sezione IV; decisione 5 luglio 1999, n. 1164; Pres. De Lise, Est. Poli; Soc. Ferrovie Adriatico-Appennino (Avv. Brignocchi) c. Comune di Amandola (Avv. Marozzi). Conferma Tar Marche 25giugno 1998, n. 842Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 10 (OTTOBRE 2000), pp. 495/496-501/502Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195579 .
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PARTE TERZA
cesso veicolare al centro storico, ma alla prospettazione di cen sure d'illegittimità riguardanti il lamentato cattivo uso del potere.
La determinazione comunale impugnata in primo grado non
si risolve in una mera prestazione patrimoniale imposta, ma si
collega alla complessiva disciplina delle strutture, delle funzioni
e del procedimento di regolazione della circolazione in determi nati quartieri cittadini.
Il provvedimento assume un contenuto complesso, perché da
una parte fissa nuove regole procedurali (comprensive della di
sciplina di un particolare iter accelerato), dall'altra esprime la
scelta dell'amministrazione in ordine alla copertura ed al ripar to dei costi inerenti al nuovo servizio offerto dal comune.
A fronte del provvedimento adottato dall'amministrazione, la contrapposta situazione giuridica soggettiva dei destinatari
assume la consistenza dell'interesse legittimo. D'altra parte, nel presente giudizio, non occorre stabilire quale
sia il giudice competente a conoscere dell'eventuale domanda di restituzione delle somme versate al comune, perché tale pre tesa non è stata azionata.
Infatti, non si vede per quale ragione la parte interessata do
vrebbe attendere la formalizzazione della pretesa dell'ammini
strazione, pagare la somma richiesta, per proporre, poi, davanti al giudice ordinario, un'azione di ripetizione dell'indebito. Se condo i principi comuni, l'interessato può tutelare, direttamen te davanti al giudice amministrativo, la propria posizione giuri dica, contestando la legittimità degli atti impugnati.
Contrariamente a quanto ritenuto dal comune, poi, i ricorsi di primo grado devono essere considerati rivolti anche contro la delibera di giunta n. 555/93, nonostante la mancanza di un'e
spressa indicazione nell'atto introduttivo del giudizio. Nel merito, l'appello è infondato.
Il tribunale ha basato l'annullamento della delibera sull'asse rita violazione dell'art. 23 Cost., ritenendo che la previsione della corresponsione di una somma di lire venticinquemila per il rilascio del contrassegno abilitante all'ingresso nel centro sto
rico, attraverso la procedura automatizzata ed «accelerata», co stituirebbe una prestazione patrimoniale imposta per l'erogazio ne di un pubblico servizio, illegittimamente richiesta dal comu
ne, in difetto di apposita norma legislativa. La tesi dei giudici di primo grado non può essere condivisa,
perché la previsione garantistica dell'art. 23 Cost, riguarda i soli casi in cui la prestazione richiesta al privato sia priva di un collegamento qualificato con il servizio od il bene consegui to dall'amministrazione.
Nel caso di specie, risulta acclarato che la pretesa patrimo niale dell'amministrazione è riferita alla fruizione di un servizio
accessorio, costituito dalla possibilità di ottenere in modo mol to più agevole il contrassegno per l'accesso veicolare al centro
storico, attivando una speciale (ma costosa) procedura automa
tizzata, in luogo dell'ordinario e lungo procedimento ordinario. In questa prospettiva, il principio costituzionale espresso dal
l'art. 23 risulta pienamente rispettato in tutti i casi in cui l'am ministrazione richiede agli interessati il pagamento di una som ma corrispondente ai costi relativi all'erogazione di un servizio
specifico, tanto più se questo assume carattere aggiuntivo ri
spetto alle generali attività svolte dal soggetto pubblico. Nel caso di specie, la somma di lire venticinquemila non è
dovuta, incondizionatamente, per il solo fatto di avere richiesto il contrassegno per il centro storico, ma è prevista nei soli casi in cui l'interessato ritenga preferibile attivare una specifica pro cedura automatizzata, eccezionalmente organizzata dall'ammi nistrazione comunale, mj caratterizzata da elevati costi di ge stione.
Ciò chiarito, è evidente, però, che il potere dell'amministra zione di richiedere il pagamento del prezzo di particolari servizi
aggiuntivi erogati agli utenti presuppone una chiara ed esau riente indicazione dell'onere sopportato dal soggetto pubblico, che specifichi la misura del costo trasferito alla parte privata interessata. Solo in questo modo è possibile verificare se, effet
tivamente, la somma pretesa dal privato assume la connotazio ne di un semplice rimborso delle spese affrontate dall'ammini
strazione, senza tradursi in un sostanziale tributo, privo dell'in
dispensabile supporto legislativo. Nel caso di specie, il comune di Bologna si è limitato a stabi
lire che la somma di lire venticinquemila ha carattere «forfeta
II Foro Italiano — 2000.
rio». La delibera non fornisce alcun elemento, nemmeno indi retto o presuntivo idoneo a chiarire se, effettivamente, la som ma è idonea a coprire, in tutto od in parte, la quota del servizio
erogato a favore dei soggetti interessati o se, al contrario, per la sua misura (in ipotesi sproporzionata od eccessiva) si risolve in una vera e propria tassa non giustificata da apposita norma.
