sezione IV penale; sentenza 30 novembre 1994; Pres. Grossi, Est. Golia, P.M. Galgano (concl.conf.); ric. Proc. gen. App. Venezia in c. Girelli ed altro. Conferma App. Venezia 26 maggio1994Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 11 (NOVEMBRE 1995), pp. 623/624-627/628Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190426 .
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PARTE SECONDA
CORTE DI CASSAZIONE; sezione IV penale; sentenza 30 no vembre 1994; Pres. Grossi, Est. Golia, P.M. Galgano (conci, conf.); ric. Proc. gen. App. Venezia in c. Girelli ed altro.
Conferma App. Venezia 26 maggio 1994.
Pena — Pene accessorie — Interdizione dai pubblici uffici —
Durata — Diminuenti processuali — Rilevanza — Fattispecie (Cod. pen., art. 29; cod. proc. pen., art. 442).
Ai fini dell'applicazione della pena accessoria dell'interdizione
temporanea o definitiva dai pubblici uffici, per determinare, a norma dell'art. 29 c.p., la durata della pena della reclusione deve aversi riguardo alle diminuenti processuali della pena (nel la specie, è stata applicata la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici per effetto della riduzione di pena prevista dal rito abbreviato, ex art. 442, 2° comma,
c.p.p.). (1)
(1) La sentenza si segnala per aver attribuito rilevanza alla diminuen te processuale del rito abbreviato, di cui all'art. 442, 2° comma, c.p.p. ai fini dell'applicazione della pena accessoria dell'interdizione tempora nea o definitiva dai pubblici uffici, ai sensi dell'art. 29 c.p.
Pur ponendo in evidenza, infatti, la differente natura delle diminuen ti processuali rispetto alle circostanze attenuanti, l'organo di legittimità ha ritenuto, in virtù di un'interpretazione volta a privilegiare l'aspetto eminentemente pratico-oggettivo del fenomeno, che la riduzione di pe na connessa ai riti speciali non possa non assumere rilevanza o essere considerata tamquam non esset in ordine alla applicazione della sanzio ne accessoria di cui al citato art. 29.
La soluzione accolta in realtà si contrappone ad una diffusa tendenza
giurisprudenziale incline a ritenere che la diminuente ex art. 442 cit., avendo genesi e finalità meramente processuali, non solo non potrebbe essere assimilata ad una circostanza attenuante, ma non potrebbe nean che avere incidenza ai fini dell'applicazione della pena accessoria in questione (cfr. Cass. 6 febbraio 1992, Dominidiato, Foro it., Rep. 1992, voce Concussione, n. 14, ove si è espressamente affermato che qualora venga inflitta per il reato di concussione una pena inferiore a tre anni di reclusione, per effetto dell'applicazione della diminuente in esame, la condanna importa, comunque, l'interdizione perpetua dai pubblici uffici, derivando l'applicazione della pena accessoria temporanea sol tanto da una diminuzione di pena conseguente ad una circostanza atte nuante), né essere considerata, per la sua sostanziale e funzionale diver sità rispetto alle circostanze del reato, ai fini della determinazione della pena rilevante per l'individuazione del tempo necessario alla prescrizio ne del reato, ai sensi dell'art. 157, 2° comma, c.p. (cfr. Cass. 6 novem bre 1990, Sforza, id., Rep. 1991, voce Giudizio abbreviato, n. 92, e Cass. pen., 1991, II, 435, con note di Vessichelli, Sulla rilevanza della diminuzione di pena per il giudizio abbreviato ai fini della prescrizione, e di Selvaggi, Sulla natura della diminuente conseguente al giudizio abbreviato; sez. un. 31 maggio 1991, Volpe, Foro it., 1991, II, 642, con nota di Ferraro; 5 giugno 1991, De Cristofaro, id., Rep. 1992, voce cit., n. 98).
E sempre in sede applicativa si è, altresì', rilevato che la diminuzione di pena prevista per il giudizio abbreviato riguarderebbe soltanto la pe na principale e non anche quelle accessorie: ciò in virtù di un'interpre tazione non soltanto letterale dell'art. 442, cit., il cui testo fa riferimen to alla «pena» al singolare, mentre se il legislatore avesse voluto inclu dervi anche le pene accessorie, avrebbe dovuto usare un generico plurale; ma anche per una ritenuta incompatibilità ontologica di alcune pene accessorie, aventi natura non quantitativamente determinabile, con la diminuzione proporzionale (cioè quantitativa) della pena (cfr. Cass. 2 luglio 1993, Di Gaetano, Cass. pen., 1995, 619).
