sezione IV penale; sentenza 23 febbraio 2005; Pres. Olivieri, Est. Battisti, P.M. Salzano (concl.conf.); ric. Pagliaro. Annulla Trib. L'Aquila, ord. 22 novembre 2004Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 12 (DICEMBRE 2005), pp. 657/658-659/660Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23201505 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
dell'art. 129 c.p.p., osservando che i giudici del gravame non
avevano dato risposta al rilievo che i fatti per i quali si doveva
procedere all'iscrizione nel registro erano privi di rilevanza pe nale, tanto vero che il Tornaselo era stato assolto con ampia
formula; che comunque la corte di merito aveva dato un'inter
pretazione assai restrittiva al concetto di discrezionalità, che
connota il potere del p.m. nell'iscrizione delle notizie di reato; che in ogni caso la medesima corte nel giustificare il dolo si era
limitata a indicare alcune qualità soggettive del ricorrente, quali
l'esperienza, la competenza funzionale e l'elemento fattuale
della reiterazione della condotta, senza soffermarsi sulla con
vinzione dell'irrilevanza penale dei fatti denunciati.
Il ricorso merita accoglimento. Ed invero in tema di immediata declaratoria di casi di non
punibilità, la Corte di cassazione, in applicazione del principio del favor innocentiae, cui maggiormente si ispira il vigente co
dice di rito, evidenziato da alcune disposizioni (art. 69, 1°
comma, nn. 2 e 3, 531, 2° comma, c.p.p.), può prendere in esa
me gli atti, per accertare se sussista in modo evidente una ragio ne di proscioglimento, pur nei limiti propri del giudizio di legit timità (Cass. 28 gennaio 1997, Mango, Foro it., Rep. 1997, voce
Cassazione penale, n. 41; 20 novembre 1998, Forlani, id.. Rep. 1999, voce Prescrizione penale, n. 25; 5 ottobre 1998, Fabiani,
ibid., voce Cassazione penale, n. 91).
L'omessa iscrizione nel registro degli indagati del Tornaselo
e il mancato esercizio dell'azione penale nei confronti di que st'ultimo riguardava in particolare la falsa annotazione sul regi stro delle presenze della procura di Rovigo dell'orario di uscita
alle ore 14, nonostante la sua anticipazione, che lo stesso magi strato aveva autorizzato.
Orbene, al di là del rilievo, frettolosamente svalutato dal giu dice del gravame, che all'iscrizione ben potevano procedere i
due stessi sostituti, che avevano denunciato al capo dell'ufficio
il presunto illecito, non essendo ostativi al riguardo la gerarchia e i profili organizzativi dell'ufficio, si esigeva dall'imputato un
atto, che comunque lo poneva in una condizione di incompati bilità, e che lo avrebbe esposto, quanto meno sul piano discipli
nare, alla censura di un comportamento, se non di concorso nel
reato, di connivenza o di acquiescenza di una condotta, autoriz
zata e posta in essere dal dipendente, che si presentava prima
facie come penalmente illecita. E tutto ciò non può non aver in
ciso, quanto meno sul piano soggettivo sulla doverosità dell'at
to, scriminata nella specie dal principio nemo tenetur se detege
re, ed in particolare dalla necessità di proteggere, prima di ogni
cosa, sé stesso dal pericolo di un'inchiesta, che poi si sarebbe
rivelata superflua e priva di fondamento, stante l'intervenuto
giudicato assolutorio nei confronti del dipendente. Viene pertanto a mancare nel caso in esame la coscienza del
comportamento omissivo e di conseguenza l'impugnata senten
za deve essere pertanto annullata senza rinvio perché il fatto non
costituisce reato.
Il Foro Italiano — 2005.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione IV penale; sentenza 23
febbraio 2005; Pres. Olivieri, Est. Battisti, P.M. Salzano
(conci, conf.); ric. Pagliaro. Annulla Trib. L'Aquila, ord. 22 novembre 2004.
Misure cautelari personali — Misure coercitive — Applica zione congiunta — Casi non espressamente previsti dalla
legge — Esclusione (Cod. proc. pen., art. 281, 282, 283).
