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Sezione IV; decisione 18 aprile 1983, n. 233; Pres. Anelli, Est. Dente; D'Aniello (Avv. Rizza) c....

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Sezione IV; decisione 18 aprile 1983, n. 233; Pres. Anelli, Est. Dente; D'Aniello (Avv. Rizza) c. Min. difesa (Avv. dello Stato La Porta). Conferma T.A.R. Emilia-Romagna 17 settembre 1981, n. 356 Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 11 (NOVEMBRE 1983), pp. 381/382-385/386 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23175472 . Accessed: 28/06/2014 12:20 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.171 on Sat, 28 Jun 2014 12:20:14 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione IV; decisione 18 aprile 1983, n. 233; Pres. Anelli, Est. Dente; D'Aniello (Avv. Rizza) c.Min. difesa (Avv. dello Stato La Porta). Conferma T.A.R. Emilia-Romagna 17 settembre 1981, n.356Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 11 (NOVEMBRE 1983), pp. 381/382-385/386Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175472 .

Accessed: 28/06/2014 12:20

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

negli spazi di sottotetto destinati ad accogliere servizi condomi

niali) senza procedere affatto alle compensazioni di valore volute dalla società ricorrente allo scopo di essere indennizzata della

presunta diminuzione di valore che, a suo dire, avrebbe subito

per la mancata utilizzazione dei volumi tecnici da essa destinati ad appartamenti di proprietà esclusiva.

A parte la considerazione che spesso i costruttori non subisco no alcuna perdita economica per una operazione del genere, richiedendo comunque e sempre ai loro acquirenti il maggior prezzo possibile per le unità immobiliari individuali loro vendute a prescindere dalla circostanza che siano o meno dotate di

servizi comuni, resta comunque la considerazione che la sanzione

pecuniaria ex art. 13 1. n. 765/67 non è un indennizzo, e pertanto, nel processo della sua determinazione quantitativa, non è ammes

so introdurre valutazioni di mercato diverse da quelle prescritte, che sono riferite unicamente al « valore venale delle opere o loro

parti abusivamente eseguite ».

Nella specie, la costruzione degli appartamenti nel sottotetto

non era consentita, gli appartamenti sono abusivi, la sanzione è

pari al valore degli appartamenti. Se poi con la costruzione

abusiva sono stati ridotti gli spazi assentiti, ciò potrà anche

diminuire il valore delle altre parti dell'edificio, ma è come se

non fossero state utilizzate tutte le volumetrie licenziate, senza

che per questo il comune debba indennizzare il costruttore o

comunque ridurre l'importo della sanzione pecuniaria per la

parte abusivamente realizzata.

La tesi della società ricorrente potrebbe trovare accoglimento soltanto nel caso in cui le parti abusivamente eseguite non

abbiano una loro individualità giuridica ed economica (nella

specie, al contrario trattasi, come si è detto, di unità immobiliari

individuali — appartamenti — ben individuate e singolarmente e

specificamente valutabili), ma costituiscono una pura integrazione

(ampliamento o maggiorazione quantitativa o qualitativa) di enti

tà immobiliari legittimamente assentite (ad esempio, l'accresci

mento di un vano non consentito — relativamente ad un appar tamento legittimamente assentito — realizzato al posto di un

grosso terrazzo coperto). In tal caso, non essendo possibile una

valutazione autonoma della parte di un edificio abusivamente

costruita, proprio per la mancanza di una sua autonomia giuridi ca ed economica, potrà procedersi alla valutazione unicamente in

via di differenza di valore (e pertanto, nella specie, il valore

venale della parte abusivamente realizzata sarà dato dalla diffe

renza di valore tra quello dell'appartamento comprensivo del

vano in più ma privo del terrazzo quale è stato in effetti

abusivamente realizzato e quello dell'appartamento quale avrebbe

dovuto essere realizzato alla stregua della concessione edilizia e

cioè senza il vano in più ma con la terrazza al suo posto), ed in

tale ipotesi evidentemente si terrà conto in via di compensazione della mancata utilizzazione di taluni spazi determinata dalla loro

utilizzazione in modo difforme da quello previsto dalla conces

sione.

