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Sezione IV penale; sentenza 29 marzo 1963; Pres. Carpanzano P., Est. Fabi, P. M. Paternostro (concl....

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Sezione IV penale; sentenza 29 marzo 1963; Pres. Carpanzano P., Est. Fabi, P. M. Paternostro (concl. conf.); P. m. c. Pucci e altri Source: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 2 (1964), pp. 91/92-93/94 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23156068 . Accessed: 24/06/2014 21:39 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.185 on Tue, 24 Jun 2014 21:39:18 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione IV penale; sentenza 29 marzo 1963; Pres. Carpanzano P., Est. Fabi, P. M. Paternostro(concl. conf.); P. m. c. Pucci e altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 2 (1964), pp. 91/92-93/94Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23156068 .

Accessed: 24/06/2014 21:39

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PARTE SECONDA

zicliè [imitarsi al semplice accordo per frodare la finanza,

abbia ricevuto denaro od altre utilità, o ne abbia accettato

la promessa, per omettere o ritardare il compimento di un

atto di ufficio, ovvero per compiere un atto contrario ai

doveri di ufficio, deve ritenersi il concorso della collusione

con il delitto di corruzione.

In tal caso, infatti, non è configurabile il reato complesso, sia perchè la complessità del reato deve sempre desumersi

direttamente dalla struttura della fattispecie, sia perchè tra il delitto di collusione ed i delitti contro la pubblica am

ministrazione non vi è identità di oggettività giuridica, ledendo la condotta del militare, che collude con l'estraneo,

gli interessi della finanza nella attuazione concreta dei ser

vizi che sono specifici al corpo a cui appartiene. Rettamente, peraltro, è stato ritenuto il concorso del

l'estraneo nel reato di collusione, in base al disposto degli art. 110, 117 cod. pen. Non sussiste, invero, alcuna valida

ragione per cui nel caso esaminato debba negarsi l'appli cazione del principio generale accolto nel cod. pen. per cui

risponde di un reato chiunque concorra alla commissione

dello stesso ; ed in tali, sensi si sono anche pronunciate le

Sezioni unite, con sentenza 1° luglio 1950. È da osservare, tuttavia, che il reato di disubbidienza

militare ascritto al Lantelme è estinto per l'amnistia, di

cui al decreto pres. 11 luglio 1959 n. 460 ; nel resto i ricorsi

degli, imputati devono essere rigettati. Per questi motivi, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione IV penale ; sentenza 29 marzo 1963 ; Pres. Car panzano P., Est. Fabi, P. M. Paternostro (conci, conf.) ; P. m. e. Pucci e altri.

(Conferma App. Lecce 7 aprile 1962)

Omicidio e lesioni personali colpose — Errore «li

diagnosi in trasfusione sanguigna — Colpa pro

fessionale — Insussistenza (Cod. pen., art. 589).

Nell'esercizio della professione sanitaria costituisce colpa penalmente rilevante non qualsiasi errore diagnostico o

terapeutico, bensì l'errore inescusabilè, conseguente alla violazione delle regole generali e fondamentali della scienza medica (nella specie i sanitari avevano mancato di diagnosticare l'insorgenza di elementi pirogeni in

pazienti sottoposti a trasfusione sanguigna). (1)

(1) Conf. App. Catanzaro 13 marzo 1961, Foro it., Rep. 1962, voce Reato colposo, nn. 160, 161 ; App. Firenze 23 giugno 1961, ibid., n. 162 ; Cass. 27 gennaio 1959, Lioy, id., Rep. 1960, voce cit., n. 215 ; 17 giugno 1959, Niosi (in cui è anche questione del rapporto di subordinazione tra primario ed assistente in ordine alle operazioni colpose), ibid., n. 216 ; 17 gennaio 1959, Polcari, id., Rep. 1959, voce cit., nn. 55, 56 ; Trib. Reggio C. 29 novembre 1957, ibid., n. 65 ; Trib. Como 20 aprile 1959, ibid., nn. 75, 76 ; Trib. Bologna 7 dicembre 1957, id., Rep. 1958, voce cit., n. 67 ; Pret. Isernia 28 ottobre 1957, ibid., nn. 68, 69 ; Cass. 13 gennaio 1954, Maini, id., Rep. 1954, voce cit., n. 29.

