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Sezione IV; decisione 26 giugno 1963, n. 474; Pres. Polistina P., Est. Landi; Sempio (Avv. De Bosio,...

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Sezione IV; decisione 26 giugno 1963, n. 474; Pres. Polistina P., Est. Landi; Sempio (Avv. De Bosio, Golda Perini, Ranieri) c. Medico provinciale di Milano (Avv. dello Stato Ciardulli) e Comune di Milano (Avv. Consolini, Sartogo) Source: Il Foro Italiano, Vol. 86, No. 9 (1963), pp. 355/356-359/360 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23152907 . Accessed: 28/06/2014 09:22 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.29 on Sat, 28 Jun 2014 09:22:15 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione IV; decisione 26 giugno 1963, n. 474; Pres. Polistina P., Est. Landi; Sempio (Avv. DeBosio, Golda Perini, Ranieri) c. Medico provinciale di Milano (Avv. dello Stato Ciardulli) eComune di Milano (Avv. Consolini, Sartogo)Source: Il Foro Italiano, Vol. 86, No. 9 (1963), pp. 355/356-359/360Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23152907 .

Accessed: 28/06/2014 09:22

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355 PARTE TERZA 356

dell'intera amministrazione ordinaria dell'ente, con pre

giudizio dei pubblici interessi che questo persegue). (1)

La Sezione, eco. — Il provvedimento di scioglimento dell'amministrazione ordinaria degli istituti autonomi pro vinciali per 1© case popolari, con la conseguente nomina

di un commissario governativo per la gestione straordinaria

dell'ente, può, ai sensi dell'art. 3 della legge 1° marzo 1952

n. 113, essere adottato dal Ministro per i lavori pubblici. « ove ricorrano gravi motivi », discrezionalmente valuta

bili dall'autorità preposta alla vigilanza dell'ente stesso. I gravi motivi possono riferirsi o al comportamento dei

titolari degli organi controllati in quanto responsabili di

irregolarità e di infrazioni alla legge o alla considerazione

obiettiva dell'opportunità, in presenza di determinate cir

costanze, di eliminare con la rimozione degli ordinari organi direttivi dell'ente, il pregiudizio che l'ulteriore permanenza in carica dei medesimi potrebbe arrecare all'interesse pub blico.

Solo nel primo caso e non, invece, nel secondo, la giu risprudenza del Consiglio di Stato ha ritenuto che il prov vedimento debba essere preceduto da una contestazione

degli addebiti che dia modo agli interessati di giustificarsi adeguatamente.

Nella specie gli addebiti mossi al Vario erano addirit tura sfociati in una denuncia all'autorità giudiziaria, con

promuovimento dell'azione penale a suo carico ; onde il ricorrente aveva avuto ampie possibilità di produrre tutti

gli elementi a sua discolpa nella competente sede.

Ciononostante, il Tribunale di Caltanissetta, con sen tenza del 18 gennaio 1962, aveva condannato il Vario per il reato di cui all'art. 98 del decreto pres. 30 marzo 1957 n. 361 (coartazione degli elettori da parte di un pubblico funzionario nell'esercizio e con abuso delle sue attribuzioni) e lo aveva assolto per insufficienza di prove dai reati di cui

agli art. 323 e 324 cod. pen. (abuso generico di ufficio, in teresse privato in atti di ufficio).

È ovvio che, di fronte ad una sentenza di primo grado non

passata in giudicato, l'amministrazione non poteva trarre da tale pronuncia giurisdizionale il convincimento circa l'ef fettiva e incontestabile colpevolezza dell'imputato (art. 27

Cost.), nè poteva, d'altra parte, invitarlo a giustificare il suo operato, risultando le discolpe già acquisite agli atti del procedimento giudiziario.

Ciò non esclude peraltro che la sentenza (resa nota al Ministero dei lavori pubblici con lettera della Prefettura di Caltanissetta del 19 gennaio 1962) dovesse essere in sè va lutata dal Ministero stesso per gli sfavorevoli riflessi che non poteva non esercitare sull'opinione pubblica, a pre scindere dalle future sorti del procedimento.

È evidente infatti che una pronuncia penale, sia pure non definitiva, la quale dichiari colpevole il presidente del l'istituto autonomo delle case popolari per un reato con nesso al suo comportamento nell'esplicazione delle fun zioni inerenti all'alta e delicata carica di cui è investito, costituisce un evento che, perla sua notorietà nell'ambiente, è atto a creare un'atmosfera di sospetto e di disistima nei

riguardi dell'intera amministrazione ordinaria dell'ente

pubblico, con pregiudizio dei pubblici interessi che l'ente stesso è istituzionalmente chiamato a perseguire.

