sezione IV; decisione 26 febbraio 1985, n. 63; Pres. De Roberto, Est. Lignani; Gianella (Avv. DalPiaz, Biagini) c. Comune di Biella (Avv. Siniscalco, Guarino). Annulla T.A.R. Piemonte 31gennaio 1984, n. 17Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 9 (SETTEMBRE 1985), pp. 329/330-335/336Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178046 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
dal giudice amministrativo, come discende dal fatto che la Corte
costituzionale, nella citata sentenza, ha avuto cura di precisare che l'esercizio della funzione ispettiva non è affatto senza limiti,
sottoposto com'è a limiti soggettivi ed oggettivi. Se a ciò si
aggiunge la riconosciuta necessità di cautela e di ragionevolezza nell'esercizio dei poteri ispettivi per la complessità e delicatezza
dei rapporti su cui essi sono chiamati ad incidere, vi è quanto basta per convincere che, proprio perché esistono ampi margini di discrezionalità nel concreto esercizio della funzione in esame,
non solo è consentito, ma si impone il controllo giurisdizionale amministrativo.
Dimostrato cosi l'interesse a ricorrere, si tratta allora di
vedere se sono fondati i motivi di ricorso prospettati dalla
ricorrente. Il primo motivo da prendere in considerazione riguarda
la legittimità dell'individuazione del limite massimo di rumo
rosità in 85 Dba per 8 ore di lavoro. È noto che la legge italiana
non fissa livelli precisi a questo proposito, limitandosi a prescrivere, con formula volutamente elastica, l'adozione dei provvedimenti
consigliati dalla tecnica per diminuire l'intensità dei rumori dan
nosi ai lavoratori (art. 24 d.p.r. 19 marzo 1956 n. 303). Trattan
dosi di valutare la norma sotto il profilo amministrativo e non
penalistico, la genericità o — meglio — l'elasticità del criterio
seguito dal legislatore non crea particolari problemi a livello
normativo. I problemi si pongono, invece, a livello applicativo,
perché quando il precetto generale diventa una prescrizione concreta, proprio per la continua evoluzione della tecnica si
impone che l'amministrazione indichi i motivi per i quali ritiene
che vi sia una situazione di pericolo di danni che impone una
diminuzione della intensità dei rumori al di sotto di un certo
limite. Nel caso in esame, però, il limite di 85 Dba per 8 ore di
lavoro è chiaramente desunto dai valori di soglia stabiliti nella
nota tabella ACGIH che, seppure indicativa, è pur sempre il
risultato di indagini e ricerche largamente fatte proprie nelle
moderne società civili. Sembra corretto, quindi, conferire alla
tabella suddetta il valore di motivazione della scelta amministra
tiva in questione, anche per la preferenza che sembra bene
accordare a criteri di uso generale rispetto all'inevitabile alterna tiva di richiedere caso per caso specifiche motivazioni, che
facilmente porterebbero scompiglio, incertezza e disuguaglianza nel mondo del lavoro, sia dal punto di vista della tutela dei
lavoratori, sia da quello dell'interesse degli imprenditori. Il vero
problema da risolvere è allora quello posto dal primo motivo di ricorso: se il limite di 85 Dba debba essere rispettato con o senza l'ausilio di mezzi personali di protezione. Ai fini dalla
soluzione del problema si impone il coordinamento di tre norme:
l'art. 4 d.p.r. 19 marzo 1956 n. 303, che impone ai datori di
lavoro di fornire ai lavoratori i necessari mezzi di protezione e di
esigerne l'uso; l'art. 24 dello stesso d.p.r., che impone nelle
lavorazioni che producono rumori dannosi ai lavoratori l'adozione
dei provvedimenti consigliati dalla tecnica per diminuire l'intensi
tà, e l'art. 377 d.p.r. 27 aprile 1955 n. 547, che prevede l'obbligo di fornire mezzi personali di protezione quando manchino o
siano insufficienti i mezzi tecnici di protezione. Le due ipotizzabili interpretazioni estreme possono essere cosi
formulate: 1) l'imprenditore deve predisporre i mezzi tecnici di
protezione necessari per mantenere l'ambiente di lavoro al di sotto
(per quel che riguarda il caso in esame) degli 85 Dba per 8 ore di lavoro e, una volta raggiunto questo risultato, deve munire i dipen denti dei mezzi di protezione personali; 2) la rumorosità dell'am biente di lavoro deve essere valutata dal punto di vista soggettivo del singolo lavoratore e quindi tenendo conto degli effetti dell'uso di mezzi di protezione personali; solo se, nonostante ciò, permanga una rumorosità superiore ai limiti prescritti l'amministrazione può pretendere la predisposizione di mezzi tecnici di protezione. La
prima tesi è sostenuta dall'amministrazione; la seconda è sostenu
ta, come tesi principale, dalla ricorrente, la quale però, in
subordine, prospetta l'obbligo per l'amministrazione di motivare la propria scelta sub 1) tenendo conto anche delle conseguenze economiche di quanto chiede.
