Sezione IV; decisione 16 dicembre 1980, n. 1206; Pres. Pescatore, Est. Trotta; Soc. Veronacinematografica (Avv. De Sanctis) c. Min. turismo e spettacolo (Avv. dello Stato Santoro).Annulla T.A.R. Lazio, Sez. III, 27 settembre 1978, n. 712Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 9 (SETTEMBRE 1981), pp. 489/490-491/492Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23173073 .
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489 GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 490
CONSIGLIO DI STATO; Sezione IV; ordinanza 24 febbraio
1981, n. 188; Pres. Imperatrice, Rei. Riccio; Pacioselli e altri
(Avv. De Ferrari) c. Comune di Portovenere, Regione Liguria (Avv. Pericu).
CONSIGLIO DI STATO:
Edilizia e urbanistica — Cava — Sfruttamento — Disciplina —
Prescrizioni di piano regolatore — Legittimità — Deferimen
to della questione all'adunanza plenaria.
È opportuno rimettere all'adunanza plenaria, a causa della possi bilità che insorga un contrasto giurisprudenziale tra le sezioni, la questione della legittimità delle prescrizioni di piano regola tore che sottopongano ad una disciplina urbanistica l'estrazione
di materiale da cave. (1)
La Sezione, ecc. — Fatto e diritto. — Con due distinti ricorsi,
notiticati rispettivamente il 14/16 febbraio 1976 (n. 298/76) ed il
23/24 aprile 1976 (n. 593/76), Cario Pacioselii, in proprio e nella
qualità di legale rappresentante della ditta Giuseppe Pacioselii e
ligli, la ditta La Veneta Marmo Portoro, e la s.a.s. Marmo
Portoro, in persona del curatore fallimentare Sergio De Nardin,
impugnavano la delibera n. 49 del 29 settembre 1972, con la
quale il comune di Portovenere aveva adottato il nuovo piano
regolatore generale, ed il decreto del presidente della giunta
regionale della Liguria n. 2677 del 17 ottobre 1975, con il quale il piano regolatore era stato approvato.
Premesso di essere proprietari di agri marmiferi nel territorio
del comune di Portovenere, utilizzati per la estrazione del marmo, i ricorrenti lamentavano, tra le altre censure, che il piano regola tore aveva introdotto nuovi e penetranti vincoli nello sfruttamento
delle cave di marmo, disponendone in particolare l'estrazione solo
in galleria, con divieto di estrazione a cielo aperto. Deducevano
che ia disciplina dell'attività estrattiva non rientrava nella materia
urbanistica in quanto non costituiva attività edilizia, per cui il
piano regolatore non poteva dettare prescrizioni sull'uso delle
cave.
Con altri due separati ricorsi, notificati rispettivamente il 14/16 febbraio 1976 (n. 299/76) ed il 23/24 aprile 1976 (n. 595/76), Antonio Cortesia, Maria Ragghianti, e la s.a.s. Marmo Portoro,
sempre in persona del curatore failimentare, impugnavano i mede
simi provvedimenti di adozione ed approvazione del piano regola tore generate del comune di Portovenere.
Premesso di essere proprietari e titolari di altri diritti reali su
agri marmiferi nelie isole di Palmaria e di Tino, ubicate nel
comune di Portovenere, lamentavano che il piano regolatore aveva destinato dette isole a parco naturale attrezzato, vietandone
in modo assoluto l'estrazione di materiale lapideo, e deducevano, tra le altre, censure analoghe a quelle formulate nel precedente ricorso.