In tema di misure cautelari personali, è preclusa, in tutti i casi
in cui non sia espressamente consentita da norme processua li, l'applicazione congiunta di misure coercitive che pur sia
no astrattamente compatibili, quali il divieto di espatrio,
l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e il divieto e obbligo di dimora, di cui agli ar,t. 281, 282 e 283 c.p.p. (1)
Svolgimento del processo. — 1. - Il g.i.p. del Tribunale di Pe
scara, con ordinanza del 13 ottobre 2004, applicava a Stefano
Pagliaro le misure cautelari dell'obbligo di dimora e dell'obbli
go di presentarsi alla polizia giudiziaria tre volte la settimana, in sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere, di
sposta perché il Pagliaro, colto nella flagranza del reato di de
tenzione e cessione di eroina, era, per questi reati, gravemente indiziato.
2. - Il difensore proponeva appello eccependo l'illegittimità
dell'applicazione congiunta di due misure cautelari e il tribuna
le, con ordinanza del 22 novembre 2004, nel ritenerla, invece,
legittima, poneva in evidenza che, «sebbene la sola disposizione che preveda il cumulo tra più misure cautelari sia quella di cui
all'art. 276 c.p.p., relativa all'ipotesi della trasgressione delle
prescrizioni, non può, tuttavia, escludersi che la necessità di
un'applicazione congiunta delle due misure possa prospettarsi sin dall'inizio al fine di una più efficace tutela delle esigenze alle quali è preposta altra meno grave misura».
3. - Il difensore ricorre per cassazione denunciando «viola
zione degli art. 125, 272, 282, 283 e 299 c.p.p., nonché difetto di motivazione», deducendo che «il principio della possibilità di
applicare simultaneamente due misure cautelari non può essere
condiviso, ché le misure dovrebbero essere applicate esclusiva
(1) La pronuncia si allinea a Cass. 29 novembre 2001, Colella (Foro it., Rep. 2002, voce Misure cautelari personali, n. 227), ribadendo la
prospettiva di superamento del precedente indirizzo (Cass. 14 aprile 2000, Goglia, id., Rep. 2000, voce cit., n. 129, ove si ammetteva, per contro, la libera cumulabilità delle misure coercitive «minori») sulla scorta dell'agevole argumentum a contrario che muove dall'interve
nuta interpolazione del «nuovo» comma 1 bis dell'art. 307 c.p.p. (in trodotto dall'art. 2 d.l. 24 novembre 2000 n. 341, convertito, con modi
ficazioni, nella 1. 19 gennaio 2001 n. 4): il giudice — vi si prevede —
può disporre il cumulo delle misure di cui agli art. 281, 282 e 283 c.p.p. solo qualora si proceda per taluno dei reati indicati nell'art. 407, 2°
comma, lett. a), c.p.p.; in ogni altro caso — e fatta salva la fattispecie di cui all'art. 276, 1° comma, c.p.p., con riguardo all'ipotesi di tra
sgressione delle prescrizioni inerenti a una misura cautelare, per la
quale il cumulo è espressamente previsto — l'applicabilità contempo ranea di più misure coercitive «minori» deve, ormai, ritenersi esclusa
(in senso conforme, cfr., in dottrina, tra gli altri, Ceresa Gastaldo, So
stituzione e ripristino della custodia cautelare dopo la scarcerazione
automatica, in AA.VV., Il decreto «antiscarcerazioni» a cura di Bar
gis, Torino, 2001, 44). Il cumulo di più misure coercitive era stato considerato ammissibile,
per l'ipotesi di scarcerazione dell'imputato per decorrenza dei termini
di custodia, da Cass. 19 marzo 1991, D'Ambrosio (Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 325), avuto riguardo al generico allora vigente art. 307, 1°
comma, c.p.p. (destinato ad essere successivamente novellato, in termi
ni di maggiore pregnanza, dal medesimo art. 2 d.l. n. 341 del 2000,
cit.).
Un'ipotesi di cumulo istituzionale e automatico era dapprima previ sta dall'art. 281, comma 2 bis, c.p.p. (introdotto dall'art. 9 d.l. 8 giugno 1992 n. 306, convertito, con modificazioni, nella 1. 7 agosto 1992 n.