Nella loro assolutezza sia l'una che l'altra tesi non sem brano fondate. Non sembra corretto, infatti, che una volta
raggiunto un livello di rumorosità ritenuto conforme a leg ge si debba pretendere dai lavoratori anche l'uso di mez zi personali di protezione, in quanto quest'ultima pretesa difetterebbe del suo logico presupposto, costituito dall'esistenza di una situazione di rischio. D'altro canto, però, il complesso delle norme sulla prevenzione degli infortuni e sull'igiene dei luoghi di lavoro tende essenzialmente a realizzare un ambiente obiettiva mente sicuro e sano, nel quale sia ridotta al minimo la necessità
li. Foro Italiano — 1985.
di precauzioni soggettive, sempre facilmente eludibili o comunque meno sicure. I mezzi di protezione personale, quindi, si pongono come complementari alla realizzazione di una situazione di sicu
rezza e di igiene, ma in posizione subordinata rispetto ai mezzi
tecnici di protezione. Queste considerazioni portano inevitabilmente ad avallare la
tesi sostenuta dalla ricorrente in via subordinata. Questo vuol
dire che l'amministrazione, quando riscontra una situazione di
lavoro in cui i livelli di sicurezza e di igiene sono rispettati solo
mediante il ricorso a mezzi di protezione personale, ha titolo per
pretendere che si adottino tutti quegli accorgimenti tecnici che
possono assicurare definitivamente ed obiettivamente il rispetto delle norme di legge.
Prima di imboccare, però, questa strada, soprattutto in una
epoca come la nostra, nella quale a rigore si può ritenere che
qualsiasi risultato possa essere raggiunto con i sofisticati mezzi
che la tecnica pone a disposizione, è necessario che l'amministra
zione si ponga fra l'altro anche il problema dei costi di ciò che
chiede, e cioè della compatibilità economica fra le esigenze di
sicurezza e quelle della produzione. Questo non significa, ovvia
mente, fare riferimento alle capacità economiche della singola
impresa, quasicché le imprese più deboli possano per questo sacrificare impunemente la sicurezza dei propri dipendenti. Né
questo vuol dire che al posto di lavoro si possa sacrificare la
salute del lavoratore. Il tribunale intende dire soltanto che anche
il momento economico deve essere preso nella sua attenta e
giusta considerazione quando si opta, per una situazione di
assoluta sicurezza tecnica piuttosto che per una sicurezza legata anche a precauzioni soggettive. Aderendo in questo all'orienta mento manifestato dalla difesa della regione in sede di discussio
ne orale, il collegio ritiene che sia troppo astratto ed alla fine in
giusto affermare che il posto di lavoro deve essere sacrificato se non si può realizzare una sicurezza tecnica assoluta anche quan do una situazione di sicurezza sia raggiungibile con precauzioni personali.
Sia il diritto alla salute che il diritto al lavoro sono diritti
costituzionalmente garantiti ed è compito dell'interprete cosi come
dell'amministrazione curarne, nei limiti del possibile e del ragio nevole, un equo contemperamento prima che l'uno (e ci si riferisce ovviamente al lavoro) debba cedere all'altro (e cioè alla
salute). Ed è proprio questa esigenza di contemperamento che induce ad addossare all'amministrazione, in casi come quello in
esame, l'onere di darsi carico delle compatibilità sia tecniche che economiche prima di accedere alla tesi che comporta la rinuncia totale all'uso dei mezzi personali di protezione.
E si è detto rinuncia totale perché è chiaro che, una volta risanato l'ambiente di lavoro, viene meno il presupposto per chiedere l'uso di mezzi personali.
Ritiene dunque il collegio di dover accogliere il prospettato vizio di difetto di motivazione dei provvedimenti impugnati, laddove si lamenta che la scelta dell'amministrazione sia stata
effettuata senza darsi carico della compatibilità fra la richiesta e
l'economicità della gestione (da valutarsi astraendo da eventuali
difficoltà di carattere soggettivo), nonché quello di contraddittorie
tà laddove si pretende che anche dopo il risanamento ambientale si usino mezzi personali di protezione. A quest'ultimo proposito il
collegio non può esimersi dal rilevare la contraddittorietà che
inficia la tesi difensiva delle amministrazioni costituite, laddove si afferma la pericolosità dei tappi auricolari e delle cuffie nel mentre se ne impone comunque l'uso. Nelle future scelte, quindi, sarà bene che si valuti meglio anche questo aspetto della questio ne, perché o il mezzo di tutela personale è valido e allora si può prescriverne l'uso e, se del caso, consentirlo o imporlo; oppure non lo è, o è addirittura esso stesso pericoloso, ed allora non si tratta di un mezzo di tutela.
Per le considerazioni suesposte, nelle quali restano assorbiti tutti gli altri motivi di ricorso, il ricorso va accolto, con conse
guente annullamento dei provvedimenti impugnati. (Omissis)
CONSIGLIO DI STATO; sezione IV; decisione 26 febbraio
1985, n. 63; Pres. De Roberto, Est. Lignani; Gianella (Avv. Dal Piaz, Biagini) c. Comune di Biella (Avv. Siniscalco, Guarino). Annulla T.A.R. Piemonte 31 gennaio 1984, n. 17.
Farmacia — Gestione comunale — Cessione a titolo oneroso —
Ricorso — Titolare di farmacia rurale — Proprietario di farmacia — Giurisdizione amministrativa — Sussistenza dell'in teresse.
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PARTE TERZA
Giustizia amministrativa — Ricorso — Successivo richiamo di
ulteriori norme — Ammissibilità — Fattispecie. Farmacia — Gestione comunale — Cessione a titolo oneroso —
Illegittimità (R.d. 27 luglio 1934 n. 1265, t.u. delle leggi
sanitarie, art. 112; 1. 2 aprile 1968 n. 475, norme concernenti di
servizio farmaceutico, art. 12).
Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo il ricorso
mediante il quale il titolare di farmacia rurale, nonché
proprietario di farmacia, contesta che il comune possa
cedere a titolo oneroso una farmacia comunale. (1)
Il titolare di farmacia rurale, nonché proprietario di farma
cia, non è privo di interesse ad impugnare la deliberazio
ne con la quale il comune decide di cedere a titolo oneroso
una farmacia comunale per reperire fondi. (2)
Non costituisce motivo nuovo rispetto al ricorso contro la cessio
ne a titolo oneroso di farmacia comunale da parte del
comune, per la affermata non cedibilità a tale titolo delle
farmacie in gestione comunale, e quindi non è inammissibile il
successivo richiamo, fatto solo in memoria, della legislazione
sui pubblici servizi municipalizzati, dalla quale si trarrebbero
ulteriori elementi contrari alla cedibilità suddetta. (3)
(1-2) Non si rinvengono precedenti editi sul caso di specie, ma, ciò
nondimeno, la decisione che si riporta si iscrive nel noto e consolidato
filone giurisprudenziale secondo cui il giudice amministrativo ha
giurisdizione nella quasi totalità delle vertenze giudiziarie che si
connettono con l'organizzazione del servizio farmaceutico, a promuove re le quali sono legittimati tutti quei soggetti (privati e pubblici) la
cui situazione giuridica soggettiva risulti in certo modo incisa dai
provvedimenti autoritativi che hanno ad oggetto il servizio stesso.
Un'importante eccezione al suesposto principio, per cui la giurisdi zione del giudice amministrativo in subiecta materia è pressoché
generale, è rappresentata dalle controversie in materia di indennità di
avviamento, sulle quali si radica la giurisdizione del giudice ordinario,
anche quando il ricorso sia diretto contro il provvedimento del medico
provinciale con cui si intima al concessionario di una farmacia di
nuova istituzione di fornire la prova dell'avvenuto pagamento dell'in
dennità di avviamento in favore del precedente gestore provvisorio
(cosi, conclusivamente, Cons. Stato, ad. plen., 29 giugno 1984, n. 14,
Foro it., 1984, III, 413, con nota di richiami).
Anche per quanto riguarda il punto della legitimatio ad causam, la
decisione in epigrafe non si discosta dall'orientamento giurisprudenziale
dominante: accertata, infatti, la sussistenza della giurisdizione del
giudice amministrativo, si riconosce pacificamente l'ammissibilità dei
ricorsi aventi ad oggetto l'organizzazione del servizio farmaceutico, sia
proposti dai privati che da alcuni soggetti pubblici, e, segnatamente, di
quelli diretti avverso il provvedimento conclusivo della procedura di
formazione, o di revisione, della pianta organica delle farmacie. Cfr.,
infatti orientativamente: T.A.R. Toscana 30 ottobre 1981, n. 84, id., Rep.
1983, voce Farmacia, n. 38; T.A.R. Abruzzo, sede Pescara, 6 dicembre
1982, n. 361, ibid., n. 62; Cons. Stato, sez. IV, 8 marzo 1983, n. 102, id.,
1983, III, 433, con nota di R. Ferrara; T.A.R. Abruzzo 7 dicembre
1982, n. 618, id., Rep. 1983, voce Giustizia amministrativa, n. 374;
Cons. Stato, sez. IV, 6 luglio 1982, n. 455, id., Rep. 1982, voce cit., n.
481; 20 aprile 1982, n. 248, ibid., n. 482; 27 gennaio 1981, n. 65 e
T.A.R. Sardegna 11 marzo 1980, n. 83, id., 1981, III, 561, e T.A.R.
Lazio, sez. I, 9 luglio 1980, n. 743, ibid., 626, con nota di richiami.
(3) La decisione è conforme all'orientamento più largo e permissivo,
secondo cui il ricorrente è, in certo modo, il dominus della vicenda
processuale, di modo che è sufficiente la semplice enunciazione dei
motivi di ricorso nell'atto introduttivo del giudizio (purché, natural
mente, non siano viziati da eccessiva genericità), ben potendosi nella
successiva memoria illustrativa puntualizzare e, soprattutto, specificare
le censure già dedotte. Cfr., in questa direzione, i principi affermati da
T.A.R. Sardegna 20 dicembre 1983, n. 675, Foro it., Rep. 1984, voce Giu
stizia amministrativa, n. 129, per cui anche la mancata indicazione delle
norme violate non determina, di per se stessa, l'inammissibilità del grava
me, quando queste stesse siano desumibili dal contesto del ricorso, e
Cons. Stato, sez. V, 15 aprile 1983, n. 125, id., Rep. 1983, voce cit.,
n. 603, ove, in relazione, peraltro, al vizio di eccesso di potere per
difetto di motivazione, si conclude in senso negativo, ritenendosi che il
ricorrente abbia dedotto in memoria un motivo nuovo, e perciò
inammissibile. Si ha, in conclusione, che il margine di tolleranza sembra essere di
difficile individuazione, essendo rimesso, in buona sostanza, alla sensi
bilità del giudice amministrativo. Unico punto fermo è che sono
inammissibili le censure formulate solo con la memoria difensiva (cosi,
fra le tante, Cons. Stato, sez. IV, 26 gennaio 1982, n. 37, id., Rep.
