sezione IV; decisione 18 gennaio 1996, n. 54; Pres. Buscema, Est. Virgilio; Soc. Travanut Strade(Avv. Berti, Viola) c. Regione Friuli-Venezia Giulia (Avv. Fusco). Conferma Tar Friuli-VeneziaGiulia 14 luglio 1993, n. 467Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 9 (SETTEMBRE 1996), pp. 441/442-451/452Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191637 .
Accessed: 25/06/2014 07:04
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 188.72.126.196 on Wed, 25 Jun 2014 07:04:34 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Diritto. — (Omissis). Con il secondo motivo del ricorso di primo grado, la ricorrente ha, fra l'altro, dedotto che l'eserci
zio dell'attività di discarica è compatibile con la destinazione
agricola impressa alla zona dal piano regolatore generale. La censura è fondata. Invero, non sussiste alcuna incompati
bilità tra l'intervento in questione, inteso all'ampliamento di una
discarica di rifiuti, e la destinazione impressa alla zona dal p.r.g.
(E/l-zona agricola). La destinazione ad area agricola del terreno interessato dalla
concessione non è sufficiente a giustificare il diniego, giacché — come questo Consiglio di Stato ha già avuto occasione di
precisare ed il collegio non ha motivo di discostarsi dal princi
pio enunciato — la classificazione di aree come agricole non
impone un obbligo di utilizzazione effettiva in tal senso e con
sente, di regola, interventi edilizi di vario genere, sicché, nel
l'ambito e nei limiti delle prescrizioni di zona, e salve diverse
previsioni normative, può risultare non incompatibile la realiz
zazione di un impianto di discarica che, per ovvie ragioni, non
può che essere ubicato in aperta campagna e quindi in zona
agricola, laddove il p.r.g. non preveda apposite localizzazioni
(sez. IV 7 luglio 1988, n. 578, Foro it., Rep. 1988, voce Sanità
pubblica, n. 357). Nel caso di specie, il p.r.g. non contiene alcuna specifica pre
visione in ordine alle discariche, di cui non prevede la localizza
zione né in zona agricola né in altra zona, e pertanto, in man
canza di «apposita localizzazione», deve ritenersi — contraria
mente a quanto affermato dal primo giudice — che l'intervento
in questione può essere legittimamente realizzato in zona agricola. Il provvedimento di diniego impugnato, però, si fonda anche
sulla circostanza che l'intervento «comprende la strada comu
nale, attualmente eliminata e non ancora ripristinata».
Questa parte della motivazione è stata contestata in primo
grado con il terzo motivo di ricorso, mediante il quale si è de
dotto che il comune ha negato la concessione, senza avvedersi
che il progetto prevedeva il ripristino della strada in questione e che erroneamente è stata attribuita alla ricorrente l'elimina
zione della strada, già eliminata invece dai precedenti proprietari. Il Tar ha così respinto tale motivo: «Privo di pregio è anche
il motivo con cui si denuncia eccesso di potere per erroneità
dei presupposti, illogicità e travisamento con riferimento alla
situazione della strada comunale di cui la commissione edilizia
n. 143) e si sostiene la necessità di appositi piani di aree per lo smalti
mento dei rifiuti, suggerendo, in mancanza degli stessi, di collocare le
discariche di rifiuti solidi e liquidi in aree a vocazione industriale (Tar.
Lazio, sez. II, 16 luglio 1986, n. 1142, ibid., voce Sanità pubblica, n.
300). Secondo Tar Campania, sez. V, 13 giugno 1995, n. 260, in Trib.
amm. teg., 1995, I, 3875, non è consentita la localizzazione di discari
che in aree destinate a zona agricola dal p.r.g., finché non sia interve
nuta apposita variante, la quale peraltro non può considerarsi effetto
automatico dell'intervenuta approvazione del relativo progetto da parte della regione. Ovvia è poi, in questa ottica, anche l'illegittimità della
concessione per la realizzazione di uno stabilimento per industria insa lubre (Cons. Stato, sez. V, 12 ottobre 1984, n. 737, Foro it., Rep.
1985, voce Edilizia e urbanistica, n. 303). Di contro, si ritengono accet
tabili quegli insediamenti di natura particolare che o siano funzionali
all'economia dell'area servita, o comunque s'inseriscano in quell'area senza turbarne o alterarne la destinazione, come la costruzione di opere necessarie per lo svolgimento dell'attività di apicoltura (Cons. Stato, sez. V, 9 marzo 1995, n. 327, Cons. Stato 1995, I, 351); o la costruzio
ne di un impianto ittico (Trib. sup. acque 30 ottobre 1991, n. 61, cit.); o come nel caso atipico di un insediamento edilizio per accogliere un
pensionato per cani o un deposito di carburante per macchine agricole
(Tar Veneto, sez. II, 21 marzo 1987, n. 196, Foro it., Rep. 1988, voce
cit., n. 213), o come un parcheggio di autoveicoli per esposizione (Cons.
Stato, sez. V, 29 aprile 1985, n. 209, id., Rep. 1985, voce cit., n. 621); o un allevamento ubicato su area (in zona agricola) la cui produzione
cerealicolo-foraggera consente di alimentare gli animali allevati (Cons.
Stato, sez. V, 23 marzo 1985, n. 167, ibid., n. 591). Per un excursus di giurisprudenza e di legislazione regionale, e per
una convinta affermazione dell'esigenza di superare il concetto di indif
ferenziazione della zona agricola, cfr. P. Urbani, La tutela delle zone
agricole tra interpretazioni giurisprudenziali e discrezionalità ammini
strativa, in Riv. giur. edilizia, 1994, II, 3; sulla legge regionale Toscana,
VrviANi, La nuova disciplina delle zone agricole: l. reg. n. 64 del 14
aprile 1995, in Urbanistica informazioni, 1996, 42.
Il Foro Italiano — 1996.
ha eccepito che il progetto non abbia previsto il ripristino. Non risulta provata l'affermazione di parte ricorrente che la
strada sia stata distrutta dai precedenti proprietari, anzi dalla
sentenza penale esibita risulta che dal 1984, data in cui risale
l'acquisto del terreno da parte della ditta Lombardi, la strada
seppure danneggiata esisteva».
Come si vede, il Tar non ha considerato quella parte del ter
zo motivo di gravame, con cui la ricorrente censura, con fonda
mento, l'illogicità del diniego in quanto giustificato dalla man
cata previsione nel progetto del ripristino della strada comuna
le, ripristino che è invece previsto, secondo quanto si desume
dalla tavola n. 15 del progetto del 1986, acquisita agli atti del
giudizio di primo grado (come risulta dal relativo fascicolo).
Peraltro, devono condividersi anche i rilievi che l'appellante muove a quella parte della motivazione della sentenza gravata in cui si afferma che la ricorrente non avrebbe provato che la
strada era stata distrutta dai precedenti proprietari. Al riguardo, il collegio osserva che il giudice a quo ha erro
neamente affermato che «dalla sentenza penale esibita risulta
che al 1984, data cui risale l'acquisto del terreno da parte della
ditta Lombardi, la strada, seppure danneggiata, esisteva».
Nella sentenza in questione (Trib. Bari 26 febbraio 1988, n.
