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sezione IV; sentenza 26 febbraio 1985, n. 62; Pres. De Roberto, Est. Barbagallo; Min. grazia e...

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sezione IV; sentenza 26 febbraio 1985, n. 62; Pres. De Roberto, Est. Barbagallo; Min. grazia e giustizia (Avv. dello Stato Polizzi) c. De Luca ed altri (Avv. Verde). Conferma T.A.R. Lazio, sez. I, 20 aprile 1983, nn. 343, 368, e 4 maggio 1983, n. 401 Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1985), pp. 289/290-293/294 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23177843 . Accessed: 24/06/2014 21:36 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.229.210 on Tue, 24 Jun 2014 21:36:08 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione IV; sentenza 26 febbraio 1985, n. 62; Pres. De Roberto, Est. Barbagallo; Min. grazia egiustizia (Avv. dello Stato Polizzi) c. De Luca ed altri (Avv. Verde). Conferma T.A.R. Lazio, sez.I, 20 aprile 1983, nn. 343, 368, e 4 maggio 1983, n. 401Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1985), pp. 289/290-293/294Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177843 .

Accessed: 24/06/2014 21:36

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

dei motivi addotti dai richiedenti, sia quando da quegli stessi

elementi sia possibile dedurre, al di là di ogni ragionevole

dubbio, la pretestuosità della domanda di ammissione al be

neficio.

Alla formulazione di quest'ultimo giudizio la commissione non

può però pervenire sulla base della sola valutazione della motiva

zione della domanda, sia perché questa si risolve, come sopra è

stato precisato, nella indicazione « del motivo o dei motivi »

rientrante tra quelli previsti dalla legge, sia perché la concreta

formulazione dei motivi da parte del richiedente (ove venisse

sottoposta a un giudizio di congruità con riferimento alla serietà

e consistenza delle argomentazioni sui convincimenti religiosi

filosofici o morali), potrebbe prestarsi a forme di discriminazione

fondate sul livello intellettuale e culturale dei richiedenti che,

come si è visto, il legislatore ha per certo voluto evitare.

In questa prospettiva, deve essere valutata anche la ipotesi

(tutt'altro che infrequente nella pratica) che la domanda di

riconoscimento venga fatta sulla falsariga di uno schema stereoti

po o di un modello eventualmente predisposto da associazioni o

comitati di persone che asseriscono di essere contrari in ogni circostanza all'uso personale delle armi: anche in questo caso,

posto che la sincerità dell'obiezione non può essere senz'altro

esclusa dall'adesione (magari con intento chiaramente provocato

rio) a un modulo predisposto, la commissione è tenuta a formula

re un giudizio concreto sulla base degli elementi a sua disposi

zione, perché la sua pronuncia, per quanto collegata alla doman

da dell'interessato, dipende pur sempre dal concreto riscontro dei

motivi dichiarati con gli elementi raccolti in sede istruttoria.

6. - Le considerazioni che precedono valgono, per un verso, a

risolvere i dubbi prospettati dalle ordinanze di rimessione, per l'altro, a definire correttamente la portata delle censure che sia il

Roncat sia il Daini hanno separatamente dedotto nei confronti

dei decreti ministeriali di reiezione delle rispettive domande tese

ad ottenere il riconoscimento dell'obiezione di coscienza.

I ricorrenti hanno censurato i provvedimenti impugnati sotto

tre distinti profili e, precisamente, per assoluta carenza di motiva

zione e contraddittorietà, per sviamento di potere e per violazio

ne e falsa applicazione della 1. n. 772/72. In sostanza, da diversa

angolazione, gli interessati contestano i decreti ministeriali (e i

relativi pareri): a) nella parte in cui essi hanno ritenuto in

sufficiente e generico il richiamo ad imprescindibili motivi di

coscienza sul rilievo che i giovani non avrebbero fornito alcun

elemento che consentisse di ascrivere la loro obiezione a profondi motivi d'ordine etico e filosofico o religioso; b) nella parte in cui

il comportamento dei ricorrenti era stato ritenuto « manifestamen

te in contrasto con in principi morali che il legislatore ha inteso

considerare come fondamento della obiezione di coscienza ».

