Sezione IV; decisione 11 aprile 1983, n. 223; Pres. Mezzanotte, Est. Agresti; Impr. Mambrini,soc. Co.ge.ma. e soc. Russo (Avv. Giordano, Scoca, D'Amelio) c. A.n.a.s. (Avv. dello Stato Ferri).Annulla T.A.R. Lazio, sez. III, 18 ottobre 1982, n. 1012Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 10 (OTTOBRE 1983), pp. 317/318-319/320Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175259 .
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317 GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 318
CONSIGLIO DI STATO; Sezione IV; decisione 11 aprile 1983, n. 223; Pres. Mezzanotte, Est. Agresti; Impr. Mambrini, soc. Co.ge.ma. e soc. Russo (Avv. Giordano, Scoca, D'Ame
lio) c. A.n.a.s. (Avv. dello Stato Ferri). Annulla T.A.R. La
zio, sez. Ili, 18 ottobre 1982, n. 1012.
CONSIGLIO DI STATO:
Contratti e obbligazioni della pubblica amministrazione — Appal to — Aggiudicazione a licitazione privata — Diniego ministe
riale di approvazione per gravi motivi di interesse pubblico —
Illegittimità — Fattispecie (R.d. 18 novembre 1923 n. 2440, nor
me sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità gene rale dello Stato, art. 19; r.d. 23 maggio 1924 n. 827, regolamento
per l'esecuzione della legge sull'amministrazione del patrimo nio e sulla contabilità generale dello Stato, art. 113).
È illegittimo il diniego ministeriale, per gravi motivi di interesse
pubblico, di approvazione dell'aggiudicazione a licitazione pri
vata dell'appalto di un'opera pubblica, previa esclusione di una
offerta anormalmente bassa, motivato con la possibilità che in
un'altra gara l'amministrazione ottenesse condizioni più vantag
giose, per l'esiguità del numero delle imprese che avevano
partecipato, e per l'inasprimento del prezzo dovuto alla sua
revisione, se in realtà sia incerto il vantaggio che l'amministra
zione ritrarrebbe dalla ripetizione della gara, anche in conside
razione dell'incidenza sull'aumento dei costi dell'inflazione ve
rificatasi nel frattempo, e del danno sociale derivante dal
ritardo della utilizzabilità dell'opera. (1)
Diritto. — Il raggruppamento di società appellante impugna
una sentenza con la quale il T.A.R. per il Lazio (sez. Ili) gli ha
respinto, dopo averli riuniti, un ricorso avverso il diniego di
approvazione dell'aggiudicazione provvisoria di un appalto a lici
tazione privata di lavori stradali e un altro ricorso avverso il
provvedimento con il quale era stata iniziata la procedura per
l'indizione di una nuova gara. Il diniego era stato decretato dal
ministro per i lavori pubblici in qualità di presidente dell'A.n.a.s.
(1) La decisione si iscrive nel filone giurisprudenziale, non più
recentissimo, secondo il quale le due fattispecie di cui, rispettivamente, all'art. 19 r.d. 18 novembre 1923 n. 2440 e all'art. 113 r.d. 23 maggio 1924 n. 827, sarebbero qualitativamente diverse; in particolare, giusto
quanto segnala il giudice amministrativo nella decisione in epigrafe, mentre il cit. art. 19 r.d. n. 2440/23 pone una «facoltà generale di
non approvazione dei contratti», il cit. art. 113 r.d. n. 827/24
rappresenta una fattispecie « del tutto speciale » e a carattere eccezio
nale; di modo che, in quest'ultimo caso, l'amministrazione «... è
tenuta ad esercitare con particolare cautela la facoltà di non approva re i risultati di gara ed è tenuta a dare piena ed appagante
giustificazione dei gravi motivi di eventuali rifiuti ». In questo senso,
v., soprattutto, T.A.R. Abruzzo 26 settembre 1975, n. 178, Foro it.,
1976, III, 73, con nota di richiami, per cui è illegittimo il provvedi mento con il quale il ministro dei lavori pubblici nega l'approvazione
dell'aggiudicazione provvisoria di un contratto di appalto all'impresa vincitrice della gara, senza indicarne le ragioni di interesse pubblico (e
il decisum — si noti bene — si riferisce ad ambedue le fattispecie
considerate, e, cioè, sia al cit. art. 19 che al cit. art. 113), e T.A.R.
Lazio, sez. III, 22 dicembre 1975, n. 507, id., 1977, III, 47, con
annotazione di C. Montanari, ove si riporta la giurisprudenza, anche meno recente, formatasi sulle due predette fattispecie di control
lo ministeriale, e nella quale si distingueva fra la motivazione, sempre
richiesta, nel caso del cit. art. 113, e la fattispecie di cui al cit. art.