Sulla natura processuale della riduzione di pena connessa al giudizio abbreviato, nonché sulla non assimilabilità di tale diminuente alle circo stanze attenuanti, la Cassazione si è, peraltro, espressa ripetutamente: ribadendo che la diminuzione in parola costituisce una sorta di effetto premiale conseguenziale all'applicazione del rito speciale, avente, come tale, natura e regolamentazione diversa dalle circostanze attenuanti, in quanto risulta svincolata, sia nell'ozi che nel quantum, dal potere di screzionale del giudice e trova la sua ratio non in circostanze afferenti al reato o alla personalità del reo, bensì' nell'esito del cosiddetto patteg giamento sul rito (...); trattasi, in sostanza, di un inedito meccanismo processuale incentivante e premiale per il raggiungimento degli effetti deflattivi voluti dal legislatore (cfr., oltre a Cass., sez. un., 31 maggio 1991, Volpe, cit. e 6 febbraio 1992, Dominidiato, cit., Cass. 28 giugno 1990, Nicoli, Foro it., Rep. 1992, voce cit., n. 101; 1° marzo 1991, Sacchi, id., Rep. 1991, voce cit., n. 93; 25 novembre 1992, Bolzan, id., Rep. 1993, voce cit., n. 87, e Riv. pen., 1993, 1126; nello stesso senso, cfr., altresì, Cass. 27 ottobre 1993, Massenza, Cass. pen., 1995, 988 e 27 marzo 1994, Ricciardi, Riv. pen., 1995, 512).
Nel senso della natura processuale delle norme sul rito abbreviato, v., anche, Corte cost. 31 maggio 1990, n. 277, Foro it., Rep. 1990, voce cit., nn. 46, 47, e Cass. pen., 1990, II, 143, con nota di Lattanzi; Giust. pen., 1990, I, 225, con nota di Taormina, nonché Corte cost. 14 giugno 1990, n. 284, Foro it., Rep. 1990, voce cit., nn. 23, 24, e Cass. pen., 1990, II, 355, con nota di Lima.
Il Foro Italiano — 1995.
Svolgimento del processo. — Con sentenza 1° marzo 1994
il G.i.p. presso il Tribunale di Padova dichiarava Girelli Alessio
e Pagnin Roberto responsabili del reato di cui agli art. 110 e
81, cpv., c.p. e 73 d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309 «per avere, in concorso tra loro e con più azioni esecutive di un medesimo
disegno criminoso, illecitamente detenuto, offerto in vendita ed infine ceduto a terzi gr. 31,380 di polvere contenente gr. 6,683 di cocaina» e, con le attenuanti generiche e la diminuente del
rito abbreviato, li condannava alla pena di tre anni, sette mesi
e dieci giorni di reclusione, nonché di lire 23.333.000 di multa ciascuno, con l'interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Su impugnazione degli imputati la Corte d'appello di Vene
zia, con sentenza 26 maggio 1994, riduceva a cinque anni l'in
terdizione dai pubblici uffici e revocava la misura degli arresti
domiciliari degli imputati stessi, confermando, nel resto, la sen
tenza di primo grado.