Sotto entrambi gli aspetti i ricorsi si rivelano fondati.

Per quanto attiene alle determinazioni enunciate sub a), è

appena il caso di sottolineare, dopo quanto è stato sopra prospet tato in via generale, che la commissione è incorsa in un duplice erroneo rilievo: là dove ha addebitato ai richiedenti la mancata

allegazione di elementi probatori per ascrivere l'obiezione a

motivi di carattere etico, o filosofico o religioso e nella parte in

cui ha considerato generico il richiamo agli imprescindibili motivi

di coscienza. Il primo rilievo, infatti, si risolve in una illegittima inversione dell'onere della prova in quanto, mentre la normativa

considera una mera facoltà dei richiedenti quella di corredare

la domanda di tutti i documenti ritenuti utili a sostegno dei

motivi addotti, il provvedimento impugnato lo considera un

onere, il cui mancato adempimento si riflette sulla genericità del

richiamo ai motivi di coscienza.

A quest'ultimo proposito va invece ribadito che è sufficiente

nella domanda la indicazione di uno dei motivi contemplati dalla

legge per ritenere ritualmente proposta la richiesta di ammissione

ai benefici di cui alla 1. 772/72. In ordine, poi, alle determinazioni enunciate sub b), le censure

dei ricorrenti colgono nel segno: il preteso contrasto tra il

comportamento dei ricorrenti con i principi morali tutelati dall'i

stituto della obiezione di coscienza si configura innanzi tutto

come una petizione di principio e in secondo luogo risulta

inconsistente in punto di fatto. Ed invero, le vicende penali cui

la commissione sembra aver fatto riferimento erano largamente

superate per il Roncat alla data di formulazione del parere

(seduta del 14 settembre 1082), in quanto lo stesso Roncat, pur condannato in primo grado dal Tribunale di Bolzano, era stato

assolto, perché il fatto non costituisce reato, dalla contravvenzio

ne di cui all'art. 18 r.d1. 18 giugno 1931 n. 773, con sentenza della

Corte d'appello di Trento del 6 maggio 1981, divenuta irrevocabi

le molto tempo prima del parere della menzionata commissione.

Il Foro Italiano — 1985.

Quanto, poi, al Daini, il richiamo a un precedente penale per danneggiamento, coperto — per di più — da perdono giudiziale concesso dal Tribunale per i minorenni di Bolzano, non appare motivo sufficiente per escludere il ricorrente dal beneficio della obiezione di coscienza, atteso che i fatti, cui si riferisce il

perdono giudiziale, che comporta, come è noto, l'estinzione del

reato, appaiono assunti in modo astratto e, come tali, considerati

contrastanti, con i valori tutelati dalla 1. n. 772/72. 7. - Da quant'innanzi discende che i ricorsi indicati in epigrafe

debbano essere accolti. (Omissis)

CONSIGLIO DI STATO; sezione IV; sentenza 26 febbraio 1985, n. 62; Pres. De Roberto, Est. Barbagallo; Min. grazia e giustizia (Avv. dello Stato Polizzi) c. De Luca ed altri (Avv. Verde).

Conferma T.A.R. Lazio, sez. I, 20 aprile 1983, nn. 343, 368, e 4

maggio 1983, n. 401.

Ordinamento giudiziario — Giudizi riguardanti magistrati —

Appello al Consiglio di Stato (R.d. 30 gennaio 1941 n. 12, ordinamento giudiziario, art. 6; 1. 24 marzo 1958 n. 195, norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura, art. 10, 17).

Ordinamento giudiziario — Magistrato — Incompatibilità di sede — Provvedimento di trasferimento — Natura (R.d. 30 gennaio 1941 n. 12, art. 18; r.d.leg. 31 maggio 1946 n. 511, guarentigie della magistratura, art. 2, 4; d.p.r. 6 settembre 1958 n. 916, dispo sizioni di attuazione e di cordinamento della 1. 24 marzo 1958

n. 195, concernente la costituzione e il funzionamento del Con

siglio superiore della magistratura e disposizioni transitorie, art. 55).