Con il terzo ed ultimo motivo di gravame la ricorrente propo ne sotto diversa angolazione una censura già proposta in primo

grado (con il secondo motivo di ricorso), deducendo che il

mutamento di destinazione dei locali costruiti non sarebbe

« mai » suscettibile di sanzione pecuniaria ma unicamente di

sanzione demolitoria, in quanto questa ultima sarebbe « sempre »

nel caso di abusivo mutamento di destinazione pienamente « pos sibile » e pertanto non darebbe ingresso all'applicazione della

sanzione pecuniaria, che ha valore sussidiario o surrogatorio ed è

prevista solo per l'ipotesi di « impossibilità » dell'applicazione della sanzione demolitoria.

La censura, cosi come formulata in termini generali ed assolu

ti, non appare fondata, perché, se è vero in linea di massima

che le opere abusive con le quali è stato realizzato un mutamen

to di destinazione possono essere reversibili e suscettibili di

« demolizione », non è da escludere che talora possa trattarsi di

opere tali che non sia tecnicamente possibile o opportuna la

riduzione pristino.

In ogni caso, come è giurisprudenza consolidata, la valutazione

discrezionale compiuta dalla p.a. deve avere ad oggetto la possi bilità della demolizione non solo in senso materiale, ma anche in

senso economico-giuridieo, e non è da escludere che ad esempio

l'esigenza di salvaguardia del patrimonio immobiliare esistente,

anche se abusivamente realizzato, porti a considerare « impossibi le » una demolizione che dal punto di vista strettamente tecnico

e materiale sarebbe attuabile. Pertanto, la circostanza che le

opere abusive abbiano comportato un semplice mutamento di

destinazione nel pieno rispetto delle volumetrie e delle sagome

assentite non rende di per sé solo tali opere suscettibili di riduzione in pristino, ben potendo opporsi a tale riduzione

ragioni di ordine tecnico o anche solo economico. Pertanto la censura in esame non merita accoglimento.

Ciò senza considerare che appare addirittura dubbia la configu rabilità nella società ricorrente nell'interesse alla proposizione della censura stessa.

Invero, come è giurisprudenza costante, non sussiste l'interesse ad invocare la demolizione in alternativa alla sanzione pecunia

ria, essendo al prima generalmente più onerosa per il soggetto sanzionato. Né a radicare un interesse siffatto può valere la considerazione che nella specie la prima sanzione (quella demoli

toria) graverebbe su un soggetto (l'attuale proprietario) diverso dalla società ricorrente, in quanto, restando per le ragioni esposte in precedenza diretto e principale responsabilità della sanzione

(sia demolitoria che pecuniaria) l'autore dell'illecito edilizio e non il suo avente causa, l'eventuale danno economico subito dal terzo

acquirente in conseguenza della demolizione (consistente nella

perdita del valore del bene demolito), per il meccanismo della rivalsa in sede civile, finirebbe per gravare, con l'aggiunta della

spesa di demolizione, sempre e soltanto sul costruttore e costitui rebbe per lui un onere ben più grave della pura e semplice sanzione pecuniaria, pari, come si è detto, al puro e semplice valore del bene abusivamente realizzato.

Per le ragioni sopra esposte il ricorso va respinto.

I

CONSIGLIO DI STATO Sezione IV; decisione 18 aprile 1983, n. 233; Pres. Anelli, Est. Dente; D'Aniello (Avv. Rizza) c.

Min. difesa (Avv. dello Stato La Porta). Conferma T.A.R. Emi

lia-Romagna 17 settembre 1981, n. 356.

Leva militare — obiezione di coscienza — uomanda di ricono

scimento — Parere negativo della commissione — Rifiuto del

l'interessato di presentarsi — Legittimità (L. 15 dicembre 1972

n. 772, norme per il riconoscimento della obiezione di coscien

za, art. 3, 4). Leva militare — Obiezione di coscienza — Domanda di ricono

scimento — Diniego per difetto di prova dei convincimenti dell'interessato — Legittimità.

Leva militare — Obiezione di coscienza — Domanda di ricono scimento — Diniego dopo oltre sei mesi — Legittimità (L. 15

dicembre 1972 n. 772, art. 3).