Anche la dottrina maggioritaria, dal canto suo, ha rilevato la profon da diversità ontologica esistente tra le diminuenti dei riti speciali, aventi un fondamento ed una ratio di indole processuale, essendo espressione di scelte processuali e risolvendosi in economia di giudizi ed in accelera zione e semplificazione di processi, e le circostanze, di tipo sostanziale, attinenti alla valutazione del fatto-reato in termini di disvalore o ineren ti alla personalità del reo (cfr. Mercone, Le diminuenti dei nuovi riti
premiali ed i limiti minimi di pena applicabile, in Cass, pen., 1990, I, 1826, il quale ha messo in rilievo come l'esclusione delle diminuenti processuali dal regime di comparabilità con le altre circostanze sia sin tomatica della mancanza di omogeneità ontologica fra tali diminuenti e le altre circostanze; Pignatelli, Commento agli art. 442 e 444 c.p.p., in Commentario a! nuovo codice di procedura penale coordinato da Chiavario, Torino, 1990, IV, 787; Ferrua, Il ruolo del giudice nel controllo delle indagini e nell'udienza preliminare, in Studi sul processo penale, Torino, 1990, 53, secondo cui si tratterebbe di mere diminuenti processuali, che si inseriscono nella logica della contrattazione e dello scambio, penetrata anche formalmente nel processo penale; Cerqua, Riti alternativi ed incentivi premiali: implicazioni di natura sostanziale, in Cass, pen., 1992, 1702, cui si rinvia anche per una rassegna dottrina le circa i possibili nessi tra i riti alternativi e la duplice funzione di
prevenzione generale e speciale; in argomento, v., anche, Gualtieri, Natura della riduzione di pena nel giudizio abbreviato, in Indice pen., 1993, 391 ss., che ravvisa nella diminuente, ex art. 442, una forma ibrida di origine processuale avente effetti sostanziali estremamente in cisivi sulla determinazione della pena).
Ed anche con specifico riferimento al patteggiamento, la giurispru denza, considerata la natura meramente processuale della riduzione san zionatoria ex art. 444 c.p.p., si è orientata ad escludere detta diminuen te dal novero delle circostanze: cfr., tra le tante, Cass., sez. un., 1° ottobre 1991, Biz, Foro it., 1992, II, 15, con nota di Ferraro; in senso conforme, in dottrina, v. Padovani, Il nuovo codice di procedura pe nale e la riforma del codice penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1989, 932; Bricola, Riforma del processo penale e profili di diritto penale sostanziale, in Indice pen., 1989, 330; Dolcini, Razionalità nella com misurazione della pena: un obiettivo ancora attuale? in Riv. it. dir. e proc. pen., 1990, 800.
Secondo un'altra tendenza dottrinale, invece, si ritiene che la dimi nuente di cui all'art. 442 c.p.p. costituisca un'attenuante speciale (v. Tonini, Verso il nuovo processo penale, in Giust. pen., 1988, I, 449; Ramatoli, I procedimenti speciali nel nuovo codice di procedura pena le, in Cass, pen., 1989, 1342; Nannucci, I riti alternativi - Note criti che, in Quaderni Cons. sup. magistratura, 1989, fase. 28, 393). Tale assunto ha, peraltro, trovato qualche eco isolata in sede applicativa: cfr. App. Roma 12 dicembre 1990, Foro it., Rep. 1991, voce Prescrizio ne penale, n. 11, e Critica del diritto, 1991, fase. 3, 38, con nota di Selvaggi, che, interpretando in senso decisamente estensivo l'art. 59 c.p., vi ha ricompreso anche la diminuente ex art. 442 c.p.p., qualifi candola come circostanza attenuante speciale, con la conseguenza di consentire la valutazione della riduzione di pena anche ai fini della pre scrizione; nel senso della natura sostanziale della norma di cui all'art. 442 c.p.p. cfr, altresì', in sede di legittimità, sia pure con una succinta motivazione, Cass. 29 novembre 1990, Balestrieri, Foro it., Rep. 1991, voce Giudizio abbreviato, n. 94, e Cass. pen., 1991, II, 441.
Sempre in tema di giudizio abbreviato, inoltre, per quanto concerne l'individuazione del momento applicativo della diminuzione di pena nel caso di reato continuato, la giurisprudenza sostiene, quasi unanime mente, che tale riduzione, avendo natura processuale e non sostanziale (siccome finalizzata alla produzione di effetti puramente premiali in fun zione di una specifica scelta processuale operata dall'imputato), va ap plicata per ultima, sulla pena quantificata dal giudice, comprensiva an che dell'eventuale aumento per la ritenuta continuazione (cfr. Assise Caltanissetta 18 aprile 1991, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 96, e Giust. pen., 1991, III, 440; Cass. 10 gennaio 1992, Marchi, Foro it., Rep. 1992, voce cit., n. 103, e Giur. it., 1992, II, 396; 11 marzo 1992, Serra, Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 90; 10 settembre 1992, Strac quadaini, ibid., n. 89, e Riv. pen., 1993, 592; 10 settembre 1992, Amo
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GIURISPRUDENZA PENALE
Il procuratore generale della repubblica presso la suddetta corte
ed entrambi gli imputati sono ricorsi per cassazione, deducendo
la nullità della sentenza di secondo grado: il procuratore gene rale per erronea applicazione della legge (dell'art. 29 c.p.), il
Girelli per erronea applicazione della legge (dell'art. 81, cpv.,
c.p. e per il negato riconoscimento dell'attenuante speciale di cui al 5° comma dell'art. 73 d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309) ed
il Pagnin per erronea valutazione della sua partecipazione al
reato.