Nei giudizi amministrativi riguardanti magistrati dell'ordine giudi ziario, la proposizione dell'appello da parte del ministro di

grazia e giustizia avverso sentenze emesse dal T.A.R. non è

preceduta dalla conforme deliberazione del Consiglio superiore della magistratura. (1)

Ha natura di atto discrezionale il provvedimento di trasferimento

d'ufficio del magistrato che è venuto a trovarsi in situazione di

incompatibilità nella sede in cui esercitava la propria funzio ne. (2)

(1) Non constano precedenti in termini. Sulla forma dei provvedimenti relativi ai magistrati e sul regime

delle impugnazioni si vedano M. Devoto, in L'ordinamento giudiziario, a cura di A. Pizzorusso, Bologna, 1974, 312, e da ultimo, G. Ferrari e C. Franchini, Proposta di legge di modifica delle impugnazioni dei provvedimenti del Consiglio superiore della magistratura riguardanti i magistrati, in Partecipazione, 1980, fase. 2, 10. La proposta di legge dei dep. Spagnoli ed altri (n. 2539), che prevede, tra l'altro, la revisione delle norme sulla forma dei provvedimenti del consiglio, è riassunta in Rubrica parlamentare, a cura di R. Moretti, in Foro it., 1985, V, 119.

(2) Le decisioni di primo grado (T.A.R. Lazio, sez. I, 20 aprile 1983, n. 343, e 4 maggio 1983, n. 401) sono riportate, rispettivamente, in Trib. amm. reg., 1983, I, 1303 e Giur. it., 1983, III, 1, 306, con nota di Annunziata. È giurisprudenza costante che i provvedimenti di trasferimento d'ufficio, in quanto incidenti sulla garanzia dell'inamovi bilità, debbono essere congniamente motivati (v., in tal senso, T.A.R. Lombardia 16 aprile 1983, n. 386, Foro it., 1983, III, 355, con nota di richiami). La manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell'art. 2 r.d.leg. n. 511/46, sul trasferimento d'ufficio, è stata dichiarata da T.A.R. Piemonte 21 dicembre 1976, n. 432, id., 1977, III, 666.

L'ambito di discrezionalità spettante al consiglio superiore nella rimozione delle situazioni d'incompatibilità dei magistrati non aveva finora formato oggetto di decisioni degli organi delia giustizia ammi nistrativa. Nella motivazione della decisione in epigrafe si coglie una non casuale insistenza sul carattere puramente amministrativo della funzione esercitata dal consiglio superiore, in sensibile divaricazione rispetto alla più recente giurisprudenza costituzionale la quale, all'op posto, delinea le attribuzioni dell'organo come di sicuro rilievo costituzionale (cfr. Corte cost. 3 giugno 1983, n. 148, id., 1983, I, 1800, con note di Gironi e Pulitanò, sulle guarentigie dei componenti del consiglio medesimo).

L'attività del consiglio superiore, che si estrinseca in atti dii varia denominazione, è stata studiata da M. Devoto, Costituzione del giudice e Consiglio superiore della magistratura, in Scritti per Mortati, 1977, IV, 149.

La revisione delle norme sull'incompatibilità di sede, derivante dall'iscrizione all'albo professionale, nel luogo ove il magistrato svolge il proprio ufficio, di avvocati o procuratori parenti od affini, è ora

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PARTE TERZA

Diritto. — I tre ricorsi, che involgono identica questione,

devono essere riuniti.

L'eccezione di inammissibilità non può essere condivisa. Non vi

è infatti alcuna disposizione che preveda, per la proposizione

dell'appello in giudizi che concernano lo status dei magistrati

ordinari, la necessità di un mandato attribuito con formale

delibera del C.S.M.

Il richiamato art. 6 dell'ordinamento giudiziario, peraltro quasi

interamente sostituito dalla normativa di cui agli art. 10 e 17 1.

24 marzo 1958 n. 195, concerneva soltanto i provvedimenti

amministrativi sullo stato dei magistrati e non poneva nessuna

deroga alla norma di cui all'art. 1 r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611

sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato.

