Sette.
CORTE D'APPELLO DI BOLOGNA;
Pena — Applicazione provvisoria di pene accessorie — Scopo di
prevenzione — Limiti (Cod. pen., art. 140). Pena — Applicazione provvisoria di pene accessorie — Esigenze
istruttorie — Estensibilità oltre la fase di acquisizione probato ria (Cod. pen., art. 140).
Pena — Applicazione provvisoria di pene accessorie — Limiti
temporali — Validità generale (Cod. pen., art. 140).
La necessità di impedire che il reato venga portato a conseguenze ulteriori, condizione alla quale il nuovo testo dell'art. 140 c.p. subordina la provvisoria applicazione di pene accessorie, deve essere valutata con riferimento al reato per il quale si procede, e non anche rispetto ad un generico scopo di prevenire la commissione di ulteriori e diversi reati. (1)
Ai fini della provvisoria applicazione di pene accessorie ex art. 140 c.p., la condizione alternativa della sussistenza di specifica te ed inderogabili esigenze istruttorie deve essere correlata non solo allo scopo di acquisizione delle prove, ma anche a quello di preservare la loro genuinità fino al momento di verifica dibattimentale. (2)
Il limite temporale di provvisoria applicazione di pene accessorie, stabilito in via generale dall'ultimo comma dell'art. 140 c.p., ha valore anche quando si proceda per reati che, in caso di
condanna, comportino la perpetua applicazione della pena ac cessoria. (3)
(1-3) Non si rinvengono precedenti specifici sulle questioni esamina te. Per diversi aspetti connessi al nuovo testo dell'art. 140 c.p., v. Trib. Milano, ord. 1° marzo 1983, e Pret. Milano, decr. 31 gennaio 1983, Foro it., 1984, II, 466, con nota di richiami; Trib. Asti, decr. 16 maggio 1984, in questo fascicolo, II, 371, con nota di Lanza.
Con l'ordinanza in epigrafe è stata direttamente affrontata l'analisi dell'attuale disciplina della provvisoria applicazione di pene accessorie. In particolare, il collegio ha riformato un provvedimento del g.i. di
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GIURISPRUDENZA PENALE
Con l'impugnato decreto il giudice istruttore ha disposto in via
provvisoria l'interdizione « perpetua » dell'imputato dai pubblici uffici e dalla professione medica (quest'ultima pena accessoria l'ha
applicata per la durata di anni due e mesi sei) perché la reiterazione del fatto sarebbe sintomatica di un disegno criminoso « pericolosamente protraentesi nel tempo », donde « la insoppri mibile esigenza di tutela della collettività » da soddisfarsi pre cludendo al Sette « ogni possibilità di nuova reiterazione dei
fatti che porti il disegno criminoso ad ulteriori conseguenze », e
perché sarebbe opportuno garantire che l'attività istruttoria « ven
ga svolta al riparo da ogni interferenza diretta o indiretta che la
funzione, la qualifica ed i titoli dell'imputato potrebbero esercita
re sui testi ».
Avverso il detto provvedimento il Sette ha proposto gravame chiedendo in principalità la revoca delle due pene accessorie
provvisoriamente applicate; in via subordinata, l'eliminazione del
l'interdizione dall'esercizio della libera professione di medico
e il contenimento dell'interdizione dai pubblici uffici nella durata
ritenuta di giustizia. I vari motivi di censura vanno esaminati paratamente. (Omis
sis) Con il secondo motivo di gravame l'imputato deduce l'illegitti
mità del provvedimento impugnato perché non rispettoso dei
rigorosi e invalicabili parametri che l'art. 140 c.p. (nuova formula
lazione) fissa ai fini dell'applicazione provvisoria delle pene accessorie e che sono, alternativamente, la sussistenza di specifica
te, inderogabili esigenze istruttorie e la necessità di impedire che
il reato venga portato a conseguenze ulteriori.
