sezione IV penale; sentenza 30 novembre 2000; Pres. Sciuto, Est. Brusco, P.M. Galasso (concl.diff.); ric. Guarracino. Conferma App. Napoli, sez. min., 22 aprile 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 4 (APRILE 2001), pp. 205/206-207/208Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197023 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
Fatto e diritto. — 1. - Nel corso dell'udienza preliminare del
18 marzo 2000 nel procedimento a carico di Litrico Agatino ed
altri per delitti omicidiari, il g.i.p. del Tribunale di Catania ri gettava le richieste «incondizionate» di rito abbreviato avanzate
dagli imputati, sull'assunto che l'integrazione probatoria offi
ciosa (necessaria per verificare l'attendibilità delle dichiarazioni
accusatorie di numerosi collaboratori di giustizia) risultava in
compatibile con le finalità di economia processuale proprie del
procedimento speciale. Avverso detta ordinanza hanno proposto ricorso immediato
per cassazione i difensori degli imputati denunziandone l'ab
normità, perché non era consentito al giudice dell'udienza pre liminare di sindacare la richiesta di giudizio abbreviato non su bordinata dagli istanti ad alcuna integrazione probatoria.
2. - Il ricorso, come ha esattamente rilevato il p.g. nella requi sitoria scritta, è fondato su serie ragioni di ordine logico e si
stematico.
La recente 1. 16 dicembre 1999 n. 479 — c.d. «legge Carotti» — (integrata per taluni profili dal d.l. 7 aprile 2000 n. 82, conver tito in 1. 5 giugno 2000 n. 144), nell'ambito di rilevanti modifiche al codice di procedura penale, ha ridisegnato in maniera signifi cativa, negli art. 27-31, la complessiva sagoma del giudizio ab
breviato, qual era tracciata negli art. 4JS-443 -.p.p., trasforman
done radicalmente i presupposti e gli schemi procedurali. L'ordinamento processuale attribuisce all'imputato la facoltà
di chiedere che il processo sia definito all'udienza preliminare allo stato degli atti (art. 438, 1° comma) e il giudice è tenuto in
questo caso a disporre con ordinanza il giudizio abbreviato (art.
438, 4° comma) essendo a lui riservato esclusivamente il potere
d'integrazione probatoria ex officio «quando ritiene di non poter decidere allo stato degli atti» (art. 441, 5° comma, c.p.p.), ma
non anche quello di disattendere la richiesta sulla base di un ap
sposto il giudizio abbreviato costituisce atto dovuto, in conformità a
quanto prevede l'art. 438, 4° comma, c.p.p. (la tesi, che discende dalla
lapalissiana littera legis, è uniformemente condivisa: cfr., tra gli altri, Maffeo, Il giudizio abbreviato, in Le recenti modifiche al codice di
procedura penale a cura di Normando, Milano, 2000, 41 s.; Negri, Il «nuovo» giudizio abbreviato: un diritto dell'imputato tra nostalgie in
quisitorie e finalità di economia processuale, in II processo penale do
po la riforma del giudice unico a cura di Peroni, Padova, 2000, 452; Orlandi, Commento all'art. 27 l. 16 dicembre 1999 n. 479, in Legisla zione pen., 2000, 439, 444; nonché, Di Chiara, I «nuovi» riti differen ziati. L'impatto della «legge Carotti» sul libro VI del codice, Palermo, 2000, 21); ove, invece, la richiesta sia proposta sub condicione, è il medesimo art. 438, 5° comma, c.p.p. ad imporre al giudice di verificare «se l'integrazione probatoria richiesta risulta necessaria ai fini della de cisione e compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili»
(circa i parametri, talora sfuggenti, di tale delibazione, cfr., tra gli altri, Maffeo, op. cit., 43 ss.; Negri, op. cit., 477 ss., Orlandi, op. cit., 444
ss.; Potetti, Mutazioni del giudizio abbreviato. In particolare il giudi zio abbreviato condizionato, in Cass, pen., 2001, spec. 335 ss.; nonché Di Chiara, op. cit., 39 ss.).