Nel merito, l'impugnata sentenza deve essere confermata.

Ritiene, il collegio, che i provvedimenti di trasferimento

d'ufficio dei magistrati ordinari per incompatibilità di sede, di cui

agli art. 18, V parte, dell'ordinamento giudiziario, 2, 2° comma, e

4 r.d.l. 31 maggio 1946 n. 511, 55 d.p.r. 16 settembre 1958 n.

916, siano atti discrezionali, e che, perciò, la censura proposta

all'esame delle camere. Si ricorda in proposito che l'art. 18 del disegno di legge n. 251, presentato al senato dal ministro della giustizia, contiene la seguente disposizione:

« I magistrati che siano tra loro legati da vincoli di coniugio, ovvero di parentela o di affinità fino al terzo grado non possono far parte dello stesso ufficio giudiziario salvo che, a giudizio del Consiglio

superiore della magistratura, per il numero dei componenti l'ufficio, sia

da escludere qualsiasi intralcio al regolare svolgimento della funzione

giudiziaria. Il magistrato non può inoltre esercitare le funzioni: a) nell'ufficio

dinanzi al quale svolge abitualmente la professione forense un parente in linea retta all'infinito ovvero in linea collaterale fino al secondo

grado, il coniuge o un affine in linea retta, salvo che il Consiglio superiore della magistratura accerti, in relazione al numero dei compo nenti l'ufficio, che le rispettive attività sono assolutamente distinte; b) nell'ufficio avente competenza circoscritta al territorio in cui un suo

parente in linea retta all'infinito ovvero in linea collaterale fino al

secondo grado, il coniuge o un affine in linea retta venga imputato di

un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non

inferiore nel minimo a tre anni, ovvero venga sottoposto a procedi mento per l'applicazione di una misura di prevenzione, sempreché i suoi rapporti con l'imputato, avuto altresì riguardo alla sua posizione, siano tali da compromettere gravemente la fiducia nel regolare svolgi mento della funzione giudiziaria. L'incompatibilità permane sino a

quando i relativi procedimenti pendono dinanzi ad uno degli uffici

giudiziari compresi nel distretto della stessa corte di appello in cui si

trova l'ufficio al quale il magistrato appartiene. Quando il processo penale si conclude, con sentenza di proscioglimento o di assoluzione con formula ampia o la proposta per l'applicazione della misura di

prevenzione viene reietta, il magistrato che ne faccia domanda può essere destinato all'ufficio di provenienza o ad altro della stessa sede anche in soprannumero; c) nella sede del suo ufficio quando il

coniuge, un parente in linea retta all'infinito o in linea collaterale fino al secondo grado, ovvero altro parente o affine con lui convivente

tenga una condotta che, per la natura riprovevole e la notorietà, comprometta gravemente la fiducia nella imparzialità o nella correttez za della funzione giudiziaria.

Agli effetti del presente articolo al rapporto di coniugio è parificata la convivenza di fatto ».

Il Consiglio superiore della magistratura nel parere espresso sul citato disegno di legge ha tuttavia osservato che « l'indicazione dei criteri sui quali deve fondarsi l'apprezzamento del C.S.M. (limitata al solo numero dei componenti l'ufficio) appare insufficiente per una penetrante considerazione di tutti gli elementi del caso concreto ». (Per un sunto di tale documento cfr. Rubrica parlamentare, cit., voce Ordinamento giudiziario, in Foro it., 1985, V, 104). Quanto poi all'ipotesi prevista dall'art. 18, lett. b), del progetto governativo, il consiglio suggerisce di scartare il criterio di collegamento con la pena edittale a favore di un ancoraggio a « specifiche ipotesi di reato, in relazione alle quali i pericoli di turbamento della giurisdizione possono assumere maggior concretezza». Per la fattispecie indicata alla lett. c), infine, il collegio propone di tener conto, prevalentemente, del conte

gno del magistrato rispetto al congiunto. Sull'esame fin qui compiuto sul disegno di legge n. 251 dalla commissione giustizia del senato si