in entrambi i giudizi si costituivano il comune di Portovenere e
la regione Liguria, che resistevano all'impugnativa. Con due distinte decisioni, n. 16/78 e n. 17/78, adottate entrambe
il 10 novembre 1977-12 gennaio 1978, il T.A.R. per la Liguria
respingeva i due gruppi di ricorsi sul rilievo che ia nozione di
urbanistica aveva subito negli ultimi vent'anni una considerevole
evoluzione, recepita anche dalle numerose leggi che si erano
succedute in materia, e che non poteva più dubitarsi che allo
stadio in cui era pervenuta l'evoluzione dottrinaria e giurispru
(1) L'ordinanza rimette in discussione la soluzione secondo la quale l'attività di estrazione di materiali da una cava non sarebbe sottoposta alla disciplina urbanistica e alla necessità di concessione di costruzione, che era stata adottata dal precedente citato in motivazione: Cons. Stato, Sez. VI, 12 febbraio 1980, n. 159 (nonché con la decisione n. 197), Foro it., 1980, 111, 237, con nota di richiami, dai quali si rileva che la
medesima soluzione, se era generalmente accettata in applicazione del
diritto previgente, dopo l'entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977
n. 10 è stata respinta dalla dominante giurisprudenza dei tribunali
amministrativi regionali, anche in relazione alla legislazione regionale
sopraggiunta in materia. La giurisprudenza successiva a quella richiamata nella nota ricordata,
appare divisa: nello stesso senso della decisione della Sez. VI nn. 159
e 197 del 1980, v. Sez. VI 8 luglio 1980, n. 711, id., Rep. 1980, voce
Edilizia e urbanistica, n. 407; 24 ottobre 1980, n. 965, Cons. Stato,
1980, I, 1414; nonché T.A.R. Lazio Sez. II, 19 novembre 1980, n.
977, Trib. amm. reg., 1980, I, 4089; T.A.R. Toscana 9 novembre e 7
dicembre 1979, nn. 1159 e 1474, ibid., 248 e 664. Viceversa, nel senso
dell'assoggettamento di tale attività estrattiva alla disciplina urbanistica
e alla necessità di concessione di costruzione, T.A.R. Veneto 7
dicembre 1979, n. 581, ibid., 617, nonché alcune pronunce in sede
penale: Pret. Bassano del Grappa 28 aprile e 3 novembre 1978, Foro
it., Rep. 1979, voce cit., nn. 380, 377; Pret. Pavia 10 giugno 1978,
ibid., n. 378; Pret. Salò 9 febbraio 1979, id., 1979, II, 468, con nota di
richiami.
deliziale nella nozione di urbanistica doveva ricomprendersi ogni forma di disciplina dell'assetto del territorio.
Avverso tali decisioni interponevano appello i soccombenti
sopra indicati, con due distinti ricorsi notificati entrambi il 26
febbraio 1978 (nn. 201/78 e 202/78), con i quali, oltre a rinnova
re le altre censure, ribadivano la loro tesi in merito alla distinzio
ne tra attività urbanistica ed attività estrattiva, ed all'impossibilità del piano regolatore di disciplinare anche la seconda. Anche nel
giudizio di secondo grado si costituiva la regione Liguria, che
resisteva adducendo argomenti a conforto delle impugnate senten
ze. Non si costituiva invece il comune di Portovenere. I due
ricorsi venivano discussi all'udienza del 4 novembre 1980.
Osserva in proposito il collegio che sui problema dell'ambito di
estensione del concetto di urbanistica, e quindi della materia che
può formare oggetto della relativa pianificazione, in particolare con riferimento al problema delle cave, questo consiglio ha avuto modo di pronunziarsi in numerose occasioni (Sez. VI 24 aprile 1975, n. 135, Foro it., 1976, III, 57; Sez. V 17 aprile 1973, n. 406,
id., Rep. 1973, voce Edilizia e urbanistica, n. 312; Sez. V 22
giugno 1964, n. 574, id., Rep. 1964, voce Piano regolatore, n. 453) e da ultimo con le recenti decisioni della Sez. VI 12 febbraio
1980, nn. 159 e 197 (id., 1980, III, 237), nelle quali ha sempre affermato l'estraneità dell'attività estrattiva rispetto alla materia
urbanistica.
Cionondimeno non può contestarsi che la materia urbanistica abbia avuto una costante e notevole evoluzione, anche in sede
legislativa, ove non solo sono stati introdotti strumenti nuovi, ma
le cui più recenti disposizioni consentono di meglio lumeggiare anche lo spirito della legislazione precedente.
Osserva inoltre il collegio che il problema posto dai ricorrenti
ha un ambito ben maggiore di quello dello sfruttamento delle
cave di marmo, ed investe il più generale problema della compa tibilità delle attività dirette allo sfruttamento del sottosuolo con la
disciplina dettata per la protezione dell'ambiente e degli insedia
menti umani, ogni volta che l'esercizio della prima attività con
trasti con la seconda.
in considerazione della rilevanza del problema e delle implica zioni che la soluzione del problema in generale può avere sulle
numerose questioni particolari, ed in considerazione anche del
fatto che, ove il collegio dovesse pervenire a soluzioni diverse da
quelle accolte dalle decisioni sopra menzionate, verrebbe a crearsi
un contrasto giurisprudenziale, ritiene il collegio opportuno che
sulla questione si pronunzi l'adunanza plenaria delle sezioni
giurisdizionali. Per questi motivi, ecc.
