sezione IV penale; sentenza 1° marzo 2000; Pres. Battisti, Rel. Bianchi, Est. Colaianni, P.M.Geraci (concl. diff.); ric. Montagnana. Annulla senza rinvio App. Torino 28 aprile 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 10 (OTTOBRE 2000), pp. 521/522-529/530Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195566 .
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521 GIURISPRUDENZA PENALE 522
CORTE DI CASSAZIONE; sezione IV penale; sentenza 1° mar
zo 2000; Pres. Battisti, Rei. Bianchi, Est. Colaianni, P.M.
Geraci (conci, diff.); ric. Montagnana. Annulla senza rinvio
App. Torino 28 aprile 1999.
CORTE DI CASSAZIONE;
Elezioni — Ufficio di scrutatore — Presenza del crocifisso nei
locali destinati a seggio — Rifiuto dell'ufficio — Giustificato
motivo (Cost., art. 3, 19, 97; d.p.r. 30 marzo 1957 n. 361,
approvazione del t.u. delle leggi recanti norme per l'elezione
della camera dei deputati, art. 108; 1. 8 marzo 1989 n. 95,
norme per l'istituzione dell'albo e per il sorteggio delle perso ne idonee all'ufficio di scrutatore e di segretario di seggio elettorale e modifica dell'art. 53 del t.u. delle leggi per la
composizione e l'elezione degli organi delle amministrazioni
comunali, approvato con d.p.r. 16 maggio 1969 n. 570, art.
1, 3, 4, 5 bis, 6; 1. 21 marzo 1990 n. 53, misure urgenti atte
a garantire maggiore efficienza al procedimento elettorale; 1.
30 aprile 1999 n. 120, disposizioni in materia di elezione degli
organi degli enti locali, nonché disposizioni sugli adempimen ti in materia elettorale, art. 9).
Costituisce giustificato motivo di rifiuto dell'ufficio di presi dente, scrutatore o segretario, ove non sia stato l'agente a
domandare di essere ad esso designato, la manifestazione del
la libertà di coscienza, il cui esercizio determini un conflitto tra la personale adesione al principio supremo di laicità dello
Stato e l'adempimento dell'incarico a causa dell'organizza
zione elettorale, in relazione alla presenza nella dotazione ob
bligatoria di arredi dei locali destinati a seggi elettorali, pur se casualmente non di quello di specifica destinazione, de!
crocifisso o di altre immagini religiose. (1)
(1) Attraverso una pronuncia di notevole rilievo ed assai articolata
nella sua motivazione, la Corte di cassazione ripercorre, soprattutto at traverso il richiamo a specifici precedenti della stessa ed a pronunce della Corte costituzionale, i momenti più significativi della progressiva attuazione del principio di laicità dello Stato, giungendo, nello specifi co, a qualificare come giustificato motivo il rifiuto di svolgere l'ufficio
di scrutatore di seggio (quando la nomina prescinda totalmente da un
atto di volontà dell'interessato), allorché questo sia motivato da ragioni di coscienza e dal principio di laicità dello Stato, in ragione della pre senza nei locali adibiti a seggio elettorale di immagini sacre, quale il
crocifisso. La corte ha pure ritenuto irrilevante che nel seggio de quo non fosse presente alcuna immagine sacra, ritenendo la posizione espressa
dall'imputato, nella veste di soggetto che avrebbe dovuto entrare a far
parte, seppure temporaneamente, dell'amministrazione, come avente un
significato ed una portata più generale. Di diverso avviso era stata la terza sezione della stessa Corte di cassa
zione, la quale, decidendo sullo stesso caso e nell'annullare con rinvio
la sentenza impugnata, aveva ritenuto che non può costituire «giustifi cato motivo» di mancata assunzione dell'ufficio di presidente, scrutato
re o segretario di un seggio elettorale, ai fini dell'esclusione del reato
previsto dall'art. 108 d.p.r. 361/57, il fatto che nella sede del seggio medesimo risulti esposto il crocifisso, la cui presenza si assuma contra
stante con la libertà religiosa del soggetto, garantita dalla Costituzione, dal momento che il principio della libertà religiosa, collegato a quello di uguaglianza, importa soltanto che a nessuno può essere imposta per
legge una prestazione di contenuto religioso ovvero contrastante con
i suoi convincimenti in materia di culto, fermo restando che deve preva lere la tutela della libertà di coscienza soltanto quando la prestazione, richiesta o imposta da una specifica disposizione, abbia un contenuto
contrastante, in modo diretto e con vincolo di causalità immediata, con
l'espressione di detta libertà: condizione, questa, non ravvisabile nella
fattispecie (Cass. 13 ottobre 1998, Montagnana, Foro it., Rep. 1999, voce Elezioni, n. 79).
Sull'analogo problema, relativamente alla presenza del crocifisso nel
le aule destinate all'insegnamento di una scuola d'obbligo statale, non
confessionale, v. Pret. Roma 17 maggio 1986, id., Rep. 1986, voce Prov
vedimenti di urgenza, n. 94, commentata da Daniele, in Riv. giur. scuola, 1986, 619, secondo cui il crocifisso, sotto l'aspetto giuridico, è un arredo di un pubblico istituto che non può essere rimosso se non
nei casi e nei modi stabiliti dalla legge, per cui va respinta la domanda
tendente ad ottenere l'adozione di un provvedimento d'urgenza che,
ai sensi dell'art. 700 c.p.c., disponga la rimozione del crocifisso dalle
aule scolastiche. In dottrina, v. Zannotti, Il crocifisso nelle aule scola
stiche, in Dir. eccles., 1990, I, 324. La sentenza del Bundesverfassungsgericht 16 maggio 1995, citata in
motivazione, la quale ha ritenuto contraria alla Costituzione tedesca
l'esposizione del crocifisso nei locali destinati all'insegnamento della scuola
statale dell'obbligo, è massimata in Foro it., Rep. 1996, voce Diritto
comparato, n. 295 e commentata da Nunziata, in Riv. giur. scuola,
1996, 609. Rinviando per il resto alle numerose pronunce citate in motivazione,
Il Foro Italiano — 2000 — Parte I1-Y2.
1. - Marcello Montagnana veniva condannato dal Pretore di
Cuneo alla pena di lire quattrocentomila di multa per il reato
di cui all'art. 108 d.p.r. 30 marzo 1957 n. 361, perché, designa to in occasione delle elezioni politiche del marzo 1994 all'uffi
cio di scrutatore del seggio elettorale n. 71 presso l'ospedale S. Croce di Cuneo, all'atto dell'insediamento rifiutava di assu
mere l'ufficio senza giustificato motivo.