veda la Rubrìca parlamentare, cit., ibid., 105). La commissione stessa ha tuttavia avviato la discussione di un'altra

iniziativa legislativa (n. 553, dei sen. Jervolino Russo ed altri, DC), recante modifica dell'art. 18 dell'ordinamento giudiziario, anch'essa mirante ad accrescere i margini di discrezionalità nei provvedimenti di

competenza del Consiglio superiore della magistratura. L'articolo unico prevede infatti che: « I magistrati non possono appartenere ad uffici

giudiziari avanti ai quali il coniuge o i parenti fino al secondo grado o gli affini in primo grado esercitano abitualmente la professione di avvocato o procuratore, salvo che, a giudizio del Consiglio superiore della magistratura, negli uffici con almeno quattro sezioni, per il numero degli appartenenti alla sede o per altre ragioni, sia da escludere qualsiasi pregiudizio al corretto espletamento delle funzioni ».

Il Foro Italiano — 1985.

dall'amministrazione ricorrente, che si fonda unicamente sulla

asserita natura di atti dovuti e vincolati dei provvedimenti

impugnati, non possa essere condivisa.

Come già rilevato dal giudice di primo grado, la delicata

materia del trasferimento d'ufficio del magistrato, ai sensi dell'art.

18 ord. giud. è stata oggetto di un approfondito esame da parte del Consiglio superiore della magistratura con la circolare 22

dicembre 1981.

Con la circolare ora menzionata il C.S.M. — nel fissare i criteri

generali per l'applicazione dell'art. 18 ord. giud. — ha ritenuto

che la norma citata trae il suo fondamento della circostanza che

« il verificarsi delle incompatibilità è un fatto oggettivamente idoneo a pregiudicare il prestigio della magistratura, perché determina il timore di privilegi, di varia natura, e quanto meno

psicologici e ambientali, a vantaggio del professionista legato da

strettissimi vincoli familiari con il magistrato. E ciò danneggia simultaneamente la par condicio -degli altri professionisti e l'im

magine anche esterna di imparzialità che deve accompagnare l'attività del giudice ».

Il C.S.M. ha ritenuto, inoltre, che l'art. 18 ord. giud. preveda due situazioni di incompatibilità per il magistrato: 1) l'incompa tibilità di sede, per la mera iscrizione nell'albo professionale della

stessa sede, ove si trova l'ufficio del magistrato, di avvocati o

procuratori, parenti fino al secondo grado o affini di primo grado (c.d. incompatibilità formale, prevista nella prima parte dell'arti

colo); 2) l'incompatibilità d'ufficio (c.d. incompatibilità sostanzia

le, prevista dall'ultima parte dell'art. 18) correlata al fatto che il

parente fino al secondo grado o l'affine di primo grado del

magistrato eserciti abitualmente la professione avanti all'ufficio

giudiziario, al quale il magistrato appartiene; che tali due situa

zioni siano specificazioni della generale incompatibilità di sede

per lesione al prestigio previsto dall'art. 2, 2° comma, legge sulle

guarentigie. Il C.S.M. ha quindi ritenuto che, una volta verificatasi e

dichiarata la situazione di incompatibilità, il provvedimento di

trasferimento sia atto dovuto e vincolato, con la conseguenza che, nell'ipotesi di incompatibilità formale che è l'ipotesi per la quale sono stati emessi i tre provvedimenti di trasferimento

impugnati in primo grado, non sussisterebbe discrezionalità di alcun genere dall'organo di governo dei magistrati né nella fase di accertamento del presupposto (data la natura del fatto descrit to dalla disposizione di legge), né nell'apprezzamento del rilievo del fatto rispetto all'interesse da tutelare, né infine nella fase della decisione dell'intervento e della configurazione dell'interven to stesso. 1

Tale conclusione alla luce di una interpretazione, che non urta né con il sistema né con la ratio della disposizione e che trae

fondamento, non solo dalla lettera della legge, ma anche da criteri interpretativi storici e logici, non può essere condivisa.