Di qui il provvedimento impugnato, il quale, lungi dal l'affermare in qualsiasi modo la responsabilità del Vario, si è limitato a richiamare la citata lettera della Prefettura che comunicava l'emanazione della sentenza del Tribunale del 18 gennaio 1962 e, conseguentemente, a ritenere la ne cessità di procedere allo scioglimento degli organi di am

(1) Non constano precedenti in termini. Con riferimento all'accenno, fatto in motivazione, alle ipo

tesi nelle quali è necessaria la contestazione degli addebiti, vedi Cons. Stato, Sez. IV, 25 ottobre 1961, n. 460, Foro it., Rep. 1961, voce Case popolari, n. 130 ; Sez. V 11 maggio 1956, n. 361, id., 1956, III, 149, con nota di richiami.

In una fattispecie di scioglimento dell'amministrazione di un istituto per le case popolari, v. pure Sez. IV 25 giugno 1954, n. 416, id., Rep. 1954, voce cit., n. 75.

ministrazione dell'istituto « per la gravità dei fatti veri

ficatisi », ossia in ragione dell'intervenuta denuncia del pre sidente all'autorità giudiziaria seguita dal promovimento dell'azione penale e da una sentenza di condanna.

Di qui, del pari, l'esistenza di una adeguata motivaz'one

ob relationem fondata sulla circostanza obiettiva, e di per sè-stessa rilevante, della esistenza di una sentenza di con

danna a carico del presidente per fatti connessi alla sua

carica, circostanza sufficiente a giustificare lo scioglimento dell'intera amministrazione ordinaria dell'ente, indipenden temente dall'accertamento di responsabilità nei riguardi di

singoli titolari dei relativi organi. Ya del resto osservato che per i funzionari onorari pre

posti all'amministrazione degli istituti autonomi provin ciali per le case popolari, la legge, in considerazione anche

della temporaneità dell'incarico, contempla solo lo sciogli mento e la revoca, non anche altre misure provvisorie, quali la sospensione cautelare, vigenti per gli impiegati pubblici in attesa del definitivo esito dei provvedimenti penali o

disciplinari a loro carico.

È ben vero, come il ricorrente ha dimostrato nel corso

del presente giudizio, che egli, con sentenza della Corte d'ap

pello del 13 agosto 1962 è stato assolto da tutti i reati adde

bitatigli. Ma tale circostanza, se pur in ipotesi idonea, in

relazione al contenuto della sentenza di assoluzione, a rein

tegrare definitivamente l'onorabilità del ricorrente, non

vale, per le anzidette ragioni, ad incidere sulla legittimità del provvedimento impugnato, per quanto dolorose possano essere state le conseguenze del medesimo per l'interessato.

Per le esposte considerazioni il ricorso deve essere

respinto. Concorrono giuste ragioni per compensare fra le parti

le spese del giudizio. Per questi motivi, ecc.

CONSIGLIO DI STATO.

Sezione IV ; decisione 26 giugno 1963, n. 474 ; Pres. Po

listina P., Est. Landi ; Sempio (Avv. De Bosio, Golda Perini, Kanieri) c. Medico provinciale di

Milano (Avv. dello Stato Ciardulli) e Comune di Milano (Avv. Consolini, Sartogo).

Farmacia -— Farmacie comunali — Istituzione —

Municipalizzazione di pubblici servizi — Que stione di legittimità costituzionale — Manifesta

infondatezza (Costituzione della Repubblica, art. 35, 41 ; legge 9 giugno 1947 n. 530, modificazioni al t. u. della legge com. e prov. 3 marzo 1934 n. 383, art. 27).

Farmacia — Farmacia comunale -— Istituzione —

Condizioni (E. d. 15 ottobre 1925 n. 2578, t. u. delle

leggi sull'assunzione diretta dei pubblici servizi da

parte del comune e delle province, art. 1 ; legge 9

giugno 1947 n. 530, art. 27).