Motivi della decisione. — Poiché le trattative per la vendita
e per la cessione della droga erano durate alcuni giorni, i giudici di merito hanno ravvisato, nella specie, una pluralità di condot
te, annotando che la proposta di vendita della droga assunse
una propria autonoma rilevanza rispetto alla successiva cessio
ne e, quindi, la sussistenza di più reati che hanno riunito sotto
il vincolo della continuazione. Hanno evidenziato che entrambi
gli imputati hanno ammesso l'addebito e che il Pagnin ha anche
dichiarato di aver preso parte attiva alle trattative e di aver for mulato egli la proposta di cessione della droga. Hanno escluso, nella fattispecie, la sussistenza dell'invocata attenuante speciale di cui al 5° comma dell'art. 73 d.p.r. 309/90, stante l'elevato
numero (ben 44) di dosi medie giornaliere ricavabili da quella
quantità di droga sequestrata. Il tribunale ha irrogato la pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici in con siderazione della gravità del reato e della diversa natura della
diminuente del rito che non influisce sulla soglia sanzionatoria
di cui all'art. 29 c.p., ma tale concetto non è stato condiviso
dalla corte veneziana la quale è andata in contrario avviso ed
ha commutato la pena accessoria da perpetua in temporanea. Il procuratore ricorrente ha censurato il pensiero della corte, condividendo le argomentazioni del g.i.p. ed evidenziando la
fondamentale differenza tra le attenuanti di merito e quelle tec
niche o processuali o premiali, e sostenendo che soltanto le pri
me, in quanto dimostrano una minore pericolosità sociale del
l'imputato, valgono sostanzialmente a diminuire la pena in mo
do che questa possa scendere al di sotto della soglia stabilita dall'art. 29 c.p. Nella specie, la pena è scesa oltre quella soglia solo per effetto della diminuente del rito e non anche per una
sostanziale attenuante e, quindi, bene il g.i.p. aveva deciso per la interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Il Girelli ha sostenuto che la loro attività, pur se sviluppata nel corso di alcuni giorni ed attraverso più contatti tesi al rag
giungimento dell'accordo, doveva intendersi come in un unico
contesto temporale, tanto più che trattavasi della stessa droga e delle stesse parti e che nessun'altra attività, al di fuori di quel la incriminata, essi imputati avevano svolto anche relativamente
alla medesima droga. Pertanto, doveva ritenersi giuridicamente errata l'applicazione, nella specie, dell'istituto della continua zione del reato, trattandosi chiaramente di un reato unico nella
sua autonomia. Quanto poi alla speciale attenuante della lieve
entità del fatto, ha sostenuto che questa andava applicata per la non gravità del fatto stesso e per la non rilevante pericolosità sociale di chi lo aveva commesso, aggiungendo che essi imputa ti si erano determinati a quel reato per procurarsi un modesto
guadagno per il prossimo capodanno, non conoscendo neppure i soggetti e le fonti di approvvigionamento della droga.