La lettera della legge è, infatti, tale da portare alla conclusione che l'art. 18 cit. configura anche il trasferimento dell'ufficio

conseguente alla incompatibilità in questione, come atto discre zionale.

La prima parte dell'art. 18 r.d. 30 gennaio 1941 n. 12, come successivamente modificato, dispone; « I magistrati giudicanti e

requirenti delle corti di appello e dei tribunali ed i magistrati delle preture, non possono appartenere ad uffici giudiziari nelle sedi nelle quali i loro parenti fino al secondo grado, o gli affini in primo grado, sono iscritti negli albi professionali di avvocato o di procuratore... e l'art. 2 r.d.leg. 31 maggio 1946 n. 511 come successivamente modificato recita:

« I magistrati di grado non inferiore a giudice, sostituto procu ratore della repubblica o pretore, non possono essere trasferiti ad altra sede o destinati ad altre funzioni, se non col loro consenso. Essi tuttavia possono, anche senza il loro consenso, essere

trasferiti ad altra sede o destinati ad altre funzioni,... quando si

trovino in uno dei casi previsti dagli art. 16, 18 e 19 dell'ordina mento giudiziario approvato con r.d. 30 gennaio 1941 n. 12... ». Ora l'espressione « possono essere trasferiti » che ha sostituito

quella « sono trasferiti di cui all'art. 219 ord. giud. emanato con r.d. 30 gennaio 1941 n. 12 », che, a sua volta, riproponeva quella analoga « sono tramutati », di cui all'art. 172 r.d. 30 dicembre 1923 n. 2786, non è usata nel senso atecnico di « è lecito che siano trasferiti » quasi in antitesi alla espressione « non possono essere trasferiti » di cui al 1° comma, ma sta proprio a significare l'attribuzione all'autorità amministrativa competente di un potere di apprezzamento del rilievo del fatto rispetto all'interesse da

tutelare, e di conseguente scelta circa l'intervento e il concreto

atteggiarsi dell'intervento stesso.

L'elemento interpretativo derivante dalla valenza della lettera della legge è confermato dalla circostanza che, anche in prece

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

denza, le espressioni « sono tramutati » di cui all'art. 172 dell'or

dinamento giudiziario del 1923 e « sono trasferiti » di cui all'art.

219 dell'ordinamento giudiziario del 1941, stavano già a significa re l'attribuzione di un potere discrezionale, come è indicato dal

fatto che con l'art. 172 ord. giud. 1923 il procedimento di

trasferimento d'ufficio per incompatibilità comprendeva il parere del C.S.M., organo collegiale istituito dalla 1. 14 luglio 1907 n.

511, con attribuzioni consultive e deliberative, sempre — anche

nei periodi in cui il sistema di nomina dei suoi componenti non

fu elettivo — rappresentativo della magistratura, e con l'art. 220

ord. giud. 1941 prevedeva il parere di una commissione centrale

composta da tre magistrati.

Ora, la natura dell'organo chiamato ad esprimere il parere che non era soltanto organo di consulenza tecnica, ma che

era preposto a valutare l'interesse pubblico dell'indipendenza della magistratura, sta ad indicare che l'attività amministrativa

volta al trasferimento d'ufficio del magistrato in situazione di

incompatibilità debba essere intesa come avente carattere di

discrezionalità.

Ulteriore argomento a conferma della tesi proposta si ha dalla

relazione del guardasigilli all'ordinamento giudiziario del 1941.

In tale relazione, al par. 30, si esprimeva con chiarezza che il

potere di tramutamento di ufficio di magistrati per esigenze di

servizio aveva carattere di discrezionalità amministrativa, e l'e

spressione della legge era sempre quella « sono trasferiti » di cui

all'art. 219, al quale rinviava l'art. 222 ord. giud. che prevedeva il

trasferimento d'ufficio di magistrati per esigenze di servizio.