La censura coglie nel segno per quanto concerne quest'ultimo
parametro. Il provvedimento impugnato si discosta da esso allor
ché propugna « l'esigenza di stroncare ogni possibilità di nuova
reiterazione dei fatti »; invero lo scopo cautelare che l'art. 140
c.p. assegna all'applicazione provvisoria delle pene accessorie è
soltanto — in alternativa a quello delle specificate, inderogabili
esigenze istruttorie — la necessità di impedire che il reato per cui è processo venga portato a conseguenze ulteriori, il che è
cosa del tutto diversa dalla necessità di prevenire la commissione
di futuri reati. La chiara ed inequivocabile lettera del precetto
legislativo — norma di stretta interpretazione, data la sua natura
eccezionale — non autorizza alcun dubbio esegetico.
La doglianza per contro non è fondata per quanto attiene al
primo parametro. Va preliminarmente osservato in diritto che le specificate inde
rogabili esigenze istruttorie non concernono solo l'acquisizione delle prove nella fase istruttoria ma anche la preservazione della
loro genuinità fino al momento in cui si esplichi il loro controllo
e la loro eventuale integrazione nel pubblico dibattimento.
Infatti non esiste norma che preveda la revoca, alla chiusura
dell'istruzione, delle pene accessorie applicate in via provvisoria dal g.i. cosicché le stesse conservano il loro tipico effetto di
prevenzione.
Orbene, nella fattispecie sussiste tuttora il pericolo di tentativi
di inquinamento probatorio da parte dell'imputato Sette, pericolo
Bologna, con il quale era stata disposta l'applicazione di una « interdizione provvisoriamente perpetua » da pubblici uffici, in ordine
ad una imputazione per il reato di concussione. In generale, sulla portata della nuova formulazione dell'art. 140
c.p. cfr. Mucciarelli, in Modifiche al sistema penale, Milano,
1982, 529 ss.; Cristiani, in Legislazione pen., 1982, 458 ss.;
Nastro, Le pene accessorie e le altre misure, in Modifiche al sistema penale, cit., II, 191 ss.; Larizza, La modificazione delia pena, in Giur. sist. dir. pen., diretta da F. Bricola e V.
Zagrebelsky, Torino, 1984, III, 1078. Per un completo inquadramento dei problemi esaminati v. Pisa, Le pene accessorie. Problemi e
prospettive, Milano, 1984, 25 ss. Un ulteriore ipotesi di recente applicazione dell'art. 140 c.p. è
commentata da Cacciavillani, La sospensione penale dall'ufficio di
sindaco e dai pubblici uffici nel nuovo testo dell'art. 140 c.p., in Giur.
merito, 1984, 373 ss. Sulla legittimità costituzionale della precedente disciplina si era
pronunciata la Corte costituzionale (sent. 11 aprile 1969, n. 78, Foro
it., 1969, I, 1391). In generale, sui problemi di ordine costituzionale
connessi alla provvisoria applicazione di pene accessorie v. Scorda
maglia, L'applicazione provvisoria di pene accessorie, Napoli, 1980;
Malinverni, Applicazione provvisoria di pene accessorie e presunzione di innocenza dell'imputato, in Giur. costit., 1969, I, 1118; Ardizzone,
Illegittimità costituzionale della « applicazione provvisoria di pene accessorie» ex art. 140 c.p., in Tommaso Natale, 1976, 603; Santoro, Natura cautelare della applicazione provvisoria di pene accessorie, in
Scuola positiva, 1969, 444; Larizza, Sulla provvisoria applicazione di pene accessorie, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1976, 872.
Il Foro Italiano — 1986.
desumibile dal tenore di alcune sue telefonate intercettate. (Omis
sis) Con l'ultimo motivo di censura il Sette lamenta che il g.i. non
abbia posto un limite temporale all'interdizione dai pubblici uffici
a lui provvisoriamente applicata, limite che discenderebbe dalla
tassativa dizione letterale dell'ultimo comma dell'art. 140 c.p.,
modificato dall'art. 124 1. 24 novembre 1981 n. 689.
La censura va condivisa. La durata dell'interdizione de qua
non può superare la metà della durata massima prevista dalla
legge per l'interdizione temporanea (due anni e sei mesi; infatti il
penultimo comma dell'art. 28 c.p. stabilisce che l'interdizione
temporanea dai pubblici uffici non può avere una durata inferiore
a un anno, né superiore a cinque anni), sebbene la condanna per
il delitto di concussione importi l'interdizione perpetua dai pub
blici uffici, salvo che, per effetto di circostanze attenuanti, venga
inflitta la reclusione per un tempo inferiore a tre anni, nel qual
caso la condanna importa l'interdizione temporanea.