CONSIGLIO DI STATO; Sezione IV; decisione 16 dicembre
1980, n. 1206; Pres. Pescatore, Est. Trotta; Soc. Verona
cinematografica (Avv. De Sanctis) c. Min. turismo e spettacolo
(Avv. dello Stato Santoro). Annulla T.A.R. Lazio, Sez. Ili, 27
settembre 1978, n. 712.
Cinematografo e cinematografia — Incentivi ai films di nazio
nalità italiana — Cittadinanza del regista — Irrilevanza (Legge 4 novembre 1965 n. 1213, nuovo ordinamento dei provvedi menti a favore della cinematografìa, art. 4).
Ai fini dell'art. 4 legge 4 novembre 1965 n. 1213, il riconoscimen
to della nazionalità di un filmato cinematografico non è subor
dinato al requisito della cittadinanza italiana degli autori prin
cipali (regista, sceneggiatore, soggettista) bens't alla oggettiva
appartenenza dell'opera alla sfera ed alle tradizioni culturali
italiane; è pertanto illegittimo il provvedimento con il quale il
ministro del turismo e dello spettacolo annulla la dichiarazione
di nazionalità di un film sul presupposto del mancato possesso da parte del regista della cittadinanza italiana. (1)
(1) Il Consiglio di Stato introduce un'inedita categoria di « italianità culturale » di un'opera cinematografica facendo leva su di
una distinzione letterale dal significato non del tutto univoco. In
precedenza, si è esclusa la dichiarazione di nazionalità per filmati in
cui l'apporto italiano si sia limitato al mero intervento finanziario da
Corte conti, Sez. contr. 14 luglio 1977, n. 805, Foro it., Rep. 1978, voce Cinematografo, n. 18; per la dichiarazione di nazionalità di filmati interpretati da stranieri residenti, cfr. Cons. Stato, Sez. I, 5 luglio 1974, n. 1221, id., Rep. 1975, voce cit., n. 5.
Sulla spettanza dei contributi previsti dalla legge n. 1213/1965 anche a filmati successivamente dichiarati di contenuto osceno, v. Trib. Roma 8 giugno 1978, id., 1979, I, 230, con nota di richiami.
Sulla dubbia legittimità costituzionale della normativa sulle coprodu
Il Foro Italiano — 1981 — Parte III- 35.
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PARTE TERZA
La Sezione, ecc. — 1. - La questione di pregiudizialità comuni
taria prospettata dalla società ricorrente si appalesa irrilevante ai
fini della decisione della causa in quanto il preteso contrasto con
il diritto comunitario dell'art. 4 legge 4 novembre 1965 n. 1213,
recante provvedimenti a favore della cinematografia, presuppone una interpretazione della norma nazionale di carattere discrimina
torio che la sezione ritiene di non poter condividere.
Il T.A.R., infatti, ha ritenuto legittimo il provvedimento impu
gnato, che aveva annullato la dichiarazione di nazionalità del film
« Lo chiameremo Andrea », considerando fondato il rilievo che il
regista del film (Vittorio De Sica) non risultava più in possesso della cittadinanza italiana, vale a dire di un requisito che sarebbe
stato tassativamente prescritto dal citato art. 4, 2° comma, ai fini
del riconoscimento della nazionalità.
Questa ricostruzione del contenuto precettivo della norma, ad
avviso della sezione, non appare persuasiva, non essendo rispet tosa né delle espressioni testuali impiegate dal legislatore in
questa proposizione normativa, né del complesso di indici e di
requisiti che, in relazione alle dichiarate finalità del provvedimen to legislativo, un determinato film deve possedere per essere
considerato dalla legge come «italiano».
Sotto il primo profilo, va subito posta in evidenza la circostan
za che il riconoscimento della nazionalità del film (art. 4) non è
subordinato espressamente al requisito della cittadinanza degli autori principali (regista, sceneggiatore, soggettista), a differenza
di altre forme di incentivazione, pure previste nella stessa legge
(cfr. i contributi di cui all'art. 7, 2° comma, in favore di registi,
soggettisti e sceneggiatori), la cui concessione presuppone, oltre al
possesso di un attestato professionale risultante dalla iscrizione, con la rispettiva qualifica, nel pubblico registro cinematografico, la specifica condizione che il beneficiario sia cittadino italiano.