465), infatti, si legge che «il 10 luglio 1982 il geom. Antonio Marasciulo dell'ufficio tecnico comunale di Conversano riferiva
a quel sindaco che in contrada Pozzovivo erano in corso lavori
di scavo... detti lavori avevano determinato la distruzione di
un tratto di strada..., che il danneggiamento della strada comu
nale "Pozzovivo" iniziò ben prima della segnalazione del geom.
Marasciulo; ...che il Giovene ne asportò un tratto molto lungo
(quantificato all'odierno dibattimento in oltre 200 mi.)...». È evidente, quindi, che l'affermazione fatta dal primo giudi
ce è erronea, perché la totale distruzione di ben 200 metri della
strada in questione non poteva non precluderne in modo defini
tivo la utilizzabilità, concretando, oggettivamente, quella «eli
minazione» della strada lamentata dal comune nel provvedimento
impugnato. Per le considerazioni che precedono, il ricorso in appello è
fondato e va accolto con il conseguente annullamento, in rifor
ma della sentenza impugnata, del provvedimento impugnato in
primo grado.
CONSIGLIO DI STATO; sezione IV; decisione 18 gennaio 1996,
n. 54; Pres. Buscema, Est. Virgilio; Soc. Travanut Strade
(Avv. Berti, Viola) c. Regione Friuli-Venezia Giulia (Avv.
Fusco). Conferma Tar Friuli-Venezia Giulia 14 luglio 1993,
n. 467.
Opere pubbliche — Concessione di lavori pubblici — Normati
va regionale incompatibile con quella comunitaria — Annul
lamento in via di autotutela — Legittimità (Trattato Ce, art.
30, 59, 92; 1. 8 agosto 1977 n. 584, norme di adeguamento
delle procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pub blici alle direttive della Comunità economica europea, art. 5;
1. reg. Friuli-Venezia Giulia 20 maggio 1985 n. 22, piano re
gionale delle opere di viabilità, art. 14, 15; direttiva 18 luglio
1989 n. 440 Cee del consiglio, recante modifica alla direttiva
27 luglio 1971 n. 305, art. 1; d.leg. 9 dicembre 1991 n. 406,
attuazione della direttiva 89/440/Cee in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici, art. 1, 9;
This content downloaded from 188.72.126.196 on Wed, 25 Jun 2014 07:04:34 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
PARTE TERZA
direttiva 14 giugno 1993 11. 37 Ce del consiglio, che coordina
le procedure degli appalti pubblici di lavori, art. 31). Opere pubbliche — Obbligo del concessionario di eseguire di
rettamente i lavori — Concessione di committenza o di servi
zi — Esclusione — Omissione della gara — Illegittimità (L. 24 giugno 1929 n. 1137, disposizioni sulle concessioni di ope re pubbliche; direttiva 27 luglio 1971 n. 305 Ce del consiglio,
che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti di
lavori pubblici, art. 3; 1. 8 agosto 1977 n. 584, art. 1).
È legittimo l'annullamento in via di autotutela della concessio
ne di lavori pubblici assentita sulla base di una legge regiona le da disapplicare perché in contrasto con la normativa comu
nitaria che disciplina l'aggiudicazione degli appalti di lavori. (1)
(1) Il Consiglio di Stato applica il principio della prevalenza della
disciplina comunitaria giudicando legittimo l'annullamento d'ufficio del
l'affidamento in concessione di lavori pubblici assentito sulla base di
legge regionale che, prevedendo criteri di preferenza a favore di asso
ciazioni temporanee di imprese e consorzi costituiti con la partecipazio ne di imprese locali e introducendo una ipotesi di trattativa privata, si pone in contrasto con il trattato di Roma e con le direttive sugli
appalti pubblici di lavori.
Numerosi sono gli esempi di leggi italiane che, a motivo della previ sione di criteri di preferenza a favore di società aventi sede in Italia
ovvero con partecipazione pubblica, sono state censurate dal giudice comunitario, le cui decisioni sono significativamente richiamate dalla
pronuncia in epigrafe: v. Corte giust. 3 giugno 1992, causa 360/89, Foro it., 1993, IV, 77, con nota di A. Barone, Brevi osservazioni in
tema di attuazione delle direttive Cee sugli appalti pubblici, secondo
cui la Repubblica italiana, adottando la 1. 17 febbraio 1987 n. 80, che
riserva una quota dei lavori ai subappaltatori in loco e introduce un
meccanismo di scelta in contrasto con la direttiva 26 luglio 1971, n.
71/305, è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell'art. 59 del trattato Cee (che disciplina il principio di libera circolazione dei
servizi), nonché della direttiva n. 71/305, cit.
V. inoltre Corte giust. 20 marzo 1990, causa 21/88, id., 1991, IV,
48, con nota di Sico, Aiuti di Stato e finalità regionale e libera concor
renza, secondo cui è contraria all'art. 30 del trattato Cee la normativa
italiana (1. 1° marzo 1986 n. 64) che riserva alle imprese ubicate nel
Mezzogiorno una percentuale degli appalti pubblici di forniture, sostan
zialmente eludendo il principio di libera circolazione delle merci.
Corte giust. 5 dicembre 1989, causa 3/88, id., 1990, IV, 113, con
nota di richiami, ha altresì stabilito che la Repubblica italiana è venuta
meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli art. 52 e 59 del
trattato e della direttiva n. 77/62 riservando alle sole società con parte
cipazione statale italiana maggioritaria la possibilità di stipulare con
venzioni con la pubblica amministrazione per la realizzazione di sistemi
informatici.
Per l'affermazione secondo cui la disciplina regionale che ammette
alla licitazione privata esclusivamente ditte iscritte all'albo regionale dei
fornitori delle Usi contrasta con la direttiva del consiglio 21 dicembre 1976 n. 62 e deve dunque essere disapplicata, v. Tar Toscana, sez. I, 25 gennaio 1993, n. 10, id., Rep. 1994, voce Regione, n. 348; in dottri
na, v. Manzoni, Disciplina comunitaria degli appalti di forniture e nor mativa regionale incompatibile, in Dir. comunitario e scambi internaz-,
1993, 389 ss. In generale, sui rapporti tra normativa comunitaria e legislazione del
le regioni a statuto speciale, v. Picozza, Problemi attuativi della disci
plina comunitaria sugli appalti con particolare riferimento alle regioni a statuto speciale, in Riv. giur. sarda, 1993, 863 ss.
La decisione che si riporta, respingendo la tesi che afferma l'autono mia delle regioni a statuto speciale rispetto al diritto comunitario, ritie ne illegittimo l'atto amministrativo — affidamento in concessione —
emanato sulla base di norme regionali che avrebbero dovuto essere di
sapplicate (diversa è invece la sorte delle leggi regionali non ancora en trate in vigore e che si sospettino contrastare con la normativa comuni taria: Corte cost. 10 novembre 1994, n. 384, Foro it., 1994, I, 3289, con nota di richiami — la sentenza è commentata da Marzanati, La Corte costituzionale alla ricerca di nuovi spazi nella composizione dei
conflitti tra diritto interno e diritto comunitario, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 1995, 158; Caranta, La Corte costituzionale giudice della
«legittimità comunitaria», in Foro amm., 1996, 389 ss. — ha ritenuto ammissibile l'impugnazione della legge regionale promossa davanti alla
Corte costituzionale stessa in via principale dal governo). Nel senso della illegittimità dell'atto, v. altresì Tar Toscana, sez. I,
22 settembre 1990, n. 830, Foro it., 1991, III, 517, con nota di richia
mi, che annulla il bando di gara che aveva fatto applicazione delle di
sposizioni interne in contrasto con la disciplina comunitaria. Diversa
Il Foro Italiano — 1996.