Risultava, ed è peraltro incontroverso, che il Montagnana già
prima dell'incarico aveva fatto presente con lettere indirizzate *
al comune di Cuneo e al presidente della repubblica che egli avrebbe potuto svolgere le funzioni di scrutatore solo se fosse
stato reso effettivo il rispetto della libertà di coscienza garantito dalla Costituzione a ciascun cittadino, e cioè se il ministero del
l'interno avesse provveduto a rimuovere dai seggi elettorali, si
tuati quasi tutti in sedi di istituzioni statali, simboli o immagini
propri di un'unica fede religiosa. A tali lettere non riceveva ri
sposta, sicché, presentatosi all'ufficio elettorale al momento della
costituzione, faceva inserire a verbale una dichiarazione con la
quale ricordava di aver scritto le lettere sopra menzionate ed
evidenziava che, pur constatando che nel seggio di sua compe
tenza non era esposto il crocifisso, riteneva tale circostanza del
tutto casuale e non motivata da un provvedimento della compe tente autorità che rimuovesse la situazione in tutto il paese, co
me necessario per risolvere una questione che egli aveva posto in via generale e non solo come espressione di intolleranza per sonale. Dichiarava che, pertanto, riteneva proprio dovere non
accettare tale situazione, denunciandone l'incostituzionalità.
Il pretore giudicava il motivo addotto dall'imputato non ido
neo ad integrare una legittima facoltà riconosciutagli dall'ordi
namento e quindi a giustificare il rifiuto opposto, ma, su impu
gnazione del Montagnana, la Corte d'appello di Torino assolve
va l'imputato perché il fatto non sussiste, ravvisando invece una
correlazione tra la sua condotta e l'invocato principio costitu
zionale della laicità dello Stato.
Su ricorso del p.g., tuttavia, questa corte annullava la senten
za con rinvio, così fissando il principio di diritto: «Il giusto motivo che consente di rifiutare l'esercizio del diritto di scruta
tore nelle competizioni elettorali deve essere manifestazione di
diritti o facoltà il cui esercizio determini un inevitabile conflitto
tra la posizione individuale, legittima e costituzionalmente ga
rantita in modo prioritario, e l'adempimento dell'incarico al cui
contenuto sia collegato con vincolo di causalità immediata».
2. - 1! giudice di rinvio confermava la sentenza di condanna
possono essere segnalati, come momenti particolarmente importanti per la realizzazione del principio di laicità dello Stato, Corte cost. 14 no vembre 1997, n. 329, Foro it., 1998, 1, 26, con nota di richiami e osser
vazioni di Fiandaca, commentata da Chizzoniti, in Cass, pen., 1998,
1575, da Fontana, in Giur. it., 1998, 987, da Palombo, in Dir. eccles.,
1998, II, 3, da Rimoli, in Giur. costit., 1997, 3335, che ha dichiarato
l'incostituzionalità del diverso trattamento sanzionatorio previsto dal
l'art. 404 c.p. per le offese alla religione di Stato (reclusione da uno
a tre anni) e, rispettivamente, dall'art. 406 c.p. per le medesime offese
recaie ad un culto ammesso; Corte cost. 8 ottobre 1996, n. 334, Foro
il., 1997, l, 25, con nota di richiami e osservazioni di Verde, e 5 mag
gio 1995, n. 149, id., 1995, I, 2042, con nota di richiami e osservazioni
di Donati, in ordine al riferimento alla divinità contenuto nelle formu
le di giuramento; Corte cost. 18 ottobre 1995, n. 440, id., 1996, I,
30, con nota di richiami e osservazioni di Colaianni, che ha dichiarato
l'incostituzionalità dell'art. 724, 1° comma, c.p., nella parte in cui pu niva la bestemmia contro i simboli o le persone venerati nella religione
cattolica, già religione di Stato, in quanto contrastante con il principio di generalità di tutela del sentimento religioso, bene comune a tutte
le fedi presenti nella comunità nazionale e rispetto a! quale è irrilevante
il criterio del numero degli osservanti (sugli effetti di tale pronuncia, v. Pret. Avezzano 20 novembre 1996, id., Rep. 1997, voce Bestemmia, n. 6, commentata da Santacroce, in Giur. merito, 1997, 96 e da Cri
spo, in Dir. eccles., 1997, II, 148); Corte cost. 25 maggio 1990, n. 259, Foro it., 1991, I, 3028. con nota di richiami, commentata da Grossi, in Giur. costit., 1991, 2372, per l'incostituzionalità delle disposizioni che conferivano natura di persone giuridiche pubbliche alle comunità
israelitiche. Sul principio di laicità dello Stato, v. Lariccia, Laicità dello Stato
e democrazia pluralista in Italia, in Dir. eccles., 1995, I, 383; Mangia
meli, La «laicità» dello Stato tra neutralità del fattore religioso e «plu ralismo confessionale e culturale», in Dir. e società, 1997, 27; Ravà, Corte costituzionale e religione di Stato, id., 1998, 559; per una rico
struzione degli aspetti costituzionali della libertà di coscienza, Di Cosi
mo, Coscienza e Costituzione. I limiti deI diritto di fronte ai convinci
menti interiori della persona, Milano, 2000.
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PARTE SECONDA
del Pretore di Cuneo. Osservava la corte torinese che la presen za nei seggi elettorali, situati in sedi di istituzioni statali, di un
simbolo proprio di una fede religiosa non poteva ritenersi ido
nea a creare alcun conflitto tra la posizione del Montagnana di difesa della libertà dello Stato e della libertà di coscienza
e gli specifici compiti cui egli era chiamato, ossia assicurare la
regolare costituzione del seggio elettorale, l'assenza di turbative
alle operazioni di voto, la regolarità dello spoglio ed in definiti
va la corretta manifestazione della volontà popolare; la presen za di quel simbolo era del tutto indifferente rispetto al contenu
to dell'ufficio imposto all'imputato, così come indifferente al
l'esercizio del diritto di difesa era la presenza del crocifisso nelle aule giudiziarie, parimenti contestato dall'imputato. Osservava
ancora che lo stesso Montagnana aveva offerto una coerente
spiegazione della sua condotta, quella cioè di voler ottenere una
pronuncia giudiziale sulla legittimità delle norme che impongo no l'esibizione del crocifisso nelle sedi statali, in tal modo stru
mentalizzando la nomina.
Ricorre per cassazione l'imputato chiedendo l'annullamento
della sentenza in quanto non applica correttamente il principio di diritto fissato dalla Corte di cassazione.
