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sezione lavoro; sentenza 1° luglio 1998, n. 6442; Pres. Lanni, Est. Foglia, P.M. De Gregorio...

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sezione lavoro; sentenza 1° luglio 1998, n. 6442; Pres. Lanni, Est. Foglia, P.M. De Gregorio (concl. conf.); Min. interno c. Rivetta (Avv. Cabibbo). Cassa Trib. Brescia 15 dicembre 1995 Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 10 (OTTOBRE 1998), pp. 2805/2806-2809/2810 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23192922 . Accessed: 25/06/2014 04:19 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.229.13 on Wed, 25 Jun 2014 04:19:43 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 1° luglio 1998, n. 6442; Pres. Lanni, Est. Foglia, P.M. De Gregorio(concl. conf.); Min. interno c. Rivetta (Avv. Cabibbo). Cassa Trib. Brescia 15 dicembre 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 10 (OTTOBRE 1998), pp. 2805/2806-2809/2810Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192922 .

Accessed: 25/06/2014 04:19

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

tuizione, nell'ambito di una normativa tributaria incentrata sul

l'identificazione a priori sia del fatto tassabile (la cessione di

bene o servizio) che della base imponibile (il corrispettivo della

cessione), anche in relazione ai complessi adempimenti posti a

carico del contribuente, non può prescindere da un'espressa pre

visione, rivolta a stabilire l'assoggettamento ad imposta del rap porto, nonostante l'iniziale incertezza circa il successivo deter

minarsi dell'imponibile. Nella disciplina del d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633 applicabile

ratione temporis, cioè prima delle innovazioni introdotte dal

d.leg. 2 settembre 1997 n. 313, mancano disposizioni nel senso

indicato, ed anzi vi è un'esplicita regola di segno opposto: ai sensi dell'art. 2, 3° comma, lett. e) e dell'art. 3, 4° comma, lett. d) «non sono da considerarsi» cessioni di beni o prestazio ni di servizi tassabili i conferimenti in società od associazioni.

Tale esclusione dall'area dell'Iva comprende il conferimento

dell'associato in partecipazione, alla luce di quanto sopra osser

vato sulla natura del contratto.

Le menzionate modifiche (con effetti ex nunc e quindi non

direttamente influenti nella presente causa) non autorizzano pe raltro una diversa interpretazione delle norme anteriori.

L'art. 1 d.leg. n. 313 del 1997, riformulando*il 3° comma

dell'art. 2 d.p.r. n. 633 del 1972, ha soppresso la citata lett.

e), ma ha ampliato la lett. ti), con la riproposizione del princi

pio della non debenza dell'Iva per il conferimento in società

o associazione, sia pure circoscritta al caso in cui il conferimen

to stesso abbia ad oggetto aziende o rami di esse; non ha invece

apportato varianti all'art. 3 sull'individuazione delle cessioni di

servizi influenti ai fini dell'Iva. La consistenza di dette modificazioni e la tecnica della loro

formulazione confortano quanto sopra rilevato sulla necessità

di specifiche disposizioni per applicare l'Iva rispetto al conferi

mento del socio o dell'associato (ancorché impostate a contra

rio con la delimitazione delle ipotesi non tassabili), nell'implici to presupposto che altrimenti il conferimento medesimo non rien

tra nella generale nozione della cessione di bene o di servizio

di cui ai primi commi dei predetti art. 2 e 3. In conclusione il ricorso deve essere respinto.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 1° luglio

1998, n. 6442; Pres. Lanni, Est. Foglia, P.M. De Gregorio

(conci, conf.); Min. interno c. Rivetta (Aw. Cabebbo). Cassa

Trib. Brescia 15 dicembre 1995.

Impugnazioni civili in genere — Rinuncia all'impugnazione prin

cipale — Accettazione del convenuto non costituito — Irrile

vanza — Estinzione del giudizio — Impugnazione incidentale

tardiva — Inefficacia (Cod. proc. civ., art. 306, 334).

La rinuncia all'impugnazione principale notificata al convenuto

non ancora costituito comporta l'estinzione del giudizio a pre scindere dall'accettazione e, conseguentemente, rende ineffi

cace l'impugnazione incidentale tardiva. (1)

(1) I. Non constano precedenti specifici in termini.