La concessione (qualificabile come concessione di lavori e non
come concessione di committenza o di servizi) mediante la
quale viene affidato al concessionario l'obbligo di eseguire i lavori, è illegìttima se assentita senza il rispetto delle norme
sull'aggiudicazione degli appalti di lavori. (2)
Diritto. — Nel primo motivo la società appellante assume
che la regione Friuli Venezia Giulia si sarebbe illegittimamente ed acriticamente adeguata ai rilievi dell'organo di controllo an
nullando tutti gli atti del procedimento esperito ai sensi della
1. reg. 20 maggio 1985 n. 22 e conclusosi con la aggiudicazione, a suo favore, dei lavori di ammodernamento della strada statale
251 tra Pordenone e Ponte del Giulio.
Secondo l'appellante innanzitutto la supposta incompatibilità
la soluzione prospettata da Tar Piemonte, sez. II, 8 febbraio 1989, n.
34, id., 1990, III, 203, con nota di Torchia, Il giudice disapplica ed
il legislatore reitera: variazioni in tema di rapporti tra diritto comunita
rio e diritto interno, secondo cui l'aggiudicazione effettuata sulla base
di norma interna contrastante con la disciplina comunitaria sarebbe ad
dirittura nulla. Sulla questione, in dottrina, v. Greco, Fonti comunita rie e atti amministrativi italiani, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario,
1991, 33 ss.; Caranta, Inesistenza (o nullità) del provvedimento ammi
nistrativo adottato in forza di norma nazionale contrastante con il dirit
to comunitario?, in Giur. it., 1989, III, 1, 146 ss.; Murra, Contrasto tra norma nazionale e norma comunitaria: nullità assoluta degli atti
amministrativi di applicazione della norma nazionale?, in Dir. proc. ammin., 1990, 284 ss.; Cafagno, L'invalidità degli atti amministrativi
emessi in forza di legge contraria a direttiva Cee immediatamente appli cabile, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 1992, 539 ss.
La soluzione accolta dalla odierna decisione è quella più coerente con la tesi che riconosce alla normativa comunitaria, in un'ottica di
integrazione tra ordinamenti, l'attitudine a costituire parametro legale dell'azione amministrativa. A seguito della violazione di siffatta disci
plina, l'individuazione del modo di essere della invalidità del provvedi mento amministrativo può essere condotta ricorrendo agli schemi con
sueti, sicché l'atto sarà annullabile, se — come nel caso di specie —
la norma violata disciplina l'esercizio dell'azione amministrativa; sarà invece nullo se essa è addirittura attributiva del potere (così Greco, Fonti comunitarie, cit., 35; sulla attitudine della normativa comunitaria a costituire la fattispecie normativa dell'atto amministrativo, Id., Profi li di diritto pubblico italo-comunitario, in Argomenti di diritto pubbli co italo-comunitario, Milano, 1989, 19; sulle differenze tra la tesi della
separazione e quella della integrazione, Id., Le fonti comunitarie, in
Diritto amministrativo a cura di Mazzarolli-Pericu-Romano-Roversi
Monaco-Scoca, Milano, 1993, I, 142 ss.). Nella motivazione del decisum reso dal Consiglio di Stato si afferma
che «l'eliminazione del contrasto normativo (disapplicazione) e le con nesse conseguenze amministrative costituiscono adempimento di un ob
bligo internazionale dello Stato la cui legittimità è stata ampiamente riconosciuta e di fronte al quale non può non recedere ogni altro inte resse pubblico o privato». Costituisce opinione diffusa quella secondo cui l'atto amministrativo può essere annullato in via di autotutela sol tanto nell'ipotesi in cui sussista un interesse pubblico specifico ed attua le alla eliminazione dell'atto stesso dall'ordinamento giuridico (in tal
senso, in dottrina, v. Ghetti, Annullamento d'ufficio dell'atto ammini
strativo, voce del Digesto pubbl., Torino, 1987, I, 268; Modugno, An nullabilità e annullamento (dir. pubbl.), voce dell' Enciclopedia giuridi ca Treccani, Roma, 1988, II, 6-7; in giurisprudenza: Tar Molise 29 no vembre 1984, n. 273, Foro it., Rep. 1985, voce Atto amministrativo, n. 105; Tar Abruzzo 7 maggio 1985, n. 200, ibid., voce Istruzione pub blica, n. 387; Cons. Stato, sez. VI, 13 gennaio 1983, n. 2, id., Rep. 1983, voce Atto amministrativo, n. 134; nel senso invece della doverosi tà dell'annullamento ove non vi siano posizioni giuridiche consolidate, v. Cons. Stato, sez. VI, 28 novembre 1992, n. 950, ibid., n. 350; 19 dicembre 1986, n. 937, id., Rep. 1987, voce cit., n. 155). L'annullamen to d'ufficio dell'atto amministrativo che si fonda su norme interne da
disapplicare pare invece qualificato come dovuto dalla decisione che si riporta, onde sembra configurarsi una nuova ipotesi di annullamento
obbligatorio (v. su tale figura Cannada-Bartoli, Annullabilità e an
nullamento, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Milano, II, 488; A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, 730).
Il problema dell'annullamento d'ufficio obbligatorio, sotto un profi lo più generale, involge temi ulteriori e delicati. In primo luogo, l'an nullamento non discrezionale ed indipendente dalla valutazione di inte ressi pubblici e privati pare assumere caratteri assai prossimi all'eserci zio di una funzione di controllo. Inoltre, alla luce della normativa più recente, si prospetta la questione della possibilità, per il concorrente che non sia risultato aggiudicatario, di esperire l'azione per il risarei
This content downloaded from 188.72.126.196 on Wed, 25 Jun 2014 07:04:34 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
tra la 1. reg. 22/85 e la normativa comunitaria (direttive 305/71
e 440/89) non avrebbe comunque dovuto comportare l'autoan
nullamento degli atti regionali adottati in piena aderenza alla
legge. In secondo luogo l'appellante assume che le regioni a statuto
speciale goderebbero di ampi margini di autonomia nella appli cazione del diritto comunitario specie in materie affidate alla
loro competenza legislativa esclusiva.
Da ultimo critica la decisione di primo grado poiché il tribu
nale non si sarebbe dato carico del fatto che nella specie si trat
tava di una concessione di committenza e di servizi, come tale
non ricompresa nell'ambito della normativa comunitaria.
In ogni caso, poi, l'amministrazione avrebbe dovuto attivare
la procedura di cui all'art. 36, 2° comma, d.p.r. 25 novembre
1975 n. 902 e cioè, di fronte al rifiuto di registrazione della
sezione di controllo, chiedere la pronuncia delle sezioni riunite
dalla Corte dei conti.
Quanto al primo profilo e cioè alle conseguenze da adottare
in caso di contrasto tra diritto interno e comunitario i rilievi
dell'appellante non appaiono fondati.
