sezione IV; decisione 28 agosto 1997, n. 927; Pres. Iannotta, Est. Venturini; Min. tesoro (Avv.dello Stato De Socio) c. Cappi e altri (Avv. Ciacci). Conferma Tar Lazio, sez. I, 25 febbraio 1994Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 12 (DICEMBRE 1997), pp. 569/570-573/574Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191809 .
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569 GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 570
CONSIGLIO DI STATO; sezione IV; decisione 28 agosto 1997, n. 927; Pres. Iannotta, Est. Venturini; Min. tesoro (Avv. dello Stato De Socio) c. Cappi e altri (Aw. Ciacci). Confer ma Tar Lazio, sez. I, 25 febbraio 1994.
CONSIGLIO DI STATO;
Istruzione pubblica — Scuole di specializzazione universitarie — Specializzandi — Direttive comunitarie — Diretta applica bilità (Direttiva 16 giugno 1975 n. 75/363 Cee del consiglio, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, re
golamentari ed amministrative per le attività di medico; diret
tiva 26 gennaio 1982 n. 82/76 Cee del consiglio, che modifica
la direttiva 75/362/Cee e la direttiva 75/363/Cee; d.leg. 8
agosto 1991 n. 257, attuazione della direttiva n. 82/76/Cee
del consiglio del 26 gennaio 1982, recante modifica di prece denti direttive in tema di formazione dei medici specialisti, a norma dell'art. 6 1. 29 dicembre 1990 n. 428).
Deve essere disapplicato il d.leg. 8 agosto 1991 n. 257, conte
nente norme di recepimento delle direttive comunitarie in te
ma di formazione dei medici specialisti, nella parte in cui ha
previsto un limite (l'applicazione della nuova disciplina ai soli
corsi iniziati nell'anno accademico 1991-1992) in contrasto con
la normativa comunitaria, la quale non lascia per questo aspet to margini di discrezionalità. (1)
Diritto. — 1. - Come evidenziato in narrativa, le amministra
zioni appellanti contestano al primo giudice di essere pervenuto ad una pronuncia di annullamento degli atti impugnati a segui to di un'ampia indagine sui rapporti intercorrenti fra ordina
mento comunitario e ordinamento nazionale, ma senza aver pre liminarmente verificato l'ammissibilità del ricorso originario, cioè
la possibilità per i ricorrenti di ricavare un concreto vantaggio dell'annullamento giurisdizionale degli atti in questione.
La tesi svolta a questo riguardo dalle amministrazioni — nel
la quale si sostanzia il motivo d'impugnazione contenuto nel
l'atto di appello 16 marzo 1994 — è che il suddetto ricorso
avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile per difetto d'in
teresse sotto un duplice profilo: innanzi tutto perché nessun dan
no i ricorrenti avrebbero ricevuto, per quanto attiene alla possi bilità di svolgere in ambito comunitario la professione di medici specialisti, in conseguenza del ritardo con il quale la direttiva
(1) Il Consiglio di Stato conferma l'orientamento favorevole alla di
sapplicabilità della normativa italiana in tema di scuole di specializza zione che, riservando l'applicazione del nuovo ordinamento ai soli me dici ammessi ai corsi a partire dall'anno accademico 1991/1992 e la sciando sopravvivere il precedente regime per le specializzazioni in atto, si pone in contrasto con la disciplina comunitaria. Nello stesso senso v. Cass., sez. un., 10 agosto 1996, n. 7410, Foro it., 1997, I, 1563, con nota di F. Fracchia. Tale pronuncia aveva mantenuto disgiunti i problemi della diretta applicabilità della direttiva comunitaria — da risolvere ricorrendo ai criteri della natura incondizionata e sufficiente mente precisa delle disposizioni — e della qualificazione della situazio ne giuridica che fa capo al soggetto che deduca la violazione di quella disciplina. La presente decisione conferma che le notazioni relative alla
sussistenza, nel caso di specie, di un'attività organizzatoria amministra tiva con largo margine di discrezionalità servono solo a qualificare la
posizione fatta valere dai ricorrenti come interesse legittimo, mentre il nodo della disapplicabilità della legge italiana che prevede il limite
temporale dell'anno accademico 1991-1992 va sciolto verificando la esi stenza di un diretto contrasto tra norma interna e norma comunitaria