Deduce che la corte d'appello, mentre correttamente ha rite
nuto giustificato il motivo di rifiuto in quanto espressione del
diritto a rivendicare il rispetto del principio di laicità dello Sta
to, erroneamente invece ha valutato il contenuto dell'incarico
di scrutatore operando una confusione tra i compiti material
mente svolti dal medesimo (assicurare la regolare costituzione
del seggio elettorale, l'assenza di turbative alle operazioni di
voto e in definitiva la corretta manifestazione della volontà po
polare) e il contenuto dell'ufficio, da individuarsi nell'attribu zione della veste di pubblico ufficiale.
Dalla identificazione del contenuto dell'ufficio di scrutatore
con il ruolo di pubblico ufficiale, rappresentante dello Stato
nel corso delle operazioni elettorali, deriverebbe secondo il ri
corrente un inevitabile conflitto con la coscienza di chi ritiene
che sia stato violato il principio di laicità dello Stato: evidente, di conseguenza, la sussistenza di un vincolo eziologico tra il
comportamento del prof. Montagnana, che ha inteso riafferma
re la necessità che l'ordinamento garantisca in ogni sua manife
stazione, e dunque anche nello svolgimento delle consultazioni
elettorali, il rispetto del principio costituzionale della laicità del
lo Stato ed il rifiuto dal medesimo addotto di assumere l'ufficio
stesso. Contraddittoria sarebbe, inoltre, la sentenza per aver ri
conosciuto l'esistenza dell'attenuante dell'aver agito per motivi
di particolare valore morale e sociale, escludendo invece la sus
sistenza del giustificato motivo di rifiuto.
3. - Il ricorso è fondato, giacché il giudice del rinvio non
ha adempiuto all'obbligo di motivare la propria decisione se condo lo schema esplicitamente enunziato nella sentenza di an
nullamento, in tal modo svincolandosi dal compimento della
particolare indagine — in precedenza omessa — di determinan te rilevanza ai fini della decisione. All'enunciazione del princi pio di diritto sopra riportato, infatti, questa corte faceva segui re l'indicazione degli accertamenti e delle considerazioni omes si: rispettivamente, «l'esistenza del vincolo eziologico tra il rifiuto addotto ed il contenuto dell'ufficio imposto» e «la specificità della situazione esistente nel seggio elettorale, nel quale non era
presente alcun simbolo religioso». Fondamentale è il primo accertamento siccome determinante
per stabilire il carattere diretto e immediato della causalità. Il contenuto dell'ufficio è stato individuato dalla corte nei compiti previsti dalla legge elettorale: la regolare costituzione del seggio elettorale, l'assenza di turbative alle operazioni di voto, la rego larità dello spoglio ed in definitiva la corretta manifestazione
della volontà popolare. Così, tuttavia, essa riduce l'assunzione
dell'ufficio, oggetto della previsione del reato contestato, all'e
spletamento dei compiti ad esso connessi, sui quali «non impin gono» i principi richiamati dal ricorrente, che in nome di essi
perciò semplicemente «strumentalizzava la nomina». Ma in realtà il contenuto dell'ufficio imposto consiste solo
indirettamente, per conseguenza, nei compiti o nelle prestazioni ad esso connessi, ma direttamente ed immediatamente nella fun zione di pubblico ufficiale che con la nomina si viene ad assu
mere (art. 40, 3° comma, d.p.r. 30 marzo 1957 n. 361). Una
volta designato, infatti, lo scrutatore svolge una pubblica fun
zione, un'attività, cioè, che è diretta manifestazione di pubbli che potestà o — in senso enfatico — dell'autorità dello Stato
per la presenza dei poteri tipici della potestà amministrativa, come indicati dal 2° comma dell'art. 357 c.p.p. novellato dalle
Il Foro Italiano — 2000.
1. n. 86 del 1990 e n. 181 del 1992 (cfr. Cass., sez. un., 24
settembre 1998, n. 10086). Il contenuto dell'ufficio è, quindi,
quello di formare e manifestare la volontà della pubblica ammi
nistrazione oppure esercitare poteri autoritativi, deliberativi o
certificativi, disgiuntamente e non cumulativamente considerati
(Cass., sez. un., 27 marzo 1992, n. 7958): e, quindi, innanzitut to la «inserzione nell'ufficio» (Cass. 5 maggio 1992, n. 5332).
È in relazione a questo immediato contenuto dell'ufficio che
va quindi valutata l'esistenza del rapporto di causalità immedia
ta con il motivo del rifiuto: ed essa, se pur dubbia o non appa riscente in relazione ai singoli compiti assegnati allo scrutatore,
riemerge allora con immediatezza. Infatti, il ricorrente ha rifiu tato di «svolgere la funzione di scrutatore», piuttosto che i com
piti ad essa connessi, e cioè l'inserzione come pubblico ufficiale
in un'amministrazione, che, non provvedendo «affinché venga rimosso qualsiasi simbolo o immagine religiosa da tutti i seggi
elettorali», non garantisce, contro il suo convincimento, «il ri
spetto della irrinunciabile libertà di coscienza garantita dalla Co stituzione a ciascun cittadino» e del «supremo principio costitu
zionale della laicità dello Stato».
4. - L'immediatezza, e non la strumentalità, del rapporto tra
il rifiuto motivato ed il contenuto dell'ufficio imposto emerge da altre due considerazioni.
La prima riguarda il fatto che il Montagnana non aveva il
potere di impedire previamente l'insorgenza del conflitto che
ha dato luogo al rifiuto. Prima, invero, delle modificazioni in
trodotte dall'art. 9 1. 30 aprile 1999 n. 120, gli art. 1, 3, 4, 5 bis e 6 1. 8 marzo 1989 n. 95, come modificati dalla 1. 21
marzo 1990 n. 53, prevedevano che l'albo degli scrutatori —
alfinterno del quale veniva sorteggiato il numero di nominativi
pari a quello occorrente (art. 6) — fosse formato a sua volta
per sorteggio fra tutti gli iscritti nelle liste elettorali (art. 3) in
un numero quattro volte superiore al numero complessivo di
scrutatori da nominare nel comune (art. 1). A differenza dell'attuale disciplina — secondo cui l'albo degli
scrutatori è formato su base volontaria e comprende, quindi, solo i nominativi degli elettori che desiderano essere inseriti in
esso e ne fanno apposita domanda (art. 1 e 3 1. cit., come mo
dificato dall'art. 9 1. 120/99) — la legislazione vigente all'epoca del fatto in esame prevedeva un albo formato su base obbliga toria, collegata a due fatti indipendenti dalla volontà del sog
getto: iscrizione nelle liste elettorali e sorteggio. Si trattava, per tanto, di un ufficio non volontario ma, come definito nella sen
tenza di annullamento con rinvio, «imposto». Di conseguenza, all'epoca del fatto eventuali situazioni di con
flitto interiore tra i propri convincimenti ed il contenuto del
l'ufficio imposto non potevano trovare né la soluzione radicale,
implicita nell'attuale disciplina, della pura e semplice rinuncia alla domanda né quella, comunque anticipata, della rinuncia, una volta sorteggiato il proprio nominativo, all'iscrizione nel
l'albo: la rinuncia, infatti, era un atto non potestativo ma con
dizionato alla ricorrenza di «gravi, giustificati e comprovati mo tivi» (art. 3, cpv., 1. cit.), la cui attualità andava evidentemente valutata rispetto al momento della formazione dell'albo e non a quello, futuro ed incerto, della nomina.