Il Pagnin ha lamentato che i giudici di merito non hanno
tenuto conto del suo modestissimo apporto e della sua minima
dei, Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 88, e Arch, nuova proc. pen., 1992, 714; 8 marzo 1993, Dordevic, Cass, pen., 1995, 109 e 27 ottobre 1993, Massenza, cit.; analogamente, anche in tema di patteggiamento, cfr., tra le altre, oltre a Cass. 1° ottobre 1991, Biz, cit., Cass. 29 mag
gio 1992, Casella, Foro it., Rep. 1993, voce Pena (applicazione su ri
chiesta), n. 185). In senso conforme, v., in dottrina, Mercone, Le diminuenti, cit.,
1826 s.; Cerqua, Riti alternativi, cit., 1703; Gualtieri, Natura della
riduzione di pena, cit., 393. Contra, Cass. 24 ottobre 1990, Manfra, Foro it., Rep. 1991, voce
Giudizio abbreviato, n. 95, secondo cui, nel giudizio abbreviato, l'au
mento di pena per la continuazione andrebbe effettuato dopo la dimi
nuzione ex art. 442 c.p.p., non essendo la continuazione assimilabile
alle circostanze delle quali il giudice deve tener conto prima di attuare
la citata diminuzione. Sul versante applicativo, inoltre, si ritiene che, nell'ipotesi di reato
continuato, ai fini dell'applicazione della pena accessoria dell'interdi
zione dai pubblici uffici, debba farsi riferimento alla pena base e non
a quella complessiva, comprensiva dell'aumento per la continuazione:
cfr. Cass. 5 aprile 1989, Drago, id., Rep. 1991, voce Pena, n. 17; 22
giugno 1989, Aggujaro, ibid., n. 18, e Riv. pen., 1991, 272; 11 ottobre
1989, Battistin, Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 16; 12 marzo 1990,
Battista, id., Rep. 1991, voce cit., n. 19 e 24 maggio 1991, Maidecchi, id., Rep. 1992, voce cit., n. 17.
Il Foro Italiano — 1995.
partecipazione al reato de quo, mantenendo una condotta che, da sola, non sarebbe stata sufficiente a realizzare i fatti conte
stati. Ciò posto, va rilevato:
A) Ai fini dell'applicazione della pena accessoria dell'interdi
zione temporanea o definitiva dai pubblici uffici, per determi
nare se, a norma dell'art. 29 c.p., la pena inflitta sia rispettiva mente inferiore ai tre o ai cinque anni di reclusione, deve aversi
riguardo, nel caso di reato continuato, alla pena inflitta per la più grave delle violazioni commesse. La suddetta norma fa
chiaro ed esplicito riferimento alla pena «inflitta», cioè concre
tamente e di fatto, e non, invece, alla pena che avrebbe dovuto
infliggersi, ma a quella che, in sostanza, il condannato deve effettivamente scontare. La ratio legis è evidente ed è la stessa
che regola la disciplina del reato continuato e cioè il principio del favor rei: ciò spiega anche perché, ai fini suddetti, giovano anche le circostanze attenuanti. Queste, pur essendo elementi
accidentali del delitto, rivestono un ruolo di primaria importan za perché indicano e denunziano una minore gravità del delitto
stesso e, soprattutto, una minore pericolosità sociale del sogget to che lo ha commesso. Ora, sotto un cèrto aspetto, le stesse
potrebbero anche ritenersi come un riconoscimento, favorevole
all'imputato, di una minore (rispetto al delitto non circostanzia
to) pericolosità sociale, come un premio per il minor danno
da esso inferto alla società, e questo carattere indubbiamente
premiale potrebbe anche equipararsi all'altro carattere analogo
proprio dei procedimenti speciali, previsti e regolati dal nuovo
codice di rito e con i quali viene praticata un minore (se cosi
si può dire) e più favorevole trattamento (quoad poenam) del
l'imputato che comunque dimostri una particolare propensione a favorire le indagini o l'attività processuale del giudice.
Entrambe le categorie di circostanze, pur avendo differente
natura (sostanziale le une e processuale le altre) producono con
cretamente lo stesso effetto.
Ciò posto ed in mancanza di qualsiasi espressa distinzione
(ubi lex non distinguit nec nos distinguere debemus) riportata nel citato art. 29 c.p., devesi ritenere che anche le cosiddette diminuenti debbano entrare in funzione ai fini dell'applicazione della specie di pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uf
fici, per cui, nella specie, bene ha deciso, sul punto, la corte
veneziana.
Né è di ostacolo alla introduzione del suesposto concetto l'o
biezione che l'art. 29 c.p. è molto risalente nel tempo, rispetto alla introduzione delle suddette diminuenti processuali giacché una siffatta obiezione avrebbe soltanto un valore puramente re
torico.