Ne deriva, quindi, l'illegittimità della delibera impugnata in
primo grado, per difetto della necessaria motivazione in ordine
alla corrispondenza tra la somma richiesta al privato e l'effetti vo costo del servizio fornito all'interessato.
In definitiva, quindi, l'appello deve essere accolto, nei limiti
sopra specificati. Le spese possono essere compensate.
CONSIGLIO DI STATO; sezione IV; decisione 5 luglio 1999, n. 1164; Pres. De Lise, Est. Poli; Soc. Ferrovie Adriatico
Appennino (Avv. Brignocchi) c. Comune di Amandola (Avv.
Marozzi). Conferma Tar Marche 25 giugno 1998, n. 842.
Giustizia amministrativa — Opere pubbliche — Termini proces suali — Dimidiazione — Fattispecie (D.l. 25 marzo 1997 n.
67, disposizioni urgenti per favorire l'occupazione, art. 19; 1. 23 maggio 1997 n. 135, conversione in legge, con modifica
zioni, del d.l. 25 marzo 1997 n. 67, art. 1). Giustizia amministrativa — Appello al Consiglio di Stato —
Luogo di notifica — Decesso del domiciliatario — Notifica
presso la segreteria del Tar (R.d. 26 giugno 1924 n. 1054,
approvazione del t.u. delle leggi sul Consiglio di Stato, art. 35). Comune e provincia — Rappresentanza in giudizio — Sindaco
— Necessità di autorizzazione della giunta — Limiti (L. 15
maggio 1927 n. 1997, misure urgenti per lo snellimento del l'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di
controllo, art. 6; 1. 8 giugno 1990 n. 142, ordinamento delle autonomie locali, art. 35, 36, 51).
È inammissibile l'appello contro una sentenza in materia di opere pubbliche, depositato dopo più di quindici giorni dalia notifi cazione dell'atto di impugnazione, anche se relativo ad un ricorso proposto prima dell'entrata in vigore del d.l. 67/97 e della l. 135/97. (1)
Nel caso di decesso del domiciliatario dell'avvocato della parte appellata, la notifica dell'atto d'appello va effettuata presso la segreteria del Tar che ha pronunciato la sentenza impu gnata; infatti, si applica per analogia l'art. 35, 2° comma, t.u. 1054/24, in base al quale la parte che non abbia eletto domicilio nel comune ove ha sede l'organo giurisdizionale adito deve intendersi domiciliata presso la segreteria di tale
organo. (2)
(1) La motivazione relativa alla massima è riportata anche in Foro it., 2000, III, 129, con nota di richiami. In argomento, da ultimo, Cons. Stato, ad. plen., 24 gennaio 2000, n. 1, ibid., 305, con nota di A. Travi.
(2) A partire dagli anni ottanta la giurisprudenza amministrativa si è orientata nel senso che anche nel processo amministrativo si applichi l'art. 82 r.d. 22 gennaio 1934 n. 37, secondo cui, in assenza di elezione di domicilio nel comune ove ha sede l'autorità giudiziaria del cui giudi zio si tratta, il procuratore della parte costituita si intende lo abbia eletto presso la cancelleria della stessa autorità giudiziaria; di tale rego la costituirebbe corollario l'art. 35, 2° comma, t.u. 26 giugno 1924 n. 1054, sull'elezione di domicilio nei giudizi avanti al Consiglio di Stato, applicabile anche al giudizio amministrativo di primo grado in forza del richiamo contenuto nell'art. 19, 1° comma, 1. 6 dicembre 1971 n.
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Anche dopo l'entrata in vigore della l. 127/97 la rappresentan
za del comune in giudizio spetta al sindaco previa autorizza
zione della giunta comunale, fatta salva l'ipotesi che lo statu
to comunale riservi ai dirigenti l'autorizzazione a stare in
giudizio. (3)
Diritto. — 1. - L'appello è inammissibile. 2. - Secondo un consolidato ed univoco indirizzo di questo
consiglio (cfr. sez. IV 15 febbraio 1999, n. 153, Foro it., Rep.
1999, voce Giustizia amministrativa, n. 399; 29 gennaio 1999,
1034. In tal senso, cfr. Cons. Stato, sez. IV, ord. 9 gennaio 1998, n.
3, Foro it., Rep. 1998, voce Giustizia amministrativa, n. 669 (a propo sito della notificazione dell'appello); sez. V 24 maggio 1996, n. 604,
id., Rep. 1996, voce cit., n. 121; 30 marzo 1993, n. 440, id., Rep.