1982, voce cit., n. 646; T.A.R. Lombardia 9 gennaio 1981, n. 23, ibid.,
n. 647 e T.A.R. Piemonte 27 gennaio 1982, n. 64, ibid., n. 648),
mentre, allorché si tratti di valutare nel concreto se una certa
argomentazione difensiva contenuta in memoria si riconducibile, oppu
re no, ai motivi originari di ricorso, ci si trova al cospetto, come si è
visto, di orientamenti giurisprudenziali non sempre univoci ed omo
genei. In questo quadro, e comunque nel contesto di una giurisprudenza
abbastanza variegata, la posizione più radicale è forse quella che
Il Foro Italiano — 1985.
È illegittima la deliberazione con la quale il comune decide di
alienare a titolo oneroso una farmacia comunale, al fine di
reperire fondi per il finanziamento di un'opera pubblica, anzi
ché di dismetterne l'esercizio, rendendola cosi vacante e disponi bile per pubblico concorso, con la riserva dei diritti che gli
spettano quale ex titolare. (4)
Diritto. — 1. - Le eccezioni preliminari prospettate all'udienza di discussione dal resistente comune di Biella rivestono, secondo un certo ordine logico, una priorità assoluta.
L'eccezione di difetto di giurisdizione viene dedotta come
segue. Il comune assume che lo status di titolare di farmacia
(nella specie, la farmacia comunale) contiene anche la facoltà di cedere la titolarità mediante un negozio a titolo oneroso; tale facoltà inerirebbe, dunque, ad un diritto soggettivo ed avrebbe essa stessa la consistenza del diritto soggettivo. Dal momento che i ricorrenti hanno contestato che al comune spetti tale facoltà, la controversia avrebbe dunque per oggetto un diritto soggettivo, vantato dal comune e negato dalle controparti.
Questa prospettazione, benché suggestiva, non può essere con
divisa. Ciò che ha rilievo, ai fini della giurisdizione, non è la
posizione dell'amministrazione, bensì quella vantata dal ricorrente.
Ora, nel caso in esame, il Gianella assume di essere leso non già in un suo ipotetico diritto soggettivo, bensì in un'interesse legit timo, interesse ravvisabile, in fatto, sotto un duplice profilo: da un lato, quale titolare di una farmacia rurale e, come tale, possibile aspirante ad una sede migliore, il ricorrente ha interesse a che la farmacia comunale, dismettendone il comune la titolari
tà, venga messa a concorso anziché ceduta a prezzo di mercato; dall'altro, quale proprietario di farmacia (e presidente dell'asso ciazione fra i titolari di farmacia) ha interesse a che il comune non s'inserisca nel (legittimo) mercato delle farmacie, immetten dovi quelle di cui abbia acquisito la titolarità mediante l'esercizio del diritto di prelazione.
2. - Con la seconda eccezione preliminare, il (resistente comune asserisce l'inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, sostenendo che se l'interesse del ricorrente consiste nell'aspettativa di partecipare al concorso per l'assegnazione della farmacia già comunale, esso non può ricevere alcuna soddisfazione dall'even tuale accoglimento del ricorso. In proposito, la difesa del comune
osserva che l'intenzione dichiarata dall'amministrazione è quella di reperire fondi di denaro, attraverso la cessione della farmacia;
qualora si dovesse concludere che la cessione non è cons<entita
per legge, l'ente abbandonerebbe il suo proposito e nessun
vantaggio ne risulterebbe ai farmacisti.
La sezione osserva che l'interesse a ricorrere sussiste in relazio ne al pregiudizio derivante dall'esecuzione del provvedimento impugnato, e tale pregiudizio viene rimosso dall'annullamento del
provvedimento; il fatto poi che a seguito dell'eventuale annulla
mento la condotta dell'amministrazione possa essere, più o meno
prevedibilmente, tale da rendere meno consistente il vantaggio
conseguito dal ricorrente, non esclude, di per sé, l'ammissibilità
del ricorso. Sotto altro profilo, si osserva poi che il ricorrente ha
interesse, come già detto, anche ad evitare illegittime alterazioni
del mercato libero delle farmacie; da questo punto di vista, la
soddisfazione dell'interesse si realizza interamente con l'accogli mento del ricorso, a prescindere dalle ulteriori determinazioni
dell'ente.
Anche questa eccezione va, dunque, respinta. 3. - Passando, dunque, all'esame dell'appello, viene in conside
razione dapprima il punto relativo al capo di sentenza con cui è stata dichiarata l'inammissibilità di una doglianza dedotta dal
Gianella, esposta non nel ricorso introduttivo, ma in una succes
siva memoria e perciò ritenuta tardiva e carente sotto il profilo formale (per vero, la stessa doglianza è stata poi presa in esame nel merito dal T.A.R., siccome dedotta, senza dubbio ritualmente, da altro ricorrente; ma l'interesse all'appello, sul punto, sussiste
ritiene la legittimità delle sentenze di annullamento di un atto amministrativo fondato su di un vizio enunciato, per cosi dire, per implicito, nell'ambito del ricorso, e cioè pur in difetto dell'evidenzia zione formale del vizio stesso, neppure in memoria, magari grazie al collegamento, più o meno pertinente, ad un qualche motivo di ricorso: cfr., in questo senso, Cons. Stato, sez. VI, 28 aprile 1978, n. 506, id., 1978, III, 505, con nota di richiami.