Due sono le questioni affrontate dalla pronuncia in epigrafe, entram

be ampiamente esaminate da dottrina e giurisprudenza: in primo luogo

l'efficacia della rinuncia agli atti del giudizio comunicata alla contro

parte non costituita in giudizio e dalla stessa non accettata, in secondo

luogo l'ambito di applicazione dell'art. 334, 2° comma, c.p.c. laddove

statuisce il principio della dipendenza dell'impugnazione incidentale tar

diva dall'impugnazione principale. II. Con riferimento alla questione dell'efficacia della rinuncia, la Cas

sazione conferma l'orientamento prevalente secondo cui viene meno la

necessità dell'accettazione ai fini dell'estinzione del giudizio, qualora

la controparte non si sia ancora costituita o sia già stata dichiarata

contumace. In senso conforme v., in giurisprudenza, Cass. 10 dicembre 1996,

Il Foro Italiano — 1998.

Svolgimento del processo. — Con sentenza dell'8 giugno 1993

il Pretore di Brescia respingeva la domanda di Santa Rivetta

nei confronti del ministero dell'interno, tendente ad ottenere

il riconoscimento dell'indennità di accompagnamento prevista dalla 1. n. 18 del 1980.

Il ministero convenuto proponeva appello, lamentando la man cata condanna della ricorrente alla rifusione delle spese di cau

sa, ai sensi dell'art. 4, 2° comma, d.l. 19 settembre 1992 n.

384, ma successivamente, in data 5 settembre 1994, notificava

alla controparte l'atto di rinuncia all'appello. Con atto notificato il 6 settembre 1994 la Rivetta si costituiva

rilevando che la norma invocata dall'appellante era stata di

chiarata incostituzionale con sentenza n. 134 del 1994 della Corte

costituzionale (Foro it., 1994, I, 1303); in via incidentale conte stava il giudizio medico-legale su cui si era fondata la sentenza

pretorile e chiedeva, previo rinnovo della consulenza medica, la condanna del ministero alla corresponsione dell'indennità di

accompagnamento.

Replicava l'amministrazione osservando che a seguito dell'av

venuta rinuncia, notificata alla controparte prima della sua co

stituzione, il processo doveva ritenersi estinto.

n. 10978, Foro it., Rep. 1996, voce Procedimento civile, n. 292; 3 apri le 1995, n. 3905, id., Rep. 1995, voce cit., n. 315; 1° febbraio 1995, n. 1168, ibid., n. 316; 12 dicembre 1995, n. 12694, ibid., voce Compe tenza civile, n. 127; 19 maggio 1995, n. 5556, ibid., voce Appello civile, n. 94 (dove, in particolare, si distingue tra rinuncia all'impugnazione in senso stretto e rinuncia agli atti del giudizio di impugnazione, preci sando che la prima corrisponde alla rinuncia all'azione del giudizio di

primo grado); Trib. Napoli 16 giugno 1983, id., Rep. 1984, voce Proce

dimento civile, n. 210, e Dir. e giur., 1984, 154; Cass. 24 settembre

1979, n. 4917, Foro it., Rep. 1979, voce cit., n. 273; 5 dicembre 1974, n. 4022, id., Rep. 1974, voce cit., n. 271.

Di diverso avviso sono App. Trieste 26 marzo 1973, ibid., voce Ap

pello civile, n. 37, e Giur. merito, 1974, I, 247, con nota di Caputo;

App. Trieste 26 marzo 1971, Foro it., Rep. 1972, voce Procedimento

civile, n. 289, e Foro pad., 1971, I, 899; Trib. Milano 13 ottobre 1971, Foro it., Rep. 1973, voce cit., n. 284, e Giur. it., 1973, I, 2, 132, con nota di Caputo, secondo cui è necessaria l'accettazione della rinuncia

agli atti qualora quest'ultima sia stata comunicata alla controparte non

ancora costituita, prima della scadenza dei termini per la sua costituzione.

