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sezione lavoro; sentenza 1° agosto 2000, n. 10084; Pres. Grieco, Est. Dell'Anno, P.M. Frazzini...

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sezione lavoro; sentenza 1° agosto 2000, n. 10084; Pres. Grieco, Est. Dell'Anno, P.M. Frazzini (concl. conf.); Piccone e altro (Avv. Magrone, Brunetti) c. Autorità portuale di Savona (Avv. Natoli, Piscitelli). Conferma Trib. Savona 27 febbraio 1997 Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 10 (OTTOBRE 2001), pp. 2935/2936-2937/2938 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23196333 . Accessed: 25/06/2014 02:53 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 62.122.79.69 on Wed, 25 Jun 2014 02:53:35 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 1° agosto 2000, n. 10084; Pres. Grieco, Est. Dell'Anno, P.M. Frazzini(concl. conf.); Piccone e altro (Avv. Magrone, Brunetti) c. Autorità portuale di Savona (Avv.Natoli, Piscitelli). Conferma Trib. Savona 27 febbraio 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 10 (OTTOBRE 2001), pp. 2935/2936-2937/2938Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196333 .

Accessed: 25/06/2014 02:53

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2935 PARTE PRIMA 2936

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 1° ago sto 2000, n. 10084; Pres. Grieco, Est. Dell'Anno, P.M.

Frazzini (conci, conf.); Piccone e altro (Avv. Magrone,

Brunetti) c. Autorità portuale di Savona (Avv. Natoli, Pi

scitelli). Conferma Trib. Savona 27febbraio 1997.

Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Congelamento retributivo — Enti autonomi portuali — Applicabilità (D.l. 19 settembre 1992 n. 384, misure urgenti in materia di

previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonché disposi zioni fiscali, art. 7; 1. 14 novembre 1992 n. 438, conversione

in legge, con modificazioni, del d.l. 19 settembre 1992 n.

384).

La disposizione dell'art. 7, 1° comma, d.l. 19 settembre 1992 n.

384, convertito in l. 14 novembre 1992 n. 438, nella parte in

cui stabilisce il blocco per tutti i pubblici dipendenti degli in

crementi retributivi, deve applicarsi — com'è dato evincere

dal terzo periodo del 10 comma di tale articolo — oltre che al

personale disciplinato da leggi particolari (sicurezza pubbli

ca, forze armate, Consiglio nazionale delle ricerche, borse di

commercio, carceri e società commerciali) ed a quello dipen dente da enti pubblici non economici, anche a quello degli

enti, delle aziende o società produttrici di servizi di pubblica utilità che, organizzati in forma imprenditoriale e con rap

porto di lavoro privatistico, si limitino alla produzione di ser

vizi di pubblica utilità; fra tali enti economici devono ricom

prendersi anche gli enti autonomi portuali. (1)

Svolgimento del processo. — Con ricorso del 26 aprile 1993,

Piccone Antonietta, Canavese Cristoforo, Debenedetti Pierluigi e Gagliardi Carlo —

premesso che, essendo dipendenti del

l'Ente autonomo del porto di Savona quali dirigenti, avevano

diritto a ottenere, per l'anno 1993, i miglioramenti retributivi

previsti dalla contrattazione collettiva per i dirigenti delle

aziende industriali private sanciti dall'accordo del 18 febbraio

1992, e la Piccone e il Canavese anche quelli automatici conse

guenti alla anzianità maturata, che erano stati invece illegittima mente rifiutati — convennero in giudizio il datore di lavoro

avanti il Pretore di Savona perché lo stesso venisse condannato

al pagamento, in proprio favore, delle somme loro dovute.