(4) Cfr., in argomento, l'annullata sentenza di T.A.R. Piemonte 31 gennaio 1984, n. 17, Foro it., 1984, III, 147, con nota di richiami, cui si rinvia, in assenza di altri precedenti giurisprudenziali, per la ricostruzione delle linee del dibattito sull'alienabilità iure privatorum delle farmacie comunali.
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GIURISPRUDENZA (AMMINISTRATIVA
ugualmente, perché attualmente ricorre il solo Gianella e pertanto
in mancanza di appello sul punto dell'ammissibilità del motivo egli
non potrebbe chiederne il riesame nel merito).
La tesi dell'appellante è che la doglianza dichiarata inammissi
bile non costituiva, in realtà, un autonomo motivo di ricorso, ma
era solo uno sviluppo argomentativo del motivo (sostanzialmente
unico) del ricorso originario. Questa tesi è da condividere.
In primo grado, il dott. Gianella ha impugnato l'atto con cui il
comune ha deliberato di cedere la titolarità della farmacia comu
nale, mediante negozio a titolo oneroso; ed ha sostenuto (questo,
in sostanza, l'unico motivo del ricorso) il vizio di violazione di
legge sotto il profilo dell'inapplicabilità alle farmacie comunali
dell'istituto della cessione, come istituto logicamente incompatibile
con la ratio delle norme che consentono l'assunzione, da parte del comune, della titolarità di farmacie, e ne disciplinano l'eserci
zio. Con l'ulteriore scritto difensivo, il ricorrente ha messo in
evidenza che tra queste ultime norme è da comprendersi anche la
legislazione in materia di pubblici servizi municipalizzati; ed ha
esposto come dall'esame di questa legislazione, si traggano ulte
riori argomenti per sostenere la tesi dell'incompatibilità logica tra
l'istituto della cessione negoziale e quello della gestione comunale
di farmacie.
Come si vede, non solo non si tratta di un motivo nuovo,
distinto dal precedente (se per motivi distinti s'intendono, come si
devono intendere, quelli reciprocamente indipendenti, e cioè tali
che l'uno possa essere accolto e l'altro respinto, e viceversa, senza
contraddizione); ma nemmeno si può parlare di prospettazione
che, pur innestandosi sul motivo originario, muti i termini della
questione, o introduca questioni nuove. A tacere d'ogni altro
aspetto, conviene ricordare, tra l'altro, che la legislazione in
materia di servizi municipalizzati, ancorché non espressamente
citata dal ricorrente nell'atto introduttivo, è comunque positiva
mente richiamata dalla legge sulle farmacie (n. 475 del 1968, art.
9, 1° comma) e costituisce con essa un sistema normativo
integrato, talché il giudice non potrebbe comunque prescinderne,
ai fini dell'interpretazione.
4. - Si può, quindi, passare alla questione di fondo, che è,
come già accennato, la seguente: se un comune, avendo acquisito
la titolarità di uno (o più) farmacie, possa legittimamente cederla
ad un privato farmacista contro corrispettivo, così come è con
sentito farlo ai titolari di farmacie, in genere (art. 12 1. 2 aprile
1968 n. 475). La questione si pone a prescindere dal criterio
eventualmente impiegato dal comune per la scelta del cessionario
(gara pubblica o trattativa privata); è ovvio, infatti, che anche
nel caso di gara pubblica, circondata delle maggiori garanzie,
l'esito è verosimilmente diverso da quello che si avrebbe proce
dendo a concorso (nell'un caso, infatti, il successo dipende dalla
maggiore disponibilità di denaro, nell'altro dai titoli e dalla
preparazione accertabile attraverso le apposite prove).
5. - Ciò posto, si osserva che non risultano disposizioni espresse
che escludano, o rispettivamente consentano, la trasferibilità a
privati delle farmacie comunali.
L'art. 12 1. n. 475/68, che disciplina il trasferimento, contiene
alcuni comma formulati in termini generali (e dunque riferibili,
di per sé, indifferentemente all'ipotesi che cedente sia un privato
oppure il comune) ed altri che, invece, sia per le parole usate
(« il farmacista... ») sia per il tenore delle disposizioni, sono
riferibili unicamente all'ipotesi di cedente privato. Una lettura
integrale e coordinata dell'articolo, peraltro, permette di conclude
re che, dettandolo, il legislatore ha avuto presente soltanto
l'ipotesi di cessione da parte di un privato. Questo rilievo,
tuttavia, non appare risolutivo: il fatto che il legislatore abbia
inteso disciplinare direttamente il trasferimento da privato a
privato non implicherebbe, di per sé, il divieto di trasferimento
dal comune al privato, salva l'esigenza di individuare le regole
applicabili in quest'ultimo caso.
Una più ampia disamina dèi contesto normativo permette, però,
di giungere al risultato interpretativo sostenuto dall'appellante. Se
è vero che la 1. n. 475/68 ha reintrodotto nell'ordinamento una
limitata possibilità di trasferimento negoziale della titolarità delle
farmacie, è anche vero che tali possibilità si configurano pur
sempre come eccezionali, e, soprattutto, che la titolarità di una
farmacia non si può qualificare res in commercio. Di ciò sono
indizio non tanto le disposizioni che subordinano l'efficacia del
trasferimento all'approvazione (o autorizzazione) dell'autorità sa
nitaria ed al possesso, da parte del cessionario, di una precedente
titolarità, o comunque dell'idoneità, conseguita per concorso (art.