La pronuncia in epigrafe, in puntuale applicazione della littera legis, esclude ogni sindacabilità della richiesta semplice di giudizio abbre viato con riguardo a possibili fratture tra la prognosticata necessità di dar luogo a un'integrazione probatoria d'ufficio, ex art. 441, 5° com
ma, c.p.p., allo scopo di colmare le lacune dello «stato degli atti» ap prezzabili già prima facie, e gli orizzonti economico-processuali che,
pure, non possono dirsi in radice alieni alla ratio del supplemento istruttorio ammesso dalla rinnovata struttura del rito speciale (l'esigen za di limitare a dimensioni circoscritte i meccanismi integrativi dello «stato degli atti», in epoca anteriore alla novella del 1999, era già stata
rappresentata proprio allo scopo di scongiurare che, nel corpo del giu dizio abbreviato, si innestassero fasi dilaganti di elaborazione della
prova, per di più di netto stampo inquisitorio: cfr., tra gli altri, Siracu
sano, Per una revisione del giudizio abbreviato, in Cass, pen., 1994, 476, nonché Kostoris, Urgente modificare il giudizio abbreviato, in Dir. pen. e proc., 1995, 363; per ulteriori rilievi in chiave operativa, cfr., tuttavia, Negri, op. cit., 485, e Orlandi, Commento all'art. 29 l. 16 dicembre 1999 n. 479, in Legislazione pen., 2000, 455): il vigente assetto normativo fa discendere l'attivazione del modello semplice dalla sola volontà dell'imputato — elevata al rango di vero e proprio diritto potestativo — purché enunciata nelle forme previste dall'art.
438, 2° e 3° comma, c.p.p., sottraendo al giudice ogni potere di origina rio sbarramento motivato da pervasive ottiche economicistiche. [G. Di
Chiara]
Il Foro Italiano — 2001.
prezzamento discrezionale in punto di complessità delle acqui sizioni probatorie necessarie ai fini della decisione, e quindi di
compatibilità dell'integrazione probatoria officiosa con le esi genze di deflazione processuale tipiche del rito speciale.
L'imputato è così diventato arbitro esclusivo dell'instaura
zione del giudizio semplificato, perché né il pubblico ministero può opporsi, né il giudice può valutare se il processo sia effetti
vamente definibile all'udienza preliminare allo stato degli atti e, in caso negativo, rigettare la richiesta, la completezza e la suffi
cienza delle prove essendo comunque assicurata dal potere inte
grativo, anche officioso, del giudice. È invece consentito al giudice di rigettare la richiesta del
l'imputato di giudizio abbreviato soltanto quando essa risulti condizionata ad un'integrazione probatoria, che in realtà non sia
necessaria ai fini della decisione né «compatibile con le finalità di economia processuale» proprie del rito alternativo (art. 438, 5° comma).
3. - Nella specie il giudice, censurando la scelta di giudizio abbreviato degli imputati, ha ritenuto erroneamente di applicare allo schema procedurale della richiesta incondizionata la pecu liare disciplina stabilita per la diversa ipotesi della richiesta ri solutivamente subordinata ad una integrazione probatoria.
Fuoriuscendo dal descritto modello procedimentale, l'ordi
nanza reiettiva in esame è immediatamente impugnabile me
diante il ricorso per cassazione in quanto essa presenta, per la
singolarità e l'atipicità del suo contenuto, le caratteristiche del
l'atto «abnorme», non previsto né prevedibile dall'ordinamento:
con la conseguenza che essa va annullata senza rinvio ai sensi
dell'art. 620, lett. d), c.p.p. disponendosi la trasmissione degli atti al giudice dell'udienza preliminare per l'ulteriore corso
(conf. Cass., sez. I, 17 novembre 2000, Italiano).
CORTE DI CASSAZIONE; sezione IV penale; sentenza 30 novembre 2000; Pres. Sciuto, Est. Brusco, P.M. Galasso
(conci, diff.); ric. Guarracino. Conferma App. Napoli, sez. min., 22 aprile 1999.
Tribunale per i minorenni — Procedimento — Decreto di
fissazione dell'udienza — Notificazione all'esercente la
potestà dei genitori — Imputato divenuto maggiorenne nelle more del giudizio — Omessa notificazione — Conse guenze (D.p.r. 22 settembre 1988 n. 448, approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minoren
ni, art. 7).