(1) In tema di trattamento economico dei pubblici dipendenti, la

Cassazione stabilisce, individuandone i destinatari, l'ambito di applica zione dell'art. 7, 1° comma, d.l. n. 384 del 1992. Si segnalano, in parti colare per l'applicabilità della norma ad altre categorie di dipendenti

pubblici, Corte conti, sez. contr. enti, 6 aprile 1993, n. 15, Foro it.,

Rep. 1994, voce Amministrazione dello Stato, n. 330 (relativamente al

personale dell'Ufficio italiano cambi), e 26 gennaio 1993. n. 47, ibid., voce Impiegato dello Stato, n. 624 (relativamente al personale dell'I stituto nazionale commercio estero). Per la conformità a Costituzione della disposizione in questione, cfr. Corte cost. 1° luglio 1993. n. 296, id., 1994,1, 673. La massima in epigrafe deve essere comunque letta in relazione al d.leg. 29/93 con il quale è stato privatizzato il settore del

pubblico impiego e, in particolare, con l'art. 49 che stabilisce il divieto dì procedere alla determinazione del trattamento economico dei pubbli ci dipendenti con provvedimenti legislativi; cfr. Corte conti, sez. contr., 8 gennaio 1998, n. 3, id., Rep. 1998, voce Censimento, n. 12. In tale ot

tica, pertanto, deve considerarsi la norma dell'art. 7, 1° comma, d.l. 384/92 che è frutto di un sistema di regolamentazione uniforme del

rapporto di lavoro pubblico con quello privato. E opportuno evidenzia re che l'autorità portuale, istituita con la 1. 28 gennaio 1994 n. 84, è su bentrata ai vecchi enti autonomi portuali ed alle aziende dei mezzi meccanici e magazzini a cui spettavano competenze di natura economi ca. La recente riforma ha dotato le autorità portuali di poteri di coordi

namento, indirizzo, programmazione, promozione e controllo delle at tività produttive portuali, escludendo in via generale competenze ge stionali, con la conseguenza di condizionare la natura delle stesse come enti pubblici non economici: cfr. Corte conti, sez. contr. enti, 12 aprile 1994, n. 15, id., Rep. 1994, voce Amministrazione dello Stato, n. 226.

Tuttavia, la recente giurisprudenza, unitamente a quella di cui alla mas sima in epigrafe, è di avviso contrario circa la natura di detti enti e li

qualifica come enti pubblici economici: Cass. 14 ottobre 2000, n.

13729, id., Rep. 2000, voce Impiegato dello Stato, n. 299; 28 ottobre

1998, n. 10729, ibid., n. 300; 6 maggio 1996, n. 4187, id., Rep. 1997, voce cit., n. 221.

Il Foro Italiano — 2001.

Costituitosi in giudizio, l'Ente autonomo del porto di Savona

contestò la fondatezza della pretesa, ostando al suo ac

coglimento il disposto dell'art. 7, 1° e 3° comma, d.l. 19 set

tembre 1992 n. 384, convertito nella 1. n. 438 del 1992.

Il pretore accolse le domande con pronuncia resa il 4 maggio 1994, che, appellata dall'ente, è stata riformata dal Tribunale di

Savona con la sentenza indicata in epigrafe. Il giudice di secondo grado ha rilevato che la stessa letterale

formulazione della disposizione normativa in materia di blocco

di aumenti retributivi, contenuta nel provvedimento d'urgenza

sopra indicato — dettato dall'esigenza di fronteggiare la gravità della situazione economica e di comprimere perciò i capitoli di

spesa gravanti sul bilancio statale — era tale da far ritenere co

me destinatari del divieto anche gli enti pubblici economici pro duttori di servizi di pubblica utilità, ai quali nella stessa si era

fatto espresso riferimento, dovendo ritenersi esclusi solo gli en

ti, aziende o società tra le cui finalità vi fosse quella della pro duzione di utili di gestione o, almeno, della copertura dei relati

vi costi, mentre quelli produttori di servizi di pubblica utilità, dovendo praticare «prezzi politici», sono impossibilitati a chiu

dere i propri bilanci in pareggio, a nulla rilevando che il loro

rapporto di lavoro con i dipendenti abbia natura privatistica, es

sendo invece determinante l'onere finanziario di carattere pub blico.

Piccone Antonietta e Gagliardi Carlo chiedono la cassazione

della decisione con ricorso sostenuto da due motivi e illustrato

con memoria.