12, 2° e 3° comma) «nonché quella che impone di cedere, insieme
al titolo, anche l'azienda (art. 12, 8° comma), quanto le disposi
li, Foro Italiano — 1985 — Parte 111-25.
zioni che pongono limiti alla libertà di cessione con riferimento
ad un requisito di anzianità minima di esercizio da parte del
cedente (art. 12, 1° comma) e restringono entro limiti quanto mai
angusti e rigorosi la possibilità, per il cedente, di acquisire nuove
farmacie, per concorso (art. 12, 4° comma) o per trasferimento
(art. 12, 7° comma). Se le disposizioni del 2°, 3° e 8° comma sono manifesta
mente ispirate alla ratio di garantire la continuità ed il buon
andamento dell'esercizio farmaceutico, sotto il profilo dei requisiti
soggettivi del nuovo titolare e sotto quello dei requisiti oggettivi
dell'azienda, le disposizioni del 1°, 4° e 7° comma non si
spiegano se non con l'intenzione del legislatore di ostacolare una
indiscriminata circolazione delle farmacie e di scoraggiare gli intenti speculativi di chi voglia conseguire la titolarità allo scopo di rivenderla (si veda il divieto di cessione prima del compimento di cinque anni di esercizio). La cessione è configurata come un
evento assolutamente singolare nella vicenda personale del farma
cista, ed è consentita, in buona sostanza, solo in vista del
prossimo acquisto di una nuova farmacia (da perfezionare « entro
un anno » dalla cessione) ma « per una volta soltanto nella vita »,
oppure in vista dell'abbandono dell'attività farmaceutica (ipo tesi sottintesa dal 4° comma: la cessione implica rinuncia a
partecipare a concorsi per l'avvenire; il fatto che la rinuncia
perda efficacia dopo dieci anni appare la modesta concessione dello
ius poenitendi quando il lungo tempo decorso farebbe apparire
irragionevolmente vessatorio il mantenimento della preclusione). Ciò che comprova, peraltro, l'impossibilità di considerare la
titolarità della farmacia come bene (immateriale) economico, è il
rigoroso divieto di cumulo (art. 112, 2° comma, t.u. leggi sanita
rie) di cui appare un corollario la disposizione per cui il
cessionario, che sia già titolare di farmacia, al momento del
trasferimento decade dalla precedente titolarità (art. 12, 6° com
ma, 1. n. 475/68). È da sottolineare che la disposizione citata da
ultimo non parla di obbligo di cessione della prima farmacia (con conservazione, dunque, nel patrimonio del cessionario, se non del
bene-titolarità, quanto meno del suo controvalore) bensì di decadenza (automatica) per il solo fatto dell'acquisto della secon da farmacia (con perdita dello stesso controvalore della titolarità).
Ora, se la titolarità della farmacia è res extra commercium, e
se il suo trasferimento è consentito solo in via eccezionale, con il
concorso di requisiti soggettivi per l'una e per l'altra parte
(cinque anni di anzianità di esercizio per il cedente; titolarità o
idoneità per il cessionario) e con la conseguenza di pesanti
vincoli ugualmente a carico dell'una e dell'altra parte, si deve
concludere che nei casi dubbi e non contemplati vale la regola
generale della intrasferibilità. Questa regola è pertanto da ritenere
applicabile anche alle farmacie comunali.
5. - Sotto altro profilo, si può dire che sono convincenti le consi
derazioni svolte dal ricorrente, secondo cui la facoltà di acquisire extra ordinem, e cioè mediante l'esercizio del diritto di prelazio
ne, la titolarità di una o più farmacie, è data al comune affinché
esso gestisca le farmacie stesse nell'interesse pubblico, come
pubblico servizio, e non perché esso possa dotarsi di un patrimo nio di esercizi farmaceutici da trasformare in capitali liquidi, secondo le evenienze. Vero è che anche nei confronti del farma
cista privato (come si è visto) la titolarità è data perché il
titolare la eserciti in proprio, anziché farne commercio; tuttavia,
per il privato, il legislatore del 1968 ha voluto introdurre un
temperamento al rigore della legislazione previgente (art. 112, 1°
comma, t.u. legge sanitaria) consentendo il trasferimento in casi
eccezionali; presumibilmente, a parte il caso della cessione fatta
per proseguire l'attività in una nuova farmacia (consentita, come
si è visto, « una volta nella vita », si è voluto evitare che
determinate vicende della vita (ad es. malattie, trasferimenti per necessità familiari, ecc.) comportanti per il farmacista la necessità
della cessazione dell'esercizio, avessero conseguenze rovinose sul
piano patrimoniale. Se questa è, come sembra essere, la ratio della innovazione
legislativa che ha consentito, in certi casi, la cessione, non vi è
dubbio che l'ipotesi della farmacia comunale ne resta al di fuori.
Infine, si può osservare che ammettendo la possibilità di
cessione anche per le farmacie comunali, e non essendo chiara
mente applicabili al comune gran parte delle disposizioni limitati
ve (a meno che non si vogliano operare molteplici e arbitrarie
trasposizioni analogiche), si finirebbe addirittura con l'attribuire al
comune, sotto questo profilo, una posizione privilegiata rispetto ai
privati; privilegio che appare tanto più considerevole e tanto
meno accettabile, se si tiene conto del fatto che il comune,
mediante l'esercizio della prelazione, può acquisire la titolarità di
metà delle farmacie vacanti.