1993, voce cit., n. 718; 14 ottobre 1992, n. 1004, id., Rep. 1992, voce
cit., n. 666 (a proposito della notificazione dell'appello); 13 luglio 1992,
n. 639, ibid., n. 143; sez. IV 8 aprile 1991, n. 252, id., Rep. 1991,
voce cit., n. 581 (a proposito della notificazione dell'appello); sez. V
26 maggio 1990, n. 461, id., Rep. 1990, voce cit., n. 631 (a proposito della notificazione di sentenza pronunciata da sezione staccata di Tar);
sez. VI 19 giugno 1989, n. 810, id., Rep. 1989, voce cit., n. 135; 25
febbraio 1989, n. 174, ibid., n. 616 (a proposito della comunicazione
del decreto di fissazione dell'udienza); sez. IV 20 ottobre 1987, n. 621,
id., Rep. 1987, voce cit., n. 679 (a proposito della notificazione della
sentenza di primo grado); ad. plen. 19 giugno 1984, n. 13, id., 1984,
III, 371 (afferma che, in mancanza di elezione di domicilio nella città
ove ha sede il Tar, la notifica della sentenza di primo grado va effettua
ta al procuratore della parte presso la segreteria del Tar; considera,
però, ugualmente valida anche la notifica effettuata al procuratore del
la parte presso il suo domicilio reale); 5 aprile 1984, n. 8, ibid., 294
(a proposito della notifica dell'appello), invece, riguardo alle parti non
costituite, la notifica effettuata ad esse presso la segreteria dell'organo
giurisdizionale è ritenuta irrilevante e improduttiva di effetti giuridici
(Cons. Stato, sez. V, 26 ottobre 1990, n. 737, id., Rep. 1991, voce
cit., n. 606, con riferimento alla notificazione della sentenza).
In senso contrario all'indirizzo prevalente, v. però Cons. Stato, sez.
V, 1° aprile 1997, n. 301, id., Rep. 1998, voce cit., n. 670, secondo
cui per la notifica dell'appello, in forza dell'art. 330 c.p.c., «in caso
di mancanza dell'elezione di domicilio (alla quale va equiparata la mor
te del domiciliatario, conosciuta da colui che impugna la sentenza) l'at
to d'impugnazione della sentenza deve essere notificato personalmente, a norma degli art. 137 ss. c.p.c., vale a dire presso la residenza della
persona fisica o la sede della persona giuridica».
(3) I. - La riforma delle autonomie locali ha comportato notevole
incertezza sul riparto di competenza fra gli organi comunali c.d. politici
(in particolare, la giunta comunale) e i dirigenti. Le disposizioni talvol
ta contemplano rinvìi incrociati fra loro non coerenti: l'art. 35, 2° com
ma, 1. 142/90 identifica gli atti di amministrazione di competenza della
giunta in base a un criterio di residualità (sono di competenza della
giunta gli «atti di amministrazione» che la legge o lo statuto non asse
gnino al sindaco, agli organi di decentramento, al segretario o ai diri
genti); ma anche l'art. 51,3° comma, 1. 142/90, come modificato dal
l'art. 6 1. 127/97, usa un criterio analogo per identificare gli atti di
competenza dei dirigenti (è di competenza dei dirigenti l'adozione degli
atti che la legge o lo statuto espressamente non riservino ai c.d. organi
di governo del comune, ossia al sindaco, alla giunta o al consiglio). Un'ulteriore ragione di incertezza è rappresentata dal ruolo assegna
to, in queste disposizioni, allo statuto comunale. L'art. 35 e l'art. 51
cit. danno rilievo, ai fini del riparto di competenza, anche alle previsio
ni statutarie; può sorgere quindi il dubbio che, là dove la legge non
disponga puntualmente, il riparto di competenze fra la giunta e i diri
genti sia tendenzialmente elastico e che spetti allo statuto comunale de
finirlo, secondo criteri discrezionali.
Questi elementi di incertezza hanno trovato seguito nella giurispru
denza amministrativa, che talvolta ha ritenuto che le competenze dei
dirigenti degli enti locali non siano definite dalla legge, ma trovino fon
damento nello statuto comunale, e in alcune pronunce ha tratto la con
clusione che anche l'adozione di atti puntuali potrebbe essere assegnata
dallo statuto alla giunta. Contro questa posizione si è espresso ripetutamente il ministero del
l'interno. In alcune circolari ha sostenuto che la legge individua comun
que un criterio generale per il riparto di competenze fra dirigenti e or
gani di governo del comune (giunta comunale in primo luogo). Tale
criterio si desume dall'art. 51, 2° comma, 1. 142/90, secondo cui princi
pio nell'ordinamento degli enti locali è la distinzione fra «poteri di indi
rizzo e di controllo spettanti agli organi elettivi» e «gestione ammini
strativa» spettante ai dirigenti. Questo principio risulta riaffermato e
sviluppato ulteriormente in varie normative successive: in particolare
in quella sulla dirigenza pubblica, fondata sul d.Ieg. 29/93 e sul d.leg.
80/98 (cfr. circ. min. interno 10 ottobre 1998, G.U. 23 ottobre 1998,
n. 248).
Il Foro Italiano — 2000.
n. 96, ibid., n. 389), la speciale procedura divisata dall'art. 19
d.l. 25 marzo 1997 n. 67, convertito nella 1. 23 maggio 1997
n. 135, si applica anche ai giudizi d'appello proposti avverso
sentenze conclusive di giudizi di primo grado instaurati antece
dentemente all'entrata in vigore della legge de qua.
Ciò è stato implicitamente ma univocamente affermato da
questo consiglio, con le ulteriori decisioni della sez. IV 29 mag
gio 1998, n. 789 (id., Rep. 1998, voce cit., n. 325) e sez. V 4 luglio 1997, n. 771 (id., 1998, III, 50).