Deve pertanto riconoscersi fondata l'osservazione della corte
d'appello nel punto che ha richiamato l'art. 187 delle disposi zioni di attuazione al codice di rito vigente e posto in risalto
come questa norma, nel regolare la specifica disciplina del con
corso formale dei reati e del reato continuato di cui all'art. 81
c.p., «attribuisce, di certo, rilevanza alla diminuente del rito
abbreviato» e fondatamente concludendo che: «Tale fatto ac
credita come non giustificata ogni distinzione che intenda com
piersi, con riguardo alla problematica de qua, tra circostanze
attenuanti in senso tecnico e diminuenti processuali della pena». Il rilievo è assolutamente fondato. Va tuttavia ancora preci
sato che, con le suesposte considerazioni, non si intende formu
lare una completa e totale assimilazione tra le circostanze atte
nuanti e le diminuenti processuali (sulla non assimilabilità dei
due concetti si sono espresse già le sezioni unite di questa corte
con sentenza 31 maggio 1991, ric. Volpe, Foro it., 1991, II,
641, e la sezione VI penale con sentenza 6 febbraio 1992, ric.
Dominidiato, id., Rep. 1992, voce Concussione, n. 14, specifi cando che la diminuzione della pena, nelle circostanze attenuanti,
è un effetto della valutazione normativa del fatto, ritenuto me
no grave nella sua complessità, mentre, nelle diminuenti, sussi
stono finalità meramente processuali), ma, a parte anche l'ulte
riore considerazione che non sarebbe concepibile neppure un
eventuale giudizio di comparazione o di valenza tra le stesse
ai sensi dell'art. 69 c.p., va precisato che si è inteso porre in
evidenza il lato essenziale del fenomeno ed il risultato eminente
mente pratico dello stesso, che si risolve in una effettiva dimi
nuzione della pena, e tale risultato, di fatto, si è inteso attribui
re alle condizioni stabilite nell'art. 29 c.p., per distinguere e
precisare la specie di interdizione da applicare, condizioni che,
ripetesi, si riportano al fatto oggettivo della quantità di pena
concretamente applicata e non a quella che si sarebbe applicata
senza la diminuente del rito speciale. Questa sussiste di fatto,
esplica l'effetto processuale della diminuzione della pena e, per
tanto, non può essere ignorata o considerata tamquam non es
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PARTE SECONDA
set, senza incorrere in una evidente sproporzione o in una erro
nea applicazione della legge.
B) L'attività degli imputati si è svolta attraverso una serie
di episodi, ciascuno dei quali ha in sé una compiuta unità ido nea a concretizzare, da sola, la violazione della norma che la
prevede. Infatti l'art. 73 d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309 prevede tutta una serie di ipotesi e di azioni, ognuna delle quali costitui
sce una lesione ad un preciso precetto penale e tutte raccolte
nella stessa norma per il comune trattamento punitivo. La tesi difensiva ha sostenuto che, nella specie, trattavasi di
una pluralità di «atti» eseguiti da essi imputati ai fini di una sola ed unica «azione» la quale si era risolta nell'atto finale
(ultimo e come scopo) della cessione della droga. La tesi è sfornita di qualsiasi fondamento logico-giuridico. Già nella contestazione si riconoscono le varie condotte auto
nome (detenuto, offerto in vendita e ceduto) degli imputati e
la dimostrazione che trattasi effettivamente di ipotesi diverse
può trovarsi nella possibilità che i verbalizzanti, invece che trat tare ed avere quei ripetuti contatti con gli imputati, avessero
proceduto all'immediato sequestro della droga, oppure fossero
intervenuti alla proposta di vendita della stessa, gli stessi impu tati avrebbero dovuto rispondere di illecita detenzione dello stu
pefacente, oppure di vendita e detenzione dello stesso (fatti chia
ramente autonomi) per cui deve concludersi che le violazioni
specificate nel capo di imputazione sono state effettivamente
ed autonomamente consumate e, di conseguenza, rettamente i
giudici di merito hanno ravvisato, nella specie, la pluralità di
azioni autonome che hanno riunito sotto il vincolo della conti
nuazione, giudicandole e valutandole come un unico reato.