Nel senso dell'orientamento giurisprudenziale prevalente, v., in dottri

na, Andrioli, Comm. al cod. proc. civ., 1956, sub art. 306, 328; Sat

ta, Comm. al cod. proc. civ., 1959-1960, sub art. 306, 427; Caputo, La rinuncia agli atti del giudizio e l'accettazione delle parti costituite, in Giur. it., 1973, I, 2, 131 ss. In particolare, quest'ultimo autore, criti

cando Trib. Milano 13 ottobre 1971, cit., osserva che la tesi prevalente trova conforto nell'interpretazione sia letterale che teleologica dell'art.

306 c.p.c. Da una parte, infatti, detta norma fa riferimento alle «parti costituite» e non a quelle che hanno ancora la possibilità di costituirsi;

dall'altra, specifica che si deve trattare di «parti costituite che potrebbe ro avere interesse alla prosecuzione del giudizio», rivelando così l'inten to del legislatore di tutelare il possibile interesse del convenuto ad op

porsi all'estinzione del processo, interesse che risulta solo a posteriori

dall'atteggiamento concretamente assunto con la costituzione in giudizio. Lo stesso autore, però (Rinuncia dell'appellante agli atti del giudizio

ed accettazione dell'appellato, in Giur. merito, 1974, I, 247 ss.), osser va che per il giudizio di appello non valgono i principi tratti dall'art.

306 c.p.c. perché «nel caso di soccombenza parziale reciproca, entram be le parti hanno un eguale diritto ed interesse di (tendere ad) ottenere

una riforma della sentenza di primo grado, cosicché, nell'ipotesi in cui

una di esse anticipi l'altra nella proposizione dell'appello principale, non può farsi dipendere l'autonoma facoltà di impugnativa dell'altra

dalla circostanza che l'appellante non rinunci al proprio gravame . . .»

(Rinuncia dell'appellante, cit., 247); quindi, collegandosi alla seconda

questione affrontata dalla pronuncia in epigrafe, conclude affermando che il legislatore, nell'art. 334, 2° comma, c.p.c., ha previsto una sola

ipotesi di subordinazione del potere di impugnazione dell'appellato al

l'appello principale, ossia il caso di inammissibilità di quest'ultimo, san

cendo così il principio dell'indipendenza dell'impugnazione incidentale

tardiva in tutti gli altri casi (v. Rinuncia dell'appellante, cit., 248 s.). Sul significato dell'interesse alla prosecuzione del processo, v. Cass.

4917/79, cit.; 18 settembre 1972, n. 2756, Foro it., Rep. 1972, voce cit., n. 287; 25 maggio 1971, n. 1527, id., Rep. 1971, voce cit., n. 400, le quali fanno riferimento ad un interesse che «deve concretarsi nella possibilità di un risultato utile e giuridicamente apprezzabile, ossia nella possibilità di conseguire un'utilità considerata dalla legge meritevole di tutela».

III. Sui limiti della dipendenza dell'impugnazione incidentale tardiva

dall'impugnazione principale, la Cassazione opta per un'interpretazione estensiva dell'art. 334, 2° comma, c.p.c. laddove stabilisce che l'impu

gnazione incidentale tardiva perde efficacia in caso di inammissibilità

dell'impugnazione principale.

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2807 PARTE PRIMA 2808

Con sentenza del 15 dicembre 1995 il Tribunale di Brescia

accoglieva la domanda, condannando il ministero dell'interno

a corrispondere alla Rivetta l'indennità di accompagnamento

a decorrere dal 1° giugno 1994, con i ratei arretrati, rivalutazio

ne monetaria e interessi ai sensi dell'art. 16 1. 30 dicembre 1991

n. 412.

Osservava il tribunale che la rinuncia all'appello da parte del

l'appellante principale impedisce al giudice dell'impugnazione di pronunziarsi sui motivi di gravame proposti dall'appellante, ma non costituendo un caso di obiettiva inesistenza di un valido

appello, non provoca l'estinzione dell'intero processo; ne con

segue che la rinunzia, se notificata all'appellato, non ancora

costituito, tra la notificazione dell'atto di appello e la prima udienza di comparizione, non preclude all'appellato di costi

tuirsi e di proporre appello incidentale tardivo fino alla prima udienza di comparizione. Nel merito, rilevava il tribunale che

gli accertamenti medico-legali effettuati comprovavano l'esistenza

dei presupposti previsti dall'art. 1 1. 18/80 per il riconoscimento

dell'indennità di accompagnamento (impossibilità di deambula

re senza l'aiuto permanente di un accompagnatore).