In dottrina sulla questione d'ordine generale, vedi : Casa linuovo, Appunti in tema di responsabilità nelVesercizio della professione sanitaria (nota ad App. Catanzaro 13 marzo 1961, citata), in Calabria giud., 1961, 469 ; Crespi, Il grado della colpa nella responsabilità professionale del medico chirurgo (nota a Cass. 17 gennaio 1959, Lioy, citata), in Scuola pos., 1960, 484 ; Battagline, La colpa professionale dei sanitari, in Giust. pen., 1953, II, 503 ; Pannain, La colpa professionale dell'esercente l'arte sanitaria, in Riv. dir. proc. pen., 1955, 32 ; Foschini M., Osservazioni sulla colpa del sanitario, in Arch, pen., 1955, II, 494.

Per un esame del problema della colpa professionale rife rito a fatti patologici particolari consulti in dottrina il lettore : Ritucci, Sieroprofilassi antitetanica e responsabilità, professio nale del medico, in Riv. m.ed. leg., 1960, I. 435 ; Colacci, Morie improvvisa del malato a seguito di iniezione di penicillina e respon sabilità del medico, in Rass. giur. umbra, 1961, 171.

La Corte, ecc. — Svolgimento del processo.

— Il 10

giugno 1956, nell'ospedale civile della SS. Annunziata di

Taranto, il dott. Pucci Carmine, assistente volontario

presso il detto ospedale, praticava una trasfusione di san

gue a tre pazienti. Imperatore Lucia, affetta da leucemia,

Colapietro Anna e Scoraldo Maria, affette da cirrosi

epatica. Avendo manifestato sintomi di intolleranza sia

la Imperatore sia la Colapietro, il Pucci interpellava il

primario prof. Barbaro Forleo, il quale peraltro disponeva di continuare la trasfusione del plasma. Pertanto il Pucci

completava il trattamento della Colapietro e iniziava

quello della Scoraldo, ma, avendo costei manifestato gli stessi disturbi, sospendeva l'operazione. Successivamente

la Imperatore e la Scoraldo in seguito all'aggravamento delle loro condizioni decedevano.

Il Pucci e il Barbaro venivano tratti a giudizio dinanzi

al Tribunale di Taranto per rispondere di duplice omicidio

colposo. In particolare, si faceva carico agli imputati di

avere eseguito e disposto le trasfusioni di plasma san

guigno senza le necessarie precauzioni, nonché, per ciò

cbe concerne la Scoraldo, di non aver soprasseduto o fatto

soprassedere al trattamento trasfusionale subito dopo la

comparsa di segni di intolleranza da parte delle pazienti.

(Omissis) Motivi della decisione. — I vari motivi vanno esaminati

congiuntamente, implicando essi la valutazione complessa e comparativa della condotta degli imputati e del fatto

in tutti i suoi aspetti. In sostanza deduce il p. m. la

violazione degli art. 475, n. 3, e 524, n. 1, cod. proc. pen., in relazione agli art. 40, 41, 43, 47, 1° comma, 51, 113

cod. pen., 477, 519, 455, 456 cod. proc. pen. e lamenta :

1) la mancata inclusione, nel concetto di colpa profes sionale, della violazione delle norme di comune diligenza e prudenza, che limitano il criterio discrezionale dei sa

nitari nei metodi curativi ; 2) la ritenuta insindacabilità

del giudizio diagnostico del prof. Barbaro, il quale decise

di non soprassedere alla trasfusione nonostante i sintomi di intolleranza delle pazienti comunicatigli dal Pucci, al

riguardo la Corte avrebbe considerato scusabile l'errore

professionale, senza distinguere fra errore non determinato, e errore determinato da colpa (come nel caso di violazione delle norme di comune diligenza e prudenza) ; 3) la erronea assoluzione del Pucci sulla base del vincolo di subordina zione che lo legava al prof. Barbaro, del quale l'assistente non era tenuto ad eseguire l'ordine di continuare la trasfu

sione, siccome manifestamente colposo per violazione delle norme tecniche fondamentali dell'arte sanitaria e della comune prudenza ; 4) la ritenuta novità dell'addebito consistente nella omessa prova di Oekleker, che rien trava intrinsecamente, per contro, nella mancanza di

precauzioni genericamente contestate agli imputati ; 5) omessa indagine peritale supplementare per stabilire in concreto le precauzioni che avrebbero dovuto osservare i sanitari prima e durante la trasfusione, e che la corte non riscontrò nella perizia di ufficio ; 6) mancata moti vazione in ordine alla esclusione della colpa penale e del nesso di causalità, omessa coordinata valutazione, al ri

guardo, di varie circostanze decisive (necessità di una cauta scelta del plasma e della sua sterilizzazione, data la difficoltà dei soggetti ; omesse prove preliminari, quali la

prova crociata, idonee a verificare la compatibilità del

plasma ; mancata prova di Oekleker, che avrebbe con sentito di sospendere tempestivamente la trasfusione, in

sorgenza e valore delle reazioni trasfusionali manifestate dalle pazienti, le quali avrebbero dovuto indurre i sanitari a sospendere il trattamento e a procedere ai necessari controlli circa le cause relative) illogica e contraddittoria motivazione circa la riconosciuta difficoltà dei soggetti