C) Assolutamente infondata è la tesi difensiva del Pagnin, dal momento che, com'è risultato provato e riportato nella par te narrativa della sentenza impugnata, egli stesso (Pagnin) ha
ammesso l'addebito e precisato di aver preso parte attiva alle
trattative e di avere formulato egli la proposta della cessione
della droga. Un motivo siffatto, tenuto conto delle chiare risultanze pro
cessuali, sfiora la manifesta infondatezza.
Le considerazioni che precedono non consentono l'accogli mento dei ricorsi cosi come proposti.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione V penale; sentenza 10 otto
bre 1994; Pres. Ciufo, Est. Marrone, P.M. Pagliarulo
(conci, conf.); ric. Ensabella. Conferma Trìb. Catania, ord.
27 maggio 1994.
Concorso di persone nel reato — Associazione di tipo mafioso — Concorso esterno nel reato associativo — Condotta di col
laborazione con l'organizzazione mafiosa — Qualità di «av
vicinato» — Fattispecie (Cod. pen., art. 110, 416 bis).
La qualità di «avvicinato» attribuita dai collaboranti di giusti zia a un soggetto accusato di svolgere operazioni bancarie
per conto di un'organizzazione mafiosa non ne impedisce l'im
putazione ai sensi dell'art. 416 bis c.p., sotto forma di con
corso eventuale nel delitto associativo. (1)
(1-2) Le decisioni su riprodotte si segnalano poiché, all'indomani del la recente sentenza delle sezioni unite che ha ritenuto ammissibile in punto di diritto il concorso c.d. «esterno» nell'associazione mafiosa (Cass. 5 ottobre 1994, Demitry, Foro it., 1995, II, 422, con nota di richiami e nota di Insolera, Il concorso esterno nei delitti associativi: la ragion di Stato e gli inganni della dogmatica, a cui si rinvia per ulteriori riferi menti dottrinali e giurisprudenziali), contribuiscono a precisare alcuni
presupposti per l'applicazione degli art. 110 e 416 bis c.p. alle condotte di «fiancheggiamento» realizzate da soggetti rispetto ai quali non sussi stono gli estremi della partecipazione (interna) alla associazione criminale.
Per quanto concerne il principio affermato nella prima massima, i
giudici reputano più corretta l'incriminazione a titolo di concorso ester no nell'associazione mafiosa, rispetto a quella a titolo di partecipazio ne, tenuto conto dei contenuto delle dichiarazioni di alcuni «pentiti», secondo le quali l'indagato — qualificato come «avvicinato» e quindi non ritualmente affiliato — avrebbe contribuito all'organizzazione ma fiosa attraverso operazioni bancarie compiute nell'interesse del sodali
li Foro Italiano — 1995.
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 7 otto
bre 1994; Pres. Vallante, Est, Tardino, P.M. (conci, diff.); ric. Tringale. Annulla Trib. Catania, ord. 6 maggio 1994.
Concorso di persone nel reato — Associazione di tipo mafioso — Concorso esterno nel reato associativo — Estremi — Con
dotta di fiancheggiamento a singoli associati — Esclusione — Fattispecie (Cod. pen., art. 110, 416 bis, 418).
Il concorso esterno nell'associazione mafiosa ex art. 110 e 416
bis c.p. può configurarsi a carico di un soggetto estraneo al
sodalizio criminale, a condizione che questi abbia contribuito
consapevolmente all'organizzazione criminale nel suo comples so e non quando ha soltanto realizzato condotte di sostegno a singoli associati, peraltro a lui legati da rapporti di parente
la, potendosi in tal caso contestare tutt'al più il reato di assi
stenza agli associati previsto dall'art. 418 c.p. (nella specie, è stato ritenuto non configurabile il concorso esterno rispetto alla condotta di un soggetto che aveva fornito alloggio ad
un cugino affiliato a «Cosa nostra» durante la sua latitanza
e procurato una autovettura ad uno zio anch'egli affiliato e latitante). (2)
zio criminale, approfittando della condizione di incensurato di cui go deva (sul problema delle reciproche interferenze tra categorie socio criminologiche e tecniche di qualificazione penale, v., tra gli altri, FiAn
daca, La contiguità mafiosa degli imprenditori tra rilevanza penale e
stereotipo criminale, id., 1991, II, 472; e Visconti, Il reato di scambio elettorale politico-mafioso, in Indice pen., 1993, 273, spec. 292).