Con riferimento a questo momento, perciò, la legislazione all'epoca vigente non offriva allo scrutatore sorteggiato e nomi nato altro rimedio di soluzione del conflitto che quello del rifiu to motivato dell'ufficio: posizione che il Montagnana assumeva ed esponeva con immediatezza dopo la comunicazione della no
mina, come risulta dalla narrativa in fatto della sentenza im
pugnata. 5. - La seconda considerazione, che fa cogliere l'immediatez
za del rapporto tra motivo del rifiuto e contenuto dell'ufficio
imposto, scaturisce dalla portata dell'invocato principio di laici
tà dello Stato, che con quel contenuto ha in comune la nota
dell'imparzialità dell'amministrazione (art. 97 Cost.), in funzio ne della quale va organizzato l'ufficio elettorale, in cui lo scru tatore è inserito, in particolare per garantire sotto i molteplici aspetti formali previsti dalla legge la libera espressione del voto.
Il principio indicato implica un «regime di pluralismo confes sionale e culturale» (Corte cost. 12 aprile 1989, n. 203, Foro
it., 1989, I, 1333) e presuppone, quindi, innanzitutto l'esistenza di una pluralità di sistemi di senso o di valore, di scelte perso nali riferibili allo spirito o al pensiero, che sono dotati di pari
dignità e, si potrebbe dire, nobiltà. Ne consegue una pari tutela della libertà di religione e di quella di convinzione, comunque orientata: infatti, anche «la libertà di manifestazione dei propri convincimenti morali o filosofici» è garantita in connessione con
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GIURISPRUDENZA PENALE
la tutela della «sfera intima della coscienza individuale» (Corte cost. 19 dicembre 1991, n. 467, id., Rep. 1992, voce Leva mili
tare, n. 54), conformemente all'interpretazione dell'art. 19 Cost,
(che tutela la libertà di religione, non solo positiva ma — come riconosciuto dalla corte fin dalla sentenza 10 ottobre 1979, n.
117, id., 1979, I, 2517, e ribadito con quella 8 ottobre 1996, n. 334, id., 1997, I, 25 — anche negativa: vale a dire, anche la professione di ateismo o di agnosticismo) e all'art. 9 della
convenzione europea dei diritti dell'uomo, resa esecutiva con 1. 4 agosto 1955 n. 848 (che tutela la libertà di manifestare «la
propria religione o il proprio credo»). Il detto principio, inoltre, si pone come condizione e limite
del pluralismo, nel senso di garantire che il luogo pubblico de
putato al conflitto tra i sistemi indicati sia neutrale e tale per
manga nel tempo: impedendo, cioè, che il sistema contingente mente affermatosi getti le basi per escludere definitivamente gli altri sistemi. Infatti, il concetto di laicità affermato con la sen
tenza 203/89, cit., non coincide con quello classico ed autore volmente sostenuto in dottrina della irrilevanza, e quindi indif
ferenza, dello Stato ma, all'opposto, «implica non indifferenza
dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale».
Si tratta in questo senso di una laicità positiva o attiva, intesa come compito dello Stato di svolgere interventi per rimuovere
ostacoli ed impedimenti (art. 3, cpv., Cost.) in modo da «uni
formarsi» (Corte cost. 27 aprile 1993, n. 195, id., 1994, I, 2986) a «quella distinzione tra 'ordini' distinti, che caratterizza nel
l'essenziale il fondamentale o 'supremo' principio costituziona
le di laicità o non confessionalità dello Stato» (Corte cost. 8 ottobre 1996, n. 334, cit.).
Così, per esempio, l'eliminazione, operata da quest'ultima sen
tenza come dalla precedente 5 maggio 1995, n. 149 (id., 1995,
I, 2042) dalla formula del giuramento di ogni riferimento alla
divinità, sul presupposto che «la religione e gli obblighi morali
che ne derivano non possono essere imposti come mezzo al fine dello Stato», neutralizza l'efficacia civile, cioè il valore pubbli co e strumentale ai fini dello Stato, del fattore religioso: non
esclude dalla sfera pubblica gli atti di valenza religiosa e non
modifica, quindi, né riduce il tasso di pluralismo, ma all'oppo sto va «nel senso di un ordinamento pluralista che, riconoscen
do la diversità delle posizioni di coscienza, non fissa il quadro dei valori di riferimento e quindi né attribuisce né esclude con
notazioni religiose al giuramento ch'esso chiama a prestare». 6. - La rimozione del simbolo religioso del crocifisso da ogni
seggio elettorale, che è la condizione a cui l'odierno ricorrente
aveva subordinato l'espletamento della funzione di scrutatore = pubblico ufficiale imparziale, si muove lungo questo solco tracciato dalla giurisprudenza costituzionale in termini di laicità
e pluralismo, reciprocamente implicantisi. Invero, il «ritorno» con l'avvento del fascismo del crocifisso
nelle aule delle scuole elementari (circ. min. pubblica istruzione
22 novembre 1922) e poi di ogni ordine e grado (circ. min.
pubblica istruzione 26 maggio 1926), nonché negli uffici pubbli ci in genere (ord. min. 11 novembre 1923, n. 250) e nelle aule
giudiziarie (circ. min. grazia e giustizia 29 maggio 1926, n.
2134/1867), è comunemente indicato nella dottrina storica e giu ridica come uno dei sintomi più evidenti del neo-confessionismo
statale: tanto emerge, per esempio, dalla circ. 26 maggio 1926,
cit., secondo cui si tratta di fare in modo che «il simbolo della nostra religione, sacro alla fede e al sentimento nazionale, am
monisca ed ispiri la gioventù studiosa, che nelle università e
negli studi superiori tempra l'ingegno e l'animo agli alti compiti cui è destinata».