L'autorità portuale di Savona resiste con controricorso.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo — denuncian

do violazione dell'art. 14 delle disposizioni sulla legge in gene rale — i ricorrenti deducono che erroneamente il tribunale ha

adottato una interpretazione finalistica delle disposizioni di cui

all'art. 7 d.l. n. 384 del 1992 (convertito nella 1. n. 438 dello

stesso anno), di carattere speciale, in luogo di quella letterale.

Con il secondo e articolato motivo si lamenta violazione e

falsa applicazione della norma sopra citata, nonché omessa e in

sufficiente motivazione. A questo proposito, viene esposto che:

a) essendo la norma intervenuta per dettare una disciplina in

materia di «pubblico impiego», debbono ritenersi esclusi dal

l'ambito di operatività della stessa i rapporti di lavoro privato e

quindi quelli dei dipendenti di enti pubblici economici ai quali, diversamente da quelli non economici, dovevano continuare ad

applicarsi le allora vigenti pattuizioni contrattuali;

b) in ogni caso, il divieto di aumenti retributivi si riferiva a

quelli previsti dalle norme legislative vigenti e dai nuovi accordi

contrattuali, stabilendosi che questi avrebbero dovuto dispiegare successivamente effetto, posticipandone la decorrenza nella loro

applicazione al 1° gennaio 1994, ma non a quelli che, come

nella specie, già erano in vigore alla data del 19 settembre 1992, di pubblicazione del testo normativo nella Gazzetta ufficiale.

Le due ragioni di censura —- che vanno esaminate congiun tamente attesa la loro interconnessione — sono infondate.

Deve anzitutto escludersi che, come invece viene sostenuto

dai ricorrenti, il giudice di merito abbia adottato una interpreta zione analogica della disposizione dettata dal 1° comma del

l'art. 7 sopra citato, estendendo la sua operatività — che è li

mitata, per la sua stessa formulazione, ai trattamenti economici

contrattualmente previsti per il personale facente parte del

«pubblico impiego» e per quello «comunque dipendente da enti

pubblici economici» — anche ai dipendenti di enti pubblici economici, e ciò in forza di una lettura della disposizione stessa

in chiave finalistica. E invero, contrariamente a un tale assunto, il tribunale è per

venuto al suo giudizio ricorrendo a una interpretazione «lette

rale» della disposizione in questione, rilevando che la sua for

mulazione testuale induceva a logicamente ritenere che il legis latore avesse inteso estendere il «congelamento» retributivo «a

tutti quei dipendenti che, pur non essendo pubblici impiegati in

senso stretto, sono retribuiti attraverso capitoli di spesa destinati

a gravare sul bilancio dello Stato», restando esclusi i dipendenti degli enti pubblici economici, con l'eccezione, peraltro, espres samente prevista, di quelli produttori di servizi di pubblica uti

lità, in quanto sostanzialmente impossibilitati alla chiusura in

pareggio dei relativi bilanci. Le conclusioni cui è pervenuto il tribunale sono corrette.

Deve, infatti, marcarsi che, ai sensi del terzo periodo del 1°

comma dell'art. 7 d.l. n. 384 del 1992, la disposizione restrittiva

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

deve applicarsi oltre che al personale disciplinato da leggi parti colari (sicurezza pubblica, forze armate, Consiglio nazionale

delle ricerche, borse di commercio, carceri e società commer

ciali), a quello dipendente da enti pubblici non economici, «nonché a quello degli enti, delle aziende o società produttrici di servizi di pubblica utilità».

Orbene l'uso del congiuntivo «nonché» (sinonimo di quello di «inoltre») rende assolutamente evidente che, nell'intento di

conseguire il contenimento del disavanzo pubblico, il legislatore ha voluto aggiungere alle categorie prima dettagliatamente elen

cate altra ancora che, tra quelle, non poteva farsi rientrare for

malmente, da esse distinguendosi ma i cui costi pur sempre gra vano sullo Stato e, cioè, proprio quella dei dipendenti degli enti

pubblici economici che, organizzati in forma imprenditoriale e

pertanto con rapporto di lavoro privatistico, si limitino alla pro duzione di servizi di pubblica utilità, tra i quali appunto erano

gli enti porto; sostanzialmente così ripetendosi la previsione, in

dubbiamente più analitica, dell'art. 6 1. n. 41 del 1986.