È legittimo il parere col quale la commissione competente a

valutare la fondatezza e la sincerità dei motivi addotti dall'o biettore di coscienza per chiedere di prestare il servizio civile sostitutivo di quello militare armato, in seguito al rifiuto

opposto dall'interessato alla richiesta di presentarsi per un

colloquio diretto, afferma di non essere in grado, anche per

questo, di giudicare sulla attendibilità dei suoi convincimenti. (1) È legittimo il decreto col quale il ministro della difesa respin

ge la domanda di prestazione del servizio civile in sostitu

zione di quello militare armato per obiezione di coscien

za, in considerazione del parere col quale la competente commissione aveva affermato di non essere in grado di giudi care sulla attendibilità dei convincimenti del richiedente, e con

(1) La decisione conferma T.A.R. Emilia-Romagna 17 settembre 1981, n. 356, Foro it., 1982, III, 341, con nota di richiami.

In particolare, sulla rilevanza del colloquio diretto col richiedente il riconoscimento dell'obiezione di coscienza, della commissione compe tente a valutare la fondatezza e la sincerità dei motivi da esso addotti, v., per un verso, Cons. Stato, sez. IV, 29 luglio 1980, n. 806, id., 1981, III, 230, con nota di richiami, che tende a valorizzare l'interro

gatorio come principale strumento del quale la commissione dispone per compiere gli accertamenti di sua spettanza; ma per l'altro, sez. IV 16 marzo 1982, n. 155, id., 1982, III, 341, con nota di richiami, che conferma T.A.R. Lazio, sez. I, 29 ottobre 1980, n. 1062, id., Rep. 1981, voce Leva militare nn. 10, 12, che ha affermato la legittimità di un

parere negativo che la commissione abbia espresso senza l'audizione diretta dell'istante, se essa abbia già formato il proprio convincimento1 sulla base di altri dati (e specificamente sulle asserzioni contenute nel la domanda dell'interessato), e anche se essa abbia in altri casi sentito direttamente i richiedenti.

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PARTE TERZA

la conclusione che la fondatezza dei motivi da questo addotti non sarebbe stata provata. (2)

È legittimo il decreto col quale il ministro della difesa re

spinge la domanda di prestazione di servizio civile in sostitu

zione di quello militare armato per obiezione di coscienza, anche se esso sia stato emesso oltre sei mesi dopo la presenta zione della domanda stessa. (3)

II

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL PIE

MONTE; sentenza 4 luglio 1983, n. 470; Pres. Messina, Est.

Amodio; Pogliano (Avv. Gallenca, Corbella, Barosio) c. Min",

difesa (Avv. dello Stato Carotenuto) e altro.

Leva militare — Obiezione di coscienza — Domanda di ricono

scimento — Diniego — Illegittimità — Fattispecie.

È illegittimo il provvedimento col quale il ministro della difesa respinge l'istanza di riconoscimento dell'obiezione di coscienza di chi afferma di aver maturato una evoluzione di pensiero e di ideali successivamente alla partecipazione al concorso per l'ammissione alla accademia militare, se esso sia basato sulla unica considerazione che tale istanza sarebbe stata provocata solo dal desiderio di sottrarsi alla prestazione del servizio'

quale militare di truppa anziché quale ufficiale, quando in realtà il richiedente era stato giudicato idoneo all'ammissione, alla quale aveva poi rinunciato. (4)

(2, 4) iPer la migliore comprensione delle particolarità del caso deciso con la quarta massima, si veda la diffusa motivazione dell'ordi nanza 15 marzo 1983 (Foro it., 1983, I, 1118, con nota di richiami), che il iPretore di Chivasso ha ugualmente emesso nei suoi confronti: dopo che il T.A.R. Piemonte aveva respinto la domanda di sospensione del provvedimento impugnato, il pretore ha tutelato in via d'urgenza la posizione del richiedente, mediante un provvedimento emesso in base all'art. 700 c.p.c., affermando il carattere di diritto soggettivo pieno della posizione del cittadino obbligato alla leva che si trovi nelle condizioni previste dalla 1. n. 772/72 per ottenere il riconoscimento della obiezione di coscienza (contra, su questo punto, tutta la giurisprudenza del giudice amministrativo richiamata, che ha de ciso senz'altro nel merito i ricorsi proposti contro i vari dinieghi di riconoscimento dell'obiezione di coscienza), e rilevando che la proposizione da parte dell'amministrazione convenuta del regolamento di giurisdizione non priva il giudice ordinario adfto, dopo aver conosciuto della questione di giurisdizione, di provvedere in base alla norma suddetta sulla domanda di tutela cautelare.