Diametralmente opposta, com'è evidente, la laicità come «pro filo della forma di Stato delineata nella Carta costituzionale
della repubblica» (Corte cost. 203/89, cit.). In particolare, l'im
parzialità della funzione di pubblico ufficiale è strettamente cor
relata alla neutralità (altro aspetto della laicità, evocato sempre in materia religiosa da Corte cost. 15 luglio 1997, n. 235, id.,
1998, I, 3503) dei luoghi deputati alla formazione del processo decisionale nelle competizioni elettorali, che non sopporta esclu sivismi e condizionamenti sia pure indirettamente indotti dal ca
rattere evocativo, cioè rappresentativo del contenuto di fede, che ogni immagine religiosa simboleggia.
Anche per tal via, quindi, si conferma l'immediatezza del rap
porto tra motivo del rifiuto e contenuto dell'ufficio imposto. Ma se ne ricava pure — va osservato anche al fine di valutare la serietà e la responsabilità della posizione del ricorrente —
Il Foro Italiano — 2000.
l'attuabilità della condizione da lui posta, non impossibile in
quanto non estranea agli ordinari poteri della pubblica ammini strazione perché richiedente, per esempio, solo un intervento
legislativo. Come risulta dalle citazioni, infatti, il crocifisso è
ricompreso tra gli arredi delle aule e degli uffici da una serie di circolari ministeriali, destinate alle autorità subordinate, la cui modificazione rientra pienamente nel potere dell'ammini
strazione pubblica. 7. - Invero, la «mancanza di un espresso fondamento norma
tivo» risulta riconosciuta in via amministrativa nella nota del ministero dell'interno 5 ottobre 1984, n. 5160/M/l, in risposta ad un quesito posto dal ministero della giustizia (prot. 612/14.4 del 29 maggio 1984) sul mantenimento del crocifisso nelle aule
giudiziarie. Vero è che, ciononostante, quell'amministrazione ri
tenne «tuttora valide» le motivazioni delle circolari citate alla
stregua dell'art. 9 degli accordi di modificazione dei patti late
ranensi, ratificati con 1. 25 marzo 1985 n. 121, secondo cui «i
principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del
popolo italiano» e tenuto conto che il crocifisso è «il simbolo di questa nostra civiltà», «il segno della nostra cultura umani
stica e della nostra coscienza etica». Ma si tratta di motivazioni
prive di fondamento positivo e divenute, comunque, insosteni bili alla luce della successiva giurisprudenza costituzionale.
Infatti, il riconoscimento contenuto nell'art. 9 1. cit. è privo di valenza generale perché non è un principio fondamentale dei nuovi accordi di revisione ma è funzionale solo all'assicurazio ne dell'insegnamento di religione cattolica nelle scuole pubbli che: peraltro, non obbligatorio ma pienamente facoltativo, li
mitato cioè agli alunni che dichiarino espressamente di volerse ne avvalere, senza che agli altri possa farsi carico di un onere alternativo (infatti, gli alunni possono anche non presentarsi o
allontanarsi dalla scuola: Corte cost. 14 gennaio 1991, n. 13,
id., 1991, I, 365). Esso, quindi, non vale ad autorizzare l'ammi
nistrazione pubblica ad emanare norme interne dal contenuto
più disparato ed in particolare sull'affissione del crocifisso nelle
aule, per giunta non a richiesta delle persone che le frequentano (come nel caso dell'istruzione religiosa) ma obbligatoriamente.
Neppure è sostenibile la giustificazione collegata al valore sim
bolico di un'intera civiltà o della coscienza etica collettiva e,
quindi, secondo un successivo parere del Consiglio di Stato (sez. II 27 aprile 1988, n. 63, id., Rep. 1992, voce Istruzione pubbli ca, n. 52), «universale, indipendente da una specifica confessio ne religiosa». In altro ordinamento dell'Unione europea s'è ri
tenuto, viceversa, una sorta di «profanazione della croce» non
considerare questo simbolo in collegamento con uno specifico credo (così BundesVerfassungsGericht 16 maggio 1995, id., Rep. 1996, voce Diritto comparato, n. 295, che ha dichiarato costitu
zionalmente illegittima l'affissione obbligatoria del crocifisso nelle aule scolastiche della Baviera per la conseguente influenza sugli alunni obbligati a partecipare alle lezioni confrontandosi di con
tinuo con siffatto simbolo religioso). Ma anche nel nostro ordinamento la giustificazione indicata
urta contro il chiaro divieto posto in questa materia dall'art.
3 Cost., come ha recentemente ricordato Corte cost. 14 novem bre 1997, n. 329 (id., 1998, I, 26), laddove ha sottolineato —
con un'affermazione tale da assumere la portata di un orienta mento generale, al di là della specifica questione dell'art. 404
c.p. ivi scrutinata — come «il richiamo alla c.d. coscienza so
ciale, se può valere come argomento di apprezzamento delle
scelte del legislatore sotto il profilo della loro ragionevolezza, è viceversa vietato laddove la Costituzione, nell'art. 3, 1° com
ma, stabilisce espressamente il divieto di discipline differenziate
in base a determinati elementi distintivi, tra i quali sta per l'ap
punto la religione». E, nella specie, si differenzia appunto in
base alla religione nel momento in cui si dispone l'esposizione del solo crocifisso.
D'altro canto, la motivazione del Consiglio di Stato, siccome
fondamentalmente basata sul non contrasto tra il principio di
uguale libertà delle confessioni religiose e l'esposizione del sim
bolo indicato, è testualmente mutuata, con gli aggiustamenti richiesti dal caso, da Corte cost. 30 novembre 1957, n. 125 (id.,
1957, I, 1913), riguardante la diversa tutela penale stabilita dal l'art. 404 c.p. Ma quella posizione, che attribuiva alla religione cattolica un valore politico — simbolo della «civiltà e della cul
tura cristiana», come ripete il Consiglio di Stato —, già ridi
mensionata da Corte cost. 28 luglio 1988, n. 925 (id., Rep. 1988, voce Bestemmia, n. 2), è stata espressamente superata da Corte
cost. 329/97, cit., che ha evidenziato come la visione, strumen
tale alle finalità dello Stato, della religione cattolica come «reli
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PARTE SECONDA
gione dello Stato» «stava alla base delle numerose norme che, anche al di là dei contenuti e degli obblighi concordatari, detta
vano discipline di favore a tutela della religione cattolica, ri
spetto alla disciplina prevista per le altre confessioni religiose, ammesse nello Stato»: che è all'evidenza il caso anche delle norme
sull'esposizione dell'immagine del crocifisso. Va per completezza rilevato che accanto alle norme interne
dettate con le ricordate circolari se ne rinvengono altre di natu ra regolamentare, contenute nell'art. 118 r.d. 30 aprile 1924 n.