Costituisce ormai insegnamento assolutamente consolidato il
principio che nel contrasto tra diritto interno e comunitario,
la prevalenza spetta al diritto comunitario anche se la norma
interna confliggente venga emanata in epoca successiva (Corte cost. 170/84, Foro it., 1984, I, 2062); che la Corte di giustizia delle Comunità europee ha la funzione di interpretare dei prin
cipi di diritto comunitario equiparabili alle norme quanto al
l'obbligo di osservanza degli Stati membri e quindi in funzione
di fonte suppletiva di diritto (dee. 113/85, id., 1985, I, 1600); che la applicazione del diritto comunitario avviene in via diretta
in luogo di quello interno da disapplicare e che tale disapplica zione fa carico non solo al giudice, ma anche agli organi della
pubblica amministrazione nello svolgimento della loro attività
amministrativa e cioè anche d'ufficio indipendentemente da sol
lecitazioni o richieste di parte (dee. 389/89, id., 1989, I, 1076; 168/91, id., 1992, I, 660).
Pertanto, una volta acclarato il contrasto in esame, non esi
steva altra scelta per l'amministrazione che la disapplicazione
mento del danno ai sensi dell'art. 13 1. 19 febbraio 1992 n. 142, legge comunitaria per il 1991, il quale dispone che «i soggetti che hanno subi
to una lesione a causa di atti compiuti in violazione del diritto comuni
tario in materia di appalti pubblici di lavori o forniture e delle relative
norme interne di recepimento possono chiedere all'amministrazione ag
giudicatrice il risarcimento del danno. La domanda di risarcimento è
proponibile dinanzi al giudice ordinario da chi ha ottenuto l'annulla
mento dell'atto lesivo con sentenza del giudice amministrativo» (la nor
ma dà attuazione all'art. 2 della direttiva del consiglio delle Comunità
europee del 21 dicembre 1989 n. 665; v. altresì art. 11 1. 23 febbraio
1994 n. 146, che prevede l'estensione delle disposizioni di cui agli art.
12 e 13 1. 142/92 anche agli appalti di servizi; art. 30 d.leg. 17 marzo
1995 n. 157, che opera tale estensione; art. 11 1. n. 489 del 1992, che
dispone l'applicazione della disciplina dell'art. 13 1. 142/92 alle proce dure di appalto degli enti costituiti in forma di s.p.a.; si noti come
nella c.d. Merloni bis 1. 2 giugno 1995 n. 216, sia scomparso il richiamo
all'art. 13 1. 142/92 previsto dall'art. 32 della precedente 1. 109/94). Ove ci si collochi nella prospettiva di interpretazione strettamente lette
rale, la soluzione non potrebbe che essere negativa. Ragioni di equità — il soggetto escluso non potrebbe chiedere l'annullamento giurisdizio nale di un atto già caducato in via di autotutela — sembrerebbero tut
tavia deporre a favore di un'interpretazione estensiva. Si noti però che, ove l'annullamento d'ufficio l'atto in contrasto con il diritto comunita
rio ma conforme alla normativa interna sulla cui base esso è stato ema
nato, dovesse ritenersi, come pare prospettare il Consiglio di Stato, «do
vuto», si profilerebbe la possibilità in capo al privato di ottenere, anche
successivamente alla scadenza del termine di decadenza per l'impugna zione del provvedimento, l'annullamento d'ufficio al fine di richiedere
il risarcimento. In tal guisa, l'amministrazione sarebbe perennemente
esposta al rischio di azioni di risarcimento in forza dell'obbligo di an
nullare d'ufficio l'atto: l'interpretazione letterale dell'art. 13, che preve de l'annullamento da parte del giudice amministrativo, in questo conte
sto, parrebbe allora quella più corretta.
(2) La decisione, rifiutando la tesi secondo cui sarebbero sottratte
alla disciplina di ispirazione comunitaria le ipotesi caratterizzate dal tra
sferimento al concessionario di pubblici poteri, afferma in primo luogo che è concessione di sola costruzione, equiparata all'appalto ex 1. 584/77,
quella che comporta la esecuzione dell'opera e non la sua gestione pur
Il Foro Italiano — 1996.
della norma interna. Nel caso in cui (come nella specie) si fosse
ro adottati atti o provvedimenti in applicazione o in conseguen za della norma da disapplicare non poteva che discendere il lo
ro annullamento per la riconosciuta inoperatività della base nor
mativa su cui poggiavano. Del pari ininfluente è l'argomentazione basata su una suppo
sta autonomia delle regioni a statuto speciale rispetto al diritto
comunitario.
Anche questa questione è stata da tempo affrontata e risolta
dalla Corte costituzionale la quale, chiamata ad esprimersi circa
la obbligatorietà della 1. 8 agosto 1977 n. 584. ha affermato
che le disposizioni fondamentali ivi contenute sono applicabili anche alle regioni a statuto speciale per la decisiva considerazio
ne che la legge stessa costituiva un puntuale adempimento dello
Stato agli obblighi internazionali alla cui osservanza sono tenu
te anche le regioni a statuto speciale e ciò indipendentemente dal fatto che tale normativa costituisse per essi una legge qua dro oppure no (v. dee. 26 luglio 1979, n. 86, id., 1980, I, 18).
Ciò premesso, non appare decisivo il richiamo, contenuto an
che nel terzo motivo di ricorso, alla potestà legislativa primaria
spettante in materia alla regione perché, così come la disappli cazione investe la legge nazionale, alla stessa stregua non può non vulnerare anche la operatività della legge regionale. Di con
seguenza, il problema che residua è quello di verificare la com
patibilità tra la 1. reg. 20 maggio 1985 n. 22 e la normativa
comunitaria.
Ciò che viene in discussione nella fattispecie è la previsione contenuta nell'art. 14 1. reg. 22/85 secondo cui, qualora l'affi
damento per la esecuzione di opere di viabilità avvenga tramite
il sistema della concessione e con il concorso finanziario regio nale non inferiore al 35%, la scelta del concessionario può esse
re effettuata tra imprese e consorzi di imprese con preferenza tra consorzi e associazioni temporanee costituiti con la parteci
pazione, almeno del 40%, di imprese aventi sede legale nel ter
ritorio nazionale.
Qualora poi l'amministrazione si avvalga di tale facoltà può
procedere all'affidamento a trattativa privata sulla base di gare
esplorative volte ad identificare l'offerta economicamente più
se comprendente una o più attività amministrative preliminari o colle
gate alla esecuzione medesima (progettazione, studio, acquisizione delle
aree, valutazione di impatto ambientale). Sotto altro profilo, il Consiglio di Stato nega che possa qualificarsi
come concessione di committenza o di servizi quella in cui il concessio
nario, assumendo una tipica obbligazione di risultato, garantisce la rea
lizzazione dell'opera. La precisazione non è irrilevante, giacché è stata
affacciata in giurisprudenza la tesi che ammette l'affidamento anche
a trattativa privata della concessione di committenza, sostanzialmente
eludendo la più rigida disciplina comunitaria (v., ad es., nel senso che
la concessione per la costruzione di un'opera pubblica possa essere le
gittimamente assentita senza il rispetto delle norme sull'aggiudicazione
degli appalti, nelle ipotesi in cui il concessionario non abbia l'obbligo della esecuzione dei lavori, Tar Campania, sez. II, 22 aprile 1992, n.