Maggiormente articolata e significativa la sentenza riassunta nella se conda massima, alla stregua della quale il concorso «esterno» nel reato associativo può configurarsi a carico di un soggetto estraneo al sodali zio mafioso a condizione che: a) «l'interesse agevolato, ancorché priva to, avvantaggi, comunque, e complessivamente l'associazione nella spe cificità delle sue finalità delittuose»; b) «la motivazione della condotta ausiliaria sia deliberatamente volta a fornire una prestazione utile anche
all'associazione, oltre che alla persona affiliata, e non prevalgano ra
gioni apprezzabili di stretta parentela»; c) «l'intervento ausiliario non sia occasionale, ovvero nel senso di una ripetitiva prestazione, al limite di una mediazione sistematica».
Le affermazioni riportate sub a) e sub ti) sembrano in sintonia con
quell'orientamento teorico che ritiene configurabile il concorso esterno nell'associazione esclusivamente quando la condotta dell'extraneus co
stituisca, sul piano oggettivo e soggettivo, un contributo all'organizza zione criminale nel suo complesso, mentre tende ad escluderlo qualora l'apporto sia fornito alla realizzazione di un reato-fine dell'associazio ne, ovvero — e a maggior ragione in quanto sarebbero applicabili in tal caso i reati di cui agli art. 418, 378, 379 c.p. — alla singola condotta di (e cioè al reato di) partecipazione di un affiliato all'associazione (cosi Visconti, I! concorso «esterno» nell'associazione mafiosa: profili dog matici ed esigenze politico-criminali, in Riv. it. dir. e proc. pen., in corso di pubblicazione). Impostazione, questa, da cui si discosta altra dottrina la quale, al contrario, risolve la condotta punibile del concor rente esterno nell'apporto fornito da un soggetto — estraneo al sodali zio — alla singola condotta di partecipazione di un componente dell'as sociazione (Muscatiello, Il concorso esterno nelle fattispecie associati ve, Padova, 1995, 117 ss.; Iacoviello, Il concorso eventuale nel delitto di partecipazione ad associazione per delinquere, in Cass, pen., 1995, 842 ss.).
Con riferimento al punto sub c), la sentenza in epigrafe prende le distanze da sez. un. 5 ottobre 1994, Demitry, cit., la quale, invece, ritiene configurabile il concorso esterno anche a fronte di un unico con tributo — determinante, però, ai fini della sopravvivenza del sodalizio — fornito all'associazione dall'estraneo (in questo ultimo senso anche una parte della dottrina: Grosso, La contiguità alla mafia tra parteci pazione, concorso in associazione e irrilevanza penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1993, 1191).
Altro aspetto rilevante affrontato nella sentenza in parola è quello relativo al profilo soggettivo della condotta del concorrente esterno nel l'associazione mafiosa: secondo i giudici di legittimità, esso non può consistere «...nella mera accettazione del rischio di tutte le conseguenze possibili e più gravi del suo comportamento» (e cioè nel dolo eventua
le), bensì deve sempre rispecchiare i tratti caratteristici del dolo specifi co (cosi anche Cass. 14 ottobre 1994, Cavallari, Giust. pen., 1995, II, 342; sul punto, cfr., però, anche Cass. 3 giugno 1994, Della Corte, Foro it., Rep. 1994, voce Concorso di persone nel reato, n. 25, e Riv. pen., 1994, 1114, con nota di Tencati, Fiancheggiamento e partecipa zione nell'art. 416 bis c.p., la quale, prendendo le mosse proprio dalla
(asserita) necessità dogmatica che l'incriminazione per il reato di asso ciazione mafiosa sia supportato in ogni caso dal riscontro del dolo spe cifico nell'agente, conclude nel senso di ritenere giuridicamente non con figurabile il concorso esterno in quanto le condotte oggettivamente sus sumigli entro tale figura, se accompagnate dalla presenza del dolo
specifico, finirebbero per integrare gli estremi della partecipazione pu
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