sezione lavoro; ordinanza 11 luglio 1998, n. 640; Pres. Pontrandolfi, Rel. Cataldi, P.M. Fedeli(concl. diff.); Inps (Avv. Fabiani, Giordano) c. Di Corato e altri (Avv. Pellegrini)Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 1 (GENNAIO 1999), pp. 207/208-209/210Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193038 .
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PARTE PRIMA
(comunque si valuti l'obbligazione dallo stesso assunta, come
«di risultato» o «di mezzi»), è infatti obbligato, a norma del
l'art. 1176 c.c., ad usare, nell'adempimento delle obbligazioni inerenti alla sua attività, la diligenza del buon padre di fami
glia, con la conseguenza che egli risponde anche per la colpa lieve (solo per dolo o colpa grave, a norma dell'art. 2236 c.c., nel caso che la prestazione dedotta in contratto implichi la solu
zione di problemi tecnici di particolare difficoltà). Nella corretta applicazione degli anzidetti principi, pertanto,
la corte d'appello, accertato che la mancata approvazione del
progetto era dipesa da colpa del professionista, ha ritenuto giu stificato il rifiuto del committente al pagamento del compenso.
(Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; ordinanza 11 luglio 1998, n. 640; Pres. Pontrandolfi, Rei. Cataldi, P.M. Fe
deli (conci, diff.); Inps (Avv. Fabiani, Giordano) c. Di Co
rato e altri (Avv. Pellegrini).
Previdenza e assistenza sociale — Indennità di mobilità — La
voratrici ultracinquantenni in possesso dei requisiti per la pen sione di vecchiaia — Esclusione — Questione non manifesta
mente infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 37; 1. 23
luglio 1991 n. 223, norme in materia di cassa integrazione,
mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di diretti ve della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre di
sposizioni in materia di mercato del lavoro, art. 7).
Non è manifestamente infondata la questione di legittimità co
stituzionale dell'art. 7,3° comma, l. 23 luglio 1991 n. 223, nella parte in cui, disponendo che l'indennità di mobilità non
venga corrisposta successivamente alla data del compimento dell'età pensionabile, prevede l'anticipato allontanamento dal
mondo del lavoro, con incidenza anche sull'anzianità contri
butiva, e, quindi, sulla misura della pensione della donna che
abbia maturato il diritto alla pensione di vecchiaia, in riferi mento agli art. 3 e 37 Cost. (1)
(1) Contra, nel senso della legittimità costituzionale della norma di cui all'art. 7, 3° comma, 1. 223/91 nella parte in cui esclude dal diritto all'indennità di mobilità le lavoratrici ultracinquantenni in possesso dei requisiti pensionistici di vecchiaia, Cass. 3 aprile 1998, n. 3439, Foro it., Mass., 364, in cui si afferma che l'indennità di mobilità è finalizza ta ad assicurare per qualche tempo una forma di assistenza ai lavoratori che, per effetto della cessazione del rapporto, non possono fare ricorso a forme alternative di reddito per assicurare la soddisfazione di esigenze primarie; pertanto risponde alla stessa ratio di tale indennità l'incompa tibilità prevista dal citato art. 7, 3° comma, 1. 223/91, tra essa e la pensione di vecchiaia o la maturazione del relativo diritto, con la conse guenza che la suddetta indennità non spetta alle lavoratrici ultracin quantenni che abbiano già maturato tutti i requisiti per il riconoscimen to della pensione di vecchiaia, atteso che l'età pensionabile per le donne resta ferma al compimento del cinquantacinquesimo anno pure dopo l'intervenuta parificazione dell'età lavorativa a quella degli uomini per effetto di Corte cost. n. 498 del 1988, id., 1988, I, 1769, e che, pertan to, tale età rappresenta per le donne legittimo punto di riferimento, anche in difformità della diversa condizione dell'uomo, per il riconosci mento o disconoscimento di provvidenze estranee alla semplice protra zione del rapporto di lavoro, senza che, peraltro, possa configurarsi una lesione del principio di uguaglianza, posto che la disparità di tratta mento tra uomini e donne è una conseguenza del privilegio conservato dalle lavoratrici in ordine al requisito di età per avere diritto alla pen sione di vecchiaia.
Sul tema affrontato dalla riportata ordinanza, oltre alle decisioni ci tate in motivazione, v. Corte cost., ord. 28 febbraio 1997, n. 54, id., Rep. 1997, voce Previdenza sociale, n. 397 (che ha affrontato — resti tuendo gli atti al giudice a quo per un riesame della rilevanza alla luce dello ius superveniens — la materia dell'indennità di mobilità fino al momento della maturazione del diritto a pensione).
Il Foro Italiano — 1999.