83, Foro it., 1993, III, 301, con nota di Fracchia; secondo Corte con
ti, sez. contr., 20 febbraio 1992, n. 13, ibid., 300, invece, anche la
concessione che non comporti l'esecuzione dell'opera dovrebbe essere
assentita in base a gara; per altre indicazioni di dottrina e giurispruden za, v. la citata nota di richiami a Tar Campania, sez. II, 22 aprile 1992, n. 83; per l'assimilazione della concessione di servizi al mandato, v. Tar Veneto, sez. I, 21 aprile 1992, n. 139, id., Rep. 1992, voce Con
tratti della p.a., n. 180). Si noti che, alla luce della normativa vigente, risultano espunte dal
nostro ordinamento sia la concessione di sola costruzione (l'art. 4, 2°
comma, d.leg. 406/91 definisce le concessioni di lavori pubblici «i con
tratti aventi gli oggetti di cui al 1° comma caratterizzati dal fatto che
la controprestazione a favore dell'impresa o dell'ente concessionario con
siste unicamente nel diritto di gestire l'opera oppure in questo diritto
accompagnato da un prezzo»; l'art. 19, 2° comma, 1. 11 febbraio 1994
n. 109, legge quadro in materia di lavori pubblici, modificata dal d.l.
3 aprile 1995 n. 101, convertito in 1. 3 giugno 1995 n. 216, stabilisce
che «le amministrazioni aggiudicatrici affidino in concessione i lavori
pubblici esclusivamente nel caso in cui la concessione abbia ad oggetto, oltre alla esecuzione, anche la gestione delle opere»), sia la concessione
di committenza (l'art. 19, 3° comma, 1. 11 febbraio 1994 n. 109 stabili
sce che le amministrazioni aggiudicatrici non possono affidare a sogget ti pubblici o di diritto privato l'espletamento delle funzioni e delle atti
vità di stazione appaltante di lavori). [F. Fracchia]
This content downloaded from 188.72.126.196 on Wed, 25 Jun 2014 07:04:34 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
PARTE TERZA
vantaggiosa secondo i criteri della 1. 8 agosto 1977 n. 584 e
successive modificazioni.
Al riguardo il collegio rileva che le disposizioni anzidette con
fliggono con precise norme comunitarie ed in particolare con
gli art. 30, 59 e 92 del trattato di Roma e con la direttiva 305/71
come modificata dalla direttiva 440/89 e recepita dapprima con
la 1. 8 agosto 1977 n. 584 e di poi con il d.leg. 19 dicembre
1991 n. 406.
Il contrasto con i cennati articoli del trattato non abbisogna di particolare illustrazione in quanto la fattispecie è stata esami
nata dalla Corte di giustizia delle Comunità europee con le de
cisioni 20 marzo 1990, in causa 21/88 (id., 1991, IV, 48) e 3 giugno 1992, in causa 360/89 (id., 1993, IV, 77).
In entrambi i casi si trattava di valutare la compatibilità con
il trattato di Roma di norme nazionali italiane le quali, in tema
di appalti pubblici di fornitura e di lavori, stabilivano riserve
a favore di imprese ad ubicazione regionale. In particolare, si
trattava di valutare la coerenza comunitaria dell'art. 17 1. 1°
marzo 1986 n. 64; il quale, al 15° e 17° comma, prevedeva una riserva di forniture a favore di imprese aventi sedi nel Mez
zogiorno. In quella occasione (dee. 20 marzo 1990, cit.) la Cor
te di giustizia ha affermato che riservare una percentuale a fa
vore di imprese locali costituisce una misura che ostacola gli scambi intracomunitari. È stato inoltre affermato che la even
tuale finalità della norma, intesa a favorire imprese collocate
in aree bisognose di sviluppo economico, quando anche potesse essere ricondotta ai principi dell'art. 92, 3° comma, lett. a), del trattato, non potrebbe comunque giovare, in quanto l'appli cazione dell'art. 92 citato non potrebbe mai sortire l'effetto di
impedire od eludere i principi fondamentali della Comunità eu
ropea in tema di libera circolazione delle merci.
In un successivo giudizio la Corte di giustizia è stata chiama
ta ad esprimersi sugli art. 2, 1° comma, e 3, 3° comma, 1. 17
febbraio 1987 n. 80. La prima di queste disposizioni prevede che i concessionari di programmi di costruzioni pubblici, incari
cati della progettazione, della acquisizione delle aree, della ese
cuzione dei lavori e della manutenzione, debbono riservare una
quota tra il 15 e il 30% dell'importo lavori da affidare sostan
zialmente in subappalto ad imprese locali. La seconda disposi zione prevede invece che nella scelta degli anzidetti concessiona
ri venga data la preferenza ad associazioni temporanee e con
sorzi in cui fossero presenti imprese che svolgessero la loro
prevalene attività nell'ambito della regione dove si svolgevano i lavori.
Entrambe le norme sono state ritenute in contrasto con il
diritto comunitario (v. dee. 3 giugno 1992, cit.). La prima poi ché riservando una aliquota ai subappaltatori locali confliggeva con l'art. 59 del trattato introducendo una discriminazione ri
spettivamente a danno delle imprese stabilite negli altri Stati
membri ed a favore esclusivo di una categoria di imprese italiane.
La seconda poiché introduceva una preferenza a favore dei
consorzi ed associazioni ove fossero presenti imprese locali per
gli stessi motivi esposti in precedenza. Inoltre, quest'ultima di
sposizione è stata anche censurata in quanto introduceva un
meccanismo di scelta a procedura ristretta di cui era indicato
un requisito preferenziale (presenza di imprese locali) non pre visto dalla direttiva 305/71 agli art. 17 e 23-26.
Ciò premesso, il collegio rileva come appaiano evidenti le cor
rispondenze tra le norme anzidette, giudicate contrastanti con
il diritto comunitario, ed il contenuto dei citati art. 14 e 15
1. reg. Friuli-Venezia Giulia 22/85. Anche in questo caso (art. 14, 1° comma) si tratta di conces
sionari ai quali sono affidati taluni compiti, definiti bensì come pubbliche funzioni ed in parte elencati dall'art. 14, 3° comma, ma che comunque sono riconducibili soltanto alla costruzione
dell'opera e non alla sua gestione, analogamente a quanto pre visto nell'art. 1 1. 80/87. In ambedue i casi si è quindi in pre senza di concessioni di costruzione.
Anche in questo caso (art. 14, 2° comma) viene introdotta
una clausola di preferenza a favore di associazioni temporanee e consorzi con la partecipazione di imprese locali (v. in corri
spondenza l'art. 3, 3° comma, 1. 80/87). Nella fattispecie in esame, poi, la violazione della direttiva
305/71 è ancora più evidente. Invero, ai sensi della 1. 80/87
Il Foro Italiano — 1996.
la scelta del concessionario, ancorché falsata dal requisito della
presenza di imprese locali, avveniva pur sempre secondo una
procedura ristretta comunitaria (v. art. 3, 1° comma, ed art.