Ciò in forza del chiaro tenore letterale dell'art. 19, 6° coni
li. - Nella giurisprudenza amministrativa oggi emergono tre indirizzi
principali. a) In base a un primo indirizzo, il principio della separazione di
competenze fra dirigenti e giunta comunale (in base alla distinzione
fra direzione politica e gestione amministrativa) sarebbe «operativo»
in forza della legge e comporterebbe direttamente la competenza dei
dirigenti per gli atti di gestione. In questo senso, cfr. Tar Veneto 26
gennaio 1999, n. 32, Trib. amm. reg., 1999, I, 950 (afferma la compe
tenza del dirigente ad emettere decreti di occupazione, in forza della
1. 127/97 e del d.leg. 89/98); Tar Lazio, sez. II, 21 ottobre 1998,
n. 1689, id., 1998, I, 3932 (afferma la competenza dei dirigenti per
i provvedimenti di demolizione di opere edilizie abusive, richiamandosi
direttamente alla 1. 142/90); Tar Basilicata 7 novembre 1998, n. 352,
id., 1999, I, 333 (afferma la competenza dei dirigenti per riconoscere
la revisione prezzi in un appalto, richiamandosi alla 1. 142/90 e alla
1. 127/97); Tar Liguria, sez. I, 7 luglio 1998, n. 346, id., 1998, I,
3173 (afferma la competenza dei dirigenti ad emettere il decreto di
occupazione d'urgenza, in quanto «provvedimento meramente attuati
vo di scelte già compiute dall'organo politico dell'ente locale»); Tar
Lazio, sez. II, 23 marzo 1998, n. 448, ibid., 1232 (afferma la compe
tenza dei dirigenti a rilasciare concessioni edilizie, già prima della 1.
127/97, in forza dell'art. 51 1. 142/90); Tar Umbria 11 febbraio 1998,
n. 147, ibid., 1433 (sottolinea come la sussistenza di margini di discre
zionalità non escluda la competenza dei dirigenti); Tar Lombardia,
sez. II, 3 marzo 1998, n. 450, ibid., 1798 (richiamandosi anche all'art.
6 1. 127/97, afferma la competenza dei dirigenti ad emettere decreti
di occupazione d'urgenza, motivando sull'argomento che «ai dirigenti
sono attribuiti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei pro
grammi definiti con gli atti di indirizzo adottati dall'organo politico»);
Tar Puglia, sez. II, 11 luglio 1996, n. 609, id., 1997, I, 700 (richiaman dosi solo all'art. 51 1. 142/90, afferma la competenza dell'ingegnere
capo di un comune a riconoscere la spettanza della revisione prezzi
a un'impresa); Cons. Stato, sez. I, 2 dicembre 1992, n. 2898, Foro
it., Rep. 1994, voce Comune, n. 371 (riconosce la competenza del
dirigente a compilare la scheda segreta ai fini di una gara d'appalto,
osservando che «la predisposizione della scheda segreta esprime quelle
scelte di discrezionalità strettamente tecnica, che la 1. n. 142 del 1990
ha voluto riservare alla competenza ed alla responsabilità dei dirigenti,
lasciando agli organi elettivi di governo — consiglio, giunta, sindaco
o presidente — le funzioni d'indirizzo e, in genere, le decisioni che
implicano più propriamente l'esercizio della discrezionalità politico
amministrativa») .
Con riferimento specifico alle procedure «d'appalto e di concorso»,
l'art. 6, 2° comma, 1. 127/97 assegna ai dirigenti la «responsabilità delle procedure»; per l'opinione che tale espressione vada interpretata
nel senso che sia attribuita «ai dirigenti, in via esclusiva, la competenza
ad adottare i provvedimenti, discrezionali o vincolati, concernenti le
dette procedure», v. Cons. Stato, sez. V, 26 gennaio 1999, n. 64, Foro
amm., 1999, 90; Tar Liguria, sez. II, 22 ottobre 1998, n. 719, Trib.
amm. reg., 1998, I, 4457, Tar Sardegna 7 luglio 1998, n. 682, ibid.,
3508 (con riferimento all'aggiudicazione). Per la stessa logica, v. Tar Lombardia, sez. II, 27 agosto 1998, n.
2036, ibid., 3654 (annulla le disposizioni di uno statuto comunale che
assegnavano l'adozione di provvedimenti puntuali di gestione al sinda
co e sostiene che «lo statuto può riservare — agli organi elettivi —
unicamente l'adozione di atti espressamente individuati e caratterizzati
da profili di ampia discrezionalità, tali da collocare gli atti medesimi
nell'ambito delle scelte di più elevato livello»); Tar Emilia-Romagna,
sez. II, 24 luglio 1992, n. 352, id., 1992, I, 4015 (annulla le disposizioni
di uno statuto comunale che riservavano, in taluni casi, la stipula di
contratti al sindaco).
b) In base a un secondo indirizzo, il principio della separazione di
competenze fra dirigenti e giunta comunale sarebbe «tassativo», ma non
«operativo»; esso imporrebbe ai comuni di adeguare i loro statuti al
principio stesso e determinerebbe l'illegittimità degli statuti comunali
che non siano adeguati a tale principio, ma in mancanza di una previ
sione statutaria il principio non troverebbe alcuna applicazione diretta.
Solo gli atti assegnati direttamente dalla legge alla competenza dei diri
genti sfuggirebbero alla necessità di una mediazione dello statuto; tutta
via, gli elenchi di competenze dei dirigenti contenuti nella 1. 142/90
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PARTE TERZA
ma, 1. cit., che abilita la parte interessata a proporre appello con riserva dei motivi, avverso le sentenze pronunciate dal Tar
subito dopo la pubblicazione del dispositivo, senza escludere
l'applicazione immediata di tale norma nei confronti delle sen
tenze rese a conclusione di giudizi di primo grado introdotti
anteriormente all'entrata in vigore della legge in esame.