Fatto. — Il Tribunale di Genova ha confermato la sentenza
del pretore della stessa città che aveva accolto il ricorso propo sto dalle sig. Riccardina Di Corato, Clelia Lanza e Maria Luisa
Fogli dipendenti ultracinquantacinquenni della società Connel, le quali avevano chiesto di essere ammesse ad usufruire dei be
nefici previsti dalla 1. 23 luglio 1991 n. 223, in relazione alla
procedura per la dichiarazione di mobilità che la società Connel
aveva attivato nei loro confronti, benefici loro negati dall'Inps sulla base dell'art. 9 r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636, come modifi
cato dall'art. 2 1. 4 aprile 1952 n. 218, che stabilisce a sessanta
anni per gli uomini ed a cinquantacinque anni per le donne, l'età pensionabile.
Il Tribunale di Genova, nel confermare la decisione di acco
glimento della domanda, ha osservato — richiamando gli inter
venti della Corte costituzionale in materia ed in particolare la
sentenza n. 137 del 18 giugno 1986, Foro it., 1986, I, 1749, che aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale degli art. 11
1. 604/66 e 9 r.d.l. 636/39, convertito in 1. 6 maggio 1939 n.
1272, nella parte in cui prevedevano il conseguimento della pen sione di vecchiaia e, quindi, il licenziamento della donna lavo
ratrice per questo motivo, al compimento del cinquantacinque simo anno di età anziché del sessantesimo, come per l'uomo — che quando il legislatore si riferisce all'età pensionabile, deve
intendersi il sessantesimo anno di età, sia per l'uomo che per la donna, ferma restando la facoltà per la donna di ottenere
il pensionamento al compimento dei cinquantacinque anni di età.
Per la cassazione della sentenza del tribunale l'Inps propone ricorso censurando la sentenza impugnata per aver trascurato
la differenza esistente tra il concetto di età lavorativa della don
na, spostata a sessanta anni, e quella di età pensionabile, rima
sta distinta per gli uomini (sessanta anni) e per le donne (cin
quantacinque anni) e per non aver valutato il contenuto e la
ratio dell'art. 7, 3° comma, 1. 23 luglio 1991 n. 223 che richia
ma l'età pensionabile — cioè, per le donne, il cinquantacinque simo anno di età — e non l'età lavorativa.
Resistono le lavoratrici chiedendo, ove la corte avesse ritenu
to esatta l'interpretazione dell'Inps, la rimessione degli atti alla
Corte costituzionale, sollevando la questione di legittimità co
stituzionale dell'art. 7, 3° comma, 1. 223/91 per violazione del
l'art. 3 Cost., stante la disparità di trattamento, fondata esclu
sivamente sul sesso, tra l'uomo, che può fruire del trattamento di mobilità sino al compimento di sessanta anni e può così in
crementare l'anzianità contributiva, e la donna che, compiuti
cinquantacinque anni, non avendo accesso al trattamento di mo
bilità non ha la possibilità di incrementare l'anzianità contri
butiva.
Diritto. — Il 3° comma dell'art. 7 1. 23 luglio 1991 n. 223
stabilisce: «l'indennità di mobilità è adeguata, con effetto dal 1° gennaio di ciascun anno, in misura pari all'aumento dell'in
dennità di contingenza dei lavoratori dipendenti. Essa non è
comunque corrisposta successivamente alla data del compimen to dell'età pensionabile ovvero, se a questa data non è ancora maturato il diritto alla pensione di vecchiaia, successivamente alla data in cui tale diritto viene a maturazione».
Il punto decisivo della controversia è quello di stabilire se l'età pensionabile cui fa riferimento la norma in esame corri
sponda, per la donna a quella in cui ha facoltà di andare in
pensione (cinquantacinque anni) o se tale età debba considerarsi
Sia pure con riferimento alle lavoratrici del settore siderurgico, la Corte costituzionale (ord. 16 dicembre 1996, n. 397, ibid., n. 877, e 7 giugno 1996, n. 192, ibid., n. 678) in tema di accredito contributivo conseguente ad indennità di mobilità, ha dichiarato la manifesta infon datezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 27 1. 223/91 nella parte in cui non prevede, nell'ipotesi di prepensionamento delle lavoratrici del settore siderurgico, che queste possano godere dello stes so accredito di anzianità contributiva stabilito per i lavoratori dello stesso settore. Ciò in quanto la corte, con sentenza n. 64 del 1996 (id., Rep. 1996, voce cit., n. 696) nel decidere analoga questione, ha ritenuto che la normativa (art. 1 1. 451/94) attribuisce una maggiorazione dell'anzia nità contributiva fissata, per entrambi i sessi, nella misura di dieci anni.