356), a mente del quale «con l'ordinanza che applica una delle altre mi
sure coercitive previste dal presente capo, il giudice dispone in ogni ca
so il divieto di espatrio»; Corte cost. 31 marzo 1994, n. 109 (id., 1994,
I, 1654, con nota di richiami) ne ha, tuttavia, dichiarato l'illegittimità costituzionale, diagnosticandone un contrasto con gli art. 3 e 13, 2°
comma, Cost, (in tema, cfr., tra gli altri, Montagna, Il divieto di espa trio nell'ambito dei rapporti con le altre misure coercitive, in Giur. co
stà., 1994, 943 ss.).
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PARTE SECONDA
mente nell'ambito di figure tassativamente definite e ciò in os
sequio al principio di legalità, mentre la contestuale applicazio ne dell'obbligo di dimora e dell'obbligo di presentazione alla
polizia giudiziaria sembra contraddire vistosamente il suddetto
principio, giacché si è in presenza di un mixtum compositum di
due diverse misure, tipicamente previste dalla legge, che finisce
con il costituire uno strumento di limitazione della libertà del
cittadino non conforme al modello normativo».
Motivi della decisione. — 1. - Il ricorso è fondato.
Ritiene la corte che debba essere seguito, sul punto, il più re
cente indirizzo della giurisprudenza, secondo il quale «in tema
di misure cautelari personali, è preclusa, in tutti i casi in cui non
sia espressamente consentita dalle norme processuali, l'applica zione congiunta di misure coercitive che pur siano tra loro
astrattamente compatibili, quali il divieto di espatrio, l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria ed il divieto od obbligo di soggiorno, di cui agli art. 281, 282 e 283 c.p.p.» (Cass. 29 novembre 2001, Colella, Foro it., Rep. 2002, voce Misure cau
telari personali, n. 227; contra, Cass. 14 aprile 2000, Goglia, id., Rep. 2000, voce cit., n. 129).
È, invero, da sottolineare — come sottolinea, nella motiva
zione, Cass. 29 novembre 2001, Colella — che l'art. 2, 6°
comma, d.l. 24 novembre 2000 n. 341, convertito, con modifi
cazioni, nella 1. 19 gennaio 2001 n. 4, attraverso l'introduzione
dell'art. 307, comma 1 bis, c.p.p., ha affiancato all'unica previ sione autorizzativa preesistente
— l'art. 276 c.p.p. in materia di
violazione dèlie prescrizioni concernenti una misura cautelare — il caso delle misure non detentive applicate dopo la decor
renza del termine massimo di custodia per la sola eventualità
che si proceda cùn riguardo ai gravi delitti elencati all'art. 407, 2° comma, lett. a), c.p.p. e come proprio tale specifica delimita
zione dei casi di applicazione congiunta escluda che possa pro
spettarsi una regola generale di possibile coesistenza delle misu
re cautelari non detentive.
Il tribunale ha citato Cass. 14 aprile 2000, Goglia a conforto
della tesi della possibilità dell'applicazione congiunta di misure
cautelari non detentive.
Detta sentenza, però, è stata pronunciata anteriormente al ci
tato d.l. 24 novembre 2000 n. 341, donde l'inevitabile determi
nazione cui è pervenuta la sentenza 29 novembre 2001, Colella.
2. - L'ordinanza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio, dovendo il giudice di merito applicare una sola misura e spet tando alla discrezionalità dello stesso la relativa scelta.
Il Foro Italiano — 2005.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione V penale; sentenza 19 di cembre 2003; Pres. Foscarini, Est. Ferrua, P.M. D'Angelo
(conci, conf.); ric. P.m. in c. Comità. Annulla Trib. Catan
zaro, ord. 21 febbraio 2003.
Concorso di reati — Frode informatica — Intercettazione
fraudolenta di comunicazioni informatiche — Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico — Utiliz
zazione indebita, falsificazione o alterazione di carte di credito — Fattispecie (Cod. pen., art. 81, 615 ter, 617 qna te r, 640 ter, d.l. 3 maggio 1991 n. 143, provvedimenti urgenti
per limitare l'uso del contante e dei titoli al portatore nelle
transazioni e prevenire l'utilizzo del sistema finanziario a
scopo di riciclaggio, art. 12; 1. 5 luglio 1991 n. 197, conver
sione in legge, con modificazioni, del d.l. 3 maggio 1991 n. 143).