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PARTE TERZA
6. - Riassumendo e concludendo, si deve dire che il comune, il
quale voglia dismettere l'esercizio di una farmacia comunale, non
può cederne la titolarità mediante un negozio di tipo privatistico, contro un corrispettivo; verificandosi tale dismissione, la farmacia
si dovrà considerare vacante e disponibile per un nuovo concorso, salvi i diritti che in tale situazione competono all'ex titolare
(indennità di avviamento, ecc.). Il provvedimento del comune di Biella risulta illegittimo e deve
essere annullato, in riforma della * sentenza appellata. (Omissis)
CORTE DEI CONTI; sezioni riunite; decisione 22 febbraio
1985, n. 64/C; Pres. Di Stefano, Rei. Merolla; ric. Agostini e altri (Avv. Albanese, Cogliani).
Pensione civile, militare e di guerra — Dipendenti dello Stato —
Trattamento di quiescenza — Estensione automatica degli au menti retributivi — Esclusione — Questione manifestamente infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 36, 38; 1. 15 novem
bre 1973 n. 734, concessione di un assegno perequativo ai
dipendenti civili dello Stato e soppressione di indennità partico lari, art. 1; d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1092, t.u. delle norme
sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari
dello Stato, art. 43, 53; 1. 29 aprile 1976 n. 177, collegamento delle pensioni del settore pubblico alla dinamica delle retribu
zioni. Miglioramento del trattamento di quiescenza del persona le statale e degli iscritti alle casse pensioni degli istituti di
previdenza; 1. 11 luglio 1980 n. 312, nuovo assetto retributi
vo-funzionale del personale civile e militare dello Stato, art. 81,
144, 160, 161; 1. 6 agosto 1981 in. 432, conversione in legge, con
modificazioni, del d.l. 6 giugno 1981 n. 283, concernente
copertura finanziaria dei d.p.r. di attuazione degli accordi
contrattuali triennali relativi al personale civile dei ministeri e
dell'amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, nonché
concessione di miglioramenti economici al personale civile e
militare escluso dalla contrattazione, art. 26; d.p.r. 25 giugno 1983 n. 344, norme risultanti dalla disciplina prevista dall'ac
cordo del 29 aprile 1983 concernente il personale dei ministeri
e altre categorie, art. 7; d.p.r. 19 luglio 1984 n. 571, norme
risultanti dalla disciplina prevista dagli accordi del 27 aprile 1984 e del 27 giugno 1984 per il personale non docente
deH'univeirsità e di analoghe istituzioni, art. 7).
Al trattamento di quiescenza dei dipendenti dello Stato già collocati a riposo non si estendono automaticamente i miglio
ramenti retributivi successivamente accordati ai dipendenti an
cora in attività di servizio. (1) È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzio
nale della mancata estensione automatica al trattamento di
quiescenza dei dipendenti dello Stato già collocati a riposo, dei
miglioramenti retributivi successivamente accordati ai dipenden ti ancora in attività di servizio, in riferimento agli art. 5, 36 e
38 Cost. (2)
(1-2) Corte conti, sez. Ill, pens, civ., 12 maggio 1982, n. 49970, Foro it., 1982, III, 192, con nota di richiami di C. M. Barone,
disponendo che l'art. 11 1. 24 maggio 1951 n. 392, recante norme sul trattamento funzionale ed economico dei magistrati, assumeva il rango e l'efficacia di precetto di adeguamento permanente del trattamento economico dei magistrati a riposo alle retribuzioni di attività di servizio dei colleghi di pari qualifica, giungeva ad affermare implicita mente l'esistenza di un diritto all'adeguamento automatico delle
pensioni degli ex dipendenti dello Stato e degli altri enti
pubblici: la decisione, pur favorevolmente accolta da una parte della dottrina (cfr. E. Orlandi, Giusti lamenti per la mancata perequazione automatica delle pensioni degli ex dipendenti dello Stato e degli enti
pubblici, in Ammin. it., 1984, 1375; G. Pifferi, Agganciamento delle
pensioni alle retribuzioni dovute in attività di servizio, ibid., 1744) contrastava con consolidati orientamenti giurisprudenziali: in primo luogo Corte conti, sez. contr., 16 ottobre 1980, n. 1107, Foro it., Rep. 1981, voce Pensione, n. 46, aveva già precedentemente escluso che le nuove norme delle 1. 2 aprile 1979 n. 97, con cui erano state fissate nuove misure degli stipendi del personale della magistratura, potessero applicarsi, ai fini della determinazione del trattamento pensionistico, al
personale di magistratura già collocato a riposo; in secondo luogo Corte cost. 9 maggio 1973, n. 57, id., 1973, I, 1676, con nota di
richiami, stabiliva che appartenesse alla discrezionalità del legisla tore garantire entro i limiti indicati dall'art. 38 Cost, il rappor to proporzionale tra retribuzione di attività di servizio e retri buzione pensionistica, escludendo l'immanenza precettiva di un
principio generale di ordine costituzionale sull'adeguamento permanente
Il Foro Italiano — 1985.