Per l'inquadramento della stessa massima, nei principi affermati dalla giurisprudenza in materia di motivi che giustificano o meno la domanda di riconoscimento della obiezione di coscienza, di motivazio ne del provvedimento che lo nega, di istruttoria che deve essere alla base di questo, v. le note di richiami alle già citate decisioni del Consiglio di Stato, sez. IV, 16 marzo 1982, n. 155 (id., 1982, III, 341), che ha dichiarato legittima la valutazione negativa emessa dalla competente commissione, circa la fondatezza dei motivi adottati dall'istante per ottenere il riconoscimento della obiezione di coscienza, poiché esso si era dichiarato solidale con le lotte popolari e di liberazione, anche se armate; e 29 luglio 1980, n. 806 (id., 1981, III, 230), peraltro qui non direttamente rilevante.

IPer quel che riguarda la seconda massima, essa si adegua al principio che emerge più o meno nettamente da tutta la giurispruden za sopra richiamata, secondo il quale sul richiedente il riconosci mento della obiezione di coscienza graverebbe in qualche misura una sorta di onere della prova circa la fondatezza e la sincerità dei motivi addotti o quanto meno un dovere di cooperare con la com petente commissione nell'acquisizione dei dati (appunto, anzitutto con la sottoposizione all'interrogatorio), necessari per il compi mento delle valutazioni di sua spettanza; in questo senso, v. in particolare la già più volte citata decisione della sez. IV n. 806/80, che ha affermato che spetta alla competente commissione accertare la fondatezza e la sincerità dei richiesti convincimenti di astensione da ogni forma di violenza, non essendo sufficiente la mera loro enunciazione nell'istanza presentata dall'interessato.

'In dottrina, alle indicazioni già date, adde Venduti, L'obiezione di coscienza al servizio militare, 1981; Fracchia, L'obiezione di coscienza nella giurisprudenza del tribunale supremo militare, in Legislazione pen., 1981, 422.

(3) Cosi' la sentenza confermata T.A.R. Emilia-Romagna 17 set tembre 1981, n. 356, cit.

Nel senso della manifesta infondatezza della questione di costituzio nalità, per violazione dell'art. 3 Cost., dell'art. 3 1. n 772/72, in quanto attribuisce carattere ordinatorio, e non perentorio, al termine di sei mesi entro i quali il ministero della difesa deve decidere sulla domanda di prestazione di servizio civile in sostituzione di quello militare, per obiezione di coscienza, v. la già citata sez. IV n. 155/82,

I

Diritto. — Con il primo motivo di ricorso, l'interessato conte

sta il potere della commissione di cui agli art. 3 e 4 1. n. 772 del

1972 di accertare anche con il ricorso ad un diretto colloquio con l'obiettore la fondatezza dei motivi posti a base della

obiezione di coscienza, asserendo che un siffatto scambio di

vedute si risolverebbe in una inammissibile ed intimidatoria

attività di carattere inquisitorio. La tesi è priva di fondamento.

In primo luogo, non appare sostenibile che la commissione di

cui agli art. 3 e 4 1. n. 772 del 1972 non abbia altro compito che

quello di accertare la sussistenza dei requisiti obiettivi previsti dalla legge (non essere l'obiettore titolare di licenze od autorizza

zioni all'uso delle armi e non aver riportato condanna per porto abusivo di armi) e di vagliare la domanda dell'obiettore e le

eventuali osservazioni, con preclusione di ogni diretto contatto

con l'interessato. Ciò tanto più in quanto la legge parla del

possesso, da parte dell'obiettore, di « profondi » convincimenti

che non sempre potrebbero essere attinti dalle espressioni più o

meno concludenti adoperate dall'interessato nella domanda di

esonero dal servizio militare e di sostituzione con quello civile.