5 1. 80/87), laddove nel caso in esame l'art. 14, 3° comma,
1. reg. 22/85 prevede che l'amministrazione possa affidare la
concessione a trattativa privata previa una semplice gara esplo
rativa. In proposito non può non rilevarsi come nel sistema del
diritto comunitario recepito dalla 1. 584/77 e dal d.leg. 406/91,
la trattativa privata ha carattere eccezionale rispetto alle proce dure aperte e ristrette che costituiscono la regola e quindi può essere adottata solo in casi specificatamente elencati (v. art. 5
e 9 direttiva 305/71, art. 1, punto 6, direttiva 440/89, art. 5
1. 584/77, art. 9 d.leg. 406/91, art. 7, 2° e 3° comma, direttiva
37/93). È evidente quindi la duplice violazione delle norme comunita
rie dianzi citate operata dalla 1. reg. 22/85, dapprima per avere
introdotto un criterio preferenziale discriminante a favore di im
prese locali e di poi per avere previsto una ipotesi di trattativa
privata al di là dei casi eccezionali tassativamente elencati.
Del tutto irrilevanti sono le argomentazioni dell'appellante il
quale fa leva sull'avvenuto interpello di altre imprese a dimo
strazione del rispetto delle regole di concorrenza. Al riguardo va osservato che le cosiddette gare esplorative di cui all'art. 14, 3° comma, 1. reg. 22/85, non costituiscono espressione di un
procedimento di scelta basato su una gara, ma hanno la sola
funzione, come si evince dal testuale tenore della norma, di for
nire alla amministrazione la situazione del mercato per indiriz
zarsi poi nel modo migliore alla trattativa privata. Alla luce delle suesposte argomentazioni risulta evidente il con
trasto della 1. reg. 22/85 non solo con le norme comunitarie
(direttive 305/71 e 440/89) che hanno disciplinato la libera cir
colazione di servizi nel mercato degli appalti di lavori pubblici
(e ciò di per sé è già decisivo), ma anche con le norme nazionali
di recepimento delle anzidette direttive (L. 584/77 e d.leg. 406/91,
cit.) in cui sono minuziosamente disciplinati i vari procedimenti di gara a partire dagli obblighi di pubblicità per passare alla
prequalificazione, alla fase di aggiudicazione ed al controllo delle
offerte.
Ciò premesso, non giovano all'appellante le argomentazioni basate sulla necessità di provocare il riesame del rilievo della
Corte dei conti o di motivare l'interesse pubblico all'annulla
mento di atti già perfezionatisi.
Quanto alla prima obiezione va osservato che i cosiddetti ri
lievi ufficiosi di legittimità della Corte dei conti, così come in
genere i rilievi degli altri organi di controllo, hanno la funzione
di estrinsecare al controllato i profili di illegittimità che il con
trollore ritiene di avere individuato sulla base degli elementi di
fatto e di diritto esaminati, ma senza pretesa di definitività.
Di fronte al rilievo, che si accompagna ad una richiesta di
chiarimenti, il controllato può riconoscerne la esattezza ed ade
guarsi ad esso, ad esempio ritirando o modificando il provvedi
mento, ovvero insistere nella propria soluzione della questione fornendo gli ulteriori elementi e chiarimenti che ritenga oppor tuni (v. ad esempio anche l'art. 45, 2° comma, e 59, 2° comma, 1. 10 febbraio 1963 n. 62, e l'art. 46, 4° comma, 1. 8 giugno 1990 n. 142).
Le norme di attuazione dello statuto della regione Friuli
Venezia Giulia prevedono poi un procedimento particolare e di
verso, ma con funzione del tutto analoga.
Invero, l'art. 58 dello statuto regionale demanda il controllo
di legittimità degli atti amministrativi regionali ad una delega zione della Corte dei conti e l'art. 36 delle norme di attuazione
(d.p.r. 902/75), al 1° comma, richiama l'art. 24 t.u. 1214/34 ed al 2° comma prevede che in caso di rifiuto di registrazione la giunta regionale può chiedere una delibera delle sezioni riunite.
Dall'esame della anzidetta disposizione risulta evidente come
la richiesta di riesame da parte delle sezioni riunite è una facol
tà della giunta e non un suo obbligo e che viene ovviamente
esercitata ove persistano incertezze sulla legittimità o meno del
l'atto sottoposto a controllo. Ove tali incertezze non sussistano
(come nella specie) non si scorge perché occorrerebbe comun
que investire le sezioni riunite come se si trattasse di una fase
necessaria del procedimento di controllo.
Al contrario, va ribadito che trattasi di fase meramente even
This content downloaded from 188.72.126.196 on Wed, 25 Jun 2014 07:04:34 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
tuale la cui instaurazione è rimessa alla volontà del soggetto controllato in relazione soltanto alla ritenuta fondatezza dei ri
lievi di legittimità e quindi indipendentemente dalla circostanza
della efficacia od operatività degli atti assoggettati al controllo.
Nella specie peraltro sembra che neppure si fosse pervenuti al formale rifiuto di registrazione da parte della delegazione, ma solo alla fase del rilievo ufficioso al quale l'amministrazio
ne, riconosciutane la fondatezza, ha correttamene ritenuto di
adeguarsi così come in suo potere e facoltà. Ed invero, sia nel
decreto dell'assessore regionale 24 novembre 1992 n. 580/VTP,
sa nella delibera di giunta regionale n. 6815 del 22 dicembre
1992, l'amministrazione prende atto della illegittimità della pro cedura di affidamento in violazione degli obblighi comunitari recepiti con la 1. 584/77 e decide di annullarla senza attendere
una espressa pronuncia di rifiuto di registrazione da parte della
delegazione. Nel secondo e terzo motivo di ricorso la ricorrente con varie
argomentazioni sostiene che comunque ad essa non avrebbe do
vuto applicarsi la normativa comunitaria. Invero, la fattispecie che la riguardava avrebbe concretato non già una concessione
di sola costruzione equiparabile all'appalto ex art. 1, 2° com
ma, 1. 584/77, bensì una concessione di committenza o di servi
zi, secondo quanto ritenuto anche dalla giurisprudenza di que sto consiglio e, in quanto tale, fuori dal campo di applicazione del diritto comunitario. Tale caratteristica sarebbe dimostrata
dal trasferimento al concessionario di pubblici poteri previsto dall'art. 14, 1° comma, 1. reg. 22/85 e concretamente poi attua
to nella convenzione 8 luglio 1992, rep. 5879.
In proposito il collegio osserva che la espressione «concessio
ne di sola costruzione» contenuto nel citato art. 1,2° comma,
1. 584/77, va interpretato in relazione al disposto della direttiva
citata 305/71 alla quale la 1. 584/77 dichiarava di costituire ade
guamento. Orbene, l'art. 3 della citata direttiva 305/71 definiva
quale contratto di concessione soltanto quello in cui la contro
prestazione per i lavori da eseguire fosse costituita dal diritto
di gestire l'opera ovvero in questo diritto accompagnato da un
prezzo. «In tutti gli altri casi — proseguiva la direttiva — il
ricorso alle procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori
pubblici è obbligatorio». In altri termini il diritto comunitario
qualificava «concessione» soltanto quella che per il nostro dirit
to interno si sarebbe definita come concessione di costruzione
e gestione, e soltanto essa veniva esclusa dalla direttiva, fermo
restando che ogni altra fattispecie di realizzazione di lavori pub blici che non comportasse anche la gestione delle opere doveva
essere assoggettata al regime delle gare comunitarie.