È manifestamente infondata la questione di legittimità co stituzionale dell'art. 27 della legge 9 giugno 1947 n. 530, che prevede l'assunzione o l'impianto di farmacie da

parte dei comuni, anche sotto il più generale profilo della

costituzionalità dell'istituto della municipalizzazione dei

pubblici servizi. (1) Per l'istituzione di farmacie comunali non è richiesta la

ricorrenza di esigenze eccezionali, bensì solo di quelle

(1) La manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della norma che prevede la municipalizzazione di altro pubblico servizio (trasporti funebri) è stata ritenuta da Pret. Marigliano 23 luglio 1962, Foro it., Eep. 1962, voce Muni cipalizzazione dei pubblici servizi, n. 14. Vedi pure, quanto alle centrali de] latte, Corte cost. 23 marzo 1960, n. 11, id., 1960, I, 545, nonché in Giust. civ., 1960, III, 52, con nota di Pbedieri, e in Giur. cost., 1960, 90, con nota di Cheli.

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357 GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 358

che normalmente inducono alla istituzione di nuove far macie. (2)

La Sezione, eoo. —- (Omissis). Il ricorrente ha sollevato

questione d'illegittimità costituzionale dell'art. 27 della

legge 9 giugno 1947 n. 530, sotto il deuplice profilo della

violazione degli art. 41 e 35 della Costituzione. La Sezione

è d'avviso che tale questione sia manifestamente infondata.

L'art. 41, nei suoi tre comma, non può concernere

l'istituzione delle farmacie comunali, nè riguarda, in ge nerale, l'assunzione diretta dei servizi pubblici da parte dei comuni, delle province e dei consorzi, della quale

l'impianto e l'esercizio della farmacia è soltanto un'ipotesi, come risulta dall'espresso richiamo al t. u. 15 ottobre 1925

n. 2578, contenuto nell'art. 27 legge cit., e della men

zione che se ne faceva all'art. 1, n. 6, della legge 29 marzo

1903 n. 103 (cfr. IV Sez. 30 ottobre 1959, n. 1053, Foro it.,

Rep. 1959, voce Farmacia, n. 90). L'istituzione della far

macia comunale, infatti, non diminuisce in alcun modo

la libertà economica dei farmacisti esercenti, la cui auto nomia aziendale non risulta vincolata o diminuita ; nè

aggiunge alcun controllo a quelli che già risultano dal t. u.

27 luglio 1934 n. 1265, dalle cui disposizioni risulta; del resto, che l'attività delle aziende farmaceutiche, lungi dall'essere libera, è anzi ampiamente ed intensamente

controllata, proprio in relazione ai fini d'interesse sociale

(art. 41, ult. comma, Cost.) che ad essa si ricollegano. È

ovvio che la possibile concorrenza tra attività aziendale

pubblica e privata non può considerarsi menomazione

della libertà economica, poiché la concorrenza è, per contro,

proprio una manifestazione essenziale di tale libertà.

Il ricorrente, infatti, specifica la sua censura nel senso, che con l'applicazione del citato art. 27, il comune po trebbe pervenire alla municipalizzazione di tutte le far

macie locali (e, in altri termini, alla creazione d'un mo

nopolio di fatto), giungendo così alla pratica elimina

zione del libero esercizio professionale del farmacista, in

violazione dell'art. 35 Cost., il quale proclama che «la

Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed ap

plicazioni ».

In questi termini, la questione eccede i limiti della

norma che viene direttamente in discussione, per investire,

addirittura, il fondamento costituzionale della « munici

palizzazione » dei servizi pubblici. E sarebbe davvero

singolare, per lo meno dal punto di vista della storia del

diritto, la conclusione che tale istituto, introdotto nella

nostra legislazione nel 1903, in fase cioè di ampia preva lenza delle concezioni liberistiche, e sempre più largamente

praticato nel successivo sessantennio, sarebbe invece in

compatibile con la Costituzione del 1948, tanto penetrata da principi di « socialità » o di « solidarismo ».

È vero che la « municipalizzazione » dei servizi pubblici non si trova espressamente menzionata in alcuna norma

della Costituzione. Essa, peraltro, non è che una forma

dell'impresa pubblica ; che è certamente consentita dalla

Carta costituzionale, come risulta, almeno, da due di

sposizioni. L'ima si rinviene nell'art. 42, secondo il quale « i beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a

privati », con l'ovvia conseguenza, che essendo l'azienda

un bene economico, essa può appartenere anche allo Stato

ed agli enti pubblici, e che, essendo la utilizzazione nella

forma d'attività imprenditoriale manifestazione noimale

d'esercizio del diritto dominicale, nulla può vietare che

l'ente proprietario dell'azienda eserciti l'impresa. L'altra, è da ravvisarsi nell'art. 43 (« A fini d'utilità generale, la

legge può riservare originariamente o trasferire, mediante

espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti

pubblici .... determinate imprese o categorie d'imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali....», ecc.). Se la Costituzione ammette che l'impresa possa formare

oggetto di monopolio di diritto a favore dello Stato o di

enti pubblici (« riserva originaria ») o di espropriazione

(2) Conf. Cons. Stato, Sez. IV, 16 gennaio 1903, n. 25, retro,

314, con nota di richiami.