Manca, infatti, una disposizione espressa, sulla falsariga di
quanto previsto in sede di novella del codice di procedura civi
le; si pensi agli art. 90 1. 26 novembre 1990 n. 353 — sostituito
dall'art. 2 1. 4 dicembre 1992 n. 477, ulteriormente modificato
dall'art. 4 d.l. 7 ottobre 1994 n. 571, convertito, con modifica
(art. 51) e nella 1. 127/97 (art. 6) avrebbero carattere esaustivo e non
esemplificativo. c) In base a un terzo indirizzo, il principio della separazione di com
petenze fra dirigenti e giunta comunale non solo non sarebbe «tassati
vo», ma non sarebbe neppure «operativo»: fatti salvi i casi eccezionali di una specifica attribuzione di competenza da parte della legge ai diri
genti (v. sopra), tale principio richiederebbe sempre l'intermediazione dello statuto e lascerebbe spazio a possibilità di adattamento da parte dello Stato in relazione alle situazioni locali.
Agli indirizzi esposti sub b) e sub c) si sono richiamati, fra gli altri, Tar Marche 20 novembre 1998, n. 1353, id., 1999, I, 269 (afferma che il riparto fra direzione politica e attività di gestione non è operativo finché non sia stato sancito dallo statuto, che può comunque discostar sene per soddisfare esigenze locali); Tar Veneto 17 dicembre 1998, n.
1542, ibid., 590 (afferma la competenza della giunta per l'aggiudicazio ne dell'appalto per un servizio pubblico); Tar Lazio, sez. Latina, 24
agosto 1998, n. 664, id., 1998, I, 3607 (secondo cui la competenza dei
dirigenti ad emettere ordini di demolizione di opere edilizie abusive de
correrebbe, in mancanza di specifiche disposizioni statutarie, solo dal l'entrata in vigore della 1. 191/98); Tar Molise 9 giugno 1998, n. 102, ibid., 3314 (afferma che la competenza dei dirigenti «in tema di gare pubbliche, di cui al nuovo testo dell'art. 51, 3° comma, 1. 8 giugno 1990 n. 142, non può essere incondizionata e immediata, ma deve tro vare necessario completamento in sede di adeguamento delle disposizio ni statutarie e regolamentari vigenti nei comuni interessati»); Tar Friuli Venezia Giulia 9 aprile 1998, n. 560, ibid., 1864 (afferma la competen za del sindaco, pur dopo il d.leg. 29/93, a disporre la chiusura di eser cizi commerciali abusivi); Tar Emilia-Romagna, sez. II, 17 ottobre 1997, n. 684, ibid., 4425 (afferma la legittimità della disposizione statutaria che riservi, in taluni casi, al sindaco la stipulazione di atti e convenzioni
per il comune); Tar Veneto 14 luglio 1997, n. 1193, id., 1997, I, 3109
(afferma che ai sensi dell'art. 51 1. 142/90 la sospensione cautelare fa coltativa dal servizio dovrebbe essere disposta ancora dal sindaco quale capo dell'amministrazione comunale); Tar Lombardia, sez. Ili, 17 giu gno 1996, n. 807, id., 1996, I, 3097 (afferma la competenza degli orga ni elettivi del comune per i decreti di occupazione); 12 dicembre 1994, n. 844, Foro it., Rep. 1995, voce Impiegato degli enti locali, n. 48, e sez. II 27 novembre 1991, n. 1319, id., Rep. 1992, voce cit., n. 38
(affermano che la presidenza delle commissioni di gara e di concorso
spetta ai dirigenti a condizione che lo statuto lo preveda espressamen te); sez. Ili 2 settembre 1995, n. 1094, id.. Rep. 1996, voce Comune, n. 412 (afferma che la presidenza delle commissioni di gara e di concor so spetta ai dirigenti, ma con possibilità per lo statuto di disporre diver
samente). Emerge quindi un quadro variegato, caratterizzato dalla presenza di
soluzioni diverse, anche nell'ambito di medesimi Tar. Tuttavia, nel com
plesso, sembra prevalere il primo dei tre indirizzi considerati sopra; questo appare rafforzato dal fatto che nelle leggi più recenti i margini reali di intervento delio statuto comunale circa il riparto di competenza fra
dirigenti e organi politici risultano sempre più limitati. In questo senso, cfr. l'art. 6, 2° comma, 1. 15 maggio 1997 n. 127, come modificato dall'art. 2, 12° comma, 1. 16 giugno 1998 n. 191; la previsione, nell'art.
2, 13° comma, 1. 16 giugno 1998 n. 191, che nei comuni privi di perso nale dirigenziale, fatte salve solo le competenze del segretario, il sinda co possa assegnare ai funzionari responsabili dei servizi le «funzioni»
proprie dei dirigenti; la nuova formulazione dell'art. 4, 2° comma, 1. 142/90 introdotta dall'art. 1 1. 3 agosto 1999 n. 265. Mentre la formu lazione originaria dell'art. 4, 2° comma, cit., prevedeva che «lo statu to ... in particolare determina le attribuzioni degli organi . . .», la nuova fomulazione prevede che «lo statuto ... in particolare specifica le at tribuzioni degli organi». In questo modo sembra esclusa un'effettiva
capacità dello statuto di innovare sul riparto di competenza fra dirigen ti e organi politici del comune: lo statuto può solo «specificare», ossia
«attuare», «rendere più evidente», il riparto che dovrebbe già desumer si dalla legge, ma non «determinare» esso stesso il criterio del riparto medesimo.