Sia il reato di accesso abusivo ad un sistema informatico o te
lematico, sia quello di intercettazione fraudolenta di comuni
cazioni informatiche o telematiche possono concorrere con i
reati di frode informatica e di utilizzazione indebita e falsifi cazione di carta di credito (nella specie, è stata annullata, per contraddittorietà, un'ordinanza del tribunale del riesame, in
quanto, pur evidenziando gravi indizi circa l'utilizzazione da
parte dell'indagato di carte di credito contraffatte per il tra
mite del terminale Pos a lui intestato, si era ritenuto che ciò
valesse esclusivamente ai fini dell'addebito di frode telemati
ca e non anche in ordine all'indebita introduzione in un si
stema protetto). (1)
(1) Con la sentenza in epigrafe la Suprema corte, su ricorso presen tato dalla procura competente, annulla un'ordinanza con la quale, in
sede di riesame, era stata revocata la misura cautelare degli arresti do miciliari relativamente ad alcuni dei reati ascritti all'indagato e. in rela zione agli altri, era stata sostituita detta misura con l'obbligo di pre sentazione alle forze di pubblica sicurezza.
I fatti contestati riguardavano lo svolgimento di una presunta attività associativa finalizzata alla commissione di vari reati informatici; ma la
questione di diritto sulla quale si concentra l'attenzione dei giudici di
legittimità concerne la possibilità di ritenere configurabile, almeno in
teoria, il concorso tra i reati oggetto d'indagine nel caso concreto. E ciò in quanto il tribunale del riesame, pur evidenziando la sussi
stenza di gravi indizi circa l'utilizzo di carte di credito contraffatte per il tramite del terminale Pos intestato all'indagato, aveva ritenuto che una tale situazione consentisse esclusivamente, l'addebito del reato di frode informatica e non anche degli ulteriori reati che nella fattispecie apparivano almeno astrattamente, individuabili.
I reati in esame sono alcuni tra quelli introdotti nel codice penale ita liano dalla 1. 23 dicembre 1993 n. 547, ossia la frode informatica (art. 640 ter c.p.), l'accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico
(art. 615 ter c.p.), l'intercettazione fraudolenta di comunicazioni infor matiche o telematiche (art. 617 quater c.p.); a questi si aggiunge il re ato di cui all'art. 12 d.l. 3 maggio 1991 n. 143, convertito, con modifi
cazioni, dalla 1. 5 luglio 1991 n. 197, ai sensi del quale «chiunque, al fine di trarne profitto per sé o per altri, indebitamente utilizza, non es sendone titolare, carte di credito o di pagamento, ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all'ac
quisto di beni o alla prestazione di servizi, è punito [. ..]. Alla stessa
pena soggiace chi, al fine di trarne profitto per sé o per altri, falsifica o altera carte di credito o di pagamento o qualsiasi altro documento ana
logo che abiliti al prelievo di denaro contante o all'acquisto di beni o alla prestazione di servizi, ovvero possiede, cede o acquisisce tali carte o documenti di provenienza illecita o comunque falsificati o alterati, nonché ordini di pagamento prodotti con essi». In proposito, tra i lavori
più recenti, cfr. C. Sarzana Di Sant'Ippolito, informatica, Internet e diritto penale, T ed., Milano. 2003; L. Picotti, Reati informatici, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1999, XXVI; C. Parodi A. Calice, Responsabilità penali e Internet - Le ipotesi di responsabi lità penale nell'uso dell'informatica e della telematica, Milano, 2001; D. Ammirati, Internet e legge penale, Torino, 2001; G. Pica, Reati in
formatici e telematici, voce del Digesto pen., Torino, aggiornamento 2000, 521; C. Pecorella, Il diritto penale dell'informatica, Padova, 2000; S. Resta, / «computer's crimes» tra informatica e telematica, Padova, 2000; G. Pica, Diritto penale delle tecnologie informatiche -
«Computer's crimes» e reati telematici. Torino. 1999. Nell'odierna sentenza, la sezione V penale della Cassazione afferma
che tra i reati suddetti è sempre possibile il concorso in quanto «trattasi di delitti diversi». La questione, tutt'altro che pacifica, è già stata og getto di indagine in dottrina e giurisprudenza, in particolare in relazione alla configurabilità del concorso di reati tra accesso abusivo a sistema
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