Non può essere dubbio, quindi, che l'espressione « possono essere trasferiti », di cui all'art. 2, 2° comma, legge sulle guarenti

gie, è usata in senso tecnico come attributiva di potere discrezio

nale; questo è poi sottolineato dalla circostanza che tale art. 2, 2°

comma, nella sua originaria formulazione prevedeva la necessità

del parere del C.S.M., per il quale la stessa 1. 511 aveva

reintrodotto il sistema elettivo. Del resto, la tesi prospettata dall'amministrazione ricorrente

potrebbe, nel caso estremo, in cui le situazioni di incompatibilità, di cui all'art. 18, la parte, ord. giud., fossero riferibili a tutti i

magistrati componenti un ufficio giudiziario, alla immediata e

automatica paralisi dell'ufficio, senza che in concreto sia accertata

la violazione della regola di imparzialità — sia nel suo aspetto esteriore che in quello sostanziale — del giudice; il che verrebbe

a contrastare con il principio del buon andamento dell'ammini

strazione pubblica, principio riferibile anche agli uffici giudiziari

(cfr. Corte cost. n. 86 del 1982, Foro it., 1982, I, 1497). Invece, l'esercizio del potere discrezionale nel disporre i trasferimenti,

conseguente alla corretta interpretazione della disposizione in

esame, consente di evitare tale grave inconveniente.

Neppure, poi, dalla ratio della disposizione di legge, che, come è indicato nella circolare del C.S.M. e nella stessa sentenza di

primo grado, mira a tutelare il prestigio della magistratura sotto

l'aspetto della terzietà e dell'assenza di altri interessi, che non siano quello dell'applicazione della legge, nello svolgersi della

funzione giudiziaria — valore questo della imparzialità che va tutelato anche nella sua apparenza — ed al contempo mira a

tutelare la par condicio, fra professionisti, è dato ricavare alcun elemento a sostegno della tesi dell'amministrazione ricorrente.

Che la norma tuteli la trasparenza delle regole del « foro », inteso come ordinamento al quale sono soggetti e giudici e

avvocati, non implica che l'unica interpretazione possibile della

disposizione sia nel senso che essa pone una presunzione iuris et

de iure di lesione dell'interesse, nel caso in cui l'avvocato o il

procuratore, parente fino al secondo grado o affine di primo

grado, sia iscritto all'albo professionale della stessa sede, in cui

si trova l'ufficio di appartenenza del magistrato stesso.

Questa infatti pare essere una conseguenza dell'interpretazione proposta dall'amministrazione appellante, più che un argomento

interpretativo a sostegno di essa.

Infine, avuto riguardo all'inserimento della disposizione in esa me nel complesso del sistema, il Consiglio di Stato è consapevole del fatto che con l'inamovibilità (art. 107 Cost.) è realizzata una

garanzia dell'indipendenza funzionale del giudice, il quale è

soggetto soltanto alla legge (art. 101, 2° comma, Cost.) e della

indipendenza organizzativa della magistratura da ogni altro potere (art. 104, 1° comma Cost.), che, quindi, potrebbe apparire più

garantistico che le deroghe a tale principio, siano il più compiu tamente possibile delineate dalla fonte normativa primaria, ma, da un lato, ciò è impossibile per la estrema varietà di situazioni

concrete che si possono presentare, dall'altro la natura dell'autori

tà, chiamata a dichiarare l'incompatibilità e a disporre il trasfe rimento dei magistrati è essa stessa garanzia dell'indipendenza del

giudice e della magistratura.

Il Foro Italiano — 1985.

Quindi, non appaiono esservi argomenti, che pongono la nor

ma, cosi' come delineata dal giudice di primo grado, in contrasto con la lettera della legge, con la ratio della disposizione o con il sistema.

L'amministrazione ricorrente lamenta, inoltre, in particolare che il T.A.R. del Lazio non abbia indicato quali accertamenti ulterio ri avrebbe dovuto fare e quali altre ragioni di pubblico interesse o di opportunità amministrativa il C.S.M. avrebbe dovuto valuta re per l'emanazione dell'atto discrezionale.