(con conseguente formazione di monopolio pubblico) non

si comprende perchè possa considerarsi vietata l'assunzione

dell'impresa da parte dell'ente pubblico (comune, pro vincia o consorzio d'enti territoriali) quando sia constatato

che essa concerne un « servizio pubblico essenziale » ed

ha carattere di « preminente interesse generale », come

non sembra possa dubitarsi a proposito dell'assistenza

farmaceutica, e non si lede nessuna posizione giuridica

precostituita, non riscontrandosi, nè creazione di mo

nopolio, nè espropriazione. Il ricorrente, peraltro, non si riferisce alla creazione

attuale di un monopolio di diritto, ma alla possibile for

mazione d'un futuro ed eventuale monopolio di fatto. È per lo meno dubbio che una questione di illegittimità costituzionale possa fondarsi, non sul diretto contrasto tra una norma di legge ordinaria ed una della Costituzione, ma semplicemente su un'ipotesi riguardante conseguenze paventate e non attuali. Comunque, è ben noto che la

municipalizzazione dei servizi pubblici si risolve spesso nella creazione di monopoli di fatto : sono ben note le

ipotesi dei servizi di trasporti, di distribuzione di acqua potabile, di gas, di energia elettrica, ecc. Ma tale conse

guenza, come è stato più volte rilevato anche in dottrina, non dipende da una intrinseca natura monopolistica della

municipalizzazione, bensì dalla circostanza che si mu

nicipalizzano i « servizi pubblici » e soprattutto quelli che

presentano un grado più intenso d'utilità generale : ora, tali servizi non solo tendono a trasformarsi, anche quando sono gestiti da privati, e per riflessi economici, in « situazioni di monopolio » (art. 43 Cost.), sia pure riguardanti singoli settori territoriali ; ma, in più, essi non si esercitano quasi mai in regime di libertà economica, perchè sono, per gli interessi pubblici che investono, sottoposti a controllo della pubblica autorità, che si risolvono sempre in limita

zioni della concorrenza : concessioni, autorizzazioni, o altre

forme d'intervento pubblico. Le farmacie sono appunto, tra le diverse attività economiche e professionali, una delle

più rigidamente controllate : dimodoché, se l'aumento del

numero delle farmacie comunali riduce poporzionalmente

quello delle farmacie private, ciò si deve non alla muni

cipalizzazione, bensì al sistema della legge sanitaria, che

circoscrive la possibilità dell'esercizio privato entro il

numerus clausus determinato dalla pianta organica di

ciascun comune. Il che dimostra come sia privo di base

invocare un principio di libertà economica, a tutela d'una

posizione, che, viceversa, è perfettamente inquadrabile tra quelle «controllate per fini sociali», di cui all'art. 41, 3° comma, Costituzione.

D'altra parte, è ovvio che l'introduzione dell'azienda

pubblica in un determinato settore, possa ridurre la sfera

in cui dianzi agivano gli operatori privati ; ma non perciò

può dirsi violata la norma costituzionale concernente la

« tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni ».

Non merita particolare confusione l'affermazione che il

« lavoro autonomo », cioè quello professionale, costituisce

un « espressione più perfetta » di attività lavorativa, e

come tale dovrebbe formare oggetto di una più rigorosa tutela : è ovvio che non può ritenersi fine della norma

costituzionale la fissazione delle diverse attività produttive di beni e di servizi nelle forme in cui erano praticate al

momento della sua entrata in vigore, quando invece è

noto che attività col medesimo oggetto si trovano prati cate, di tempo in tempo e di luogo in luogo, in forme im

prenditoriali, o artigianali, o professionali, o di lavoro

subordinato, per effetto di fattori economici e sociali

dei quali il legislatore deve più spesso prendere atto, di

quanto non possa egli stesso determinarli. Dimodoché, la

norma vuole che il lavoro, comunque svolto, abbia adeguata tutela : ma non è intesa a stabilire gradazioni d'importanza o di « perfezione » tra diverse categorie di lavoratori, ed a