Tale conclusione — che è in linea con il parere del procurato
re generale della repubblica e con un'autorevole dottrina — si
fonda sia sulla tassatività del precetto normativo di cui all'ultimo
comma dell'art. 140 citato, sia sulla ratio di tale norma e
dell'ordinamento positivo in cui è inserita, ratio ispirata all'esigenza
che l'anticipazione di una pena accessoria o di altra misura
incidente su fondamentali diritti del cittadino debba avere una
durata limitata.
TRIBUNALE DI TORTONA; ordinanza 11 febbraio 1986;
Pres. Canoria; imp. B. TRIBUNALE DI TORTONA;
Oblazione nelle contravvenzioni — Reati finanziari — Contrav
venzioni punite con pene alternative — Ammissibilità — Fat
tispecie (Cod. pen., art. 162 bis; d.l. 10 luglio 1982 n. 429,
norme per la repressione della evasione in materia di imposte
sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione
delle pendenze in materia tributaria, art. 1).
Ai fini dell'applicabilità dell'oblazione di cui all'art. 162 bis c.p., astrattamente da ritenersi ammissibile per tutte le contravven
zioni tributarie sanzionate con pena alternativa, la condizione
ostativa dell'avvenuta eliminazione delle conseguenze dannose o
pericolose del reato non può essere identificata con il pagamen to del tributo evaso, quando l'evasione non rappresenti un
elemento costitutivo della fattispecie. (1)
(Omissis). Escluso che permangano conseguenze dannose o
pericolose, derivanti dai suddetti reati, suscettibili di essere elimi
nate da parte del contravventore. Al riguardo, premesso che le
omissioni in esame (reati di pericolo a carattere istantaneo) sono
penalmente sanzionate a prescindere dal verificarsi dell'evento
(evasione), al quale pure sono preordinate, giova osservare:
A) In ordine alle omissioni concernenti le annotazioni: che la
norma incriminatrice tutela l'interesse degli uffici finanziari a
conoscere l'esistenza di componenti positivi del reddito, onde
evitare che, attraverso l'omessa annotazione e la connessa igno
(1) Si tratta di un'ulteriore pronuncia favorevole all'orientamento,
ormai prevalente, che riconosce l'astratta ammissibilità dell'oblazione
ex art. 162 bis c.p. per le contravvenzioni tributarie punite con pena alternativa. La tesi più generale ha trovato l'avallo della stessa Corte
suprema: v. Cass. 22 aprile 1985, Critelli, Foro it., 1986, II, 11, con nota
di Boschi. Alcune sentenze di merito rimangono però orientate in senso
opposto: v. Trib. Alessandria 27 dicembre 1985, Fisco, 1986, 617.
L'importanza della presente decisione si segnala soprattutto in rela
zione al discusso problema della possibilità di porre, quale condizione
per la concessione del beneficio, l'avvenuto pagamento dell'imposta
relativa alla fattispecie violata, sul presupposto che tanto rappresenti una delle conseguenze dannose o pericolose di questi illeciti. Per un
quadro dei problemi connessi a questa vicenda e un riferimento a
quest'ultimo aspetto, v. la nota a Trib. Venezia, ord. 4 aprile 1984,
Foro it., 1985, II, 29. Di recente, sull'argomento, S. Gallo, Articolo
162 bis c.p.: considerazioni sull'applicabilità a tutte le contravvenzioni
tributarie, in Fisco, 1986, 1888; Vecchio, Contravvenzioni tributarie:
l'applicabilità dell'oblazione ex art. 162 bis c.p., ibid., 997.
Per le sentenze citate in motivazione v. Cass. 18 febbraio 1974,
Trivellato, Foro it., Rep. 1975, voce Circostanze del reato, n. 69; 28
febbraio 1975, Tolomello, id., Rep. 1976, voce cit., n. 96.
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