quanto allo specifico punto di contestazione. Nel caso deciso dalla pronuncia in epigrafe i ricorrenti, «nella loro
qualità di medici in atto frequentatori di corsi di specializzazione», so no riconosciuti «portatori di un interesse tutelato a fruire dei vantaggi previsti dalla normativa comunitaria». Per l'esame della diversa situa
zione in cui l'applicazione della più favorevole disciplina comunitaria
sia richiesta da soggetti che, alla data della proposizione del ricorso,
già siano in possesso della specializzazione, v. Tar Calabria 21 agosto 1996, n. 692, ibid., Ili, 288, il quale ha emanato una pronuncia di
inammissibilità del ricorso per carenza di interesse ad agire. Si noti infine che il Consiglio di Stato rigetta la tesi ad avviso della
quale la normativa comunitaria, permettendo agli Stati di continuare
ad applicare il vecchio ordinamento «ai candidati che abbiano iniziato
la loro formazione di medici specialisti al più tardi il 31 dicembre 1983»
(art. 7 direttiva n. 75/363, integrata dalla direttiva n. 82/76), legittime rebbe la ultrattività delle vecchie disposizioni per un certo periodo o
per corsi già iniziati: ritenendo la norma in esame dettata nell'esclusivo
interesse degli specializzandi, il giudice conclude che le «vecchie dispo sizioni» possono trovare applicazione soltanto a richiesta dei candidati.
Il Foro Italiano — 1997 — Parte III-21.
del consiglio n. 75/363/Cee (come modificata dalla direttiva dello
stesso consiglio n. 82/76/Cee) è stata recepita dallo Stato italia
no; in secondo luogo perché «l'efficacia puramente demolito
ria» della pronuncia chiesta al giudice adito non consentirebbe
agli stessi ricorrenti di ricavare da essa gli ulteriori vantaggi ai
quali essi tendono, e cioè la fruizione della borsa di studio per il periodo di frequenza del corso di specializzazione e l'assegna zione, al termine dello stesso, dello speciale punteggio da utiliz
zare nei concorsi nazionali di accesso alle strutture sanitarie pub bliche.
2. - Va preliminarmente osservato al riguardo che non ha
rilievo l'eccezione di novità svolta dagli appellati. Si verte in
tema di presupposti processuali che possono essere verificati an
che in grado di appello. La tesi delle amministrazioni appellanti, peraltro, non può
essere condivisa. La censura così come formulata, infatti, è in
fondata in entrambi i profili nei quali si articola.
3. - Per quanto attiene al primo profilo è da rilevare che
gli originari ricorrenti non hanno affermato che la discrimina
zione attuata nei loro confronti li penalizzerebbe per quanto attiene alla possibilità di esercitare — in ambito comunitario — la libera professione nella qualifica di medici specialistici.
Al contrario, il dato di base dal quale sono partiti nel loro
argomentare è la equivalenza, a questi fini, dei diplomi di spe cializzazione che saranno rilasciati sia ad essi che ai colleghi ammessi ai corsi organizzati sulla base degli atti impugnati, es
sendo identiche le procedure di ammissione al ciclo di forma
zione ed eguale l'impegno professionale e di studio richiesto
per il conseguimento degli attestati finali. Ed è proprio da que sta premessa che essi hanno preso le mosse per denunciare il
trattamento deteriore loro riservato — in contrasto con le preci se prescrizioni dettate in materia dalla direttiva comunitaria —
per quanto attiene sia alla fruizione delle borse di studio che
all'assegnazione dello speciale punteggio da utilizzare nelle pro cedure concorsuali di accesso alle strutture sanitarie pubbliche.
4. - Privo di pregio è anche il secondo profilo di censura, che si esaurisce nella mera affermazione secondo cui dall'annul
lamento dei decreti interministeriali impugnati i ricorrenti non
sarebbero in grado si ricavare alcun concreto vantaggio. Per
il modo generico in cui è formulata, senza il sussidio di alcun
argomento probatorio, la censura dovrebbe essere dichiarata
inammissibile, anche per quanto attiene alla asserita, ma non
dimostrata, «erroneità della strada seguita (dai ricorrenti) per la tutela degli interessi prospettati, ma inesistenti».
In effetti, l'unico argomento addotto a sostengo della inam
missibilità per difetto di interesse dei ricorsi originari è che le disposizioni dettate dalle direttive comunitarie lascerebbero un
certo spazio di discrezionalità agli Stati membri anche per quanto attiene alla «retribuzione» da corrispondere al medico «per atti
vità svolta nel corso di specializzazione».
Senonché, quando a dimostrazione e supporto di tale assunto
si aggiunge che «la disposizione comunitaria vuole solo affer
mare il principio che la specializzazione non deve avvenire a
spese dello specializzando e che il medesimo deve ricevere una
retribuzione per l'attività professionale svolta nell'ambito del
ciclo di formazione», implicitamente si conferma la giustezza della conclusione alla quale è pervenuto il tribunale amministra
tivo regionale, e cioè che non è consentito discriminare tra iscritti
per la prima volta ai corsi di specializzazione nell'anno 1991-1992
e frequentanti iscritti negli anni precedenti e che anche questi ultimi hanno titolo ad avere, per il periodo di frequenza al cor
so, lo stesso trattamento economico dei primi, ammessi in base
ai decreti impugnati, e lo stesso punteggio al termine del corso, essendo identiche le posizioni degli uni e degli altri (tutti egual mente destinatari delle disposizioni impartite dalla direttiva co
munitaria) ed identico l'impegno professionale e di studio ri chiesto.
5. - Probabilmente, una contestazione più puntuale ed esau
stiva delle conclusioni alle quali è pervenuto il tribunale ammi
nistrativo regionale avrebbe richiesto, da parte delle ammini
strazioni appellanti, il riesame critico della indagine compiuta dal primo giudice in ordine ai rapporti fra ordinamento comu
nitario e ordinamento nazionale, nonché agli obblighi che una
direttiva comunitaria è in grado di imporre al singolo Stato
membro.
Su questa indagine, di ampio respiro condotta anche con do
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PARTE TERZA
cumentato richiamo ai principi enunciati nella materia de qua dalla Corte costituzionale e dalla corte di lussemburgo, il tribu
nale amministrativo regionale ha in effetti costruito la propria decisione al punto che nel discorso generale svolto dal primo
giudice la pronuncia di annullamento degli atti impugnati si po ne come corollario obbligato dei risultati ai quali ha condotto
la suddetta, preliminare, verifica.
Senonché nell'atto di appello, da un lato, si riconosce espres samente (punto 2) la rilevanza fondamentale che assume, al fi
ne del decidere «l'indagine sul coordinamento degli ordinamen
ti» e sul «contenuto degli atti normativi di cui si predica la
efficacia diretta», ma, dall'altro lato, alla individuazione ed enun
ciazione del thema decidendum, non si fa seguire l'esposizione che sarebbe logico attendersi giacché, con una poco comprensi bile inversione di rotta, il discorso viene spostato sulla priorità
«dell'apprezzamento dell'interesse di colui che agisce in giudi zio». Ed è nella riproposizone dell'eccezione di inammissibilità
del ricorso originario, nei termini innanzi indicati, che in effetti
si esaurisce la contestazione dell'impugnata sentenza.
Sembra pertanto al collegio agevole osservare che, ove man
chi qualsiasi confutazione dei capisaldi sui quali il tribunale am
ministrativo regionale ha fondato la propria decisione (e cioè
la diretta ed immediata applicabilità delle direttive comunitarie
negli ordinamenti degli Stati membri e la possibilità per il giudi ce adito di disapplicare la normativa nazionale, ove contrastan
te con la prima), non può essere messo in dubbio che i ricorren
ti — nella loro qualità di medici in atto frequentatori di corsi
di specializzazione — sono portatori di un interesse tutelato a
fruire dei vantaggi previsti dalla normativa comunitaria, tro
vandosi essi nella situazione da questa prefigurata, e a chiedere
l'annullamento degli atti amministrativi adottati dallo Stato ita
liano nella parte in cui disattendono gli oblighi che conseguono alla direttiva.
6. - Le considerazioni di cui sopra (sub 3, 4 e 5) sono le
stesse che questa sezione ha avuto modo di svolgere con deci
sione n. 731 del 23 settembre 1994, su ricorso in appello n.
5629/93 delle stesse amministrazioni pubbliche in epigrafe. So
no calzanti e sufficienti anche nella presente fattispecie, che non
presenta differenti profili. Le amministrazioni appellanti, peraltro, nella memoria del 20
marzo 1997 dichiarano di voler effettuare, «avendo particolare
riguardo all'invito rivolto» da questo Consiglio di Stato, «un
riesame critico della indagine compiuta dal primo giudice in or
dine ai rapporti fra ordinamento comunitario e ordinamento
nazionale» (cfr. decisione n. 731 del 3 maggio-23 settembre 1994; frase ripetuta negli stessi termini nella presente decisione: v. so
pra). Contestano, quindi, procedendo al riesame critico, l'asse
rito contrasto tra legislazione nazionale e direttive comunitarie.
Negano comunque, se contrasto sussiste, che siano presenti le
condizioni per poter procedere alla diretta applicazione della
disciplina comunitaria, disapplicando la legislazione nazionale.
Ad avviso della sezione, il riesame avrebbe dovuto essere com
piuto nell'atto di appello notificato il 16 marzo 1994.
In effetti, si intende introdurre una nuova censura, per di
più con memoria non notificata.
Nell'atto introduttivo dell'appello non si contesta la diretta
applicabilità delle direttive comunitarie.
Si afferma — è vero — per quanto attiene il contrasto tra
gli ordinamenti che le disposizioni comunitarié «lasciano un mar
gine di discrezionalità agli Stati anche per quanto concerne il
c.d. tempo pieno (art. 2, 1° comma, lett. c), in quanto espressa mente si riserva ai medesimi la facolta di ammettere una forma
zione specializzata a tempo ridotto (art. 3)».
Senonché, poco prima si era espressamente avvertito: «Quan to si rileva di seguito, e che attiene alla comparazione dei due
ordinamenti, assume unicamente rilievo di prova di resistenza
della insussistenza di un interesse dei ricorrenti e, quindi, della
erroneità della strada seguita per la tutela degli interessi pro
spettati, ma inesistenti».
La nuova censura (o il nuovo profilo della censura) è, dun
que, inammissibile.
7. - Il riesame critico, comunque, non coglie nel segno. La decisione di primo grado ha affermato che la disciplina
comunitaria non lascia margini discrezionali per diferenziare tra
corsi già iniziati e quelli di futura attivazione.
Il giudice di primo grado è pervenuto a questa affermazione
rilevando che la disciplina comunitaria prevede la formazione
Il Foro Italiano — 1997.
a tempo ridotto in forma non retribuita solo come ipotesi ecce
zionale, ammissibile solo su richiesta e nell'interesse del singolo
medico, il quale si trovi nelle condizioni, obiettivamente accer
tate, di non poter seguire il regime generale dei corsi, che è
quello del tempo pieno retribuito.
Oppongono le amministrazioni appellanti che l'art. 7 della
direttiva n. 75/363/Cee, come sostituito dall'art. 12 della diret
tiva n. 82/76/Cee, consente transitoriamente deroghe in via ge nerale al regime del tempo pieno retribuito nella fase del pas
saggio dal vecchio al nuovo ordinamento (anche se in Italia la
direttiva è stata attuata con ritardo). Il contrasto tra direttiva comunitaria e legislazione nazionale,
perciò, secondo le amministrazioni, quanto al punto in conte
stazione (l'esclusione dal nuovo regime degli iscritti ai corsi di
specializzazione negli anni precedenti il 1991-1992), non sussiste.
Le considerazioni delle amministrazioni appellanti non pos sono essere condivise.
L'art. 7 della direttiva n. 75/363/Cee, nel testo sostituito dal
l'art. 12 della direttiva n. 82/76/Cee, prevede che gli Stati membri
possano continuare ad applicare le disposizioni legislative, rego lamentari ed amministrative che prevedono una formazione spe cializzata a tempo ridotto «ai candidati che abbiano iniziato
la loro formazione di medici specialisti al più tardi il 31 dicem
bre 1983».
La norma comunitaria è redatta in termini che suffragano
l'interpretazione che ne ha dato il Tar del Lazio. Non prevede,
infatti, la ultrattività, nella fase di avvio del nuovo ordinamen
to, delle vecchie disposizioni per un certo periodo o per corsi
di specializzazione già iniziati, ma solo la possibilità di conti nuare ad applicare ai candidati la cui formazione sia stata ini
ziata, e quindi nel loro interesse e a loro richiesta, sebbene non
per «singoli casi giustificati» (come l'art. 3 in via normale) ma
in una dimensione più ampia. La conferma che la norma sia stata dettata nell'esclusivo in
teresse degli specializzandi si trova nel 2° comma dell'art. 7
dove «i candidati» del 1° comma sono qualificati «beneficiari
della deroga» e tali certamente non sarebbero se questo non
fosse stato disposto a loro richiesta e nel loro interesse, posto che viene previsto che lo Stato ospitante possa richiedere, in
aggiunta al diploma, «un attestato che certifichi che essi si sono
dedicati effettivamente e lecitamente, a titolo di medici specilla
sti, all'attività in questione durante almeno tre anni consecutivi
nel corso dei cinque anni precedenti il rilascio dell'attestato».
Comunque sia, la deroga è prevista per i candidati che abbia
no iniziato la loro formazione di medici specialisti al più tardi
il 31 dicembre 1983. Gli attuali appellati, originari ricorrenti
in primo grado, invece, sono iscritti a corsi iniziati molto tempo
dopo. Si sottolinea dalle amministrazioni appellanti che la norma
è stata dettata per facilitare il passaggio dal preesistente all'at
tuale ordinamento e se ne ricava la facoltà dello Stato italiano, che ha recepito con ritardo le direttive, di differenziare nel 1991
tra corsi già iniziati e corsi da attivare con le nuove disposizioni. In tale maniera si confonde tra ragioni giustificatrici della
deroga e portata della norma. La deroga ha limiti temporali estremamente precisi, che non possono essere vanificati invo
cando le ragioni che l'hanno giustificata. È appena il caso di aggiungere che non ha alcun rilievo l'an
notazione che il ritardo nel recepimento della direttiva non con
sente comunque il pieno rispetto del termine «perché sarebbe
stato in concreto impossibile disciplinare con effetto retroattivo
(ossia dal 1° gennaio 1984) la specifica materia». L'impossibili tà di rispettare appieno un termine — è appena il caso di rile
varlo — non dà facoltà di continuare ulteriormente a non ri
spetarlo. 8. - Le amministrazioni appellanti nella memoria del 20 mar
zo 1997 contestano anche che sussistono le condizioni per la
immediata applicabiita delle normative comunitarie: le disposi zioni comunitarie non sarebbero «incondizionate» e «sufficien
temente precise». Invocando al riguardo i principi enunciati dalla Cassazione
a sezioni unite nella sentenza n. 7410 del 10 agosto 1996 (Foro it., 1997, I, 1563), dove si afferma che dalla direttiva n.
75/636/Cee, integrata dalla successiva direttiva n. 82/76/Cee, discendono criteri e regole che «trasferiti nell'ordinamento ita
liano dalla 1. 29 dicembre 1990 n. 428, e dal d.leg. 8 agosto 1991 n. 257, richiedono, al pari delle norme comunitarie a cui
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
tali provvedimenti normativi danno attuazione, un'attività or
ganizzatoria, con largo margine di discrezionalità, dell'ammini
strazione statale.
Ma qui non si intende minimamente contestare l'ampia di
screzionalità della pubblica amministrazione nella organizzazio
ne, programmazione e gestione dei corsi, nonché nella determi
nazione del numero e nella distribuzione dei corsi stessi e delle
borse di studio da assegnare. Queste notazioni, però, non risol
vono la questione che ne occupa. Servono solo a qualificare la posizione fatta valere dai ricorrenti in primo grado: di inte
resse legittimo e non di diritto soggettivo. Il problema va impostato nei suoi esatti termini.
Le direttive n. 75/363/Cee e 82/76/Cee abbisognano per es
sere attuate negli Stati membri di norme di recepimento. Queste sono state dettate con la 1. 29 dicembre 1990 n. 428 e il d.leg. 8 agosto 1991 n. 257. Il d.leg. n. 257 del 1991, però, ha dato
alle norme di attuazione un limite (i soli corsi di specializzazio ne iniziati nell'anno accademico 1991-1992 e non anche gli altri
iniziati prima e tuttora in via di svolgimento) che si assume
ed è in contrasto con la norma comunitaria. Si tratta di verifi
care se il limite sia direttamente ed immediatamente confliggen te con la norma comunitaria. Lo è, ad avviso della sezione,
perché la norma comunitaria, come si è visto, non consente
per questo aspetto margini di discrezionalità ed è puntuale. Si richiamano le ampie considerazioni svolte dal giudice di
primo grado in proposito, che la sezione pienamente condivide.
9. - L'appello principale deve, dunque, essere respinto e resta
assorbita l'ulteriore censura del ricorso in primo grado, richia
mata nell'appello incidentale proposto dai signori Cappi Giam
paolo e dagli altri in epigrafe indicati.
Nell'appello incidentale si chiede anche una pronuncia esten
siva dello stato giuridico ed economico del nuovo assetto anche
ai ricorrenti in primo grado. Sul punto, però, la decisione di primo grado è stata negativa.
Ha rilevato che la posizione fatta valere è di interesse legittimo e che il tipo di tutela offerta «non può attingere all'accertamen
to giurisdizionale di un diritto che la legge non conferisce e
che può scaturire solo da concrete determinazioni adottate dal
l'amministrazione in occasione della corretta applicazione della
normativa sovraordinata».
I sig. Cappi Giampaolo e gli altri in epigrafe indicati, rimasti
sul punto soccombenti, avrebbero dovuto impugnare il relativo
capo della sentenza con atto debitamente notificato: non è stato
notificato l'atto 10 dicembre 1994, definito comparsa di rispo sta ed appello incidentale.
10. - La sezione richiama e conferma le considerazioni con
clusive svolte nella decisione 731/94, nella quale ebbe a rilevare
che, nel riesaminare i provvedimenti indicati annullati in parte
qua, l'amministrazione avrebbe dovuto ricomprendere nel loro
campo di applicazione anche i ricorrenti, ove fosse per essi di
mostrata la sussistenza delle condizioni generali richieste per co
loro che ai corsi con tali provvedimenti sono stati ammessi e
cioè: a) frequenza di un corso di specializzazione in base alla
normativa dettata dal d.p.r. n. 162 del 1982 nell'anno accade
mico 1991-1992 e per l'intera durata del corso legale del ciclo
di formazione: b) impegno di servizio a tempo pieno, attestato
sotto la propria responsabilità dal direttore della scuola di spe
cializzazione; c) inibizione di qualsiasi attività libero-professionale esterna.
11. - In conclusione, l'appello principale va respinto e va di
chiarato inammissibile l'appello incidentale.
Il Foro Italiano — 1997.
CONSIGLIO DI STATO; adunanza plenaria; decisione 24 lu
glio 1997, n. 15; Pres. De Roberto, Est. Baccarini; Ucciero
ed altri (Avv. Centore, Lorizio) c. Tavoletta ed altri (Avv.
Laudadio, B. e F. Scotto). Conferma Tar Campania, sez.
II, 11 luglio 1996, n. 289.
Comune e provincia — Consiglieri comunali — Dimissioni di
almeno la metà — Scioglimento del consiglio — Condizioni
(L. 8 giugno 1990 n. 142, ordinamento delle autonomie loca
li, art. 31, 39; 1. 25 marzo 1993 n. 81, elezione diretta del
sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comuna
le e del consiglio provinciale, art. 22; 1. 15 ottobre 1993 n.
415, modifiche ed integrazioni alla 1. 25 marzo 1993 n. 81, art. 7; d.l. 30 agosto 1996 n. 452, modalità di funzionamento
dei consigli degli enti locali, art. 1: d.l. 23 ottobre 1996 n.
550, modalità di funzionamento dei consigli degli enti locali, art. 1:1. 23 dicembre 1996 n. 662, misure di razionalizzazione
della finanza pubblica, art. 1, comma 171).
Le dimissioni di almeno la metà dei consiglieri in carica danno
luogo allo scioglimento del consiglio comunale solamente se
simultanee, se presentate cioè nello stesso giorno. (1)
(1) La questione relativa al necessario coordinamento tra l'istituto della surrogazione dei consiglieri dimessisi e la previsione dello sciogli mento del consiglio in caso di dimissioni di almeno la metà dei suoi
componenti, implica l'individuazione del momento in cui le dimissioni
possono ritenersi efficaci. In proposito l'art. 31, comma 2 bis, 1. 142/90, introdotto dall'art. 7 1. 415/93, stabilisce che le dimissioni sono irrevo
cabili, non necessitano di presa d'atto e divengono efficaci, una volta adottata dal consiglio la relativa surrogazione, la quale deve avvenire entro venti giorni dalla data di presentazione delle dimissioni. Successi
vamente, attraverso due decreti-legge non convertiti (452/96 e 550/96), era stato modificato il suddetto art. 31, comma 2 bis, 1. 142/90, stabi lendo l'efficacia immediata delle dimissioni e che alla surrogazione non
si faceva luogo in caso di dimissioni di almeno la metà dei consiglieri. L'adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha negato qualsiasi effi
cacia (anche meramente interpretativa) alle disposizioni contenute nei decreti decaduti ed ha preso posizione, nel merito, su una questione che aveva visto le sezioni del Consiglio di Stato esprimersi in maniera diversa. Come risulta dalla motivazione, queste infatti si erano espresse ora per la sostanziale abrogazione, a seguito dell'art. 7 1. 415/93, dello
scioglimento per dimissioni di oltre metà dei consiglieri, ora invece per una ricostruzione della fattispecie dissolutoria in base a criteri procedi mentali.
L'adunanza plenaria ritiene invece di dover ricostruire la vicenda in
termini sostanziali, qualificando come alternative, e diversamente rego late anche nei loro effetti, le dimissioni ultra dimidium e quelle infra dimidium, con riferimento al momento in cui sono poste in essere (indi cando l'unità di tempo nel giorno) e concludendo quindi che le dimis
sioni di almeno la metà dei consiglieri in carica danno luogo allo scio
glimento del consiglio solamente se presentate nello stesso giorno. Nel senso che vanno considerate simultanee, ai fini e per gli effetti
di cui all'art. 39 1. 142/90, le dimissioni presentate dai consiglieri comu nali nello stesso giorno, anche se non contestualmente, v. pure Cons.
Stato, sez. V, 11 ottobre 1996, n. 1223, Foro it., Rep. 1996, voce Co
mune, n. 320, secondo cui l'entità minimale per determinare la colloca
zione temporale del verificarsi di un evento è il giorno, come emerge degli art. 2903 e 1187 c.c., sicché solo in presenza di una diversa volon tà legislativa può aversi riguardo al momento in cui, nell'ambito del
giorno, l'evento si è verificato; Tar Campania, sez. II, 23 marzo 1996, n. 72, ibid., n. 322, secondo cui le dimissioni di almeno la metà dei
consiglieri comunali integrano la fattispecie dissolutoria di cui all'art.
39, 1° comma, n. 2, 1. 142/90 solo quando siano presentate contestual mente (cioè con lo stesso documento) o comunque nello stesso giorno. Secondo Tar Basilicata 7 novembre 1991, n. 322 (id., 1993, III, 251, con nota di richiami), invece, l'ipotesi di scioglimento del consiglio co
munale disciplinata dall'art. 39, 1° comma, lett. b, n. 2, 1. 142/90 per le dimissioni di almeno la metà dei consiglieri comunali, si realizza indi
pendentemente dai motivi che hanno determinato le dimissioni stesse
e dalla loro contestualità. Sull'efficacia delle dimissioni dei consiglieri in rapporto alla realizza
zione dell'ipotesi di scioglimento del consiglio comunale per dimissioni
di almeno la metà dei suoi componenti, v. Tar Calabria 21 febbraio
1996, n. 222, id., Rep. 1996, voce cit., n. 323, secondo cui come le
dimissioni del consigliere comunale non producono effetti giuridici rile
vanti per il solo fatto di essere state presentate, in quanto i detti effetti
conseguono solo alla surrogazione del dimissionario, allo stesso modo
anche la contestuale o frazionata presentazione di dimissioni da parte di metà dei componenti assegnati all'organo collegiale non è di per sé
idonea a determinare l'immediato scioglimento, ove non sia inutilmente
decorso il termine di venti giorni entro il quale il consiglio comunale
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