965, e nell'ali, c) r.d. 26 aprile 1928 n. 1297, e ritenute da Cons.
Stato, cit., non incise dagli accordi di modificazione dei patti lateranensi, siccome precedenti quei patti. Tali norme seconda rie riguardano solo le scuole elementare e media e si connettono all'art. 140 r.d. 15 settembre 1860 n. 4336, contenente il regola mento per l'istruzione elementare di attuazione della 1. 13 no vembre 1859 n. 3725 (c.d. legge Casati), che prescriveva appun to il crocifisso tra gli arredi delle aule scolastiche.
Esse, quindi, non diversamente da quella legge, trovano fon damento nel principio della religione cattolica come sola religio ne dello Stato, contenuto nell'art. 1 dello statuto albertino: prin cipio che proprio il punto 1 del protocollo addizionale degli accordi di revisione del 1984 considera espressamente — se pur ve ne fosse stato bisogno dopo l'entrata in vigore della Costitu zione — non più in vigore, con conseguenti ricadute implicite sulla normativa secondaria derivata. 11 rapporto di incompatibi lità — nel detto parere sbrigativamente ritenuto insussistente — con i sopravvenuti accordi del 1984, rilevante per l'abroga zione ai sensi dell'art. 15 delle disposizioni sulla legge in genera le, si pone, quindi, direttamente non con quelle norme regola mentari bensì con il loro fondamento legislativo: l'art. 1 dello statuto albertino espressamente dichiarato non più in vigore «di comune intesa» (preambolo del protocollo addizionale) con la Santa Sede.
Va pure aggiunto che, peraltro, quelle norme, in quanto non
prevedono una rimozione del simbolo religioso ogni volta che l'aula venga messa a disposizione dell'amministrazione dell'in terno per lo svolgimento delle operazioni elettorali, si pongono — non diversamente da quelle interne — in contrasto con lo
spirito garantistico ed imparziale della superiore legislazione elet torale: la quale si preoccupa di impedire forme simboliche di comunicazione iconografica, non ammettendo per esempio «la
presentazione di contrassegni riproducenti immagini o soggetti religiosi» (art. 14, ultimo comma, d.p.r. 361/57 e successive
modificazioni). Sta di fatto, tuttavia, che la condizione apposta dal ricorren
te non si è verificata e che egli ne ha tratto motivo, al momento dell'assunzione dell'ufficio, per non ritenere garantito il princi pio di laicità dello Stato e quindi — con un rapporto tra causa ed effetto —
d'imparzialità della propria funzione di scrutato
re, inducendolo ad un'azione di rifiuto adeguata a tali principi costituzionali.
8. - Il secondo punto rimesso dalla sentenza di annullamento alla considerazione del giudice di rinvio riguardava la specificità della situazione esistente nel seggio elettorale di destinazione del
Montagnana, nel quale non era presente alcun simbolo religioso. Esso non è oggetto di specifica considerazione della corte to
rinese, che si limita ad invocarlo incidentalmente a sostegno della
tesi, sopra confutata, della «indifferenza della presenza di quel simbolo rispetto al contenuto dell'ufficio imposto all'imputa to». La valutazione è, comunque, erronea non solo per i motivi sopra sviluppati ma anche per l'implicita esclusione della giusti ficatezza del motivo del rifiuto pure in assenza del simbolo reli
gioso nel seggio di destinazione. Si rileva in proposito dalla sentenza impugnata che il motivo
addotto dal ricorrente riguarda, insieme al rispetto della laicità, la «libertà religiosa e di coscienza», cui egli immediatamente
dopo la comunicazione della nomina aveva scritto nella lettera al presidente della repubblica di «non intendere rinunciare». Fin
dall'inizio, quindi, e non solo al momento dell'immissione nel
l'ufficio, era stato denunciato il rischio — non circoscritto allo
specifico seggio di designazione ma riferito all'intera organizza zione elettorale in relazione alla dotazione obbligatoria di arredi dei locali, comprendente il crocifisso — di un grave turbamento di coscienza a causa del conflitto interiore tra il dovere civile di svolgere un ufficio pubblico e il dovere morale di osservare un dettame della propria coscienza sulla necessaria garanzia di laicità e d'imparzialità di quell'ufficio (secondo una dinamica
analoga a quella analizzata per esempio da Corte cost. 149/95, cit.).
Il Foro Italiano — 2000.
Ora la libertà di coscienza, prospettata per dir così a tutto
tondo, non è divisibile in modo da ritenerla esercitabile solo se riguardi il seggio di destinazione dell'agente come scrutatore
e non la totalità dei seggi e cioè l'intera amministrazione (sareb be come se l'«obiezione di coscienza» al servizio militare per opposizione all'uso delle armi ex art. 1 1. 8 luglio 1998 n. 230 non fosse esercitabile da parte del cittadino destinato a compiti meramente amministrativi). Ogni violazione del principio di lai
cità nel modo indicato in qualsivoglia seggio elettorale costitui to non può non essere avvertita da una coscienza informata
a quel principio come violazione di quel bene nella sua interez
za, indipendentemente dal luogo in cui si verifichi, cosicché non è possibile attribuire rilevanza al fatto che casualmente la viola
zione non si verifichi nel seggio di destinazione.
La libertà di coscienza, infatti, è un «bene costituzionalmente rilevante» (sent. 18 luglio 1989, n. 409, id., 1990, I, 37) e quin di «dev'essere protetta in misura proporzionata alla priorità as soluta e al carattere fondante ad essa riconosciuta nella scala dei valori espressa dalla Costituzione italiana» (sent. 5 maggio 1995, n. 149, cit., che richiama la sent. 19 dicembre 1991, n.
467), al punto che la stessa libertà religiosa ne diventa una par ticolare declinazione: «libertà di coscienza in relazione all'espe rienza religiosa» (sent. 334/96, cit.). Ne consegue che questa libertà, nel «pluralismo dei valori di coscienza susseguente alla
garanzia costituzionale delle libertà fondamentali della perso na» (sent. 3 dicembre 1993, n. 422, id., 1994, I, 341), va tutela ta nella massima estensione compatibile con altri beni costitu
zionalmente rilevanti e di analogo carattere fondante, come si ricava dalle declaratorie di illegittimità costituzionale delle for mule del giuramento, operate dall'alta corte alla luce di quel parametro.