Deve aggiungersi che, nel caso concreto, lo stesso richiedente

aveva adoperato nella sua domanda espressioni (« i miei senti

menti religiosi, filosofici o morali, qualsiasi sia il loro grado di

profondità e quali che essi siano ») insufficienti, per sua stessa

ammissione, ad esternare sentimenti radicati e profondi, quali richiesti dalla legge.

In questa situazione, a meno che non voglia sostenersi che il

riferimento della legge alla profondità dei sentimenti ed alla « fondatezza » e « sincerità » dei motivi addotti costituisca una

espressione meramente pleonastica, appare più che evidente che

finalità del colloquio sollecitato dalla commissione non era quello di sottoporre l'obiettore a critiche, minacce o pressioni, come

apoditticamente agli afferma, ma soltanto quello di consentire, al

di là delle affermazioni scritte, e non tutte pertinenti dell'interes

sato, un serio e razionale giudizio sulle effettive convinzioni del

medesimo. Convinzioni, occorre aggiungere, che almeno sul piano teorico, l'interessato avrebbe ben avuto la possibilità di esternare

se è vero che la obiezione di coscienza, nel suo significato più

genuino, affonda le proprie radici in una visione della vita che

può non essere condivisa ma che presuppone, in chi la professa, il possesso di principi etici, filosofici e/o religiosi la cui saldezza

ed elevatezza pongono il non violento in posizione di assoluta

indipendenza, al riparo da pressioni ed intimidazioni; d'altra

parte, l'esperienza insegna che l'accettazione dei principi della

non violenza, lungi del relegare il non violento in uno sterile

stato di isolamento, spinge il medesimo a cercare lui stesso

costantemente il contraddittorio non fosse altro che per dare

libero sfogo alla carica di proselitismo che costituisce elemento

non trascurabile delle vocazione della non violenza.

Con il secondo motivo, il ricorrente sostiene che il decreto del

ministro della difesa, affermando che la mera asserzione dei

principi morali che dovrebbero giustificare l'obiezione non sarebbe stata minimamente provata (il decreto è motivato per relationem con riferimento al parere espresso dalla commissione di cui agli art. 3 e 4 1. n. 772 del 1972) avrebbe adottato una motivazione sfornita di ogni significato logico in relazione al dettatp della

legge secondo la quale non è l'obiettore che deve fornire prove di alcun genere sui suoi convincimenti.

Né la sentenza del T.A.R. avrebbe preso in considerazione —

e censurato — una siffatta motivazione.

L'asserzione non è fondata né è parimenti fondata la tesi secondo cui il provvedimento sarebbe « impostato su posizioni preconcette, superficiali ed illogiche che non fanno onore ai

principi costituzionali ».

Quanto ai principi costituzionali, va subito sottolineato che il fatto stesso che la Costituzione (art. 52, 1° comma) raffigura la difesa della patria come un « sacro dovere del cittadino » rende evidente che chi, pur per rispettabili sentimenti e convincimenti, si sottragga al servizio militare che, si voglia o non si voglia, costituisce uno dei momenti più significativi del concetto di « difesa della patria », abbia l'obbligo morale, oltre che giuridico, di dar conto ai consociati del significato del suo atteggiamento e

Foro it., 1982, III, 341; però, nel senso della non manifesta infonda tezza, T.A.R. Piemonte 15 aprile 1980, id., 1981, III, 127, con nota di richiami, e 22 settembre 1981, n. 408, id., Rep. 1982, voce Leva mi litare, n. 7.

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

della genuità dei sentimenti che professa sui problemi della vita e sui valori dello spirito.

È pertanto ovvio che l'obiettore non possa in alcun caso

pretendere che, ad ottenere l'esonero dal servizio militare e la

sua sostituzione con il servizio civile, sia sufficiente una semplice domanda più o meno concludente, sia pure accompagnata dai

due elementi obiettivi richiesti dalla lejgge (non avere ottenuto

licenze od autorizzazioni per l'uso di armi e non aver riportato condanne per porto abusivo di armi).