La difformità di formulazione tra l'art. 7 e l'art. 4 è particolar mente significativa: entrambe le norme, infatti, si riferiscono agli stessi soggetti, per i quali è richiesto, in un caso, il requisito formale della cittadinanza, e, nell'altro, il semplice fatto di essere
« italiano ». Ma la diversità è tutt'altro che casuale e, comunque, non può essere fatta risalire a una formulazione ellittica dell'art.
4 in cui la qualifica di italiano significhi tout court « cittadino
italiano ». Basta procedere ad un'analisi strutturale e funzionale
delle due proposizioni normative per individuarne il fondamento:
mentre il benelicio di cui all'art. 7 consiste in un contributo ad
personam in relazione al quale la legge ha ritenuto rilevante il
possesso della cittadinanza, configurandolo come un requisito
personale e soggettivo dei beneficiari il riconoscimento di nazio
nalità di cui all'art. 4 riguarda oggettivamente il prodotto cinema
tografico nel senso che il film, per ottenere determinate provvi denze normative, deve possedere certi requisiti di nazionalità che
servano a caratterizzarlo come « italiano ».
11 film italiano oltre che un prodotto industriale oggetto di
attività commerciali, è un'espressione artistica e culturale della
società nazionale che il legislatore ha inteso esplicitamente tutela
re, incoraggiando ed aiutando « tutte le iniziative volte a valoriz
zare e diffondere il cinema nazionale con particolare riguardo ai
films di naturale interesse artistico e culturale » (art. 1, 2°
comma, legge n. 1213 del 1965). In attuazione di questo obiettivo e di questa finalità, il ricono
scimento della nazionalità non è stato ancorato a presupposti
rigidamente lormaii, ma ad una condizione oggettiva (il fatto
appunto di essere « italiani » dei registi, degli autori del soggetto e della maggioranza degli sceneggiatori) che consenta di conside
rare il film come appartenente alla sfera culturale italiana con
caratteri di specificità, genuinità ed autenticità.
Tale essendo il motivo ispiratore dell'aiuto concesso dalla legge con la dichiarazione di nazionalità, l'impiego del termine « italia
no » invece di quello « cittadino italiano », si rivela coerente,
adeguato e puntuale all'oggetto specifico delia protezione accorda
ta dall'ordinamento, perché attribuisce ai requisiti normativi un
significato obiettivo che, al di là delle situazioni personali e
contingenti, mette in risalto l'appartenenza, dell'apporto creativo
ed artistico degli autori dell'opera cinematografica, alle tradizioni
culturali italiane.
In questa prospettiva, in cui evidentemente il beneficio accorda
to dal legislatore non assume caratteri e contenuti discriminatori,
il diniego di riconoscimento della nazionalità ad un film diretto
zioni cinematografiche, cfr. T.A.R. Lazio, Sez. Ili, ord. 5 giugno 1978, id., 1979, III, 299, nonché in dottrina: Santonastaso, in Temi, 1975, 183; Giannetto, in Rass. dir. cinem., 1976, 4; Bafile, in Trib. amiti,
reg., 1978, II, 421. In argomento, v. anche Corte conti, Sez. II, 25
giugno 1979, n. 180 e Sez. contr. 14 luglio 1977, n. 805, Foro it., 1980, III, 16, con osservazione di R. Ferrara.
da Vittorio De Sica, notissimo e prestigioso esponente della
cultura cinematografica italiana, deve considerarsi illegittimo in
quanto ai fini del beneficio contemplato dall'art. 4, il possesso da
parte del regista di una cittadinanza diversa da quella italiana,
non poteva essere considerato un motivo ostativo, normativamente
previsto, al richiesto riconoscimento.
Pertanto, in riforma della impugnata sentenza del T.A.R. Lazio,
la sezione ritiene che il ricorso proposto dalla soc. Verona
cinematografica meriti di essere accolto.
Per questi motivi, ecc.
CONSIGLIO DI STATO; Sezione V; decisione 17 ottobre 1980, n. 834; Pres. Mezzanotte, Est. Chirico; Bulgarini (Avv. Ma
laguti, Romanelli) c. Comune di Lonato (Avv. Bellini, Sali
vetto). Conferma T.A.R. Lombardia, Sez. Brescia, 22 giugno 1979, n. 270.