Diritto. — Osserva innanzitutto il collegio che, essendo stata
dichiarata non fondata dalla Corte costituzionale (sent. n. 52 del
7 marzo 1984, Foro it., 1984, I, 625) la questione di legittimità costituzionale degli art. 3 e 67 r.d. 12 luglio 1934 n. 1214, nella
parte in cui non prevedono l'appellabilità alle sezioni riunite
della Corte dei conti delle decisioni emesse dalle sezioni giurisdi zionali in materia pensionistica, nella predetta materia le sezioni
riunite non hanno altra competenza che quella eventuale, e per ciò stesso ben circoscritta, derivante dalla rimessione di un
giudizio da parte di una delle sezioni giurisdizionali, in presenza di contrasti giurisprudenziali sul punto di diritto in discussione, ovvero dall'esercizio da parte del presidente della Corte dei conti del potere di rimessione, su istanza delle parti o di ufficio, dei
giudizi che rendano necessaria la risoluzione di questioni di
massima di particolare importanza, a norma dell'art. 4, 1° e 2°
comma, 1. 21 marzo 1953, n. 161.
Pertanto, giuste le ordinanze presidenziali in data 16 luglio e
26 ottobre 1982, la competenza di questo collegio è ristretta alla risoluzione della questione di massima: « la estensione automatica al trattamento di quiescenza già in godimento dei miglioramenti economici conferiti al personale in attività di servizio », con riferimento ai ricorsi in epigrafe e cioè a ricorsi di dipendenti civili e militari dello Stato o loro aventi causa non appartenenti né alla dirigenza statale né alle magistrature ed avvocatura dello Stato.
Dalla individuazione dell'oggetto dei presenti giudizi discende
quindi la -necessità della loro riunione in rito, ai sensi dell'art. 274 c.p.c., riunione che il collegio dispone in conformità della richiesta del procuratore generale, e della conseguente designazio ne da parte del presidente del collegio di un unico estensore della presente decisione.
Sempre per quanto attiene alla precisa individuazione dell'og getto del presente giudizio, rileva poi il collegio che il problema sottoposto al suo esame riguarda la esistenza di norme o principi generali sulla riliquidazione automatica dei trattamenti di quie scenza in godimento con riferimento ai miglioramenti economici conferiti al personale di pari qualifica in attività di servizio e
che, pertanto, esula dal presente giudizio ogni problematica
delle pensioni alla dinamica delle retribuzioni; successivamente Corte cost. 13 marzo 1980, n. 26, id., 1980, I, 897, con nota di richiami, commentata da G. Zangari, Perequazione automatica e « adegua mento » costante della pensione al metro monetar io : profili co stituzionali, in Riv. dir. lav., 1980, II, 303; Id., Perequazione automatica e « adeguatezza » della pensione, in Riv. it. prev. soc., 1980, 858, ha deliberato i criteri generali di identificazione legislativa, secondo i canoni costituzionali, della proporzionalità e dell'adeguatezza del trattamento pensionistico.
Ai dettami della giurisprudenza costituzionale, riassunti nella rasse gna di V. Bisogno, La pensione dei dipendenti pubblici nella giuri sprudenza costituzionale, in Ammin. it., 1982, 716, si ispirava la giurisprudenza della Corte dei conti, ritenendo necessaria una espressa previsione normativa ai fini della perequazione o della riliquidazione dei trattamenti pensionistici: v. Corte conti, sez. Ill pens, civ., 15 maggio 1981, n. 47031, Foro it., Rep. 1982, voce cit., n. 256; sez. IV pens, mil., ord. 29 novembre 1979, n. 55863, id., Rep. 1981, voce cit., n. 54; sez. Ill pens. civ. 22 dicembre 1978, n. 41902, id., Rep. 1979, voce cit., n. 227; specificando anzi che, salvo espresso disposto legislativo, è regola generale, in tema di perequazione delle pensioni, che si debba sostituire lo stipendio preso a base della precedente liquidazione con l'altro che compete al soggetto interessato secondo le nuove tabelle: v. Corte conti, sez. giur. reg. sic., 2 dicembre 1980, n. 139, id., Rep. 1982, voce cit., n. 257.
In tale contesto la riportata decisione delle sezioni riunite acquista pertanto una funzione razionalizzatrice rispetto alle radicali tendenze evolutive espresse da Corte conti, sez. Ili, n. 49970/82, tali da suscitarne la contestazione per motivi inerenti alla giurisdizione davanti alla Corte di cassazione, che peraltro dichiar va inammissibile il relativo ricorso (cfr. sent. 31 maggio 1984, n. 3318, id., 1984, I, 1482, con nota di richiami) ed assume un ruolo coordinatore rispetto ai dettami espressi recentemente da Corte cost. 10 ottobre 1983, n. 302, ibid., 367, con nota di richiami, pur relativa ad una fattispecie particolare; il trattamento di quiescenza, pur essendo da considerarsi proiezione di quello di attività, deve essere tutelato attraverso la mediazione discre zionale del legislatore, cui non può sostituirsi la mediazione del giudice pensionistico, attraverso la predicazione della sussistenza di immanenti principi costituzionali sulla perequazione permanente delle pensioni alle retribuzioni di attività di servizio dei dipendenti pubblici. Anzi la recente 1. 17 aprile 1985 n. 141 (Le leggi, 1985, 924) ridimensiona il principio della perequazione automatica delle pen sioni introdotto nell'ordinamento dalla precedente 1. 28 aprile 1976 n. 177, disponendo nel senso di aumenti percentuali secondo valutazioni discrezionali relative all'incidenza della svalutazione mone taria su determinati trattamenti pensionistici.
L. Verrienti L. Verrienti
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