Sulla questione circa il rapporto di subordinazione tra primario e assistente ospedaliero, per la quale abbiamo sopra citato in giurisprudenza la sent. Cass. 17 giugno 1959, Niosi, vedi, in dottrina, Zangani, Sul rapporto di subordinazione tra. primario e assistente ospedaliero : concorso sulla responsabilità professionale, in Giust. pen.. 1962, II, 471.

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93 GIURISPRUDENZA PENALE

sottoposti a trasfusione, e la negata eccezionalità del caso di specie ai fini delle cautele da adottare.

Il ricorso non può essere accolto. In sostanza la Corte si convinse, sulla base delle risul

tanze processuali, che il decesso delle due pazienti era

avvenuto non per incompatibilità dei gruppi sanguigni (donde la irrilevanza delle cautele e delle prove preliminari al riguardo, come quella « crociata »), ma per l'insorgenza di elementi « pirogeni », il cui accertamento, mediante analisi e prelevamento, comportava anche pericolo di

ulteriori inquinamenti. Logicamente, questo punto della

motivazione va inoltre posto in relazione con la mancata

precisazione, in perizia, delle precauzioni da seguire, e

spiega come la corte, nel suo incensurabile apprezzamento, non abbia ritenuto la necessità di disporre al riguardo un supplemento di indagine.

Quanto alla prova Oekleker, che consiste nel sommi

nistrare il plasma a congrui intervalli, i giudici di appello non si limitarono a qualificare la circostanza come nuova, ina aggiunsero di non poter neppure escludere clie essa

fosse stata effettuata, data l'avvenuta sospensione della

trasfusione operata dal Pucci.

Viene poi in esame il problema delle reazioni trasfu

sionali manifestate dalle pazienti. In proposito la corte

ritenne esattamente clie il giudizio sulla opportunità di

continuare o meno il trattamento rientrava nel criterio

diagnostico del sanitario, rispetto al quale le nozioni di

imperizia, negligenza e imprudenza presentano peculiari caratteristiche, per il frequente insorgere del rischio e del

fortuito, mentre la colpa penale si può identificare soltanto

con l'errore professionale inescusabile, e cioè con la man

canza delle normali cognizioni generali della scienza me

dica, il difetto della necessaria abilità tecnica, e la banale

trasgressione delle norme che presiedono a tale arte ; e

ciò in quanto, oltre tali limiti, l'errore stesso, fondato

sul disputabile e l'opinabile, nonché sulla mera probabilità favorevole dei metodi curativi, non può essere valutato

dal giudice. Tanto premesso, la corte ha mostrato di applicare

esatti criteri giuridici circa il concetto di colpa penale, ed

ha considerato anche gli elementi della imperizia, negli

genza e imprudenza, riportandoli alle caratteristiche pecu liari della materia.

Passando dalla enunciazione dei principi alla loro

applicazione concreta nel caso in esame, i giudici di ap

pello ritennero peraltro che il prof. Barbaro, allorché fu

avvertito delle manifestazioni di intolleranza, si trovò in

presenza dei primi sintomi, quelli non gravi (brividi, senso

di freddo, dolori all'arto) che normalmente possono pre sentarsi nel corso della trasfusione, e non degli altri, più

gravi (vomito, diarrea, dolori alla schiena), che inter

vennero solo più tardi, dopo che venne presa la decisione

di continuare il trattamento ; così che, permettendo quei sintomi di sospendere o di continuare il trattamento se

condo un apprezzamento discrezionale, la decisione del

sanitario si presentò come giudizio diagnostico, il cui

eventuale errore sfugge al sindacato penale. Trattasi dunque, come è evidente, di un apprezza

mento squisitamente di fatto circa l'entità dei sintomi

manifestati, e la corrispondente discrezionalità della deci

sione del sanitario rispetto ad essi. Onde non vedesi come

possa parlarsi di violazione dei principi in materia di

colpa penale o di mancata considerazione delle norme di

comune prudenza, che andavano valutate sotto il deli

neato profilo della colpa professionale, e in relazione,

anch'esse, alla entità delle reazioni trasfusionali.