19, secondo cui il diniego di approvazione, in quanto espressione di
una facoltà generale dell'amministrazione, non doveva essere motivato,
anche quando fosse determinato da mere ragioni di convenienza.
A questo riguardo, v., pure, recentemente, T.A.R. Sicilia, sede di
Catania, 13 luglio 1979, n. 376, id., Rep. 1980, voce Contratti della
p.a., n. 49, ove si afferma, in riferimento alla fattispecie del diniego di
approvazione ministeriale di cui al cit. art. 113, che la valutazione dei
gravi motivi di interesse pubblico concerne anche la congruità del
prezzo, e, parallelamente, Cons. Stato, sez. IV, 6 giugno 1978, n. 533,
id., Rep. 1978, voce cit., nn. 41, 42 (e ci si riferisce, in questo caso,
all'analoga fattispecie normativa di cui all'art. 296 t.u. 3 marzo 1934
n. 383, ritenendosi che fra i « gravi motivi di interesse pubblico » che
rendono legittimo il provvedimento negativo di controllo sui contratti
dei comuni rientri l'interesse dell'ente a conseguire condizioni di
offerta più convenienti). In questo quadro, un ulteriore problema, al quale appena si
accenna, in questa sede, è rappresentato dall'interrogativo se il diniego
di approvazione, da parte della p.a., possa eventualmente generare una
variante di responsabilità precontrattuale in capo a questa stessa,
allorché, ad esempio, il provvedimento negativo di controllo risulti
illegittimo: cfr., orientativamente, Cass. 23 maggio 1981, n. 3383, id.,
1982, I, 2012, con annotazione di A. M. Marini.
In dottrina, v., per riferimenti, A. Cancrini- P. Piselli, / sistemi di
scelta del contraente nell'appalto di opere pubbliche. Orientamenti
giurisprudenziali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1982, 1175 ss., e G.
Berliri, Ancora in tema di approvazione contrattuale, in Cons. Stato,
1976, II, 1391 ss.
per «gravi motivi di interesse pubblico» ai sensi dell'art. 113 del
regolamento per l'esecuzione della legge sull'amministrazione del
patrimonio e sulla contabilità di Stato, approvato con r.d. 23
maggio 1924 n. 827. A motivazione del diniego di approvazione è
il rilievo che « anche sulla base delle considerazioni tecnico-finan
ziarie esposte nella relazione dell'ing. Mancini, sembra sussistere
concretamente la possibilità che i lavori in argomento possano essere appaltati a condizioni più vantaggiose per l'amministrazio
ne, particolarmente ove si tenga conto dell'esiguo numero delle
imprese che hanno presentato le offerte (sei) e dell'inasprimento del prezzo di appalto per revisione dei prezzi... ». L'appello, riproducendo i motivi proposti con il ricorso introduttivo, pro
spetta innanzitutto la tesi che, essendo prevista nel bando di
gara l'aggiudicazione anche in presenza di una sola offerta, l'A.n.a.s. si era preclusa la possibilità di giudicare le offerte sotto
il profilo del numero dei concorrenti e che, comunque, anche a
voler convenire nel rilievo dei primi giudici che l'amministrazio
ne può certo valutare a posteriori se l'unica offerta presentata sia
conveniente, non si può giudicare l'offerta stessa non conveniente solo perché non ve ne erano state altre.
Come osservato dall'avvocatura generale dello Stato, l'argomen to è solo apparentemente calzante. Invero un giudizio di non
convenienza formulato unicamente con riferimento al numero
delle offerte sarebbe sicuramente apodittico, ma nella specie il
rilievo della esiguità della partecipazione alla gara era congiunto a quelli del basso valore della media generale delle offerte
avutesi nella gara e a quello dell'inasprimento del prezzo di
appalto per revisione dei prezzi.
Anche sul punto dell'anzidetto inasprimento del prezzo non
appare manifestamente irrazionale la tesi dell'avvocatura geperale dello Stato che, stante la particolarità del meccanismo revisionale, la ripetizione della gara a prezzi aggiornati può comportare, anche a parità di ribasso, un vantaggio economico per l'ammi
nistrazione.
In linea di principio, il collegio conviene con i primi giudici sul punto che i gravi motivi di interesse pubblico che possono
giustificare il diniego di approvazione dei risultati della gara (anche quando la stessa è stata formalmente regolare) possono consistere in considerazioni di opportunità riferite alla previsione che il prezzo offerto sia superiore a quello ricavabile da una
nuova gara.