cristallizzare le categorie stesse, la mutazione dei cui ca

ratteri è conseguenza delle trasformazioni nelle strutture

economiche e sociali. Dire che l'istituzione della farmacia

comunale viola l'art. 35 della Costituzione, perchè presup

pone l'assunzione di farmacisti in rapporto d'impiego pub

blico, mentre esiste un ordine professionale dei farmacisti,

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PARTE TERZA

disciplinato da particolari norme legislative, è lo stesso

che affermare, per lo Stato e per gli enti pubblici, di or

ganizzare un servizio pubblico, o di svolgere una funzione

pubblica, per mezzo di personale impiegatizio, dove la

stessa materia possa formare oggetto di libera attività

professionale : si potrebbe giungere, così, ad affermare

che le pubbliche Amministrazioni non possono istituire

propri ruoli di avvocati, o di medici, o di ingegneri, perchè in tal modo un certo numero di liberi professionisti tende

a trasformarsi in pubblici impiegati, e perchè un certo

numero di affari sono trasferiti dal settore della libera

attività professionale a quello della prestazione impiegatizia. Dev'essere quindi disattesa l'istanza di rimessione degli

atti alla Corte costituzionale.

La Sezione deve quindi procedere all'esame delle cen

sure, che investono direttamente gli atti impugnati : e

non è necessaria l'ulteriore istruttoria richiesta dal ricorrente

sul procedimento in corso perla revisione della pianta or

ganica, trattandosi di indagine irrilevante, perchè vertente

su atti successivi a quelli che formano oggetto del pre sente ricorso.

Il ricorrente ritiene, che l'istituzione delle farmacie

comunali consente la deroga alle norme ordinarie, solo in

presenza di eccezionali esigenze, e nell'impossibilità di

procedere alla revisione, ordinaria o straordinaria, della

pianta organica (secondo motivo). E perciò, secondo un

principio che vuol dedurre dalla dec. IV Sez. 29 luglio 1955, n. 574 (Foro it., Rep. 1955, voce Farmacia, nn. 39-42), sostiene che nella specie non sarebbe stata sufficiente la

dimostrazione della « pubblica utilità » dell'istituzione, ma

sarebbe occorsa in più quella della « necessità » (terzo motivo) : in verità, la decisione citata parla più volte di

« valutazione della necessità » : ma difetta in essa qualsiasi

comparazione tra il concetto di « utilità » e di « necessità », donde possa arguirsi che, usando il secondo dei citati

termini, il Consiglio di Stato abbia voluto riferirsi ad « esigenze eccezionali » e non a quelle esigenze, che nor malmente inducono alla istituzione di nuove farmacie. E che tali ultime, e non altre, legittimano l'istituzione delle farmacie comunali, è stato successivamente chiarito con le decisioni della stessa Sezione 30 ottobre 1959, n. 1053, cit. e 25 ottobre 1960, n. 891 (id., Kep. 1960, voce cit., n. 29). Di conseguenza, è motivazione sufficiente quella contenuta nel parere del Consiglio provinciale di sanità, « che l'istitu zione di farmacie nel Comune di Milano, specie in località

distanti ed eccentriche rispetto al capoluogo ed agli eser cizi preesistenti corrisponde a vivi interessi della cittadi nanza ed in particolare delle popolazioni periferiche » ; tanto più che la Giunta provinciale amministrativa, nel

l'approvare la deliberazione di massima, che prevedeva l'istituzione di ben 40 farmacie, aveva segnalato l'esigenza di procedere con criterio di gradualità, riesaminando la effettiva necessità dell'istituzione, e comunque l'ubicazione di alcune delle farmacie previste ; e che a ciò il Comune si è conformato, limitando al numero di 25 gli esercizi istituiti.

Tale motivazione non può divenire illegittima (quarto motivo) per qualche considerazione ultronea contenuta nella deliberazione del Consiglio comunale 26 marzo 1962, come quella relativa alla « funzione calmieratrice » delle farmacie comunali sui prezzi dei medicinali, che viceversa sono fissati dalle autorità competenti. Ed in verità la deli berazione parla anche di funzione calmieratrice « indiretta,

per i suggerimenti e le proposte che un servizio farmaceutico di siffatte proporzioni, gestito per giunta da un ente pub blico alieno da qualsiasi fine speculativo non mancherà di far pervenire alle autorità statali » : nei quali limiti, la considerazione sembra esatta. È poi ugualmente chiaro, che quando pure le farmacie private siano « convenzionate »

per la somministrazione gratuita dei medicinali ai poveri, la gestione del relativo servizio direttamente a mezzo d'azienda comunale può realizzare un'economia per il comune ed un vantaggio per gli utenti se non altro per le

semplificazioni amministrative che si possono realizzare.