Con la pronuncia in epigrafe, infatti, viene affermato che la rinuncia

all'impugnazione principale non accettata dal convenuto non ancora

costituito, rende inefficace la successiva impugnazione incidentale tardi

va, in quanto determina l'immediata estinzione del giudizio e conse

guentemente priva l'impugnazione incidentale del suo presupposto ne

cessario rappresentato dall'esistenza di un giudizio pendente. A sostegno di questa tesi la Suprema corte richiama sez. un. 28 luglio

1986, n. 4818, id., 1987, I, 1196, con nota di Orsenigo, secondo cui

l'improponibilità dell'impugnazione principale determinata dall'acquie scenza alla sentenza impugnata, rende inefficace l'impugnazione inci

dentale tardiva in quanto, al pari dell'inammissibilità, dà luogo ad un

difetto ab origine della stessa impugnazione principale. Diversa è la disciplina applicata dalla giurisprudenza e dalla dottrina

prevalenti all'ipotesi dell'improcedibilità, la quale viene esclusa dall'ambito

di applicazione dell'art. 334, 2° comma, c.p.c. proprio perché attiene

a vizi relativi allo svolgimento dell'impugnazione principale e non pree sistenti o coevi all'esercizio della stessa.

In questo senso, v., in giurisprudenza, Cass. 2 giugno 1997, n. 4894,

id., Rep. 1997, voce Impugnazioni civili, n. 106; 24 maggio 1993, n.

5817, id., Rep. 1993, voce cit., n. 80; 9 aprile 1992, n. 4366, id., Rep. 1992, voce cit., n. 66; 9 dicembre 1989, n. 5455, id., Rep. 1989, voce

Cassazione civile, n. 66; 17 luglio 1987, n. 6294, id., Rep. 1987, voce

Impugnazioni civili, n. 134; 25 agosto 1986, n. 5161, id., Rep. 1986, voce cit., n. 115; 6 marzo 1985, n. 1845, id., Rep. 1985, voce cit., n. 109; 9 novembre 1983, n. 6626, id., Rep. 1983, voce cit., n. 160; 29 maggio 1980, n. 3556, id., Rep. 1980, voce cit., n. 142; 5 dicembre

1975, n. 4043, id., Rep. 1975, voce Cassazione civile, n. 242; 16 luglio 1975, n. 2822, ibid., n. 242a; Trib. S. Maria Capua Vetere 30 dicembre

1972, id., Rep. 1974, voce Appello civile, n. 38; Cass. 2 settembre 1974, n. 2411, ibid., voce Cassazione civile, n. 285; 5 febbraio 1974, n. 311, ibid., voce Impugnazioni civili, n. 115; 13 giugno 1972, n. 1856, id., Rep. 1973, voce cit., n. Ili; 24 luglio 1965, n. 1755, id., Rep. 1965, voce Cassazione civile, n. 320; 24 marzo 1962, n. 607, id., Rep. 1962, voce cit., n. 276.

Discostandosi dal suddetto orientamento prevalente, Cass. 29 maggio 1997, n. 4760, id., 1997, I, 2946, ha invece applicato l'art. 334, 2°

comma, c.p.c. anche all'ipotesi dell'improcedibilità, equiparando que st'ultima all'improponibilità ed all'inammissibilità, senza tener conto del fatto che l'improcedibilità non deriva da un difetto relativo ad un

presupposto anteriore ed esterno all'atto di impugnazione ma piuttosto da un vizio relativo alle attività successive alla proposizione dell'impu gnazione.