Da tale premessa è agevole interpretare la espressione del
l'art. 1, 2° comma, 1. 584/77, in coerenza con il dettato comu
nitario ritenendo che la categoria della «concessione di sola co
struzione» individui ed abbracci tutte le ipotesi in cui l'attività
del concessionario riguarda soltanto la costruzione dell'opera,
ma non anche la sua successiva gestione. Il collegio peraltro non ignora che di fronte a questa esegesi,
corretta e coerente con il dettato comunitario, ne venne suggeri ta un'altra che peraltro non venne basata sul disposto del dirit
to comunitario cui occorreva adeguarsi, bensì su altri principi di diritto interno. In particolare, si argomentò nel senso che
l'istituto della concessione di opere pubbliche, così come for
mulato nella 1. 24 giugno 1929 n. 1137, prevede tanto la conces
sione di costruzione che quella di costruzione e gestione, con
cessioni ambedue caratterizzate dal trasferimento al concessio
nario di pubblici poteri. Tale trasferimento, più evidente nel caso di gestione, non di
fetterebbe anche nell'altra e consisterebbe nelle attività di pro
gettazione, esproprio, direzione lavori, collaudo, ecc., e varreb
be a differenziare il concessionario di opere pubbliche, quale
soggetto che quindi esercita anche pubblici poteri, dall'appalta
tore puro e semplice cui tali poteri non sono stati attribuiti.
Di conseguenza, il citato art. 1, 2° comma, 1. 584/77 avrebbe
dovuto interpretarsi nel senso che per concessione di sola co
struzione equiparata all'appalto dovevano intendersi solo quelle
forme di concessione che non trasferivano al concessionario al
cun pubblico potere. Nelle concessioni con trasferimento di po
teri sarebbero quindi rientrate due sottocategorie: quelle di ge
stione e quelle di costruzione senza gestione ma accompagnate
dall'esercizio di pubblici poteri.
Il Foro Italiano — 1996.
In altri termini, la categoria «concessione di sola costruzio
ne» avrebbe costituito un tertium genus ravvisabile in pratica in tutti i casi di appalto mascherato da concessione.
Tale interpretazione, benché sostenuta da varie amministra
zioni, si poneva in insanabile contrasto con il disposto comuni
tario perché in pratica escludeva dalle gare la maggior parte delle opere pubbliche di un certo rilievo ed è stata rapidamente
superata dalla giurisprudenza sia della Corte dei conti, che di
questo consiglio (v. Corte conti, sez. contr. Stato, 15 luglio 1983, n. 1370, id., 1984, III, 476 e Cons. Stato, sez. Ili, 15 aprile
1986, n. 582, id., Rep. 1988, voce Opere pubbliche, n. 134). È stato quindi affermato che la concessione di sola costruzio
ne equiparata all'appalto ex art. 1 1. 584/77 è quella che com
porta la esecuzione dell'opera e non la sua gestione pur se com
prendente una o più attività amministrative preliminari o colle
gate alla esecuzione medesima (progettazione, studio, acquisizione delle aree valutazione di impatto ambientale, ecc.).
Se ora si esaminano i cosiddetti pubblici poteri attribuiti al
concessionario dall'art. 14 1. reg. 22/85 e se ne riscontrano le
specificazioni contenute nella convenzione 8 luglio 1992 n. 5879,
ci si avvede che gli art. 2, 3, 4, 7 della convenzione citati dal
l'appellante contemplano quelle attività di studio, progettazio
ne, acquisizione di aree, vigilanza lavori ed altro le quali risul
tano tutte preliminari e/o collegate alla esecuzione dell'opera e ciò a partire dagli studi preliminari e dalla acquisizione di
pareri per finire alla consegna ed alla manutenzione. Si tratta
cioè di poteri ed attività i quali, alla luce di una corretta esegesi del citato art. 1 1. 584/77, non valgono a sottrarre la concessio
ne in esame dall'ambito di applicazione della normativa comu
nitaria. Sostiene peraltro ulteriormente l'appellante che nella specie
la applicabilità del diritto comunitario sarebbe esclusa poiché
neppure di concessione di costruzione si tratterebbe, bensì di
una concessione di committenza o di servizi.
Anche tale assunto non può essere condiviso.
Con la espressione «concessione di committenza» o «conces
sione di servizi» si sono volute qualificare tutte quelle fattispe cie in cui il concessionario di un'opera pubblica non eseguiva direttamente in proprio la costruzione della stessa, ma la faceva
eseguire a terzi soggetti, mentre si riservava di espletare tutti
i compiti tipici di una stazione appaltante (quali la ricerca di
finanziamenti, gli studi, la progettazione, gli espropri la direzio
ne lavori, i collaudi, ecc.). Ammessa la teorica possibilità di tale categoria di concessio
ne, i problemi che si ponevano erano di due generi. Innanzitut
to ci si chiedeva come dovessero essere scelti dal concessionario
di committenza gli esecutori dell'opera se cioè nel rispetto o
meno delle procedure di gare comunitarie. In proposito si rile
vava che, se il concessionario fosse stato un soggetto pubblico, non era dubbio che esso avrebbe dovuto applicare la 1. 584/77
nella scelta degli esecutori dell'opera. Alle stesse conclusioni pe raltro pervenne la giurisprudenza anche nel caso di concessiona
rio privato (v. Cons. Stato, sez. Ili, 15 aprile 1986, n. 582,
cit.; Cass., sez. un. 29 dicembre 1990, n. 12221, id., 1991, I, 3405).
Restava da chiarire come il concessionario di committenza
dovesse essere scelto. A tale proposito, nel caso di concessiona
rio pubblico si riteneva che non dovesse farsi luogo a procedure di gara poiché, malgrado il nomen iuris di concessione, si sa
rebbe in realtà concretata una forma di delegazione intersogget tiva. Nel caso invece di concessionario privato si riteneva che
tale fattispecie esulasse dalle previsioni della direttiva 305/71,
e della 1. 584/77 e che quindi potesse essere affidato anche a
trattativa privata al di là dei casi tassativi previsti nelle anzidet
te disposizioni. Si trattava peraltro di determinare quando ci si trovava di
fronte ad una vera concessione di servizi (o di committenza che
dir si voglia) fuori dal campo di applicazione del diritto comu
nitario e quando si trattava invece di una concessione di costru
zione accompagnata da attività e poteri pubblici rientrante nelle
previsioni della 1. 584/77. In proposito, la giurisprudenza di
questo consiglio, dopo aver riconosciuto la esistenza e la legitti
mità del ricorso a tale categoria di concessione come istituto
di carattere generale (v. sez. Ili 30 novembre 1992, n. 703/92
e 4 dicembre 1990, n. 192/90, id., Rep. 1991, voce Contratti
This content downloaded from 188.72.126.196 on Wed, 25 Jun 2014 07:04:34 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
PARTE TERZA
della p.a., n. 174), ha affermato che la caratteristica della con
cessione di servizi consiste nell'essere una obbligazione di mezzi
e non di risultato.
In altri termini il concessionario di committenza si limita a
prestare una serie di servizi (tra cui è compreso anche quello di esperire le procedure di scelta dell'appaltatore), ma né realiz
za esso l'opera e neppure ne garantisce l'adempimento da parte
dell'appaltatore. Il concessinario quindi effettua prestazioni pro
fessionali e come tale viene remunerato assumendo una tipica
obbligazione di mezzi, a differenza dell'appaltatore o del con
cessionario di costruzione che assumono tipiche obbligazioni di
risultato (v. sez. II 16 gennaio 1991, n. 1311, id., Rep. 1992,
voce Opere pubbliche, n. 138 e sez. Ili 4 dicembre 1990, cit.). La fattispecie in esame non presenta peralto le caratteristiche
di una concessione di servizi.