III. - La decisione in rassegna sembra aderire invece al terzo dei tre indirizzi riscontrati nella giurisprudenza: ammette infatti che lo statuto
possa attribuire ai dirigenti la competenza di autorizzare l'ente locale
Il Foro Italiano — 2000.
zioni, dalla 1. 20 dicembre 1995 n. 534 — e 92 — sostituito
dall'art. 2 1. 4 dicembre 1992 n. 477, e successivamente modifi
cato dall'art. 6 d.l. 7 ottobre 1994 n. 571, convertito nella 1.
6 dicembre 1994 n. 673 —, che hanno previsto regimi differen
ziati per i giudizi pendenti al 1° gennaio 1993, per quelli pen denti al 30 aprile 1995, e, infine, per quelli instaurati successi
vamente a quest'ultima data.
Per quanto concerne più specificamente talune norme modi
ficative del giudizio di appello civile (si pensi all'art. 345), la
disciplina transitoria, in deroga alla regola generale dell'appli cazione delle nuove norme ai giudizi pendenti alla data di entra
a stare in giudizio; in tal caso il sindaco del comune (o il presidente della provincia) starebbe in giudizio in forza non di una delibera della
giunta, ma di un atto del dirigente. Si noti che, invece, con riferimento alla disciplina successiva all'en
trata in vigore della 1. 142/90 (e prescindendo dalle questioni di diritto
transitorio, per le quali cfr. Cons. Stato, ad. plen., 6 ottobre 1992, n. 12, id., 1993, 111, 321) la giurisprudenza era compatta nell'affermare che il sindaco (o il presidente della provincia) potessero stare in giudizio solo previa autorizzazione della giunta. Cfr., per la giurisprudenza civi le, Cass., sez. Ili, 20 ottobre 1998, n. 10378, id., Rep. 1998, voce cit., n. 497; sez. I 28 maggio 1998, n. 5286, ibid., voce Procedimento civile, n. 98; 20 febbraio 1998, n. 1853, ibid., voce Comune, n. 498; 15 luglio 1996, n. 6395, id., Rep. 1996, voce cit., n. 475; 4 giugno 1996, n. 5127, ibid., n. 483; 21 aprile 1994, n. 3811, id., Rep. 1994, voce cit., n. 235; sez. un. 8 marzo 1994, n. 2224, ibid., voce Procedimento civile, n. 48 (la sentenza afferma che, ai sensi dell'art. 35 1. 142/90, la competen za in questione è «esclusiva» della giunta); per la giurisprudenza ammi
nistrativa, v. Cons. Stato, sez. V, 29 luglio 1997, n. 841, id.. Rep. 1998, voce Comune, n. 500; ad. plen. 6 febbraio 1993, n. 3, id., 1993, 111, 321, con nota di richiami, cui adde Cons. Stato, sez. V, 29 ottobre
1992, n. 1085, id., Rep. 1993, voce Giustizia amministrativa, n. 393. La Corte di cassazione ha anche escluso espressamente che la necessità della delibera della giunta possa essere superata dallo statuto dell'ente locale, sull'argomento (che pare assai debole) che nessuna disposizione di legge conferirebbe allo statuto una competenza di tal genere (Cass., sez. I, 30 dicembre 1997, n. 13137, id., Rep. 1997, voce Comune, n.
478; 23 giugno 1997, n. 5585, ibid., voce Procedimento civile, n. 97). 11 Consiglio di Stato, con la decisione in epigrafe, ritiene che lo statu
to possa assegnare ai dirigenti la competenza di autorizzare il comune a stare in giudizio. Il testo della decisione non chiarisce bene se in tal caso la competenza spetterebbe unicamente ai dirigenti (come parrebbe logico, in base al principio della specificità della competenza di ciascun
organo dell'ente locale), ovvero se persisterebbe una competenza con corrente della giunta (come sembra suggerito dalle espressioni utilizzate nella decisione). In ogni caso il sindaco del comune (o il presidente della provincia) dovrebbe poi stare in giudizio, in esecuzione di tale autorizzazione.
Emerge così, da tutta questa giurisprudenza, un quadro singolare, che sembra ignorare le ragioni del primo dei tre indirizzi giurispruden ziali considerati sopra e, soprattutto, che non sembra considerare il cri terio di riparto delle competenze fra organi politici dell'ente locale e
dirigenti stabilito dall'art. 51 1. 142/90 e successive modificazioni. Que sta critica, ovviamente, non è superata dall'argomento, invocato dal
Consiglio di Stato, secondo cui l'art. 16 d.leg. 29/93 e successive modi ficazioni (art. 11 d.leg. 80/98; art. 4 d.leg. 387/98) ha si attribuito espres samente ai dirigenti la competenza di promuovere o resistere alle liti, ma in forza dell'art. 13 del medesimo decreto l'attribuzione riguarde rebbe solo i dirigenti statali. L'impossibilità di applicare direttamente l'art. 16 d.leg. 29/93 non significa molto; resta il fatto che la decisione di promuovere o di resistere a una lite inerisce normalmente ai compiti di «gestione amministrativa» che devono spettare ai dirigenti degli enti locali.