In dottrina, v. Satta, op. cit., sub art. 334, 85; Andrioli, op. cit., sub art. 334, 410; Caputo, Rinuncia dell'appellante, cit., i quali esclu dono l'applicazione dell'art. 334, 2° comma, c.p.c. sia all'ipotesi del

l'improcedibilità che a quella della rinuncia, precedente o successiva

all'impugnazione incidentale; mentre Grasso, Le impugnazioni inciden

tali, 1973, 121 ss., dopo aver precisato che l'inammissibilità prevista dalla norma in questione non comprende tutti i casi in cui il giudice non può pronunciare sul merito dell'impugnazione principale, ma solo «le ipotesi in cui al giudice è inibito di prendere in esame la domanda a causa di carenze precedenti o coeve all'esercizio dell'azione ...» e non invece i casi di improcedibilità la quale «si risolve in un difetto di atti successivi all'introduzione dell'impugnazione» e che quindi «ne

impedisce lo svolgimento» (op. cit., 122), distingue tra rinuncia succes siva o precedente all'impugnazione incidentale affermando che la prima non rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 334 c.p.c. perché ri

guarda lo svolgimento dell'impugnazione, mentre la seconda rende inef ficace l'impugnazione incidentale proprio in quanto determina da sola l'estinzione del giudizio, senza bisogno di alcuna accettazione della con

troparte (op. cit., 128 ss.).

li Foro Italiano — 1998.

Avverso detta sentenza il ministero dell'interno ha proposto

ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui replica

l'intimata con controricorso.

Motivi della decisione. — Con l'unico motivo si deduce la

violazione e falsa applicazione degli art. 306, 334 e 338 c.p.c.

(art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.). Osserva l'amministrazione ricorren

te che, in base all'art. 306 c.p.c., la rinunzia richiede l'accetta

zione, per poter produrre l'estinzione del processo, soltanto quan

do vi sia una controparte già costituita che potrebbe avere inte

resse alla prosecuzione del giudizio, ma non negli altri casi, come

quello presente in cui la controparte, all'atto della notifica della

rinunzia non era ancora costituito. Inoltre, una volta prodottosi l'effetto estintivo del processo, non può in alcun caso trovare

applicazione l'art. 334, 2° comma, c.p.c. (concernente l'inam

missibilità dell'impugnazione principale): è vero che la rinunzia,

non determinando l'inammissibilità dell'impugnazione principale, non fa perdere efficacia alla medesima impugnazione incidenta

le, ma ciò è vero quando non sia già intervenuta l'estinzione

del processo, perché la controparte costituita non abbia accetta

to la rinunzia. Lo stesso principio non può essere applicato alla

diversa ipot^i

in cui, per intervenuta accettazione della rinun

zia, ovvero perché tale accettazione non sia necessaria non es

sendo il convenuto costituito, l'estinzione si sia già determinata,

restando all'organo giudicante una pronunzia di natura mera

mente dichiarativa. Diversamente opinando si determinerebbe

una sorta di «remissione in termini» per proporre una impu

gnativa avverso sentenza da ritenersi già passata in giudicato

ex art. 338 c.p.c.

Replica l'intimata rilevando che la tesi avversaria non tiene

conto della struttura dell'appello come disciplinato dall'art. 434

c.p.c. che affida l'impugnazione al deposito del ricorso il quale

determina il comportamento dell'appellato, anche in sede di ap

pello incidentale, fissandone i termini con riferimento all'udienza.

Il ricorso è fondato e merita accoglimento. La sentenza impugnata ha ritenuto di poter esaminare l'ap

pello incidentale tardivo proposto dalla Rivetta, nonostante l'in

tervenuta rinunzia dell'appello principale da parte del ministero

dell'interno, osservando che, ai sensi dell'art. 334 cpv. del codi

ce di rito l'impugnazione incidentale perde efficacia soltanto se

l'impugnazione principale sia stata dichiarata inammissibile e

non in altre ipotesi, come quella presente, in cui l'appellante ha rinunziato all'impugnazione principale.

Questo collegio non ritiene di poter aderire a tale tesi.

La questione se la perdita di efficacia dell'impugnazione inci

dentale tardiva sia conseguenza della sola dichiarazione di inam

missibilità dell'impugnazione principale o anche di altri eventi,

come la dichiarazione di improcedibilità o la rinunzia alla stes

sa, forma tuttora oggetto di dibattito in dottrina e in giurispru denza. Contro la tesi restrittiva fatta propria dal Tribunale di

Brescia (e già condivisa da Cass. 4366/92, id., Rep. 1992, voce Impugnazioni civili, n. 66; 6294/87, id., Rep. 1987, voce cit.,

n. 134, e 5161/86, id., Rep. 1986, voce cit., n. 115), si sono

pronunziate le sezioni unite di questa corte (sent. 4818/86, id.,

1987, I, 1196) le quali hanno ritenuto applicabile il 2° comma

dell'art. 334 anche nei casi di improponibilità dell'impugnazio ne principale per acquiescenza alla sentenza.