9. - Ma nel caso non si pongono problemi a livello costituzio nale giacché il bilanciamento degli interessi è già assicurato nel la previsione penale dalla clausola del giustificato motivo, la cui nozione, ricorrente anche in altre leggi speciali, è più ampia delle generali cause di giustificazione: non coincide, per esem
pio, con lo stato di necessità (Cass. 20 aprile 1988) e si estende alle «valide ragioni» (inerenti alla diversa e specifica destinazio ne delle armi improprie: Cass. 5 dicembre 1984, Bencini, id., Rep. 1986, voce Armi, n. 67), pur se putative (Cass. 1° luglio 1989).
In sostanza si tratta di una nozione che non è fornita dal
legislatore ed è dunque affidata al concetto generico di giusti zia, che la locuzione stessa presuppone, e che il giudice deve
pertanto determinare di volta in volta con riguardo alla liceità — sotto il profilo etico e sociale — del motivo che determina direttamente il soggetto ad un certo atto o comportamento (co sì, con riferimento alla nozione di giusta causa, alla cui assenza secondo l'art. 616, 2° comma, c.p., consegue la punibilità della rivelazione del contenuto della corrispondenza, Cass. 10 luglio 1997, Reali, id., Rep. 1998, voce Segreti (reati), n. 4).
Nella specie non è dubitabile la liceità — ed anzi, come ricor dato dall'imputato, il particolare valore morale e sociale, rico
nosciutogli con l'attenuante di cui all'art. 62, n. 1, c.p. — del motivo da lui addotto: vale a dire il rispetto del principio di laicità e della libertà di coscienza, che ha direttamente determi nato il rifiuto e che, rendendolo non contraddittorio con i valo ri costituzionali, ne esclude perciò l'antigiuridicità.
Un'interpretazione realistica, che collochi il «giustificato mo tivo» nel contesto di azione e comunicazione determinato dalla Carta costituzionale, svolge una funzione adeguatrice all'elimi nazione della rilevanza preminente ed esclusiva per l'addietro
assegnata ai simboli della religione cattolica, in quanto stru mentalmente assunta come religione dello Stato. Invero, nella motivazione della sentenza 440/95 (id., 1996, I, 30), in forza della quale la bestemmia contro «i simboli e le persone venerati nella religione dello Stato», tra cui il crocifisso, non è più pre veduto dalla legge come reato, la Corte costituzionale indica l'obiettivo di una tutela non discriminatoria ma pluralistica di «tutte le religioni che caratterizzano oggi la nostra comunità
nazionale, nella quale hanno da convivere fedi, culture e tradi zioni diverse»: pluralismo garantito dal supremo principio di laicità dello Stato, che induce a preservare lo spazio «pubblico» della formazione e della decisione dalla presenza, e quindi dal
messaggio sia pure a livello subliminale, di immagini simboliche di una sola religione (come, in generale, di una sola delle altre condizioni non discriminabili, di cui all'art. 3 Cost.), ad esclu sione delle altre.
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GIURISPRUDENZA PENALE
Costituisce, pertanto, giustificato motivo di rifiuto dell'uffi
cio di presidente, scrutatore o segretario — ove non sia stato
l'agente a domandare di essere ad esso designato — la manife
stazione della libertà di coscienza, il cui esercizio determini un
conflitto tra la personale adesione al principio supremo di laici
tà dello Stato e l'adempimento dell'incarico a causa dell'orga nizzazione elettorale in relazione alla presenza nella dotazione
obbligatoria di arredi dei locali destinati a seggi elettorali, pur se casualmente non di quello di specifica designazione, del cro
cifisso o di altre immagini religiose. Il fatto, pertanto, non costituisce reato e la sentenza va an
nullata senza rinvio.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 23
febbraio 2000; Pres. Viola, Est. Gemelli, P.M. Toscani
(conci, conf.); ric. D'Amuri. Conferma Trib. Lecce, ord. 12
aprile 1999.
Intercettazione di conversazioni o comunicazioni — Rilevazione
del traffico telefonico — Acquisizione di tabulati contenenti
dati «esterni» — Garanzie processuali — Provvedimento mo
tivato dell'autorità giudiziaria — Decreto motivato del pub
blico ministero (Cod. proc. pen., art. 256, 267). Intercettazione di conversazioni o comunicazioni — Termine di
durata delle operazioni — Decorrenza (Cod. proc. pen., art.
267).
Ai fini della legittima acquisizione dei tabulati del traffico tele
fonico, contenenti i soli dati «esterni» delle comunicazioni
transitate su una determinata utenza, è necessario e sufficien te il decreto autorizzatilo motivato del pubblico ministero,
non essendo nella specie applicabile il più garantito regime delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni di cui
agli art. 266 ss. c.p.p. (1)
(1) La pronuncia in epigrafe (su cui cfr., per una prima panoramica delle problematiche tratteggiate, Melillo, Dati e intercettazioni di nuo vo distinti, in Dir. e giustizia, 2000, fase. 21, 77 ss.), che concerne uno tra gli strumenti di più cospicua incidenza nel quadro delle attuali tecniche investigative, segna il punto di approdo di un dibattito, snoda tosi nel corso degli anni più recenti, non privo di aspri dissensi. Nel corso del 1998, si è profilato un netto contrasto, denso di riverberi
sul piano pratico-operativo, tra Corte costituzionale e Corte di cassa zione: il giudice delle leggi, peraltro ribadendo un proprio non lontano
precedente (Corte cost. 11 marzo 1993, n. 81, Foro it., 1993, I, 2132, con nota di richiami), aveva espresso l'avviso che, rebus sic stantibus,
l'acquisizione dei tabulati del traffico telefonico non potesse iscriversi nell'alveo delle intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, rite nendo perciò all'uopo sufficiente, in linea con la garanzia dell'«atto
motivato dell'autorità giudiziaria» imposta dall'art. 15 Cost., che il prov vedimento autorizzativo assuma la forma del decreto motivato del p.m. (Corte cost. 17 luglio 1998, n. 281, id., 1999, I, 433, con osservazioni di Di Chiara); le sezioni unite avevano, per contro, ritenuto che i tabu lati del traffico telefonico altro non fossero se non la documentazione, in forma intelligibile, del flusso informatico relativo ai dati «esterni» delle conversazioni transitate sull'utenza sottoposta a controllo, e ave
vano, pertanto, sulla scorta di quanto previsto dall'art. 266 bis c.p.p.,
espresso l'avviso che a tale operazione dovessero applicarsi le garanzie proprie delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, a muo
vere dall'ordinaria imprescindibilità di un provvedimento autorizzativo
del giudice (Cass., sez. un., 13 luglio 1998, Gallieri, ibid., 11, 87, con
nota di richiami). È noto, d'altronde, come l'approccio ermeneutico
fatto proprio dall'appena indicata pronuncia sia stato, in dottrina, sot
toposto a severa critica (cfr. soprattutto Melillo, L'acquisizione dei
tabulati relativi al traffico telefonico fra limiti normativi ed equivoci giurisprudenziali, in Cass, pen., 1999, 473 ss.; in tema, cfr. altresì, tra
gli altri, Bricchetti, Estesa la disciplina delle intercettazioni, mentre
la giurisprudenza si scopre divisa, in Guida al dir., 1998, fase. 48, 68
ss.; Calamandrei, Acquisizione dei dati esterni di una comunicazione
ed utilizzazione delle prove c.d. incostituzionali, in Giur. it., 1999, 1691
ss.; Diddi, Tutela delia «privacy» ed acquisizione dei tabulati telefoni ci, in Giusi, pen., 1999, III, 614 ss.; Zacché, Acquisizione di dati esterni
Il Foro Italiano — 2000.