Si inserisce in questo quadro il parere della commissione

prevista dalla 1. n. 772 del 1972 che sostanzialmente rileva che

la mancanza di ogni collaborazione da parte dell'interessato che

si è persino rifiutato di presentarsi per asseverare le affermazioni

contenute nella istanza di esonero, ha reso impossibile ogni attendibile giudizio sulla genuinità dei convincimenti del medesi

mo.

La commissione, in altri termini non ha interpretato, come è

sostenuto nel ricorso, il diniego dell'interessato di sostenere in

colloquio come una prova dell'assenza nello stesso di ogni voca

zione di non violenza ma ha realisticamente rilevato che ad

esprimere un serio giudizio sulla attendibilità della obiezione di

coscienza non potevano considerarsi sufficienti né l'istanza dell'in

teressato né le informazioni dell'arma dei carabinieri unici ele

menti (oltre quelli di carattere obiettivo) in proprio possesso, dal

momento che l'obiettore non aveva ritenuto di offrire egli stesso

alcuna prova della genuità dei sentimenti addotti.

Prova, occorre aggiungere, che se difficilmente può essere data

perchè non tutti hanno avuto occasione di essere stati protago nisti di episodi di non violenza, non per questo deve essere

esclusa — come apoditticamente sostiene il ricorrente — dal

novero dei possibili elementi da prendere in considerazione ai

fini della valutazione delle affermazioni poste a base dell'obiezio

ne.

Nel caso di specie, comunque, come rilevasi dal contesto del

parere, la commissione appariva orientata ad ispirare il proprio

atteggiamento piuttosto a probanti e pertinenti delucidazioni del

l'interessato che ad una vera e propria raccolta di prove sugli orientamenti spirituali dello stesso.

Parimenti infondato è il terzo motivo di gravame con il quale si sostiene la illegittimità dell'impugnato decreto ministeriale per

violazione dell'art. 3, 1° comma, 1. n. 772 del 1972 sul rilievo che

esso sarebbe intervenuto tardivamente e cioè dopo la scadenza

dei sei mesi dalla presentazione della domanda.

Come ha infatti esattamente rilevato la sentenza impugnata, il

termine di sei mesi ha la funzione di assegnare all'amministra

zione un arco di tempo sufficiente per effettuare i necessari

riscontri sulla fondatezza e sincerità dei motivi addotti dal

richiedente il quale, a sua volta, riceve tutela dalla sospensione

legale della presentazione alle armi « fino a quando il ministro

della difesa non si sia pronunciato sulla domanda » (art. 3).

Si tratta, in altre parole, di termine stabilito nel prevalente interesse non già del richiedente bensì dell'amministrazione, il

che porta a concludere per il suo carattere meramente ordinato

rio.

Né è condivisibile l'assunto dell'interessato che, per giustificar ne la perentorietà, accampa ipotetici danni cui andrebbero in

contro gli obiettori nel caso di ritardo nella definizione delle loro

domande.

Basta al riguardo rilevare che la determinazione legale del

termine massimo ha pure la finalità di stabilire il momento a

partire dal quale il richiedente potrà attivare la procedura per la

impugnabilità del silenzio al fine di ottenere la definizione del

procedimento. L'appello va pertanto respinto.

II

Fatto. — Premetteva il ricorrente di aver partecipato al con

corso di idoneità per l'ammissione di centoventi allievi ufficiali

alla prima classe dell'accademia aeronautica (anno accademico

1977/78), risultando idoneo al 106° posto.

Peraltro, nelle more del concorso, iniziava in lui una evoluzio

ne di pensiero e di ideali che gli facevano, in un primo tempo,

rifiutare l'accesso all'accademia e successivamente proporre, in

data 24 gennaio 1981, istanza di riconoscimento di obiezione di

coscienza.