La singolarità delle conclusioni non è superata del tutto neppure dal la soluzione, pur innovativa, accolta dal Consiglio di Stato, nella deci sione in rassegna, che ammette (nei casi previsti dallo statuto) una com
petenza dei dirigenti per l'autorizzazione a stare in giudizio. Fra l'altro, in forza di tale soluzione, almeno sul piano pratico, il sindaco avrebbe
compiti esecutivi del deliberato di un suo dirigente. La giurisprudenza sulla rappresentanza legale processuale degli enti
locali sembra ignorare del tutto la possibilità di una diversa soluzione, in base alla quale, per lo meno nei casi previsti dallo statuto, l'ente locale starebbe in giudizio in persona del dirigente (e non del sindaco o del presidente della provincia). Questa soluzione, coerente con i crite ri generali di riparto delle competenze degli organi di governo e dei
dirigenti, non sembra in contrasto con l'art. 36, 1° comma, I. 142/90, più volte invocato nella decisione odierna. Tale articolo, nell'attribuire al sindaco (o al presidente della provincia) la «rappresentanza» dell'en te locale, non sembra avergli riservato in via esclusiva la rappresentanza legale processuale, profilo che, fra l'altro, è tipicamente materia di di
sciplina statutaria (cfr. art. 75, 3° comma, c.p.c.). [A. Travi]
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
ta in vigore della 1. n. 353 del 1990, ha statuito nel senso che
la disposizione novellata in esame non si applichi né ai giudizi
d'appello pendenti al momento dell'entrata in vigore della no
vella, né a quelli instaurati contro sentenze rese in procedimenti
svoltisi secondo la disciplina previgente. In buona sostanza, il
legislatore, allorquando ha inteso accelerare i giudizi in materia
di lavori pubblici, non ha posto alcuna deroga alla valenza del
principio tempus regit actum, in coerenza con le impellenti esi
genze di salvaguardia ed incremento dei livelli occupazionali,
sottese alla decretazione d'urgenza.
In relazione alle controversie sorte rispetto a provvedimenti
di affidamento di incarichi di progettazione e ad attività tecnico
amministrative connesse, a provvedimenti di aggiudicazione di
opere pubbliche o di pubblica utilità, comprese le procedure
di occupazione ed espropriazione delle aree ad esse destinate,
questa norma (art. 19 cit.) detta una speciale disciplina diretta
ad accelerare i tempi della decisione: infatti, qualora il ricorso
sia corredato da apposita istanza di sospensione del provvedi
mento impugnato, il giudice può decidere immediatamente non
solo sulla misura cautelare, ma anche nel merito, risolvendo
dunque definitivamente la controversia proposta al suo esame
e redigendo una sentenza la cui parte motiva risulta di forma
abbreviata.
Inoltre, sempre rispetto ai ricorsi contro i suddetti provvedi
menti, l'articolo in esame ha ridotto tutti i termini processuali
della metà.
Tale disposizione va applicata non solo ai termini processuali
propriamente detti, bensì anche al termine per notificare il ri
corso e a quello per depositarlo presso il giudice adito.
Al pari di quanto avvenuto in sede di interpretazione della
normativa sulla sospensione estiva dei termini processuali (art.
1 1. 14 luglio 1965 n. 818 e art. 1 1. 7 ottobre 1969 n. 742),
deve ritenersi che l'espressione «termini processuali» debba ri
condursi tanto ai termini per esercitare i poteri sostanziali di
proposizione dell'azione giurisdizionale, quanto a quelli più squi
sitamente attinenti all'/Ver del giudizio una volta che questo ha
avuto effettivo inizio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 maggio 1998,
n. 789, cit.; Cons, giust. amm. sic. 30 marzo 1995, n. 83, id.,
Rep. 1995, voce cit., n. 315; Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 1994,
n. 766, ibid., n. 253; sez. VI 5 dicembre 1992, n. 972, id., Rep.
1993, voce cit., n. 326; nello stesso senso si è espressa la Con
sulta con la sentenza n. 268 del 1993, id., 1993, I, 2408, e con
l'ordinanza 24 luglio 1998, n. 345, id., Rep. 1999, voce Notifi
cazione civile, n. 64).
Nella specie è pacifico che l'appellante non ha rispettato il
termine perentorio dimidiato di quindici giorni per il deposito
(avvenuto il 21 dicembre 1998 — giorno feriale —) dell'atto
d'appello, la cui ultima notifica (effettuata personalmente al sin
daco del comune di Amandola presso la casa comunale in vio
lazione dell'art. 330 c.p.c.) data 4 dicembre 1998. Tale notifica
zione era stata preceduta da due distinte ulteriori notificazioni:
la prima (datata 29 ottobre 1998), presso il domiciliatario del
procuratore costituito del comune di Amandola (avv. Marozzi),
rimasta senza esito per il decesso del domiciliatario stesso (avv.