L'omissione della notifica del decreto di fissazione dell'udienza all'esercente la potestà dei genitori, allorché l'imputato, mi
norenne all'epoca della commissione del fatto, sia nelle more
divenuto maggiorenne, non può essere ritenuta influire sulla
validità del processo. (1)
(1) Non constano, nel vigore del «nuovo» processo penale minorile
approvato con d.p.r. n. 448 del 1988, precedenti editi in termini. In epoca anteriore la giurisprudenza si era, d'altronde, orientata in
senso analogo: nel senso che la prescrizione di cui al vecchio (e ormai
implicitamente abrogato) art. 17, 1° comma, r.d. 20 luglio 1934 n. 1404 — secondo cui «il decreto di citazione dei minori degli anni diciotto è notificato per conoscenza anche agli esercenti la patria potestà o la tu
tela» — non dovesse essere effettuata ove l'imputato, minore all'epoca dei fatti, fosse divenuto maggiorenne nelle more del procedimento, cfr. Cass. 18 ottobre 1983, Cappello, Foro it., Rep. 1984, voce Tribunale
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PARTE SECONDA
Motivi della decisione. — Con il primo motivo si deduce la
violazione degli art. 7 e 12 d.p.r. 22 settembre 1988 n. 448 (di sposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni)
perché il decreto di fissazione dell'udienza di appello non è
stato notificato all'esercente la potestà dei genitori e non è stato
dato avviso della medesima udienza al servizio minorile.
Questa seconda censura è palesemente infondata perché il ri
cordato art. 12 non prevede (a differenza dell'art. 7 che verrà di
seguito esaminato) che al servizio minorile venga data comuni
cazione dell'udienza. E, anche se potesse trarsi dal 2° e 3°
comma del medesimo art. 12 un'indicazione in tal senso, va ri
levato che non è prevista, per tale omissione, alcuna sanzione di
nullità che pertanto, per il principio di tassatività delle nullità (art. 177 c.p.p.), non può essere dichiarata dal giudice.
Diverso è il caso dell'omissione della notificazione del de
creto di fissazione dell'udienza all'esercente la potestà dei ge nitori che l'art. 7 citato d.p.r. 448/88 espressamente sanziona di
nullità. Nel caso in esame non risulta, dagli atti del procedimento,
che tale notifica sia avvenuta. Ne discenderebbe, secondo la tesi
del ricorrente, la nullità del giudizio di appello tempestivamente
eccepita trattandosi di nullità di ordine generale, ma non asso
luta, in quanto concerne l'assistenza dell'imputato ma non la
sua citazione o l'assistenza del difensore.
Va però precisato che il caso in esame è connotato dalla par ticolarità che l'imputato, minorenne al tempo del commesso
reato e all'epoca della celebrazione del giudizio di primo grado, è divenuto maggiorenne prima della celebrazione del giudizio di appello. Il quesito da risolvere riguarda pertanto l'applicabilità dell'art. 7 in esame al caso in cui il minore sia divenuto maggio renne all'epoca della celebrazione del giudizio (di appello nel
caso di specie; ma il problema riguarda anche il giudizio di pri mo grado).
A parere della corte la risposta al quesito deve essere negativa nel senso che tale avviso non sia dovuto se l'imputato sia dive
nuto maggiorenne. A fronte di ragioni di natura sostanziale che
potrebbero consigliare di garantire al minore divenuto maggio renne un'ulteriore assistenza nel momento in cui affronta il giu dizio va rilevato che, con il compimento della maggiore età, il
minore acquista la piena capacità di agire ed è, per legge, ido
neo a tutelare i suoi interessi anche nel campo penale. È vero
che il processo continua a svolgersi, sia in primo che in secondo
grado, davanti al giudice minorile ma ciò avviene perché si è
voluto attribuire ad un giudice specializzato la cognizione di un
fatto commesso quando l'imputato era ancora minorenne.
Se la celebrazione del processo avviene invece quando la
maggiore età è stata raggiunta, questa tutela perde gran parte del
suo significato perché viene ad essere ricollegata non alle op
portunità difensive dell'imputato, che il legislatore ritiene ormai
definitivamente acquisite, ma al fatto storico del reato commes
so.
Ma se può in astratto discutersi dell'opportunità di questa ul
per i minorenni, n. 26, e già dapprima Cass. 14 febbraio 1979, Occhine
ri, Cass, pen., 1980, 1601 (nonché, con riguardo ad altro principio, Fo ro it., Rep. 1980, voce cit., n. 8); per una ratio non dissimile, cfr. altresì Cass. 22 febbraio 1985, Di Silvio, id.., Rep. 1986, voce cit., n. 31, che ha escluso la notificazione per conoscenza del decreto di citazione al
genitore ove il processo si celebri a carico di minore emancipato. Circa la ratio della notifica prevista dall'art. 7 d.p.r. n. 448 del 1988,
volta a rafforzare il fronte della «difesa complessa» del minore attra verso l'assistenza, lungo gli itinerari del processo, dell'esercente la
potestà dei genitori, cfr., tra gli altri, Giambruno, Il processo penale minorile, Padova, 2001, 52 ss.; Kostoris, in Commento al codice di
procedura penale coordinato da Chiavario, Leggi collegate. I. Il pro cesso minorile, Torino, 1994, sub art. 7, 68 ss.; Palomba, Il sistema del nuovo processo penale minorile, 2a ed., Milano, 1991, 125 ss.