Con il provvedimento impugnato il ministero della difesa

respingeva la domanda, adducendo come motivazione: « i motivi

morali e religiosi, peraltro genericamente enunciati, che il giovane

pone a fondamento della sua obiezione, sono contrastati dalla

circostanza che egli ha presentato domanda di ammissione all'ac

cademia aeronautica. È pertanto evidente che la domanda di

riconoscimento di obiezione di coscienza fu dettata dal solo

motivo di sottrarsi agli obblighi di leva — quale militare di

truppa — mentre sarebbe stato ben disposto a prestare servizio

militare quale ufficiale ». (Omissis)

Diritto. — I due ricorsi indicati in epigrafe (nn. 1398/82 e

1606/82) — che vanno riuniti per connessione soggettiva e

oggettiva — sono diretti contro lo stesso provvedimento del

ministero della difesa, con il quale è stata respinta la domanda

del ricorrente volta ad ottenere il riconoscimento dell'obiezione

di coscienza, ai sensi della 1. 15 dicembre 1972 n. 772.

I due ricorsi sono fondati in relazione all'assorbente motivo

che il provvedimento ministeriale risulta viziato da un chiaro

travisamento dei fatti e, conseguentemente, da un errore di

motivazione.

Infatti, la motivazione con cui il provvedimento ha rigettato la

domanda per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza si

fonda su affermazioni non rispondenti al vero, in quanto in essa

si legge che la domanda di obiezione fu dettata dal solo motivo

di sottrarsi agli obblighi di leva — quale militare di truppa —

mentre l'interessato sarebbe stato ben disposto a prestare servizio

militare quale ufficiale.

Senonché, sta di fatto che il ricorrente, prima di presentare la

domanda per il riconoscimento dell'obiezione era riuscito vincito

re del concorso per allievo ufficiale ai fini dell'ammissione nel

l'accademia aeronautica, rinunciando, poi, al corso cui aveva

titolo. Ciò sta a significare, evidentemente, che il motivo che

condusse il ricorrente a presentare domanda di obiezione non fu

quello di sottrarsi agli obblighi di leva, quale militare di truppa, in quanto, se solo avesse voluto, avendo vinto il concorso

suddetto, avrebbe potuto prestare il servizio militare in qualità di

ufficiale.

Ora, poiché l'affermazione del provvedimento imugnato costi

tuisce l'unica motivazione del diniego del riconoscimento dell'o

biezione di coscienza, il diniego medesimo è inficiato in modo

irrimediabile. Pertanto i ricorsi vanno accolti e conseguentemente va annulla

to il provvedimento impugnato con entrambi, salve restando le

ulteriori determinazioni dell'amministrazione.

CONSIGLIO DI STATO; Sezione IV; decisione 28 luglio 1982, n. 526; Pres. Mezzanotte, Est. Reggio D'Aci; Accademia

navale di Livorno e Min. difesa (Avv. dello Stato D'Amato) c. Bussani (Avv. Fast, Verbari). Annulla T.A.R. Toscana 15

ottobre 1981, n. 482.

Donna — Ammissione ai pubblici uffici — Concorso per allievi ufficiali della marina militare — Esclusione di un candidato

di sesso femminile — Legittimità (Cost., art. 3, 51, 52; 1. 9 feb

braio 1963 n. 66, ammissione della donna ai pubblici uffici ed alle professioni, art. 1).

È legittimo il provvedimento con cui l'Accademia navale di Livorno esclude una donna dalla partecipazione al concorso per il reclutamento di allievi ufficiali della marina militare. (1)

(1) La decisione leggesi in Foro it., 1982, III, 393; ne riproduciamo la massima per pubblicare la nota di E. Rossi.

♦ * *

La donna e le forze armate: la posizione del Consiglio di Stato.

1. - Il punto centrale della questione sollevata dinanzi al Consiglio di Stato è certamente rappresentato dall'interpretazione che deve darsi all'art. 1 1. 9 febbraio 1963 n. 66 contenente norme sull'« ammissione della donna ai pubblici uffici ed alle professioni ».

Tale articolo, dopo aver stabilito al 1° comma che «la donna può accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, .. . nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazione di mansioni e di svolgimen to della carriera », precisa al capoverso che « l'arruolamento della donna nelle forze armate e nei corpi speciali è regolato da leggi particolari ».

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