Quanto, poi, al fatto che, con riferimento a questi enti, sia

stata «fatta salva la decorrenza del periodo contrattuale», ciò si

deve ovviamente alla considerazione che non necessariamente

la relativa regolamentazione contrattuale in materia di tratta

mento economico prevedesse identica data di decorrenza del pe riodo di riferimento rispetto a quella degli accordi di comparto aventi scadenza triennale.

Ne deve derivare che — in forza delle prescrizioni contenute

nel 1° e 3° comma d.l. più volte richiamato, commi tra loro in

scindibilmente connessi — dovevano ritenersi inconcedibili per tutto l'anno 1993 sia i miglioramenti economici previsti da con

tratti collettivi (se non nella misura forfetariamente stabilita di

lire 20.000 mensili) che incrementi retributivi conseguenti ad

automatismi stipendiali. Del ricorso si impone, pertanto, la reiezione.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 28 lu glio 2000, n. 9906; Pres. Annunziata, Est. Fiore, P.M. Gam

bardella (conci, parz. diff.); Corna e altra (Avv. Peiretti,

Tucci, Codignola) c. Comune di Villa di Serio (Avv. Co

chetti, Onofri). Conferma App. Brescia 21 agosto 1998.

Appello civile — Eccezioni e domande superate o assorbite — Riproposizione — Appello incidentale — Necessità —

Esclusione (Cod. civ., art. 2909; cod. proc. civ., art. 112,

333). Procedimento civile — Cancellazione della causa dal ruolo

— Atto di riassunzione — Indicazione di giudice istruttore

diverso da quello originariamente designato — Nullità

(Cod. proc. civ., art. 156, 181, 307, 309; disp. att. cod. proc. civ., art. 125).

La parte totalmente vittoriosa nel giudizio di primo grado non

ha l'onere di proporre appello incidentale per ottenere il rie

same delle eccezioni e delle domande dedotte dinanzi al giu dice di prime cure le quali risultino assorbite o superate in

sentenza, essendo sufficiente, a tal fine, che le stesse siano ri

proposte al giudice di secondo grado. ( 1 )

(1) Giurisprudenza costante. Ex plurimis, v., citate in motivazione, Cass. 19 novembre 1996, n. 10119, Foro it., Rep. 1996, voce Appello civile, n. 46; 6 aprile 1995, n. 4024, id., Rep. 1995, voce cit., n. 23; 11 ottobre 1994, n. 8294, id., Rep. 1994, voce cit., n. 51.

Il Foro Italiano — 2001.

In ipotesi di cancellazione della causa dal ruolo, è nullo, in

quanto privo dei requisiti indispensabili per il raggiungi mento dello scopo, l'atto di riassunzione che contenga l'in

vito a comparire davanti ad un giudice istruttore diverso da

quello, facente tuttora parte dell'ufficio, cui risultava asse

gnato il processo cancellato. (2)

(2) Nello stesso senso, v. Trib. Bologna 5 marzo 1956, Foro it., 1957, I, 692, con nota adesiva di Poggeschi, Indicazione del giudice istruttore e nullità dell'atto di riassunzione ex art. 307 c.p.c., nonché, in dottrina, Saletti, La riassunzione del processo civile, Milano, 1981, 271, 293 s.; Bonsignori, Problemi dibattuti in tema di riassunzione del

processo di cognizione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1962, 1090; Cole

santi, La cancellazione della causa dal ruolo, id., 1961, 202. Nel senso che non occorre che la parte che provvede alla riassunzione indichi nominativamente il g.i. dinanzi al quale pendeva il processo riassunto, v. App. Roma 19 febbraio 1964, Foro it., Rep. 1965, voce Procedi mento in materia civile, n. 411; App. Milano 10 febbraio 1961, id.,

Rep. 1961, voce cit., n. 320.

* * *

La cancellazione della causa dal ruolo tra libertà e autoritarismo.