Edilizia e urbanistica — Costruzione difforme dalla concessione — Ordinanza di demolizione — Legittimità — Domanda di
approvazione di variante — Silenzio — Irrilevanza (Legge 28
gennaio 1977 n. 10, norme per la edificabilità dei suoli, art. 15).
£ legittimo il provvedimento con il quale il sindaco abbia ordinato
la demolizione di una costruzione che sia difforme dalla conces
sione per la diversità della sagoma, per la riduzione della
superficie utile, e per le diversità costruttive che facciano ritenere che l'immobile sarà adibito ad una destinazione diversa
da quella assentita, anche se egli abbia mantenuto il silenzio
sulla domanda di approvazione della variante alla concessione
stessa. (1)
(1) La decisione (che conferma, correggendone la motivazione, T.A.R. Lombardia, Sez. Brescia, 22 giugno 1979, n. 270, Trib. amm. reg., 1979, 1, 2620) olire una motivazione particolarmente ricca e complessa, articolata sui seguenti tre punti: a) l'individuazione e la enucleazione di criteri distintivi tra le diverse ipotesi della difformità totale, della difformità parziale e della variante c. d. « abusi va », non sanzionata, di cui all'art. 15, 12° comma, legge 28 gennaio 1977 n. 10; b) l'affermazione della mancanza di un obbligo di risposta dell'amministrazione sulla domanda di approvazione di variante presentata in corso d'opera, quando tale variante, per i suoi elementi innovativi rispetto al progetto originariamente assentito, venga ad assumere contorni tali da qualilicare il secondo progetto, anche se riduttivo del precedente, come un quid novi-, c) la possibilità di individuare l'ipotesi abusiva del mutamento della destinazione d'uso di un immobile già in via presuntiva, attraverso l'esame delle difformità costruttive poste alla base delia domanda di approvazione di variante in corso d'opera.
1. - a) Circa il primo proliio della motivazione, occorre ricordare che la lettura giurisprudenziale dei diversi casi di difformità totale e parziale sanzionati nell'art. 15 legge n. 10/1977, abbandonato il criterio qualitativo e quantitativo che era alla base del sistema normativo adottato dagli art. 32, 2" e 3° comma, e 41, 1° comma, legge n. 1150/1942, sembra ormai consolidata nel senso di ritenere ipotesi di totale difformità tra il progetto approvato e la costruzione realizzata tutti quei casi in cui i nuovi lavori, visti negli elementi costitutivi della struttura del manufatto, non possano in alcuna loro parte essere riferibili all'opera licenziata, integrando, invece, un'opera autonoma a sé stante. E ciò a prescindere dal fatto che detti lavori
comportino o meno anche un aumento di volume (Cass. lb
maggio 1979, Di Emidio, Foro it., Rep. 1980, voce Edilizia e urbanisti
ca, n. 721; Pret. Forlì 12 ottobre 1978, id., Rep. 1979, voce cit., n.
658; Cass. 22 febbraio 1978, Wegheheien, ibid., n. 659; 21 ottobre
1977, Vitale, id., Rep. 1978, voce cit., n. 666; Pret. Bassano del
Grappa 6 maggio 1977, id., Rep. 1977, voce cit., n. 744, cui adde, per un accurato e completo esame dell'intero panorama giurisprudenziale amministrativo, T.A.R. Lazio, Sez. Latina, 22 marzo 1979, n. 15, id., 1980, 111, 258, con nota di richiami).
Il punto di partenza della distinzione tra le due ipotesi di difformità, come si può notare dall'esame della giurisprudenza, è dunque quello di
equiparare all'ipotesi di costruzione senza licenza quella di costruzione totalmente non riconducibile al progetto approvato; enucleando, poi, per esclusione, la nozione di difformità parziale, inizialmente non considerata.
La linea di tendenza cosi individuata va tuttavia completata aggiun gendo quanto segue. Poiché anche la difformità parziale racchiude in sé pur sempre un'ipotesi di costruzione eseguita in assenza di permesso (Assini, Abusi edilizi e sanzioni amministrative, Milano, 1979, 401), ciò che in ultima analisi bisogna porre in rilievo per individuare la totale difformità del manufatto non è tanto — o, meglio, non è solo — la « novità » della costruzione realizzata rispetto al
progetto assentito (questo è il criterio convenzionale indicato da
Predieri, La legge 28 gennaio 1977 n. 10 sulla edificabilità dei suoli,
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