Invero, la concessione citata 8 luglio 1992, n. 5879 all'art.
2, 8° comma, prevede che lo stesso concessionario esegua i la
vori, inoltre con apposita cauzione ne garantisce la buona ese
cuzione (v. art. 3, 6° comma) e, in caso di imperizia o negligen za nella esecuzione, può essere dichiarato decaduto (v. art. 14).
Trattasi quindi di una ordinaria concessione di costruzione in
cui il concessionario esegue in proprio i lavori e neppure può cedere in tutto o in parte la concessione a terzi senza autorizza
zione della amministrazione concedente, pena la decadenza (v. art. 14 cit.).
Rimane da esaminare il richiamo, contenuto nel secondo mo
tivo di ricorso, alle disposizioni del d.leg. 19 dicembre 1991 n.
406 e precisamente all'art. 1, 4° comma, da cui l'appellante vorrebbe dedurre la inapplicabilità del predetto decreto o quan to meno una larga autonomia in sede di applicazione a favore
delle regioni a statuto speciale.
L'argomento non ha pregio in quanto l'art. 1, 4° comma,
d.leg. 406/91 riproduce in sostanza il 3° comma dell'art. 1 1.
584/77. Viene infatti stabilito che le disposizioni contenute nel
decreto e relative a varie materie costituiscono legge quadro per le regioni a statuto ordinario. Tale previsione peraltro non può essere intesa, argomentando a contrario, nel senso della non
vincolatività delle norme anzidette per le regioni a statuto spe ciale. Al riguardo, va osservato che l'art. 9 1. 9 marzo 1989
n. 86 stabilisce che le regioni a statuto speciale possono dare
immediata attuazione alle direttive comunitarie e che comun
que, in difetto, si applicano tutte le disposizioni dettate per l'a
dempimento degli obblighi comunitari dalle leggi dello Stato.
Da ciò si evince il principio della obbligatorietà del diritto
comunitario per le regioni a statuto speciale, come peraltro già riconosciuto in via di massima nella citata decisione della Corte
costituzionale n. 86 del 26 luglio 1979 (id., 1980, I, 18) in quan to la esistenza di obblighi internazionali costituisce limite anche
alla potestà legislativa esclusiva propria delle regioni a statuto
speciale. Da ciò discende anche per tali regioni l'obbligo di ade
guare la propria legislazione al diritto comunitario ed infine che
le ipotesi di contrasto tra leggi regionali e norme o principi co
munitari vanno risolte in chiave di disapplicazione delle prime, così come si verifica per le leggi statali.
Da ultimo l'appellante si richiama all'art. 31 della direttiva
Cee 14 giugno 1993 n. 37. Tale articolo fa salva, sino al 31
dicembre 1992, l'applicazione delle disposizioni nazionali il cui
obiettivo consiste nella riduzione delle disparità regionali e nella
promozione della occupazione nelle regioni meno favorite e col
pite da declino industriale.
Innanzitutto va osservato in proposito che la disposizione è
dettata allo scopo di favorire le aree comunitarie depresse e tale
non appare in Italia la situazione obiettiva della regione Friuli
Venezia Giulia. In secondo luogo, anche prescindendo da tale
considerazione, il citato art. 31 espressamente dichiara di fare
salve le anzidette disposizioni nazionali purché siano compatibi li con il trattato ed in particolare con i principi della esclusione
di discriminazione in base alla nazionalità e (ciò che attiene alla
fattispecie) della libera prestazione di servizi.
Il legislatore comunitario in sostanza ha riprodotto il conte
nuto dell'art. 92 del trattato nella parte in cui sono previsti aiuti
comunitari alle regioni meno favorite precisandone tuttavia l'am
bito di applicazione in base alla interpretazione fornitane dalla
Corte di giustizia.
Il Foro Italiano — 1996.
Quest'ultima, come già osservato (v. decisioni 5 giugno 1986,
in causa 103/84, id., Rep. 1987, voce Comunità europee, n.
220; 20 marzo 1990, in causa 21/88, cit.) aveva rilevato che
il regime degli aiuti non può comunque costituire elusione alla
libera circolazione delle merci. Nella specie, si tratta dell'analo
go e parallelo principio di libera circolazione dei servizi che in
sieme alle merci ed ai capitali costituisce la finalità primaria della creazione del mercato comunitario sancita nell'art. 59 del
trattato. Coerentemente quindi l'art. 31 della direttiva 37/93
si dà espressamente carico anche della inderogabilità dei princi
pi di cui all'art. 59 del trattato.
Gli aiuti particolari anzidetti pertanto non possono mai con
sentire deroghe al principio delle gare comunitarie.
Quanto finora esposto consente di respingere anche il terzo
motivo di ricorso poiché, di fronte all'obbligo di disapplicazio ne facente carico alla amministrazione in conseguenza del rile
vato conflitto del diritto interno con quello comunitario, la stessa
non poteva trovare ostacoli nella presenza di interessi pubblici o privati e neppure aveva a disposizione possibilità alternative.
Invero, non va dimenticato che a monte dell'istituto della di
sapplicazione sussiste una riconosciuta violazione degli obblighi comunitari e cioè una fonte di responsabilità internazionale del
lo Stato cui si accompagna sul piano interno anche una fonte
di responsabilità civile della amministrazione (v. art. 12 1. 19
febbraio 1992 n. 142). L'eliminazione del contrasto normativo e le connesse conse
guenze amministrative costituiscono quindi adempimento di un
obbligo internazionale dello Stato la cui legittimità costituzio
nale è stata ampiamente riconosciuta e di fronte al quale non
può non recedere ogni altro interesse pubblico o privato. Per le suesposte argomentazioni l'appello deve essere respinto.
I
CONSIGLIO DI STATO; sezione IV; decisione 2 gennaio 1996, n. 22; Pres. ed est. Venturini; Min. grazia e giustizia (Avv. dello Stato Di Palma) c. Imparato (Aw. Zaccagnini). An
nulla Tar Lazio, sez. I, 22 giugno 1994, n. 1000.
Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Primo dirigente e dirigente superiore — Distinzione fra le qualifiche — Rifor
ma del pubblico impiego — Permanenza interinale (D.p.r. 30 giugno 1972 n. 748, disciplina delle funzioni dirigenziali nelle amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento auto
nomo, art. 15; d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29, razionalizzazione
dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisio
ne della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma
dell'art. 2 1. 23 ottobre 1992 n. 421, art. 15, 22, 31, 74).
Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Dirigente superio re — Attribuzione delle funzioni proprie della qualifica e tra
sferimento — Legittimità (D.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, statu
to degli impiegati civili dello Stato, art. 32; d.p.r. 30 giugno 1972 n. 748, art. 15; d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29, art. 15,
22, 31, 74).
In attesa della individuazione dei nuovi uffici dirigenziali e del
l'attribuzione della nuova qualifica unica di dirigente ex art.
22 e 31 d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29, è conservata tempora
neamente, ai sensi dell'art. 74 stesso decreto, la precedente
This content downloaded from 188.72.126.196 on Wed, 25 Jun 2014 07:04:34 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions