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sezione IV; decisione 5 giugno 1995, n. 419; Pres. Buscema, Est. Ferrari; D'Alessio (Avv.Sannino) c. Min. lavori pubblici (Avv. dello Stato Gentili). Conferma Tar Lazio, sez. III, 1°giugno 1994, n. 1220Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 12 (DICEMBRE 1995), pp. 591/592-601/602Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190720 .
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PARTE TERZA
fondamento nel principio costituzionale dell'indipendenza della
funzione giurisdizionale, non è pertinente al caso di specie e
non può dar fondato ingresso a sindacato di ragionevolezza ex
art. 3 Cost.
Quanto alla pretesa genericità dei criteri determinativi dei com
parti di contrattazione collettiva, la questione di legittimità co
stituzionale in riferimento all'art. 76 Cost, è manifestamente
infondata, in quanto non si tratta nella specie di una delegazio ne legislativa, ma dell'attribuzione al governo di poteri regola mentari in materia non coperta da riserva assoluta di legge e
con prefissione con sufficiente determinatezza, in relazione an
che alle finalità di ordine generale della legge, di criteri direttivi. 4. - Per le suesposte considerazioni, l'appello va respinto.
I
CONSIGLIO DI STATO; sezione IV; decisione 5 giugno 1995, n. 419; Pres. Buscema, Est. Ferrari; D'Alessio (Avv. San
nino) c. Min. lavori pubblici (Aw. dello Stato Gentili). Con
ferma Tar Lazio, sez. Ili, 1° giugno 1994, n. 1220.
Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Sospensione cau
telare facoltativa dal servizio — Misura restrittiva della liber
tà personale successivamente revocata — Sufficienza (D.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, statuto degli impiegati civili dello Sta
to, art. 91).
Anche nella vigenza della nuova disciplina del processo penale dettata dal d.p.r. 447/88, la comminatoria di una misura cau
telare restrittiva della libertà personale, successivamente revo
cata, giustifica il passaggio dalla sospensione cautelare obbli
gatoria del pubblico dipendente a quella facoltativa, ai sensi
dell'art. 91, 1° comma, d.p.r. 3/57. (1)
II
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA SI CILIA; sezione Catania; sentenza 3 maggio 1995, n. 1267; Pres. Zingales, Est. Milana; Mazzeo (Avv. Mauceri, Cam
bria) c. Consorzio autostrada Messina-Catania-Siracusa (Avv. Alì).
Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Sospensione cau telare facoltativa dal servizio — Presupposto dell'inizio del
l'azione penale — Rinvio al codice di procedura penale abro
gato (D.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, art. 91).
Il riferimento all'inizio dell'azione penale, quale presupposto di diritto per la sospensione cautelare facoltativa, contenuto
nella prima parte del 1° comma dell'art. 91 t.u. 3/57, deve
intendersi configurato come rinvio recettizio statico alle no
zioni ed istituti del codice di procedura penale vigente all'e
poca ed oggi abrogato e, quindi, riferito anche allo «stato di arresto» ex art. 78, 1° comma, c.p.p. del 1930. (2)
(1-3) In termini con Cons. Stato 419/95, altre due recenti decisioni, della sez. IV 29 luglio 1995, n. 579, Cons. Stato, 1995, I, 1045 e della sez. VI 23 giugno 1995, n. 617, ibid., 911.
Dal dettagliato excursus sullo stato della giurisprudenza prima del nuovo codice di procedura penale introdotto con d.p.r. 447/88, conte nuto nella motivazione della decisione 419/95 in epigrafe, si evince che la giurisprudenza prevalente (dal cui solco sostanzialmente non si disco stano le due sentenze dei Tar in epigrafe) ritiene necessaria ai fini della
sospensione cautelare facoltativa dal servizio del pubblico dipendente una formale contestazione del fatto costituente reato, con conseguente insufficienza della semplice «comunicazione giudiziaria»/«awiso di pro cedimento» ma senza arrivare all'affermazione della necessità di atten
II Foro Italiano — 1995.
Ill
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA TOSCANA; sezione II; sentenza 1° dicembre 1994, n. 379;
Pres. Massacesi, Est. Orlando; Avino (Aw. Azzena) c. Co
mune di Pontedera (Avv. Merusi).
Impiegato degli enti locali — Sospensione cautelare facoltativa
dal servizio — Procedimento penale non ancora aperto —
Illegittimità (R.d. 3 marzo 1934 n. 383, t.u. della legge comu
nale e provinciale, art. 249; d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, art.
92).
È illegittimo il provvedimento di sospensione cautelare facolta tiva dal servizio di dipendente comunale (nella specie, coman
dante dei vigili urbani) assunto ai sensi dell'art. 92 t.u. 3/57 e della corrispondente disposizione del regolamento organico
comunale, in relazione a futuri esiti di un procedimento pe nale non ancora aperto, con perplesso ed equivoco richiamo
a disposizioni normative non convergenti ed in assenza di ido
nea motivazione sulla gravità del reato e la incompatibilità della permanenza in servizio del dipendente, sotto il profilo dell'interesse pubblico e del pregiudizio al prestigio della pub blica amministrazione. (3)
I
Diritto. — (Omissis). 2. - Il problema di fondo, che l'appel lante sottopone al collegio con il secondo motivo d'impugnazio
ne, è se — in presenza di una norma (l'art. 91, 1° comma,
prima parte, t.u. n. 3 del 1957), che facoltizza il ministro a
sospendere in via cautelativa il pubblico dipendente «sottoposto a procedimento penale» — possa ritenersi sussistente detta con
dizione ove l'interessato abbia subito, nel corso delle indagini
dere il rinvio a giudizio; la mera comunicazione giudiziaria recante l'in dicazione delle norme violate e la data del fatto addebitato è stata, invece, ritenuta sufficiente ai fini dell'adozione della sospensione caute lare facoltativa dal servizio di ufficiale della guardia di finanza ex art. 29 1. 113/54 da Cons. Stato, sez. IV, 9 giugno 1993, n. 584, Foro it., 1994, III, 94, con nota di richiami; in ordine all'art. 91 t.u. 3/57, v. anche Tar Calabria, sez. Reggio Calabria, 4 marzo 1994, n. 260, id., Rep. 1994, voce Impiegato dello Stato, n. 1031 (che ritiene sufficiente, ai fini della sospensione cautelare dal servizio, la posizione di «indaga to» e non anche di «imputato», purché il dipendente sia stato fatto
oggetto di contestazioni specifiche o sia stato sottoposto a misure cau
telari; contra, per l'insufficienza della semplice qualità di «indagato», ancorché con applicazione della misura interdittiva della sospensione temporanea dall'esercizio di un pubblico ufficio, e la necessità che l'a zione penale sia iniziata con la richiesta di rinvio a giudizio o con la citazione a giudizio, Tar Lombardia, sez. Brescia, 3 marzo 1994, n. 102, ibid., n. 1028); Cons. Stato, sez. VI, 7 dicembre 1992, n. 1026, id., Rep. 1993, voce Istruzione pubblica, n. 358 (secondo cui è legittima la sospensione cautelare disposta «a seguito dell'inizio del procedimen to penale non comportante mandato o ordine di cattura e sia stata ade
guatamente considerata, con esauriente valutazione, la gravità dei fatti in connessione con la funzione docente dell'interessato»); 27 gennaio 1983, n. 1051, id., 1983, III, 254, con nota di ulteriori richiami (secon do cui è corretta la sospensione cautelare disposta dopo la condanna in primo grado e la conferma in appello per delitti contro la fede pub blica, senza specifica indicazione di ulteriori ragioni).
Sul procedimento disciplinare conseguente a fatti oggetto di processo penale e sui limiti della potestà di valutazione discrezionale di quei fatti da parte dell'amministrazione procedente, v. Cons. Stato, sez. V, 27
aprile 1993, n. 485, id., 1994, III, 95; nonché, con riferimento al conse guente procedimento disciplinare ed al principio del ne bis in idem (rite nuto non impeditivo dell'apertura di nuovo procedimento dopo la con danna definitiva, anche in presenza di un precedente procedimento estinto
prima della detta condanna), Tar Toscana, sez. II, 13 febbraio 1995, n. 62, Toscana lav. giur., 1995, 288; sulla nuova disciplina introdotta dalle leggi 16/92 e 55/90, v. Tar Lazio, sez. II, 20 ottobre 1994, n.
1323, Foro it., 1995, III, 403, con nota di richiami e osservazioni di V. Poli, Aspetti problematici della giurisdizione in tema di sospensione obbligatoria dalle funzioni ex art. 1 l. 16/92-, sugli effetti della sospen sione cautelare in relazione agli esiti del procedimento disciplinare e della eventuale restitutio in integrum del dipendente, v. Cons. Stato, commiss. spec, pubblico impiego, 14 marzo 1994, n. 317, ibid., 430; su alcune problematiche di costituzionalità delle procedure disciplinari di cui ai d.p.r. 3/57 e 599/54, v. Corte cost. 477/95 e 374/95 e 356/95 e 126/95, in un prossimo fascicolo.
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
preliminari, un provvedimento restrittivo della libertà persona
le, successivamente revocato, ma non sia stata ancora formula
ta dal p.m., nei suoi confronti, la richiesta di rinvio a giudizio.
L'appellante riconosce che sotto il vigore del precedente codi
ce di procedura penale la giurisprudenza del giudice ammini
strativo era orientata in senso affermativo, ma nega che tale conclusione possa ritenersi ancora attuale nella vigenza della nuo
va disciplina del processo penale dettata dal d.p.r. 22 settembre
1988 n. 447. In effetti la contestazione, da parte dell'appellante, della con
traria conclusione alla quale — sul punto — è pervenuto il pri mo giudice è, per determinati profili, ben più radicale di quella che potrebbe trovare giustificazione nella premessa enunciata, e cioè nel passaggio dal vecchio al nuovo regime processuale, nel senso che investe, almeno in una prima prospettazione, lo
stesso presupposto (l'esistenza di una misura restrittiva della li
bertà personale, successivamente revocata) dal quale muoveva
la giurisprudenza nel dare risposta affermativa al quesito. La
tesi svolta al riguardo dall'appellante (attraverso la denuncia
di violazione e falsa interpretazione del cit. art. 91, 1° comma,
prima parte, t.u. n. 3 del 1957 e di eccesso di potere per falsità
di presupposto) è che la misura della custodia cautelare in car
cere costituiva, costituisce tuttora, presupposto della sola so
spensione obbligatoria, per cui non sarebbe conforme a legge il richiamo ad essa al fine di legittimare un provvedimento di
sospensione facoltativa.
Sotto questo profilo la censura è infondata giacché la giuris
prudenza richiamava, a giustificazione della legittimità del prov
vedimento di sospensione facoltativa, la suddetta misura caute
lare non come fatto impeditivo della prestazione lavorativa da
parte del pubblico dipendente e della conseguenziale declarato
ria di decadenza dall'impiego per un'assenza altrimenti ingiusti
ficata (Cons. Stato, sez. VI, 15 dicembre 1978, n. 1305, Foro
it., Rep. 1979, voce Impiegato dello Stato, n. 1128), ma come
provvedimento che sottintendeva un previo accertamento (sia
pure incompleto e provvisorio) compiuto nella competente sede
penale, in ordine alla responsabilità del pubblico dipendente (suf
ficienti indizi di colpevolezza»: art. 52 c.p.p. abrogato) e che
presupponeva la contestazione a quest'ultimo, da parte del p.m.
o del pretore, di un fatto specifico costituente reato, «qualun
que fosse l'atto o il tipo d'istruzione nel quale la contestazione
fosse avvenuta» (Cons. Stato, sez. Ili, 13 luglio 1978, n. 401). 3. - Sostiene ancora l'appellante che il Tar non avvrebbe con
siderato che la misura cautelare era stata comunque revocata,
per cui la stessa non poteva essere richiamata dal primo giudice
al fine di giustificare il successivo provvedimento di sospensione
facoltativa. Né sarebbe condivisibile l'argomentazione addotta
dallo stesso Tar, e cioè che nella specie la suddetta revoca era
stata disposta per essere venute meno le esigenze cautelari, e
non anche i «gravi indizi di colpevolezza» cui fa espresso ri
chiamo il cit. art. 273 c.p.p., i quali sarebbero rimasti immutati
nonostante il sopravvenuto venir meno delle prime. La tesi esposta al rigurdo dall'appellante, invero non molto
chiara nella sua formulazione, sembrerebbe essere che nel dise
gno generale del nuovo codice di procedura penale i gravi indizi
di colpevolezza e le esigenze cautelari costituirebbero un uni
cum indivisibile, con la conseguenza che il giudizio sotteso al
provvedimento di revoca della misura cautelare coinvolgerebbe
ambedue gli elementi sopra indicati.
Se questo è il senso della doglianza è sufficiente opporre che
l'art. 299, 1° comma, c.p.p. — al quale l'interessato espressa
mente si richiama nel tentativo di confutare la conclusione del
primo giudice — condiziona la revoca delle misure coercitive
e interdittive a due presupposti autonomi e indipendenti l'uno
dall'altro, e cioè il venir meno: a) delle condizioni di applicabi lità previste dall'art. 273, e cioè i gravi indizi di colpevolezza, ovvero ti) delle esigenze cautelari previste dal successivo art. 274.
Ciò sta a significare, con evidenza, che la revoca della misura
restrittiva per la seconda ragione non implica affatto un ripen
samento anche rispetto alla prima, dal momento che ciascuna
delle due è in grado, da sola, di sorreggere il relativo provvedi
mento (come è accaduto nella specie), a differenza di quanto è previsto per la fase dell'imposizione, nella quale è invece ne
cessario il concorso di ambedue le condizioni e cioè la conte
stuale sussistenza di un apprezzabile fumus commissi delicti e
del periculum libertatis.
Non è in grado di condurre a diverse conclusioni l'osserva
li Foro Italiano — 1995.
zione dell'appellante secondo cui, nell'attuale sistema proces
suale, i gravi indizi di colpevolezza fungerebbero da «presuppo sto imprescindibile che limita il potere coercitivo del giudice», e non gà come «indizio della sussistenza a carico dell'indagato di un presunto fumus commissi delicti, che permarrebbe nono
stante la revoca della misura cautelare personale». Ed invero, a prescindere dal fatto che non è chiara la perti
nenza dell'osservazione rispetto al contenuto della doglianza de
dotta, risulta assorbente la considerazione che non sussiste af
fatto la contrapposizione evidenziata dall'appellante fra le due
asserite funzioni, risultando evidente che il potere coercitivo può essere esercitato dal g.i.p. solo in quanto egli abbia maturato, sulla base del materiale probatorio trasmessogli dal p.m., il con
vincimento della colpevolezza dell'indagato. In altri termini, l'esistenza di un fumus apprezzabile, unita
mente all'esistenza di una obiettiva esigenza cautelare, costitui
scono i presupposti imprescindibili per la comminatoria della
misura restrittiva, ma il venir meno della seconda non compor ta affatto il venir meno anche del primo.
4. - Può ora essere affrontato il problema principale che l'ap
pellante sottopone all'esame del collegio con il secondo motivo
d'impugnazione (v. sub 2), e cioè se sussiste il presupposto della
sottoposizione a procedimento penale per il pubblico dipenden te che nella fase delle indagini preliminari era stato sottoposto ad un provvedimento restrittivo della libertà personale, succes
sivamente revocato per essere venute meno le sole esigenze cau
telari, ma per il quale non era stata ancora formulata dal p.m.
la richiesta di rinvio a giudizio. Si è già detto che sotto il vigore dell'abrogato c.p.p. la giuris
prudenza del giudice amministrativo era orientata in senso af
fermativo, nella considerazione che l'avvenuta contestazione al
pubblico dipendente di un fatto specifico costituente reato, con
seguente ad un intervenuto accertamento (sia pure incompleto
e provvisorio) della sua responsabilità, consentiva all'interessa
to di esercitare il proprio diritto di difesa.
Da questa premessa la stessa giurisprudenza deduceva che non
poteva considerarsi assoggettato a procedimento penale (e, con
seguentemente, non poteva essere destinatario di un provvedi mento di sospensione cautelare facoltativa ex art. 91, 1° com
ma, prima parte, t.u. n. 3 del 1957) il pubblico dipendente:
a) indicato come reo in un rapporto, referto, denuncia o que
rela ex art. 1 dell'abrogato c.p.p., prima che l'ufficio compe tente del p.m., sulla base di una propria valutazione di tali atti,
avesse adottato i provvedimenti di sua competenza (ad esempio,
ordini di cattura, di accompagnamento, di comparizione), «con
testando all'impiegato fatti specifici costitutivi di fattispecie di
reato», e prima che ad atti analoghi avesse provveduto il giudi
ce istruttore o il pretore (Cons. Stato, sez. VI, 18 aprile 1962, n. 346, id., Rep. 1962, voce cit., n. 589);
b) sottoposto a provvedimenti di polizia giudiziaria di cui al l'art. 219 dell'abrogato c.p.p., compresi quelli restrittivi della
libertà personale, prima che gli stessi fossero stati confermati
dal p.m. o dal pretore, «e prima che fossero stati contestati
all'impiegato, nei modi previsti dalla legge penale, fatti specifici che configurano fattispecie delittuose» (Cons. Stato, sez. Ili,
13 luglio 1978, n. 401, cit.); c) destinatario dell'avviso di procedimento di cui all'art. 390
dell'abrogato c.p.p., nel testo sostituito dall'art. 9 1. 5 dicembre
1969 n. 932, o della comunicazione giudiziaria di cui all'art.
304 dell'abrogato c.p.p., nel testo sostituito dall'art. 3 I. 15 di
cembre 1972 n. 773, non avendo nessuno di detti atti «la fun
zione di contestare al loro destinatario fatti specifici costitutivi
fattispecie di reato», ma solo quella «d'invitare il destinatario
stesso a chiarire il rapporto in cui si trova con i fatti predetti»
(Cons. Stato, sez. Ili, 13 luglio 1978, n. 401, cit.; sez. IV 13
luglio 1979, n. 640, id., Rep. 1979, voce cit., n. 1133; 5 settem bre 1984, n. 664, id., Rep. 1985, voce cit., n. 875; 13 gennaio 1992, n. 32, id., Rep. 1994, voce cit., nn. 1107, 1109, 1113).
Ritiene il collegio che, contrariamente all'assunto dell'appel
lante, la situazione non sia affatto mutata con il nuovo codice
di procedura penale se non in senso maggiormente garartistico
per il soggetto indagato. Il nuovo codice condiziona infatti l'a
dozione della misura cautelare ad un presupposto molto più
rigido e riduttivo della libertà d'azione del giudice di quello ri chiesto dall'abrogato codice di rito, e cioè all'esistenza di «gra
vi indizi di colpevolezza» (art. 273 c.p.p.), che per il legislatore
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PARTE TERZA
nella sua valutazione complessiva ha ritenuto sufficienti a giu stificare la misura restrittiva o interdittiva, anche se non rag
giungono «il grado di certezza richiesto per la condanna» (Cass.
pen. 5 luglio 1990; 26 gennaio 1994). È ben vero che l'accertamento da parte del g.i.p. in ordine
al materiale probatorio rimessogli dal p.m. non è completo, nel senso che non ha subito tutte le possibili verifiche, sicché la
decisione è assunta dallo stesso g.i.p. «allo stato degli atti» (Cass.
pen. 11 marzo 1991), ma ciò non determina un vuoto di tutela
per l'indagato ove si consideri che:
a) nella fase delle indagini preliminari, preordinata alla rac
colta del materiale probatoria da assumere a giustificazione del la richiesta di rinvio a giudizio, il p.m. interviene come magi
strato, tenuto come tale al dovere dell'imparzialità, giacché egli assume formalmente il ruolo processuale di parte solo innanzi
al giudice. Pertanto, nella suddetta fase, egli è tenuto ad eac
quisire tutti gli elementi necessari a verificare la fondatezza del
la notitia criminis, e quindi ad accertare anche i fatti che posso no condurre ad una declaratoria di innocenza della persona in
dagata (art. 358 c.p.p.), di infondatezza della notizia di reato
(art. 408 c.p.p.) ovvero ad una richiesta di archiviazione per altre ragioni (art. 411 c.p.p.);
b) lo stesso p.m., nella suddetta fase delle indagini prelimi
nari, ha innanzi a sé un giudice (il g.i.p.), che non è quello del processo, ma che interviene come terzo per valutare un ma
teriale probatorio che non è stato raccolto da lui, sicché è diffi
cile anche solo ipotizzare, come l'esperienza degli ultimi anni
ha dimostrato, che egli possa assumersi la responsabilità di aval
lare la richiesta del p.m. sulla base di un mero atto di fiducia
sul suo "operato senza un adeguato riscontro documentale. È ben vero che il g.i.p. adotta il provvedimento cautelare
senza un previo contraddittorio fra chi ha formulato la richie
sta e l'indagato, ma questa regola generale subisce una signifi cativa eccezione quando si tratta (come nella specie) di custodia
in carcere. In questo caso, infatti, il g.i.p. è obbligato a proce dere all'interrogtorio dell'indagato in presenza del difensore (che ne abbia fatto richiesta) e ad ascoltare le sue ragioni, ponendole a raffronto con quelle che già gli sono state rappresentate dal
p.m., e a valutarle sulla base del materiale probatorio prodotto del p.m. stesso (art. 294 c.p.p.), con la conseguenza che — a
questi fini e in questo ambito — ancorché si verta nella fase
procedimentale delle indagini preliminari (art. 326 ss. c.p.p.), che precede quella processuale vera e propria (art. 416 ss. c.p.p.), il principio della contestazione di un fatto specifico costituente
reato e del contraddittorio (sul quale fa perno la giurisprudenza amministrativa sopra richiamata) è fatto salvo.
Aggiungasi che l'attuale codice di rito prevede la possibilità
per gli interessati di impugnare le ordinanze, che dispongono una misura coercitiva, mediante proposizione di una richiesta
di riesame (art. 30 c.p.p.), dell'appello (art. 310 c.p.p.), del ricorso per cassazione (art. 311 c.p.p.).
In effetti, se ben si riflette, è proprio da questi elementi che la dottrina processualistica più recente ha tratto la conclusione di una intervenuta giurisdizionalizzazione delle misure cautela ri, conseguente alla netta distinzione introdotta dal nuovo codi ce fra il ruolo del p.m. (autore della richiesta) e il g.i.p. (cui spetta decidere su di essa), nonché alla previsione legislativa di
presupposti specifici per l'adozione dei singoli provvedimenti cautelari, riducendo gli spazi di valutazione del g.i.p., ma, al
tempo stesso, rendendo obbligatoria la loro comminatoria (art. 275, 3° comma, c.p.p., nel testo modificato dall'art. 5, 1° com
ma, d.l. 13 maggio 1991 n. 152). Il nuovo sistema processuale si caratterizza, infatti, per la previsione di una riserva di legge per quanto attiene ai presupposti, e di una riserva di giurisdi zione per quanto riguarda l'adozione della misura cautelare, che è rimessa al giudice.
Segue da quanto sopra esposto che il ragionamento svolto dalla giurisprudenza del giudice amministrativo, nel vigore del
l'abrogato c.p.p. — che nella comminatoria di una misura cau telare restrittiva della libertà personale, successivamente revoca
ta, individuava il presupposto necessario e sufficiente (unita mente alla valutazione da parte dell'autorità amministrativa
competente sulla gravità del reato) per il passaggio dalla so
spensione cautelare obbligatoria del pubblico dipendente a quella facoltativa — resta tuttora valido e persuasivo anche nel più garantistico sistema processuale introdotto dal nuovo codice di
rito, risultando ancora più rigorosi i presupposti sui quali la
Il Foro Italiano — 1995.
suddetta giurisprudenza fondava le proprie conclusioni, e cioè:
a) un (provvisorio) giudizio di responsabilità del pubblico di pendente fondato su un materiale probatorio verificato da un
soggetto (il g.i.p.) diverso da quello che lo ha raccolto (il p.m.);
b) la contestazione di un fatto specifico riconducibile ad una
fattispecie criminosa, confutabile da parte dell'interessato me diante la produzione di elementi di difesa al giudice cui spetta decidere.
5. - Rispetto al thema decìdendum è inconferente l'osserva
zione dell'appellante secondo cui, ai sensi dell'art. 60 c.p.p., la qualità di imputato si assumerebbe solo nel momento in cui
il p.m., con la richiesta di rinvio a giudizio (nella specie, ancora non intervenuta), eserciterebbe l'azione penale, cosi come non
è condivisibile l'affermazione dello stesso appellante secondo
cui solo da tale momento avrebbe inizio «la pendenza del pro cedimento penale».
Per quanto attiene alla prima osservazione può infatti oppor si che l'art. 91, 1° comma, prima parte, t.u. n. 3 del 1957 ri chiede la sottoposizione a «procedimento penale», e non anche
l'acquisizione della qualità di imputato da parte del pubblico
dipendente, che è tutt'altra cosa. Per quanto invece riguarda la seconda osservazione va precisato che il «procedimento pena le» (che coincide con la fase delle indagini preliminari) inizia con l'acquisizione della notitia criminis (art. 330 c.c.p.) e con la conseguente immediata iscrizione dell'indagato nell'apposito
registro tenuto presso l'ufficio del p.m. (art. 335 c.p.p.), laddo
ve il «processo» inizia con la richiesta di rinvio a giudizio, for
mulata dal p.m. al g.i.p. e delibata da quest'ultimo nel contrad
dittorio fra le parti nel corso dell'udienza preliminare (art. 60, 4Ó5 e 416 c.p.p.).
È noto infatti che il sistema delineato dal nuovo c.p.p. si
articola in una fase procedimentale — affidata all'iniziativa in
vestigativa del p.m. e nella quale il g.i.p. compie solo interventi
incidentali, non essendo egli titolare delle indagini né disponen do di poteri d'iniziativa, ma avendo una competenza limitata
ai singoli provvedimenti che gli sono richiesti (fra questi, le even tuali misure cautelari) — e in una fase processuale aperta al
contraddittorio fra le parti innanzi al giudice attraverso la con
trapposizione dialettica delle tesi dell'accusa e delle contrarie
argomentazioni della difesa.
La scansione temporale e la diversità concettuale fra le due
fasi sono un dato incontrovertibile, emergente con chiara evi denza dalla lettura del nuovo codice.
Va peraltro aggiunto che le conclusioni non muterebbero an
che ove si volesse accedere alla tesi, talora svolta in dottrina,
che, prendendo spunto da talune incertezze terminologiche rin
venibili nel testo del nuovo codice, considera il termine «proce dimento» come comprensivo di ambedue le fasi (precedente e successiva all'esercizio dell'azione penale): il testo letterale del cit. art. 91 t.u. n. 3 del 1957 condurrebbe comunque a ricercare il momento in cui ha inizio il «procedimento penale», ancorché inteso nella accezione più ampia.
Le considerazioni fin qui svolte spiegano perché non è condi visibile la tesi, sottesa al ragionamento dell'appellante, secondo cui la sottoposizione a procedimento penale postulerebbe che un giudice sia investito della decisione sulla pretesa punitiva dello Stato in ordine ad una determinata imputazione. Non lo richie de il cit. art. 91 né lo ha mai richiesto la giurisprudenza del
giudice amministrativo la quale, almeno nelle sue decisioni più
significative (che sono poi quelle che hanno segnato la strada sulla quale si è svolta la successiva elaborazione) si è piuttosto
preoccupata di conciliare il rigore della norma sopra citata e
l'immagine dell'amministrazione pubblica con le esigenze di ga ranzia del pubblico dipendente indagato e pertanto, con riferi mento a situazioni analoghe a quella ora in esame, ha concluso nel senso che presupposto legittimante l'adozione della sospen sione facoltativa dal servizio è che al soggetto interessato sia stato contestato il fatto-reato e gli sia stata offerta la possibilità di difendersi innanzi a un giudice, che non deve essere necessa riamente quello investito della decisione sulla pena, potendo ben essere quello competente ad acclarare l'esistenza dei presupposti legittimanti l'irrogazione di una misura cautelare restrittiva del la libertà personale.
Si tratta di una conclusione che, proprio a tutela dell'indaga to, va confermata soprattutto nel vigore di un sistema proces suale, quale quello attuale, nel quale le indagini preliminari po trebbero essere svolte per intero all'insaputa dell'indagato nei
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
cui confronti non sussista la necessità di adottare una misura
restrittiva o interdittiva, posto che l'informazione di garanzia
(a differenza della soppressa comunicazione giudiziaria) è ob
bligatoria solo nei casi in cui il p.m. debba compiere atti (inter
rogatori, confronti, ispezioni, ecc.) ai quali ha diritto di assiste
re il difensore (art. 369 c.p.p.). D'altro canto, posto che il ragionamento dell'appellante, al
di là del puntuale richiamo a singole norme, è nella sostanza
inteso a valorizzare le garanzie che l'ordinamento deve offrire
al pubblico dipendente indagato, resta insoluto, nello stesso ra
gionamento, il problema della maggiore garanzia che la mera
richiesta di rinvio a giudizio da parte del p.m. (individuata co me momento iniziale del procedimento) offrirebbe — in ordine
agli stessi fatti contestati (art. 292 e 417 c.p.p.) — rispetto al
decisum del g.i.p. Non è chiaro, in altri termini, perché la mera
istanza di rinvio a giudizio dovrebbe considerarsi, sempre sul
piano delle garanzie, satisfattiva del provvedimento con il quale un giudice decide di comminare una misura cautelare restrittiva
della libertà personale sulla base di un fumus commissi delicti
da lui ritenuto comprovato. (Omissis)
II
Fatto. — Con ordinanza del 29 luglio 1993 il g.i.p. presso il Tribunale di Messina disponeva la custodia cautelare in carce
re del dr. Mazzeo, odierno ricorrente, direttore amministrativo
del Consorzio per l'autostrada Messina-Catania-Siracusa, per
ché accusato dei reati di associazione a delinquere, turbativa
d'asta, corruzione ed abuso d'ufficio.
In pari data, il commissario straordinario presso il consorzio
disponeva la sospensione cautelativa obbligatoria del ricorrente
dal servizio, con corresponsione dell'assegno alimentare.
Dopo il ritorno in libertà del ricorrente, il commissario straor
dinario del consorzio, preso atto della revoca del provvedimen to restrittivo nei confronti del ricorrente, ritenuto che «i fatti
addebitati, se provati sono di particolare gravità e, indipenden
temente dalle conseguenze penali, possono dar luogo a conse
guenze disciplinari di notevole gravità», e ritenuto altresì che
nelle more d'accertamento dei fatti contestati e dell'inizio del
procedimento disciplinare appare opportuno e doveroso adotta
re un provvedimento di sospensione cautelare, in considerazio
ne del fatto che la riammissione in servizio del predetto funzio
nario nel posto di vertice di direttore amministrativo, stante an
che la vasta risonanza della vicenda presso gli organi di stampa
e televisivi, risulta incompatibile con il prestigio dell'ufficio, con il regolare svolgimento del servizio, sia all'interno che nei rap
porti con i terzi, disponeva con ordinanza n. 4 dell'8 settembre
1993 la sospensione cautelare facoltativa dal servizio, con de
correnza 6 settembre 1993, disponendo il mantenimento della
corresponsione dell'assegno alimentare nella misura massima già
deliberata.
La predetta ordinanza, non ancora notificata al ricorrente,
veniva ritirata dal commissario del consorzio con successiva or
dinanza n. 6 del 15 settembre 1993, dopo aver acquisito copia
dei provvedimenti adottati dall'autorità giudiziaria nei confron
ti del ricorrente e constatato che detta autorità non aveva di
sposto nei confronti del ricorrente alcuna misura interdittiva.
Successivamente, il commissario del consorzio, con ordinanza
n. 8 del 15 settembre 1993, riadottava il provvedimento di so
spensione facoltativa dal servizio con la medesima motivazione
su riportata. (Omissis) Diritto. — (Omissis). 3. - Con ordinanza n. 4 del 4 gennaio
1994 il commissario del consorzio meglio indicato in epigrafe, rilevato che per i fatti addebitati al dr. Mazzeo (odierno ricor
rente) pende procedimento penale documentato in atti ..., ri
levato che gli atti dai quali si ricava la responsabilità del dr. Mazzeo sono stati sequestrati dall'autorità giudiziaria penale e
pertanto non sono disponibili per questa amministrazione che
al contempo non ne può prescindere, nell'accertamento della
responsabilità del dipendente . . ., considerato che ai sensi del
l'art. 66 del regolamento organico e dell'art. 117 d.p.r. 3/57
il procedimento disciplinare va sospeso, in attesa della conclu
sione del giudizio penale; . . . considerato che ai sensi dell'art.
653 del nuovo c.p.p. le sentenze emesse nel giudizio penale han
no efficacia di giudicato quanto all'accertamento che il fatto
non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso; . . . consi
II Foro Italiano — 1995.
derato che la sospensione del procedimento disciplinare non in
cide sul provvedimento di sospensione cautelare dal servizio di
sposto nei confronti del dr. Mazzeo Rinaldo; . . . ritenuta la
necessità di disporre la sospensione del procedimento disciplina re . . dispone la sospensione del procedimento nei confronti
del dr. Mazzeo Rinaldo, fin quando non sarà concluso il proce dimento penale indicato in premessa.
Avverso detto provvedimento il ricorrente è insorto con il
secondo dei due ricorsi in esame (ricorso 1183/94). Il ricorrente, come nel ricorso precedentemente esaminato,
assume che il provvedimento sarebbe stato assunto in assenza
del presupposto legittimante l'emanazione del provvedimento, cioè l'inizio di un procedimento penale nei confronti del ricor
rente medesimo.
Nel caso di specie, secondo quanto si assume con l'impugna
tiva, non esiste un'azione penale in corso, quindi il provvedi mento sarebbe illegittimo, in quanto il ricorrente, allo stato de
gli atti, non è assoggettato a misure di sorta, né è imputato di alcunché.
Il collegio non ritiene condivisibili tali doglianze, e ciò per un duplice ordine di considerazioni.
A) Preliminarmente, occorre ricordare che, per giurispruden za costante, la sospensione cautelare dal servizio dei pubblici
dipendenti non ha carattere sanzionatorio, ma si configura co
me un provvedimento avente lo scopo di evitare che un impie
gato, nei confronti del quale sia iniziato un procedimento pena le o disciplinare per fatti di particolare gravità, permanga in
servizio e continui a svolgere la sua attività con possibile pre
giudizio per la regolarità del servizio ed il prestigio dell'ufficio (si veda, tra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 3 aprile 1985, n.
117, Foro it., Rep. 1985, voce Impiegato dello Stato, n. 871).
La Corte costituzionale ha stabilito (ord. 12 maggio 1988,
n. 541, id., Rep. 1988, voce Cassazione penale, n. 21) che l'art.
92 t.u. 3/57 che prevede la sospensione dell'impiegato prima dell'inizio del procedimento disciplinare non contrasta con la
Costituzione. La sospensione cautelare dal servizio è, quindi, uno strumen
to flessibile (data la sua facoltatività, che consente alla pubblica amministrazione di valutare caso per caso l'opportunità dell'a
dozione della misura) e garantistico (stante l'obbligo di congrua
motivazione), volto alla tutela di interessi pubblici costituzio
nalmente rilevanti.
Le misure cautelari poste a tutela di interessi pubblici (o pri
vati aventi rilevanza pubblica) sono un genus del nostro ordina
mento che conosce anche la custodia cautelare del cittadino in
dagato, per fatti di rilevante gravità, che può essere perfino
privato della libertà personale, pur valendo a suo favore la pre
sunzione di innocenza.
Nel campo del procedimento amministrativo il collegio ritie
ne che, a tutela di valori costituzionalmente rilevanti quali la
legalità, l'imparzialità ma soprattutto il buon andamento della
funzione pubblica (art. 97, 1° comma, Cost.), non si possa pri
vare l'amministrazione del potere discrezionale di sospendere
in via cautelativa dal servizio i pubblici dipendenti che, anche
senza propria responsabilità, e fermo restando il principio di
presunzione di innocenza, si trovino in situazione di incompati
bilità (temporanea) con lo svolgimento di pubbliche funzioni.
Una grave limitazione anche temporale di tale facoltà finireb
be con il menomare il potere-dovere dell'amministrazione di svol
gere le proprie funzioni in osservanza della direttiva contenuta
nell'art. 97 Cost.
B) Ma, ciò posto, occorre essenzialmente rilevare che nel vi
gore del codice di procedura penale del 1930 la giurisprudenza
era ferma nell'individuare l'inizio dell'azione penale — che l'art.
3 di tale codice poneva come condizione per la sospensione ne
cessaria del processo civile — nel momento in cui il giudice era investito dell'azione medesima mediante richiesta di istru
zione formale o di citazione a giudizio da parte del pubblico ministero (art. 296, 1° comma, e art. 396 c.p.p. abrogato: cfr.
in tal senso, fra altre, Cass. 5 maggio 1987, n. 4171, id., Rep.
1987, voce Procedimento civile, n. 185, e 24 gennaio 1983, n.
670, id., Rep. 1983, voce cit., n. 221); ovvero, anche a seguito della semplice sottoposizione ad arresto ex art. 78, 1° comma,
del previgente c.p.p. (cfr., fra le tante, Cons. Stato, sez. IV,
1° ottobre 1984, n. 716, id., Rep. 1984, voce Impiegato dello
Stato, n. 952). Nel sistema, invece del codice vigente, in cui la prova si for
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PARTE TERZA
ma nella pubblicità e nel contraddittorio delle parti nel dibatti
mento, mentre l'attività del pubblico ministero è configurata
quale mera investigazione di una parte pubblica finalizzata alla
ricerca ed assicurazione delle fonti di prova per le determinazio
ni inerenti all'esercizio dell'azione penale, è ovvio che il mo
mento di tale esercizio si identifichi, nei procedimenti con rito
ordinario, in quello in cui il pubblico ministero chiede al giudi ce il rinvio a giudizio dell'indagato (art. 405, 1° comma, c.p.p.) che viene, quindi, ad assumere la qualità di imputato (art. 60
c.p.p.), oppure, nei procedimenti speciali, con la formulazione, da parte del pubblico ministero, dell'imputazione (art. 405, 1°
comma, c.p.p.). Ciò premesso, se si interpretasse l'art. 91, 1° comma, prima
parte, t.u. 3/57, che prevede la facoltà dell'amministrazione di
sospendere l'impiegato «sottoposto a procedimento penale», nel
senso — indicato dal ricorrente — della inapplicabilità della
sospensione facoltativa in assenza di un procedimento penale cosi come delineato non dall'abrogato c.p.p. (sotto la cui vigen za fu emanato il predetto t.u.) bensì dal nuovo c.p.p., si giun
gerebbe a dover ritenere che l'amministrazione non possa so
spendere in via cautelativa — ai sensi del predetto art. 91, 1°
comma, prima parte, t.u. 3/57 — un dipendente oggetto di in
dagine giudiziaria, già assoggettato a misura cautelare con re
strizione della libertà personale per fatti attinenti all'esercizio delle proprie funzioni di pubblico dipendente, fino al momento
della richiesta di rinvio a giudizio. Ciò sarebbe talmente irrazionale, e contrastante soprattutto
col principio costituzionale, di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97, 1° comma, Cost.), da dovere indurre
il collegio, ove si dovesse accedere a siffatta interpretazione, a sottoporre la norma primaria di cui trattasi (art. 91, 1° com
ma, prima parte, t.u. 3/57) a scrutinio di legittimità costitu
zionale.
Ma ciò, in realtà, non è necessario, stante che è più logica
un'interpretazione della normativa primaria e secondaria che ne
consenta un recupero di legittimità costituzionale. È appena il caso di ricordare, infatti, che, fra due interpretazioni astratta
mente possibili, l'interprete deve sempre preferire e seguire quella conforme a principi e valori costituzionali, anziché quella che
contrasti o collida con questi (si vedano, tra le tante: Tar Sarde
gna 18 ottobre 1991, n. 1231, id., Rep. 1992, voce Atto ammi
nistrativo, n. 380; Cons. Stato, sez. IV, 15 aprile 1980, n. 399, id., Rep. 1980, voce cit., n. 124; Tar Sardevna 19 dicembre
1979, n. 582). Ad avviso del collegio, invero, deve necessariamente ritenersi
che la predetta prima parte del 1° comma dell'art. 91 t.u. 3/57, in quanto emanato nella vigenza del c.p.p. abrogato, cosi come
tutte le analoghe norme dei regolamenti organici (degli enti pub blici diversi dallo Stato) emanati prima dell'entrata in vigore del nuovo c.p.p., nel prevedere quale presupposto di diritto per la sospensione cautelare facoltativa la previa sottoposizione ad un «procedimento penale», e nel riferirsi quindi all'inizio di un'a zione penale, rinviano recettiziamente alle nozioni di procedi mento penale e di inizio di azione penale quali configurate nel
l'abrogato c.p.p., e quindi anche allo «stato di arresto» che, come già sopra cennato, comportava in ogni caso la sottoposi zione a procedimento penale ex art. 18, 1° comma, del previ gente c.p.p.
Ritenere che dopo l'entrata in vigore del nuovo codice, che, come si è detto, ha spostato ad un momento successivo (cioè al momento della richiesta di rinvio a giudizio, od al momento
della formulazione della imputazione) l'inizio dell'azione pena le, e non prevede più lo «stato di arresto», come circostanza dalla quale derivi comunque l'avvenuta instaurazione del proce dimento penale — la sospensione cautelare facoltativa possa es sere disposta solo a seguito di tale richiesta di rinvio a giudizio del dipendente già sottoposto a custodia cautelare (o dopo la formulazione dell'imputazione), costituirebbe una limitazione del
potere dell'amministrazione assolutamente irrazionale. Ad avviso del collegio, dunque, in attesa di un eventuale espli
cito adeguamento della disciplina in materia di sospensione cau telare facoltativa e di procedimento disciplinare alla nuova real tà giuridica del processo penale, la menzionata normativa pri maria e secondaria in materia, in quanto emanata sotto la vigenza del codice preatto, ogni volta che fa riferimento all'instaurazio ne di un procedimento penale ed all'avvio di un'azione penale
Il Foro Italiano — 1995.
opera un rinvio recettizio statico a tali nozioni ed istituti cosi
come configurati dal c.p.p. oggi abrogato. Per le suesposte considerazioni, quindi, le censure in esame,
concernenti una pretesa violazione dell'art. 66 regolamento or
ganico e dell'art. 117 t.u. 3/57, in relazione anche agli art. 60
e 405 c.p.p., nonché un asserito travisamento dei fatti, vanno
disattese, ed il ricorso va rigettato.
Ili
Fatto. — Il ricorrente, comandante del corpo di vigili urbani del comune di Pontedera, veniva raggiunto da mandato di cat
tura e privato della libertà personale in data 19 giugno 1987.
Lo stesso giorno il sindaco ne disponeva, con ordinanza n.
510, la sospensione cautelare obbligatoria ai sensi dell'art. 109, 1° comma, del regolamento organico del personale comunale.
L'interessato otteneva la libertà provvisoria il successivo 27
giugno 1987.
La giunta municipale, con deliberazione n. 836 del 29 giugno
1987, trasformava la sospensione cautelare obbligatoria in fa
coltativa ai sensi dell'art. 92 t.u. impiegati civili dello Stato, dell'art. 249 t.u. legge com. e prov. 1934 e dello stesso art.
109 cit., confermando la già disposta sospensione del pagamen to dello stipendio e rinviando ogni determinazione circa l'attri
buzione dell'assegno alimentare in favore del dipendente sospe so dal servizio. (Omissis)
Diritto. — Il ricorso appare meritevole di accoglimento.
Coglie nel segno la censura contenuta nel primo motivo di
impugnazione secondo la quale nel caso di specie l'amministra zione sarebbe incorsa nel vizio di eccesso di potere per difetto
di presupposti e di violazione di legge (art. 249 t.u. legge com.
e prov. 1934), e ciò in quanto la sospensione cautelare è stata
in effetti disposta non solo sul presupposto della pendenza di
un procedimento penale a carico del dipendente (cfr. anche la
norma dell'art. 109 regolamento organico del comune di Ponte
dera, di cui si è fatta espressa applicazione nel provvedimento
impugnato), ma anche in diretta dipendenza dei futuri esiti di
tale procedimento. Non vi è dubbio che nel caso di specie, no
nostante l'intervenuto ed eseguito mandato di cattura, il proce dimento penale non poteva intendersi, al momento dell'emana
zione del provvedimento cautelare, ancora iniziato, poiché per tabulas la fase istruttoria penale si è chiusa solo successivamen
te con la depositata sentenza-ordinanza istruttoria n. 202 del
3 maggio 1989 del Tribunale di Pisa (sul principio cfr., di re cente, Cons. Stato, sez. V, 11 dicembre 1992, n. 1424, Foro
it., Rep. 1993, voce Impiegato dello Stato, n. 1088). Per altro verso, se è vero — come indica il provvedimento
e come controdeduce la difesa resistente — che a seguito della libertà provvisoria è possibile la cosiddetta trasformazione della
sospensione dall'impiego da obbligatoria in facoltativa, nel sen
so che la conferma o la revoca di tale sospensione rientra nel
potere discrezionale della pubblica amministrazione, fermo pe raltro l'obbligo di puntuale ed esaustiva motivazione (cfr., se condo motivo di impugnazione), tuttavia il provvedimento ri sulta essere espressamente adottato in base all'art. 92 t.u. im
piegati civili dello Stato (certamente applicabile, in quanto espressione di un principio generale, in tutto il settore del pub blico impiego: cfr. Cons. Stato, sez. V, 3 novembre 1978, n.
1094, id., Rep. 1979, voce cit., n. 1127); pertanto, appare quanto meno perplessa e foriera di equivoci nonché di difficoltà in or
dine alla difesa in giudizio (vizio questo che può agevolmente, ancorché implicitamente, evincersi dal senso complessivo del pri mo motivo in esame) la indicazione dell'invocata applicazione dell'art. 109 regolamento organico di Pontedera (peraltro, tu
zioristicamente impugnato dal ricorrente nel caso di una sua
interpretazione in senso derogatorio al suddetto art. 249), poi ché la pubblica amministrazione avrebbe dovuto invece riferir
si, facendone applicazione, al diverso art. 110 dello stesso rego lamento organico che contiene le norme «corrispondenti» al pre tesamente applicato art. 92 t.u. (l'art. 109, infatti, è norma
parallela all'art. 91 del suddetto t.u.). Fondato si appalesa anche il secondo mezzo dell'impugnativa
in esame, con il quale si censura il difetto di motivazione circa la gravità dei reati cui si riferisce il procedimento penale. Ed
invero, condivisibilmente il ricorrente ha richiamato il costante
indirizzo, molto rigoroso, della giurisprudenza amministrativa
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
che richiede una approfondita ed adeguata motivazione sulle
ragioni che rendono necessaria la sospensione, con particolare riferimento alla gravità del reato ed alla incompatibilità della
permanenza in servizio del dipendente, sotto il profilo dell'inte
resse pubblico, occorrendo al riguardo un'adeguata dimostra
zione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 ottobre 1980, n. 878, id.,
Rep. 1981, voce Atto amministrativo, n. 81; 16 marzo 1984, n. 251, id., Rep. 1984, voce cit., nn. 939, 954, 981, 987) anche e soprattutto in relazione ai compiti svolti dall'impiegato e al
l'esigenza di evitare un pregiudizio al prestigio della pubblica amministrazione (cfr. Tar Piemonte, sez. II, 4 dicembre 1984,
n. 393; Tar Lazio, sez. II, 23 novembre 1984, n. 1763 e 20
agosto 1986, n. 1120). Nella fattispecie va condivisa la censura di apoditticità, gene
ricità e di assenza di adeguata dimostrazione, formulate avverso
le mere affermazioni della giunta municipale, secondo cui gli addebiti mossi al dipendente sarebbero «tali da far ipotizzare che un rientro nelle funzioni possa determinare pregiudizio per la regolarità del servizio e per il prestigio dell'amministrazio
ne». Difetta al riguardo ogni autonomo apprezzamento sulla
«particolare» gravità (solo affermata) dei reati contestati (alcu ni dei quali risalenti negli anni e relativi a periodi nei quali il dipendente era in servizio presso altro comune), nonché sulla
loro rilevanza rispetto alle funzioni svolte dal dipendente stesso.
In proposito, sembra del tutto omessa una approfondita valuta
zione circa la effettiva pericolosità della presenza in servizio del
ricorrente, dato che la negativa valutazione contrasta con i pre cedenti di carriera e soprattutto con la recente e positiva valuta
zione che aveva condotto la pubblica amministrazione, in base
ad un particolare rapporto di fiducia, a conferire al dipendente stesso un delicato incarico; senza contare, per quello che posso no valere, le minimizzanti dichiarazioni rese alla stampa dallo
stesso sindaco in relazione alla vicenda in data 1° luglio 1987,
giorno della pubblicazione della impugnata delibera n. 836.
Nulla oppone, in proposito, la difesa resistente, la quale nella
conclusiva memoria del 1° giugno 1994 si limita ad affermare
la possibilità e la legittimità della «prosecuzione del procedi
mento disciplinare indipendentemente dall'esito di quello pena
le», circostanze che peraltro non sono mai venute direttamente
o indirettamente in discussione. Sicché, il pur condivisibile ri
chiamo ai principi giurisprudenziali della autonomia degli ac
certamenti in sede disciplinare rispetto a quelli effettuati in sede
penale, nonché della sostanziale insindacabilità, in sede di giu
dizio di legittimità, delle valutazioni e degli apprezzamenti dei
fatti posti a base del provvedimento disciplinare, oltre ad essere
nella specie un richiamo del tutto inconferente, costituisce la
prova indiretta della dedotta mancanza di un doveroso, adegua
to approfondimento dell'istruttoria e delle valutazioni assunte
a base dell'impugnato provvedimento di sospensione cautelare;
il quale, si badi, essendo adottato al di fuori di un qualsivoglia
«accertamento» sia di carattere penale che disciplinare, non può
prescindere, se non previa puntuale e razionale motivazione, dal
l'osservanza del superiore principio della presunzione di inno
cenza (art. 27 Cost.). Del resto, la riprova, sia pure a posteriori, della approssima
zione del provvedimento impugnato e della sua eccessività è sta
ta fornita dalla stessa sentenza penale istruttoria, la cui lettura
è, da un lato, illuminante avendo condotto ad un pressoché
totale «ridimensionamento» delle numerose imputazioni e, dal
l'altro, non certamente edificante per l'amministrazione nel suo
complesso, poiché da essa risultano confermate le pesanti e gra
vi affermazioni del giudice istruttore del Tribunale di Pisa (cfr.
nota al procuratore della repubblica n. 458/87 in data 11 mag
gio 1988). Onde, risulterebbero non prive di pregio anche le
censure di sviamento formulate in ricorso, il cui ulteriore ap
profondimento non è peraltro necessario, poiché è stata già rag
giunta la prova della illegittimità per altro verso del provvedi
mento cautelare impugnato.
Quest'ultimo, peraltro, in accoglimento del ricorso dimostra
tosi fondato, deve essere annullato, con assorbimento di ogni
altro vizio o censura non espressamente esaminati, ivi compresi
quelli relativi alle impugnative accessorie e subordinate. Vi è
solo da aggiungere — al fine di rendere definitiva la statuizione
già provvisoriamente adottata da questo tribunale amministrati
vo nell'ordinanza cautelare n. 791 del 3 settembre 1987 — che
va dichiarato, in ossequio a principi del tutto pacifici, che al ricorrente spetta il diritto a percepire per tutto il periodo di
Il Foro Italiano — 1995.
efficacia della ordinanza sindacale n. 510/87 e della connessa
delibera 833/87 (periodo di sospensione obbligatoria dal servi
zio) l'assegno alimentare di cui all'art. 82 t.u. 10 gennaio 1957
n. 3, rapportato a tutti gli elementi retributivi di carattere conti
nuativo, tra cui l'indennità integrativa speciale.
Quale effetto della presente sentenza di annullamento va da
sé che il ricorrente avrà altresì' diritto, per il periodo successivo
(sospensione facoltativa), a percepire l'intero trattamento eco
nomico arretrato, integrato con rivalutazione monetaria ed in
teressi legali.
CONSIGLIO DI STATO; sezione IV; decisione 5 giugno 1995, n. 417; Pres. Buscema, Est. Baccarini; Comune di Potenza
(Aw. Barone) c. Soc. Russillo (Avv. Dodaro, De Bonis) ed altri. Conferma Tar Basilicata 26 settembre 1985, n. 305.
Espropriazione per pubblico interesse — Edilizia economica e
popolare — Programmi costruttivi — Localizzazione — Fis
sazione dei termini per la procedura ed il compimento dei
lavori — Omissione — Dlegittimità (L. 25 giugno 1865 n.
2359, espropriazioni per causa di pubblica utilità, art. 13; 1.
22 ottobre 1971 n. 865, programmi e coordinamento dell'edi
lizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pub blica utilità; modifiche e integrazioni alle leggi 17 agosto 1942 n. 1150, 18 aprile 1962 n. 167, 29 settembre 1964 n. 847,
ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel set
tore dell'edilizia residenziale, agevolata e convenzionata, art.
51).
È illegittima la delibera di localizzazione di programma costrut
tivo per interventi di edilizia residenziale pubblica, che non
contenga la fissazione dei termini per la procedura espropria
tiva ed il compimento dei lavori, non essendo ipotizzabile
un'integrazione nel successivo provvedimento di occupazione
di urgenza. (1)
(1) È dibattuto se i termini per l'inizio ed il compimento dei lavori
per la realizzazione dell'opera pubblica, e per l'avvio ed il completa mento della procedura espropriativa, previsti in via generale, a pena di inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità, dall'art. 13 1. 25
giugno 1865 n. 2359 (su cui vedi, da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 21
novembre 1994, n. 940, Foro it., 1995, III, 549), debbano esser fissati
anche nei casi di dichiarazione di pubblica utilità implicita, derivante
dall'approvazione di piani particolareggiati e piani urbanistici equipara
ti, che hanno un termine di efficacia determinato per legge, entro il
quale le espropriazioni debbono essere compiute. In particolare, a pro
posito dei piani per l'edilizia economica e popolare, all'indirizzo negati
vo, adottato da Cons. Stato, ad. plen., 23 maggio 1984, n. 11, id.,
1984, III, 329, con nota di richiami (cui hanno fatto seguito, conforme
mente, Cons. Stato, sez. IV, 18 dicembre 1986, n. 857, id., Rep. 1987, voce Espropriazione per p.i., n. 101; Tar Lazio, sez. I, 5 giugno 1985, n. 705, id., Rep. 1985, voce Edilizia popolare, n. 57; 11 settembre 1985, n. 931, Trib. amm. reg., 1985, I, 3153; 1° luglio 1986, n. 887, Foro
it., Rep. 1987, voce Espropriazione per p.i., n. 104; Tar Emilia Roma
gna 2 luglio 1993, n. 360, id., Rep. 1993, voce cit., n. 99), ed anche
dalla Suprema corte (sent. 3 ottobre 1985, n. 4784, id., 1987, I, 1577,
con nota di richiami; 3 febbraio 1986, n. 649, id., Rep. 1986, voce
cit., n. 97; 9 giugno 1992, n. 7068, id., Rep. 1992, voce cit., n. 237:
con la conseguente attribuzione al giudice amministrativo della contro
versia inerente alla mancanza di dichiarazione di pubblica utilità, poi ché solo alla scadenza del piano la posizione del privato riacquista la
consistenza di diritto soggettivo), non ha fatto seguito una uniforme
applicazione dei giudici di merito (Tar Lazio, sez. I, 28 luglio 1993,
n. 1219, /tf.,1994, III, 533, con nota di richiami; per un altro tipo di
piani, di durata predeterminata, con i piani per le aree e i nuclei di
sviluppo industriale, si è ritenuta, analogamente, la necessità di fissa
zione dei termini: Tar Abruzzo 26 ottobre 1992, n. 454, id., 1993, III,
422, con nota di richiami), anche per le perplessità manifestate dalla
dottrina (tra gli altri, Marotta, Sull'obbligo della pubblica ammini
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