Merita menzione l'asserto, contenuto nella pronuncia in epigrafe, se condo il quale la sopravvenuta maggiore età dell'imputato nelle more del procedimento non svuota di senso la notifica dell'avviso dell'u dienza ai genitori, pur non più esercenti la potestà parentale a norma dell'art. 316, 1° comma, c.c.: la corte, estendendo la ratio di tutela sot tesa alla norma, mostra di ritenere comunque opportuna l'informativa, pur se va escluso che la sua pretermissione integri la fattispecie di nul lità prevista dall'art. 7 d.p.r. n. 448 del 1988. [G. Di Chiara]
Il Foro Italiano — 2001.
teriore tutela del minore v'è una ragione insuperabile che non
consente di aderire alla diversa tesi fatta propria nel ricorso.
Con il compimento della maggiore età e l'acquisto della piena
capacità di agire la figura dell'esercente la potestà dei genitori viene meno (art. 316, 1° comma, c.c.: «il figlio è soggetto alla
potestà dei genitori sino all'età maggiore ...») così come viene
meno la figura del tutore nominato al minore, privo dei genitori,
quando raggiunga la maggiore età.
In buona sostanza con il raggiungimento della maggiore età la
figura del genitore esercente la potestà viene meno e non può, di
conseguenza, la norma in esame riferirsi ad una figura che più non esiste ma che dovrebbe esercitare una funzione attuale nel
processo instaurato nei confronti di persona ormai maggiore di
età sulla quale il genitore non esercita più alcuna potestà. Ciò non significa che la citazione dei genitori non possa esse
re ritenuta opportuna nei procedimenti davanti al tribunale per i
minorenni (o alla sezione minorenni della corte d'appello) ma
soltanto che l'omissione non può essere ritenuta causa di alcuna
conseguenza sulla validità del processo (o del procedimento nel
caso in cui l'omissione riguardi l'informazione di garanzia). (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 25 ottobre 2000; Pres. Vessia, Est. Sirena, P.M. Leo (conci,
parz. diff.); ric. Morici. Conferma App. Palermo 12 aprile 1999.
Frode in commercio e nelle industrie — Prodotti alimentari
con termine minimo di conservazione scaduto — Offerta
al pubblico — Tentata frode in commercio (Cod. pen., art. 56,515).
La semplice detenzione all'interno di un negozio (o di un depo
sito) di prodotti alimentari scaduti sulle cui confezioni sia
stata modificata l'originale indicazione del termine minimo
di conservazione non configura il tentativo di frode in com
mercio occorrendo invece che tali prodotti siano esposti per la vendita sui banchi dell'esercizio o comunque offerti al
pubblico. (1)
(1) In argomento, v. Cass. 1° ottobre 1999, Perin, Foro it., 2000, II, 559, con nota di richiami, che segnala i contrastanti orientamenti emer si sulla configurabilità del tentativo di frode in commercio; con riferi mento alla tesi di cui alla sentenza che si riporta, v. Cass. 23 marzo
1998, Zagra, id., 1999, II, 12, con nota di richiami; da ultimo, v. Cass. 19 aprile 2000, Mangano, Guida al dir., 2000, fase. 26, 91 (ai fini della
configurabilità del tentativo di frode in commercio, è necessaria,
quantomeno, un'offerta al pubblico, concretamente configurabile come
proposta contrattuale, ovvero un inizio di pattuizione o, comunque, di un contatto con l'acquirente. Non è a tal fine sufficiente, invece, un'at tività che rimanga all'interno della sfera di pertinenza dell'agente, co me quella della mera detenzione del prodotto o, prima ancora, quella della preparazione del prodotto stesso; nella specie, è stato escluso il reato nella condotta dell'imputato, che, nella sua qualità di responsabile di una ditta casearia, era stato colto a preparare formaggio a pasta fila
ta, utilizzando latte in polvere e comunque altri derivati lattieri non
consentiti, senza riportarne la presenza nelle confezioni del prodotto fi
nito). Le sezioni unite per configurare il tentativo di frode in commer cio hanno scartato sia la tesi per cui il reato sarebbe integrato dalla sola detenzione della merce nell'esercizio pubblico sia la tesi per cui sareb be invece necessario l'instaurarsi di un rapporto contrattuale con un
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