Esclusa la colpa penalmente punibile del Barbaro, veniva anche automaticamente scagionata la condotta

del suo assistente, e perdeva rilievo la questione concer

nente il rapporto di subordinazione di quest'ultimo, del

quale la corte pose in evidenza la seria preparazione, il

senso di responsabilità e l'elevata etica professionale. I

giudici di appello negarono anche una supina acquiescenza del Pucci alle disposizioni del primario, rilevando che, se

egli si attenne ad esse, ciò andava posto in relazione con

la non conclamata importanza delle manifestazioni delle

due pazienti, e che infine l'assistente interruppe imme

diatamente il trattamento, di propria iniziativa, non

appena i sintomi ebbero ad apparire. In conclusione, la impugnata sentenza resiste nel suo

insieme, con esauriente ed adeguata motivazione, a tutte

le censure mosse dal p. m. ricorrente.

Per questi motivi, rigetta, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione II penale ; sentenza 20 marzo 1963 ; Pres. Santoro

P., Est. Laurino, P. M. Paternostro (conci, conf.) ; ric. P. m. c. Yaiani.

(Gassa App. Milano 20 febbraio 1962)

Bigamia — Matrimonio per procura all'estero —

Atti preparatori nello Stato Iteato — Sussi

stenza_(Cod. pen., art. 6. 556).

8'intende commesso nello Stato il reato di bigamia allorché

gli imputati abbiano concordato il secondo matrimonio

in Italia, consegnando altresì al legale le procure per la

sua celebrazione all'estero. (1)

La Corte, eco. — Il 27 giugno 1945 in Milano Yaiani

Gino contrasse matrimonio avente effetti civili con Lilia

Panek. S uccessiva men te lo stesso Yaiani, previa sentenza

di divorzio pronunziata all'estero e non delibata in Italia, contrasse altro matrimonio avente pure effetti civili con

Baroni Silvana in Ciudad del Suarez in Messico. Questo secondo matrimonio fu contratto per procure, che i ini

benti consegnarono all'avv. Ranieri in Milano, il quale,

per incarico dei suddetti, le spedì da Milano a Ciudad del

Suarez. Il matrimonio, essendo state ritenute valide le

procure, fu conseguentemente celebrato. >•

Or, mentre il Tribunale di Milano affermò la responsa bilità degli imputati condannandoli con le attenuanti

generiche a mesi otto di reclusione ciascuno, la corte della

detta città, in seguito ad impugnazione degli stessi, dichiarò

non doversi procedere contro costoro per impromovibi lità dell'azione penale per mancanza di richiesta ex art. 9

cod. pen. del ministero della giustizia, sotto il profilo che

il reato era stato interamente commesso all'estero.

Ricorre per cassazione il procuratore generale della Re

pubblica presso la suddetta corte, il quale adduce : I) difetto e contraddittorietà di motivazione in ordine al

mancato esame degli elementi di decisiva rilevanza della

consegna in Milano al legale e dell'invio dall'Italia in Mes

sico delle procure nonché in ordine al dubbio sulla esistenza

delle procure, quando il matrimonio era stato contratto

per procura ; 2) erronea applicazione dell'art. 6 cod. pen. circa il locus delicti commissi.

Il ricorso è fondato.

(1) Non risultano precedenti specifici. Per la nozione di reato commesso nello Stato, v. Cass. 10 febbraio 1961, Conforti (Foro it., Rep. 1902, voce Truffa, n. 53), citata nella motivazione della presente ; Cass. 5 marzo 1959, Hermandorena, id., Rep. 1960, voce Estradizione, n. 4; 11 ottobre 1958, Barretau, id., Rep. 1959, voce cit., n. 4 ; 5 dicembre 1957, Bngler, id., Rep. 1958, voce Reato commesso all'estero, n. 2 ; 8 marzo 1934, Heit

zinger (id., 1934, II, 330, con nota di richiami), citata nella motivazione della presente.

In dottrina, cons. Losana, « Locus commissi delicti » ed errore su legge extra-penale a proposito del reato di bigamia, in Biv. it. dir. proc. pen., 1962, 224 ; Dinacci, Considerazioni in tema di bigamia del cittadino coniugato all'estero, in Giust. pen., 1959, II, 219 ; B. B., Sulla nozione di reato commesso nel territorio dello Stato, id., 1934, II, 285 ; Pisapia, Bigamia (diritto penale), voce dell' Enciclopedia del diritto, 1959, V, pag. 361 ; Bigamia voce del Novissimo digesto it., 1957, II, pag. 396 ; Problemi in tema di bigamia, in Biv. dir. matrim., 1960, 3 ; Rogabi, Brevi osservazioni in tema di bigamia, in Critica pen., 1960, 434 ; ColacCi, Il delitto di bigamia, 1958.

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