1. - La sentenza in epigrafe offre lo spunto per riflettere sulla can cellazione della causa dal ruolo, un istituto che, considerati i limitati ef fetti che produce e lo scarso rilievo che ha nel sistema processuale, non ha mai destato grande interesse, ma che, ultimamente, è stato oggetto di

particolare attenzione da parte di taluni autori, seppure in una prospet tiva de iure condendo.

Di recente, infatti, al fine di porre rimedio al grave stato di crisi in cui versa la giustizia civile nel nostro paese nonostante le riforme del 1990 e del 1995, vi è stato chi, molto autorevolmente, ha proposto al cuni interventi «per evitare che si vada verso il definitivo collasso»,

suggerendo, tra le altre cose, di «ricollegare l'immediata cancellazione della causa dal ruolo all'assenza di entrambe le parti all'udienza e attri buire al giudice il potere di cancellare d'ufficio la causa dal ruolo qua lora le parti, dopo alcune udienze di rinvio (tre o quattro), intendano ancora concordemente soprassedere alla trattazione» (1).

La proposta desta interesse in quanto segna la prima decisa presa di

posizione della dottrina in ordine alla necessità di procedere alla modi fica della disciplina della diserzione bilaterale dell'udienza, un'esigen za che, sinora, era stata avvertita soltanto da alcuni giudici di merito.

Negli ultimi cinque anni, infatti, quattro giudici togati ed un giudice di

pace hanno sollevato d'ufficio per ben cinquantaquattro volte la que stione di legittimità costituzionale degli art. 181, 1° comma, e 309

c.p.c., prima per violazione degli art. 3, 2° comma, 24, 1° comma, e 97

Cost., più di recente per contrasto con l'art. 111 Cost., nella parte in cui

obbligano il giudice, in caso di mancata comparizione all'udienza di entrambe le parti, a fissare una nuova udienza da comunicarsi, a cura del cancelliere, alle parti costituite, non consentendogli, invece, di pro cedere all'immediata cancellazione della causa dal ruolo. In particolare, i giudici rimettenti hanno sempre posto in evidenza che la fissazione della nuova udienza ed il rilevante dispendio di tempo ed energie per cancellieri ed ufficiali giudiziari impegnati rispettivamente nella reda zione della comunicazione della fissazione di quella nuova udienza e nella notificazione della stessa alle parti costituite, incidono negativa mente sull'organizzazione e sul funzionamento di tutto l'apparato giu diziario.

La Consulta ha sempre respinto, anche piuttosto frettolosamente, le

doglianze sollevate. Tuttavia, per un verso il fatto che l'art. 181, 1°

comma, c.p.c., dopo essere stato modificato dall'art. 16 1. 353/90, in virtù del quale fu prevista l'immediata cancellazione della causa dal ruolo in caso di mancata comparizione delle parti all'udienza, sia stato

ripristinato — per ragioni inspiegabili (2) — nel testo anteriormente vi

gente, in seguito alla 1. 534/95, di conversione del d.l. 432/95; per altro verso la convinzione e la tenacia che i giudici rimettenti, nonostante i

(1) Così Cipriani-Civinini-Proto Pisani, Una strategia per la giusti zia civile nella XIV legislatura, in Foro it., 2001, V, 81 ss.

(2) Non risulta, infatti, che alcuno abbia mai prospettato l'opportu nità di un ritorno all'art. 181, 1° comma, c.p.c. nel testo anteriore alla riforma del 1990, anche se, invero, il sottosegretario di Stato, avv. Edilberto Ricciardi, nel corso della seduta della commissione giustizia della camera dei deputati del 6 dicembre 1995, alle perplessità avanzate dai deputati Soda e Reale in ordine al ripristino del testo dell'art. 181, 1° comma, c.p.c., come modificato ex 1. 581/50, rispose che una richie sta in tal senso era «pervenuta al governo da molte sedi giudiziarie» (la circostanza è riferita in Trib. Milano, ord. 11 gennaio 1996, Foro it., 1996,1, 2547, spec. 2548).

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