(Omissis) Per questi motivi, ecc.

CONSIGLIO DI STATO.

Sezione V ; decisione 14 giugno 1963, n. 420 ; Pres. Vozzi, Est. Laschena ; Soo. Terme di S. Pellegrino e Soc.

gestione Fonti minerali (Avv, Cassola) c. Comune di

S. Pellegrino Terme (Avv. Jemolo, Majno), Commis

sione provinciale di Bergamo (Avv. dello Stato

Petroni), Giunta prov. amm. di Bergamo.

Tasse e imposte comunali — Aeque minerali — De

terminazione del valore e della aliquota d'imposta relativa — Impugnativa — Giurisdizione del

Consiglio di Stato (Legge 2 luglio 1952 n. 703, dispo sizioni in materia di finanza locale, art. 11).

Tasse e imposte comunali — Speciale diritto sulle

acque minerali — Natura — Determinazione

dell'ammontare — Criterio e procedimento (Legge 2 luglio 1952 n. 703, art. 6, 11).

Tasse e imposte comunali — Acque minerali —

Ammontare del valore determinato dalla com

missione provinciale — Contestazione — Inam

missibilità — Fattispecie (Legge 2 luglio 1952 n. 703, art. 11).

Tasse e imposte comunali — Speciale diritto sulle

acque minerali — Incostituzionalità —- Questione manifestamente infondata (Costituzione della Re

pubblica, art. 3, 23, 24, 103, 113).

Il Consiglio di Stato è competente a conoscere del ricorso con

il quale si impugna il calcolo del valore delle acque mine

rali da tavola, operato dalla commissione prevista dall'art.

11 della legge 2 luglio 1952 n. 703, nonché la determinazione della relativa aliquota d'imposta effettuata dal comune. (1)

Ai fini della determinazione dell'ammontare dello speciale di

ritto, avente natura di imposta comunale, istituito sulle acque da tavola minerali e naturali dall'art. 6 della legge 2 luglio 1952 n. 703, il valore delle acque stesse può stabilirsi con

riferimento al loro prezzo di mercato attraverso la determi nazione dei costi corrispondenti alle varie operazioni cui le acque sono sottoposte per il loro sfruttamento commerciale, ed è legittima l'applicazione del procedimento prescritto per la determinazione dell'ammontare delle imposte di consumo. (2)

È inammissibile, perchè investe il merito dell'apprezzamento dell'amministrazione, la censura con la quale si contesti come eccessivo l'ammontare dei valori delle acque minerali da tavola, determinati dalla commissione prevista dal l'art. 11 della legge 2 luglio 1952 n. 703. (3)

È manifestamente infondata la questione d'incostituzionalità dell'art. 6 della legge 2 luglio 1942 n. 703 (che istituisce uno

(1) Conforme la decisione della stessa Sezione 30 maggio 1959, n. 310, Foro it., Rep. 1959, voce Competenza civ., n. 133 (pronunciata su altro ricorso delle Società gestione Fonti mine rali e Terme di S. Pellegrino), richiamata nella motivazione della presente.

Con sent. 2 marzo 1963, in questo volume, I, 594, con nota di richiami, il Tribunale di Bergamo ha ritenuto il giudice ordi nario competente a conoscere della domanda dal concessionario diretta a far dichiarare l'illegittimità della deliberazione, con la quale il comune ha applicato il diritto di asportazione delle acque minerali da tavola al valore imponibile, determinato di anno in anno dalla commissione provinciale, istituita con l'art. 22 del t. u. per la finanza locale.

La decisione dell'Adunanza plenaria 30 maggio 1962, n. 5, citata in motivazione, leggesi in questa rivista, 1962, III, 260.

(2) Nei precisi termini della massima, cons. Sez. V 30 di cembre 1960, n. 1075, Foro it., 1961, III, 1, con nota di richiami, tra i quali Sez. 30 dicembre 1960, n. 1074, citata in motivazione.

Per qualche riferimento, nel senso che il regime delle miniere si applica alle acque termali e minerali che sono « industrial mente utilizzabili », cons. Trib. Terni 27 giugno 1962, in questo volume, I, 1511, con nota di richiami.

(3) La massima, nei cui precisi termini non si rinvengono precedenti, è espressione di un principio ormai consolidato nella giurisprudenza del Consiglio di Stato (cons., fra le più recenti, Sez. IV 5 ottobre 1959, n. 865, Foro it., Rep. 1959, voce Giu stizia amministrativa, n. 323).

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