Teresa Porreca, come si evince dalla relata di notifica dell'aiu
tante ufficiale giudiziario); la seconda (datata 6 novembre 1998),
correttamente effettuata presso la segreteria del Tar delle Mar
che, a mente dell'art. 35, 2° comma, t.u. n. 1054 del 1924;
tale disposizione stabilisce che il ricorrente, che non abbia elet
to nel ricorso domicilio in Roma, si intenda averlo eletto, per
gli atti e gli effetti del ricorso presso la segreteria del Consiglio
di Stato; per analogia si ritiene comunemente che la norma va
da applicata al processo dinanzi ai Tar, nel senso che il ricor
rente debba eleggere domicilio presso la sede capoluogo o in
quella staccata ove si svolgerà il processo, altrimenti il domici
lio si intende eletto presso la segreteria del tribunale; essendo
venuta meno l'elezione del domicilio per l'avvenuto decesso del
domiciliatario, correttamente la società appellante ha notificato
il gravame presso la segreteria del tribunale. Nel caso di specie,
trova applicazione l'art. 28 1. n. 1034 del 1971 che disciplina,
con il riferimento all'art. 330 c.p.c., il luogo della notificazione
del ricorso in appello. Se la parte vittoriosa non ha notificato
la sentenza (come verificatosi nella presente fattispecie), la noti
ficazione dell'atto di appello deve essere effettuata presso il pro
curatore costituito, ovvero nella residenza dichiarata o nel do
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micilio eletto per il giudizio di primo grado (cfr. sez. un. n.
12593 del 1993, id., 1994, I, 2462). Essendo venuto meno il
domiciliatario indicato per il giudizio di primo grado, ex lege
è scattata la presunzione di elezione del domicilio presso la se
greteria dell'ufficio giudiziario a quo. Ma anche con riferimen
to a tale seconda notificazione si appalesa, a fortiori, tardivo
il deposito effettuato il 21 dicembre 1998.
Da qui l'inammissibilità dell'appello. 3. - Parimenti non ha pregio l'eccezione sollevata dalla difesa
della società appellante (ma rilevabile anche d'ufficio afferendo
alla regolare costituzione del rapporto processuale nel grado di
appello), con cui si lamenta il difetto di legitimatio ad proces simi del comune di Amandola, ai sensi dell'art. 16, 1° comma,
lett. J), d.leg. n. 29 del 1993, per essere stato autorizzato il
sindaco a stare in giudizio non dal dirigente generale del comu
ne, bensì dalla giunta municipale.
Premesso che il difetto di autorizzazione a stare in giudizio
opera sul piano dell'efficacia e non su quello della validità della
costituzione della persona giuridica pubblica (cfr. Cass. 20 giu
gno 1998, n. 6166, id., Rep. 1998, voce Procedimento civile,
n. 100; 6 agosto 1997, n. 7229, id., Rep. 1997, voce cit., n.
96), osserva la sezione che tale norma (da ultimo modificata
dall'art. 11 d.leg. n. 80 del 1998 e dall'art. 4 d.leg. n. 387 del
1998 applicabili ratione temporis), attribuisce ai dirigenti di uf
fici dirigenziali generali, fra gli altri compiti, quello di promuo
vere e resistere alle liti.
Sennonché l'art. 13 d.leg. n. 29 del 1993 sancisce espressa
mente che le disposizioni del capo II (dirigenza), al cui interno
si trovano quelle divisate dall'art. 16 cit., trovano applicazione
solo per le amministrazioni dello Stato.
Quanto agli enti locali soccorrono le previsioni contenute:
a) nell'art. 51, 2° e 3° comma, 1. n. 142 del 1990 (come mo
dificati da ultimo dall'art. 6 1. n. 127 del 1997), che attribuisco
no ai dirigenti la direzione degli uffici e servizi, nonché l'ado
zione di tutti gli atti di gestione che impegnino l'ente locale
verso l'esterno, ad eccezione di quelli attribuiti dalla legge o
dallo statuto dell'ente ad altri organi dello stesso;
b) nell'art. 36, 1° comma, 1. n. 142 del 1990, che attribuisce
al sindaco la rappresentanza legale dell'ente.
Orbene, assodata l'inapplicabilità del più volte menzionato
art. 16 d.leg. n. 29 del 1993 al caso in esame, e poiché la società
appellante non ha dimostrato che lo statuto del comune di Aman
dola riserva ai soli dirigenti il rilascio dell'autorizzazione al sin
daco a stare in giudizio, va respinta la relativa eccezione.
CONSIGLIO DI STATO; sezione consultiva per gli atti norma
tivi; parere 7 giugno 1999, n. 107/99.
Legge, decreto e regolamento — Potere regolamentare
— Ne
cessaria legittimazione nella legge — Deroga
— Regolamenti
liberi (L. 23 agosto 1988 n. 400, disciplina dell'attività di go
verno e ordinamento della presidenza del consiglio dei mini
stri, art. 17).
Ambiente (tutela dell') — Valutazione di impatto ambientale
— Disciplina — Integrazioni mediante regolamento governa
tivo (D.p.c.m. 10 agosto 1988 n. 377, regolamentazione delle
pronunce di compatibilità ambientale, di cui all'art. 6 1. 8
luglio 1986 n. 349; 1. 23 agosto 1988 n. 400, art. 17).
Il principio secondo cui il potere regolamentare deve sempre
trovare nella legge la propria legittimazione risponde a regole
di stretta tipicità e può essere derogato solo con riferimento
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