Sul tema, G. Mannacio, Il limite di età per la pensione dì vecchiaia a favore dei dipendenti in mobilità corta, in Lavoro giur., 1997, 499; G. Della Rocca, L'indennità di mobilità alle lavoratrici madri, in Dir. lav., 1995, II, 436; M. Cinelli, L'indennità di mobilità, in Dir. lav. Marche, 1991, 233; G. Dondi, Interrogativi sull'indennità di mobilità, in Mass. giur. lav., 1992, 437.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
raggiunta, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n.
137 del 1986, cit., al sessantesimo anno di età, così per le donne
come per gli uomini.
La ratio della norma in esame è, senza dubbio, quella di assi
curare un intervento assistenziale pubblico mediante l'erogazio ne del trattamento di mobilità a favore del lavoratore privo di
tutela a fronte dell'eventuale insorgenza di uno stato di disoc
cupazione, esigenza che il legislatore ha ritenuto non sussistente
quando il soggetto possa far fronte, per aver maturato il tratta
mento pensionistico di vecchiaia, alle proprie necessità di vita.
Deve pertanto ritenersi, in base ad una lettura della norma che
corrisponda alla ratio della stessa, che per le donne l'età pensio nabile cui fa riferimento la norma in esame corrisponda al com
pimento del cinquantacinquesimo anno, in quanto al raggiungi mento dell'età indicata, esse hanno diritto al trattamento pen sionistico di vecchiaia.
Come ha chiarito in proposito la Corte costituzionale con
la sentenza 27 aprile 1988, n. 498, id., 1988, I, 1769, la statui
zione precettiva e la rilevanza innovativa nell'ordinamento giu ridico della sentenza della stessa corte n. 137 del 1986, cit., han
no riguardato solo l'«età lavorativa» della donna, sancendo il
diritto della stessa alla prosecuzione del rapporto di lavoro sino
al compimento del sessantesimo anno di età come per l'uomo,
e non la postergazione dell'età pensionistica che per la donna
è rimasta ferma al cinquantacinquesimo anno di età, essendo
il riferimento alle norme sul pensionamento anticipato per vec
chiaia della donna rispetto all'uomo, contenuto nella stessa sen
tenza, meramente incidentale; la non coincidenza per le donne
lavoratrici dell'«età lavorativa» con l'«età pensionabile» è stata
successivamente ribadita dal giudice delle leggi con le successive
sentenze 6 luglio 1989, n. 371, id., 1991, I, 2952, e 18 novembre
1993, n. 404, id., Rep. 1993, voce Previdenza sociale, n. 269.
È evidente pertanto la rilevanza della questione di legittimità costituzionale della normativa in esame in quanto l'Inps ha ne
gato il diritto all'indennità di mobilità alle lavoratrici proprio in base al riferimento all'età pensionabile contenuto nell'art.
7, 3° comma, della citata 1. 23 luglio 1991 n. 223 in quanto le resistenti, tutte ultracinquantacinquenni, avevano maturato
il diritto ad ottenere la pensione di vecchiaia.
Questa corte rileva poi che la questione di legittimità costitu
zionale non è manifestamente infondata.
Il citato art. 7 1. n. 223 del 1991 dopo aver disposto che i
lavoratori collocati in mobilità ai sensi dell'art. 4 della stessa
legge e in possesso dei necessari requisiti hanno diritto ad una
indennità per un periodo massimo, per gli ultracinquantenni di
trentasei mesi (1° comma), al successivo 9° comma stabilisce
che i periodi di godimento dell'indennità di mobilità sono rico nosciuti d'ufficio utili ai fini del conseguimento del diritto alla
pensione e ai fini della determinazione della misura della pen
sione stessa.
La stessa legge prevede, poi, misure atte a favorire la rioccu
pazione dei lavoratori in mobilità stabilendo (art. 8, 1° comma)
che essi, ai fini del collocamento, abbiano diritto di precedenza
nell'assunzione presso la stessa azienda che aveva avviato la pro cedura di mobilità e concedendo ai datori di lavoro che, senza
esservi tenuti, assumano a tempo pieno e indeterminato i lavo
ratori iscritti nella lista di mobilità, un contributo mensile pari
al cinquanta per cento dell'indennità di mobilità che sarebbe
stata corrisposta al lavoratore.
È evidente che l'esclusione delle lavoratrici ultracinquantacin
quenni che hanno raggiunto l'età pensionabile, dai benefici col
legati al collocamento in mobilità, di cui i lavoratori di sesso
maschile possono usufruire sino all'età di sessanta anni, incide
direttamente sulla loro capacità lavorativa escludendole defini
tivamente dal mondo del lavoro e non consentendo di incre
mentare la loro anzianità contributiva contrariamente a quanto
previsto per i lavoratori in mobilità in favore dei quali sono
riconosciuti contributi figurativi per tutto il periodo di godi mento dell'indennità di mobilità. La norma si risolve, in so
stanza, in un pensionamento obbligato della donna a cinquan
tacinque anni e costituisce una sorta di deminutio per chi si
sente ancora in grado di lavorare per continuare così ad assicu
rare un più completo svolgimento della sua personalità, in con
trasto con i principi costituzionali già ricordati in base ai quali
l'età lavorativa è identica per l'uomo e per la donna potendo
entrambi lavorare sino a sessanta anni.