Ora, la stessa ragione, -che ha determinato il legislatore a conferire il potere discrezionale alla p.a., può ravvisarsi nella estrema varietà di elementi con i quali si possono presentare le situazioni concrete che rappresentano il presupposto per l'eserci zio del potere; conseguentemente, certo, non può il giudice dar conto di quali possono essere tutti gli elementi utili per apprezza re il rilievo del fatto rispetto all'interesse da tutelare e per decidere se, quando e come intervenire. Tuttavia, in relazione al

pubblico interesse specifico da tutelare, che emerge dalla disposi zione di legge, indicato nell'interesse alla trasparenza e credibilità dell'attività giudiziaria e nella par condicio fra esercenti la

professione legale (interesse alla trasparenza delle regole del « foro »), due di tali elementi possono essere individuati nelle dimensioni del « foro » e nel rilievo della posizione del magistra to nei confronti del quale si è verificata l'incompatibilità.

Un'incompatibilità di sede verificatasi in una piccola città, cosi come un'incompatibilità di sede verificatasi per un magistrato che sia capo di un ufficio, o che abbia esercitato per lungo tempo funzioni giudiziarie nella sede, o abbia comunque una posizione di spicco, può meritare un apprezzamento diverso rispetto all'in

compatibilità di sede che si sia verificata in una grande città o

per un magistrato che abbia da poco assunto le funzioni, come

può avere particolare valutazione la posizione di un professioni sta, il quale, pur essendo iscritto nell'albo della stessa sede, esercita in un settore completamente diverso, e non ha alcun

rapporto con l'attività espletata dal giudice congiunto (si pensi, ad esempio, all'attività professionale di consulenza).

Elementi di valutazione possono poi essere ricavati sulla base di altri interessi rilevanti, quali il già ricordato interesse pubblico al buon andamento dell'amministrazione della giustizia, anche in relazione agli interessi privati del magistrato, che trovano rico

noscimento nell'ordinamento.

Alla luce delle considerazioni esposte, il collegio ritiene che il

provvedimento del C.S.M. di trasferimento d'ufficio del magistrato per incompatibilità di sede, sia atto discrezionale.

Le impugnate sentenze devono, pertanto, essere confermate.

(Omissis)

CONSIGLIO DI STATO; adunanza plenaria; decisione 20 feb

braio 1985, n. 3; Pres. Pescatore, Est. Bozzi; Impresa Frapiccini (Avv. Stecconi) c. Istituto autonomo case popolari di Macerata

(Avv. Felici). Annulla T.A.R. Marche 25 marzo 1981, n. 172

e 27 maggio ,1981, n. 346.

Opere pubbliche — Appalto — Revisione dei prezzi — Acco

glimento parziale — Giurisdizione amministrativa (D.l.c.p.s. 6 dicembre 1947 n. 1501, nuove disposizioni per la revisione dei prezzi contrattuali degli appalti di opere pubbliche, art. 1, 4; 1. 10 dicembre 1981 n. 741, ulteriori norme per l'accelerazio ne delle procedure per l'esecuzione di opere pubbliche, art. 17).

Opere pubbliche — Appalto — Revisione dei prezzi — Ricorso amministrativo — Competenza ministeriale (D.l.c.p.s. 6 di cembre 1947 n. 1501, art. 4; 1. 22 ottobre 1971 n. 865,

programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche e

integrazioni alle 1. 17 agosto 1942 n. 1150; 18 aprile 1962 n.

167; 29 settembre 1964 n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell'edilizia residenziale, a

gevolata e convenzionata; d.p.r. 15 gennaio 1972 n. 8, trasferi

mento alle regioni a statuto ordinario delle funzioni ammini

strative statali in materia di urbanistica e di viabilità, acquedot ti e lavori pubblici di interesse regionale e dei relativi persona le e uffici; d.p.r. 30 dicembre 1972 n. 1036, norme per la

riorganizzazione delle amministrazioni e degli enti pubblici

operanti nel settore dell'edilizia residenziale pubblica; d.p.r. 24

luglio 1977 n. 616, attuazione della delega di cui all'art. 1 1. 22

luglio 1975 n. 382, art. 87).

Opere pubbliche — Appalto — Revisione dei prezzi — Criteri

di determinazione — Fattispecie.

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