Va, peraltro, tenuto presente che, a differenza della facoltà
generale di non approvazione dei contratti contemplata dall'art. 19 1. sulla contabilità di Stato, l'altra prevista dall'art. 113 del
regolamento ha natura del tutto speciale e carattere eccezionale e
l'amministrazione è tenuta ad esercitare con particolare cautela la facoltà di non approvare i risultati di gara ed è tenuta a dare
piena ed appagante giustificazione dei « gravi motivi » di even tuali rifiuti.
Nella specie è stata usata la seconda facoltà e, in concreto, il
provvedimento di diniego non si sottrae ai vizi di illogicità e
contraddittorietà denunciati dal raggruppamento appellante nei
motivi di appello finora non esaminati.
Gioverà considerare che già la commissione ministeriale incari
cata di pronunciarsi sul problema dell'esclusione di un'offerta
considerata anormalmente bassa, esprimendosi nel senso dell'e
sclusione, aveva ricordato l'obbligo posto dalla legge di aggiudi care al secondo classificato e, con riferimento alla facoltà di non
approvare l'aggiudicazione al secondo, nel ricordare che il dinie
go avrebbe dovuto essere basato su incontrovertibili considera
zioni di merito da esporre in modo logicamente ineccepibile, aveva sottolineato il rischio che, per effetto dell'aumento dei
prezzi verificatosi dalla data della gara (28 agosto 1980) all'attua
lità (19 maggio 1981), i prezzi offerti in un'eventuale nuova gara siano meno favorevoli di quelli conseguiti.
La relazione dell'ing. Mancini, successivamente incaricato di
esprimere un parere sull'opportunità di ripetere la licitazione,
dopo aver detto che la licitazione presenta una partecipazione fra
le più limitate di tutto il gruppo (si era trattato di una tornata
di quattro licitazioni il 28 agosto 1980 e quattro licitazioni il 29
agosto 1980) e che la media generale delle offerte valide, come
pure la media delle offerte non classificate anomale, risultano tra
le più basse, soggiungeva che la partecipazione nella gara all'e
same può essere considerata mediamente in linea con quella delle
altre tre tornate più prossime, che lo sconto tra offerta massima
e minima è elevato nella maggior parte delle gare, con particolari
punte per quelle di importo più elevato, che la media relativa alle sole offerte non considerate anomale è, ancora nel caso
all'esame, fra le più basse dell'intero insieme, « ma dello stesso
ordine di grandezza con altri lavori di notevole importo e con
presenza di gallerie ».
Il Foro Italiano — 1983 — Parte III-23.
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PARTE TERZA
Nelle sue conclusioni la relazione, richiamato il raffronto in
precedenza fatto tra costo eventualmente aggiornato dell'opera e
costo totale comprensivo dell'onere revisionale, faceva presente che un beneficio sul costo generale (costo iniziale + onere revi
sionale) valutabile in circa 167 milioni (importo a base di
appalto 11.100.000.000) si sarebbe avuto solo nella «concomitante
ipotesi che l'istruttoria sui risultati della nuova licitazione non
comporti tempi superiori ai due mesi. Tale beneficio si tramuta
in un danno di circa 291 milioni al mese qualora tale tempo si
protragga ».
Seguiva una previsione del beneficio conseguibile qualora si
fosse ritenuto di poter ottenere una maggiore e migliore parteci
pazione al nuovo esperimento di gara, ma si concludeva richia
mando la perdita di beneficio sociale, non esattamente quan
tificabile, derivante dalla protrazione nell'utilizzazione dell'opera. Il collegio non ha dubbi sul fatto che in presenza di siffatti
elementi, dai quali risultava quanto meno incerto il vantaggio della ripetizione della gara, l'esistenza di gravi motivi di interesse
pubblico, presupposto necessario e da valutare con ogni cautela
in sede di esercizio di una facoltà di carattere eccezionale, è da
escludere sul piano della logica e della coerenza dell'azione
amministrativa. Argomento rafforzativo della incongruenza del
comportamento dell'amministrazione è la circostanza che il ter
mine della presentazione delle domande per essere invitate alla
nuova licitazione era stato fissato al 31 agosto 1981, e cioè ad
oltre due mesi dalla data della relazione Mancini. Senza contare
che nulla è detto in motivazione sul punto della perdita del
beneficio sociale derivante dalla protrazione nell'utilizzazione del
l'opera, non quantificabile in termini meramente economici ma
indubbiamente da considerare in sede di valutazione dell'interesse
pubblico, nei suoi vari aspetti. Alla stregua del riconosciuto fondamento dei suaccennati moti
vi, l'appello deve essere accolto e debbono essere, conseguente
mente, annullati sia il diniego di approvazione sia, per illegittimi tà derivata, l'avviso della nuova gara, del quale con separata ordinanza si dispone la sospensiva. (Omissis)
CONSIGLIO DI STATO; Adunanza plenaria; decisione 8 apri le 1983, n. 5; Pres. Pescatore, Est. Cossu; Alliaud e altri
(Avv. A. M. Sandulli) c. Camera di commercio di Varese
(Avv. Monti, Piga).