Il termine di durata delle intercettazioni di conversazioni o co
municazioni, previsto dal provvedimento autorizzativo a nor
ma dell'art. 267 c.p.p., decorre non già dalla data del provve dimento medesimo ma da quella di effettivo inizio delle ope razioni di intercettazione. (2)
Motivi della decisione. — 1. - La questione di diritto rimessa
all'esame di queste sezioni unite attiene all'applicabilità della
disciplina che regola le intercettazioni telefoniche all'acquisizio ne della documentazione relativa ai dati esteriori delle conversa
zioni che già hanno avuto luogo (c.d. tabulati). Il rapido succedersi del d.leg. 171/98 sulla tutela della priva
cy nel settore delle telecomunicazioni, della sentenza delle sezio
ni unite 13 luglio 1998, Gallieri (Foro it., 1999, II, 87), il cui thema decidendum pur se analogo non era identico a quello
oggetto del presente ricorso, e della pressoché contestuale sen
tenza 17 luglio 1998, n. 281 della Corte costituzionale (ibid.,
I, 433) sulla non estensibilità della disciplina delle intercettazio ni telefoniche all'acquisizione dei tabulati, ha dato origine ad
un «disagio» interpretativo nella dottrina e nella giurispruden
za, soprattutto di merito, come chiaramente emerge, oltre che
dall'ordinanza impugnata e dai motivi di ricorso, anche dall'or
dinanza di rimessione.
Prima di procedere ad un rapido excursus delle norme costi
tuzionali e ordinarie (sostanziali e processuali) che disciplinano la materia a tutela della libertà e segretezza delle conversazioni
telefoniche per stabilire se siano poste anche a tutela della riser
vatezza, così regolando (anche) l'acquisizione dei tabulati, è ne
cessario distinguere i dati interni (contenuto) da quelli esterni
(documentazione dei flussi di comunicazione avvenuti) discipli nati dal d.leg. 13 maggio 1998 n. 171 correlato alla 1. 31 dicem
bre 1996 n. 675 e relativi, rispettivamente, alla tutela della vita
privata nel settore delle telecomunicazioni e alla tutela delle per sone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali.
2. - L'intercettazione telefonica consiste nella captazione di
comunicazioni che si svolgono fra terze persone realizzata senza
impedirne la prosecuzione e senza che gli interlocutori (o alme
no uno di essi) ne siano a conoscenza.
Alla stregua del complesso normativo che l'autorizza e ne
regola i presupposti, la disposizione, la registrazione, la trascri
zione e l'utilizzabilità (art. 15, 2° comma, e 68, 3° comma,
Cost., 266-271 c.p.p., 13 1. 203/91, 25 ter 1. 356/92), l'intercet
tazione consiste nell'apprensione in tempo reale del contenuto
di una comunicazione in corso.
La sentenza Gallieri ha evidenziato il sistema elettronico nu
merico attualmente adottato dalla telefonia, in particolare quel la mobile, spiegandone il funzionamento e differenziandola dal
la telefonia fissa di un tempo che non comportava il «tratta
mento dei dati» esteriori della conversazione, la cui individuazione
era possibile solo con un'apposita manovra tecnica definita
«blocco».
La moderna telefonia mobile si svolge col sistema cellulare
(trasmissione tramite rete di terra) o satellitare (il segnale giun
ge a destinazione via satellite) — ma anche quella fissa si è
ai colloqui telefonici, in Dir. pen. e proc., 1999, 335 ss.), e come, d'al
tronde, si siano registrati indirizzi giurisprudenziali di merito in consa
pevole contrasto con gli orientamenti espressi nel 1998 dalle sezioni uni te (cfr., tra l'altro, tra le pronunce edite, nel senso della sufficienza del decreto motivato del p.m. ai fini della legittima acquisizione dei
tabulati, G.i.p. Trib. Milano 1° dicembre 1998, Guida al dir., 1999, fase. 5, 104, e G.i.p. Trib. Pavia 1° febbraio 1999, Foro it., 1999, II, 346). L'odierno decisum, sulla scorta di una proemiale messa a pun to dei profili tecnologici coinvolti dalla problematica in esame, segna una significativa correzione di rotta rispetto al solco interpretativo trac
ciato dalla precedente pronuncia: tornate sui propri passi — sia pur
degradando il convincimento pregresso al rango di mero obiter dictum
nell'economia della sentenza del 1998 — le sezioni unite si riallineano
alla ben più persuasiva tesi messa a fuoco dalla Corte costituzionale
e condivisa dai giudici di merito, secondo cui, in ordine all'acquisizione del tabulato de! traffico, la garanzia dell'«atto motivato dell'autorità
giudiziaria» ben può ritenersi soddisfatta con la pronuncia del decreto
motivato del p.m., pur restando rimessa — come è ovvio — alla discre
zionalità del legislatore ogni opzione per più rigorose future discipline
positive. (2) Nel medesimo senso della seconda massima, cfr., oltre a Cass.
16 aprile 1993, Ciampà, Foro it.. Rep. 1994, voce Intercettazione di
conversazioni, n. 11, citata in motivazione, altresì Cass. 4 giugno 1992, Filannino, id., Rep. 1993, voce cit., n. 24, e 9 maggio 1994, Sonnino,
id., Rep. 1995, voce cit., n. 30. [G. Di Chiara]
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