Questa corte ritiene pertanto non manifestamente infondata
Il Foro Italiano — 1999.
la questione di legittimità costituzionale, in relazione agli art.
3 e 37 Cost., dell'art. 7, 3° comma, 1. 23 luglio 1991 n. 223
nella parte in cui, disponendo che l'indennità di mobilità non
venga corrisposta successivamente alla data del compimento del
l'età pensionabile, prevede l'anticipato allontanamento dal mondo
del lavoro, con incidenza anche sull'anzianità contributiva e,
quindi, sulla misura della pensione, della donna che abbia ma
turato il diritto alla pensione di vecchiaia, in relazione ad un
elemento che l'ordinamento costituzionale esclude quale possi bile causa di giustificazione di trattamenti discriminatori come
la diversità del sesso.
Tenuto conto delle considerazioni che precedono, gli atti de
vono essere trasmessi alla Corte costituzionale con sospensione del presente procedimento.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 27 giugno
1998, n. 6393; Pres. De Tommaso, Est. Vid tri, P.M. Giaca
lone (conci, conf.); Laudani (Avv. Magnano Di San Lio) c. Partito popolare italiano e Cristiani democratici uniti (Aw.
Masci). Conferma Trib. Roma 25 settembre 1995.
Partiti politici — Inquadramento — Associazioni non ricono
sciute — Democrazia cristiana — Successione a titolo univer
sale — Esclusione — Litisconsorzio necessario fra Ppi, Ccd
Cdu — Inammissibilità (Cod. civ., art. 36, 37; cod. proc.
civ., art. 110, 299, 331, 360, 416).
Non può sussistere litisconsorzio necessario fra il Partito popo lare italiano, i Cristiani democratici uniti ed il Centro cristia
ni democratici in ipotesi di giudizio originariamente instaura
to contro la Democrazia cristiana, in quanto l'inquadrabilità dei partiti politici nello schema delle associazioni non ricono
sciute, porta ad escludere una ipotesi di successione a titolo
universale fra la De ed i suddetti partiti. (1)
Svolgimento del giudizio. — Con ricorso al Pretore di Roma,
Placido Laudani conveniva in giudizio la Democrazia cristiana,
assumendo di avere prestato lavoro subordinato alle dipendenze della direzione centrale di detto partito dal 2 dicembre 1947
al 30 giugno 1980, ad eccezione di alcuni periodi di sospensione concordata del rapporto. Nel febbraio 1968 aveva assunto la
qualifica di dirigente tecnico e nel 1970 gli era stata affidata la direzione dell'ufficio programmazione economica, cui avreb
be dovuto conseguire il riconoscimento della massima qualifica,
quella cioè di capo di servizio, prevista dal regolamento del per sonale della sede centrale, con tutte le relative conseguenze di
ordine economico. Tutto ciò premesso e lamentando ancora il
(1) Non constano precedenti negli esatti termini.
Sull'estinzione del Pei quale associazione non riconosciuta e sulla le
gittimazione del successore Pds in tema di tutela giurisdizionale dei rap
porti sia di diritto che di fatto, cfr. Pret. Civitavecchia 9 agosto 1991, Foro it., Rep. 1992, voce Associazione non riconosciuta, nn. 32, 34,
35, e Giur. merito, 1992, 18.
È pacifico l'inquadramento dei partiti politici nell'ambito delle asso
ciazioni non riconosciute: cfr., in tal senso, Trib. Roma 23 marzo 1995,
Foro it., 1995, I, 2562, con nota di richiami.
In dottrina, sul tema in generale, cfr. Venuti, Sugli effetti dello scio
glimento di un'associazione non riconosciuta, in Nuova giur. civ., 1993,
I, 526. Ancora in dottrina, sulle associazioni non riconosciute in generale,
cfr. Bartolomucci, Vecchie problematiche e nuovi orientamenti in te
ma di associazioni non riconosciute, in Giusi, civ., 1987, II, 425; De
Giorgi, Applicabilità degli art. 30 c.c. e 11-21 disp. att. alle associazio
ni non riconosciute, in Nuova giur. civ., 1987, I, 657; Marino, Rifles sioni in tema di associazioni non riconosciute e figure affini, in Riv.
not., 1986, 696; D'Ambrosio, Tutela giurisdizionale nelle associazioni
e nei partiti politici, in Giur. merito, 1989, 287.
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