Giustizia amministrativa — Appello — Riunione di ricorsi con
tro diverse sentenze — Mancata impugnazione di un capo di
sentenza — Effetti.
Nel caso che una unica decisione abbia deciso gli appelli riuniti
proposti contro diverse sentenze di tribunali amministrativi
regionali, se l'amministrazione appellante non abbia impugnato un capo di sentenza, deve ottemperare ad esso, anche se
l'analogo capo delle altre sentenze sia stato riformato, perché investito dagli appelli proposti dalle altre amministrazioni soc
combenti. (1)
(1) La questione affrontata dall'adunanza plenaria è provocata dal
l'avvenuta decisione, con unico atto da parte del medesimo consesso, di più appelli proposti nei confronti di diverse sentenze pronunciate dai vari tribunali in giudizi tra parti differenti: la riunione, nel
caso discrezionale (come è riconosciuto da Cons. Stato, sez. V, 7
settembre 1982, n. 635, Foro it., Rep. 1982, voce Giustizia amministra
tiva, n. 624; sez. VI 3 luglio 1981, n. 342, id., Rep. 1981, voce cit., n. 751), a differenza di quanto avviene nel caso di più appelli nei
confronti della medesima sentenza (la giurisprudenza è costante nel
l'applicare l'art. 335 c.p.p.: per tutte, Cons. Stato, sez. VI, 5 marzo
1982, n. 106, id., Rep. 1982, voce cit., n. 695, oltre ad altre non
massimate sul punto), ha evidenziato come il meccanismo giurisdizio nale (ed il problema è più evidente ora stante l'aumento del conten
zioso e la generalizzazione del doppio grado) possa giocare un ruolo
significativo nella definizione dei rapporti tra p.a. e privati, anche conducendo a disarmonie evidenti. Nel caso di più impugnazioni avverso la medesima sentenza, al problema la giurisprudenza pone rimedio ricorrendo alle norme del codice di procedura civile, e, oltre all'art. 335 già citato, in particolare facendo applicazione dell'art. 333 che impone, a chi voglia gravarsi avverso una sentenza già appellata, di proporre impugnazione incidentale: sez. IV 21 giugno 1982, n. 398, ibid., n. 764; 23 marzo 1982, n. 167, ibid., n. 766; 28 agosto 1981, n.
677, id., Rep. 1981, voce cit., n. 359; sez. V 19 ottobre 1979, n. 584, id., 1980, III, 247, con nota di richiami (con il temperamento di ritenere ammissibile l'impugnazione proposta formalmente come princi pale, ma nei termini previsti per l'impugnazione incidentale, come riconosciuto anche da Cons. Stato, sez. IV, 25 marzo 1983, n. 165, Cons. Stato, 1983, I, 242, oltre che dalle pronunzie sopra citate). Con
Diritto. — (Omissis). 2. - Il ricorso è in parte fondato e deve
essere accolto nei limiti di cui appresso. Sia i ricorrenti, sia la camera di commercio di Varese concor
dano in parte circa la portata del giudicato: non è controverso
quali debbano essere le voci di retribuzione da considerare nella
formazione della base di calcolo sulla quale conteggiare i singoli fondi individuali e le c.d. « eccedenze », rispettivamente propri di
quanti, essendo in servizio al 16 marzo 1970, preferirono mante
nere il previgente fondo individuale di previdenza a capitaliz zazione o, invece, optarono per l'inscrizione alla cassa di previ denza per i dipendenti degli anti locali.
Ed altrettanto pacifico è il punto che, sulla base di calcolo, come sopra individuata, debbano applicarsi le varie aliquote succedutesi nel tempo; neppure vi è contrasto circa la rivaluzio ne monetaria dei crediti e la corresponsione degli interessi.
Le concordi prospettazioni delle parti al riguardo mostrano di
intendere rettamente e compiutamente la portata del giudicato, rendendo cosi superflua ogni ulteriore precisazione su questi punti.
Controversia sussiste invece circa altri punti. a) In primo luogo si assume e si richiede dai ricorrenti che il
fondo di previdenza o le « eccedenze » siano determinati appli cando le varie aliquote agli assegni ritenuti computabili nei
sensi sopra precisati, considerando però tutti quelli percepiti al momento della cessazione dal servizio o dell'opzione per la
CPDEL; mentre la camera di commercio oppone che tale non è la soluzione accolta nella decisione n. 5/82 (Foro it., Rep. 1982, voce Camera di commercio, nn. 7-12), ove si afferma invece che, una volta individuati gli assegni computabili, si deve tener conto
non della retribuzione « attuale » (quella, cioè, percepita al mo
mento della cessazione dal servizio o dell'opzione per la CPDEL) ma della retribuzione, risultante dalla somma degli assegni com
putabili, via via succedutisi nel corso del rapporto e che ben
possono risultare soppressi all'epoca di liquidazione del fondo.
Replicano i ricorrenti di non contestare che tale ultima sia la
soluzione indicata come esatta dalla decisione n. 5/82; contestano
però che possa applicarsi nei loro confronti in quanto la senten
za di primo grado che asseriva l'opposta regola del computo sulla base dell'ultima retribuzione (quella in essere al momento
della liquidazione e che, sia pure fittiziamente, dovrebbe conside
rarsi percepita durante tutto il rapporto) non è stata oggetto di
ciò, peraltro, si impone al secondo appellante il rispetto del duplice termine (per l'impugnazione ordinaria e l'incidentale), ammettendosi diversamente l'impugnazione incidentale tardiva soltanto se essa è
rivolta avverso lo stesso capo gravato dall'appello principale, o contro un capo connesso o dipendente (secondo la definizione di Cons. Stato, sez. VI, 31 marzo 1981, n. 133, Foro it., Rep. 1981, voce cit., n.
676): Cons. Stato, sez. VI, 27 novembre 1981, n. 723, id., Rep. 1982, voce cit., n. 614; sez. IV 18 marzo 1980, n. 275, id., Rep. 1980, voce
cit., n. 788; 4 novembre 1980, n. 1055, id., Rep. 1981, voce cit., n. 680 (per un'applicazione particolare dell'art. 334 c.p.c., anche, sez. VI 31 maggio 1982, n. 285, id., Rep. 1982, voce cit., n. 620).
Pur essendo frequente, nella giurisprudenza che affronta i problemi dell'appello, il riferimento al codice di rito, vi sono ancora dubbi sui rapporti tra l'appello incidentale e da un lato le impugnazioni giurisdizionali incidentali e dall'altro lato il ricorso incidentale: cosi, è stata rimessa all'esame dell'adunanza plenaria la questione relativa
all'applicazione all'appello incidentale, da un punto di vista di caratte re generale, delle regole che disciplinano il ricorso incidentale o piuttosto delle regole che disciplinano le impugnazioni incidentali nel processo civile (Cons. Stato, sez. IV, 23 marzo 1979, n. 199, id., Rep. 1979, voce cit., n. 1002) e la questione relativa, in particolare, alla sopravvivenza o meno del giudizio sull'appello incidentale (nella specie, tendente ad ottenere la condanna della p.a. al pagamento della rivalutazione monetaria) nel caso di rinuncia da parte dell'appellante principale (viene in rilievo la regola della non necessità dell'accetta zione della rinuncia: Cons. Stato, sez. IV, 18 ottobre 1982, n. 673, Cons. Stato, 1982, I, 1208).
L'ambito dell'impugnazione viene in rilievo anche per determinare qual è l'obbligo dell'amministrazione nel caso in cui l'appello non abbia investito tutti i capi della sentenza; è stato ritenuto inammissibi le il ricorso per l'ottemperanza se la parte passata in giudicato della sentenza non costituisce un capo dotato di propria autonomia e individualità (Cons. Stato, sez. IV, 27 gennaio 1981, n. 70, Foro it., 1982, III, 157, con nota di richiami, riferita ad un caso di ottempe ranza a sentenza pronunciata da un giudice civile) e si è ritenuto che, qualora l'amministrazione abbia dato esecuzione alla parte non appel lata della decisione, e questa venga annullata in appello, cadono automaticamente i provvedimenti emanati se la parte della sentenza eseguita non era autonoma rispetto a quella appellata (Cons. Stato, ad. plen., 3 dicembre 1982, n. 18, id., 1983, III, 130, con nota di richiami: il fatto che l'appello fosse parziale risulta dalla motivazione, e ancor più dall'ordinanza di rimessione, sez. V 5 febbraio 1982, n. 68, id., 1982, III, 410, con nota di richiami). Con riferimento al concetto di capo di sentenza, cfr. la nota di richiami di G. P. Volpe a Cons. Stato, ad plen., 22 dicembre 1982, n. 21, id., 1983, III, 287.
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