A quest'ultima linea interpretativa più elastica conviene ade

rire anche per risolvere il caso di specie nel quale la rinunzia

all'appello effettuata dal ministero dell'interno è pervenuta al

l'appellato, ad oltre un anno dal deposito della sentenza di pri mo grado e prima che questi si costituisse con atto di appello incidentale.

Si tratta, in sostanza, di rispondere dapprima al quesito se

l'effetto estintivo della rinunzia opera anche se essa non è se

guita dall'accettazione perché comunicata alla controparte non

ancora costituita. Quesito che, invero, riecheggia contrasti dot

trinari non più attuali, in quanto risalenti all'abrogato codice

di rito, il cui art. 345, disponendo che «la rinunzia accettata

produce gli effetti della perenzione», aveva indotto una parte autorevole della dottrina dell'epoca, a ritenere necessaria in ogni caso l'accettazione del convenuto, anche non costituito, essen

do questi, comunque, per il solo fatto di essere stato chiamato in giudizio, titolare del diritto di chiedere una sentenza di accer

tamento negativo della pretesa avanzata contro di lui (ma già

all'epoca non mancava chi sosteneva, invece, che «il contratto

giudiziale non ha principio che con la costituzione del giudizio,

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

ossia col fatto che le parti, comparendo in causa, scendono in

lizza e si pongono l'una di fronte all'altra, pronte ad impegnare

battaglia», sicché «il convenuto non ha alcun legittimo interesse

ad opporsi alla rinuncia dell'attore»). Venendo al sistema vigente, premessa l'ammissibilità, in via

di principio, della rinuncia agli atti nel giudizio di appello (no nostante manchi una disposizione espressa che la preveda) —

in forza del richiamo alle norme regolatrici del giudizio di pri mo grado contenuto nell'art. 359 c.p.c. — l'effetto estintivo

della rinunzia senza l'accettazione della controparte non ancora

costituita trova un significativo riscontro a contrario del dato

normativo previgente (l'art. 540 del codice di procedura del 1859, modificato dal codice del 1865) il quale espressamente prevede va che «la rinunzia all'appello principale non pregiudica l'ap

pello incidentale», norma, questa, nella quale la giurisprudenza

dell'epoca, costantemente scorgeva un inequivoco intento del

legislatore di salvaguardare comunque il diritto all'impugnazio

ne incidentale dell'appellato anche nel caso di rinunzia dell'ap

pellante principale anteriore all'appello incidentale.

Un tale assunto oggi non potrebbe più essere sostenuto: la

necessità di un'accettazione da parte del convenuto, quale con

dizione prescritta dall'art. 306, 1° comma, c.p.c. per l'estinzio

ne del processo, ha la ragione essenziale di consentire alla con

troparte che potrebbe averne interesse di proseguire il processo. Ma è evidente che un tale interesse presuppone necessariamente

l'acquisizione da parte del soggetto della qualità di parte nel

processo, attraverso la sua costituzione in giudizio, perché solo

con tale atto si conoscono le sue reali richieste e, quindi, il

suo attuale interesse alla procedura.

La proposizione di un'impugnazione incidentale — proprio

perché, per sua natura, «dipendente» dalle sorti di quella prin

cipale — non può concepirsi se essa non si inserisce in una

serie procedimentale già aperta e vitale. Orbene, dal momento

che nel caso di specie alla rinunzia dell'impugnazione consegue

senz'altro l'estinzione del processo, non essendo necessaria l'ac

cettazione dell'appellato non ancora costituito (cfr. Cass. 19 mag

gio 1995, n. 5556, id., Rep. 1995, voce Appello civile, n. 94),

ne consegue che l'impugnativa incidentale successiva alla rinun

zia (e in pratica la comparsa di risposta o il controricorso, atti

nei quali essa deve contenersi) non ha modo di ricollegarsi al

suo precedente necessario ed indefettibile rappresentato dall'at

to introduttivo del gravame, che ormai è stato revocato.

Le esposte argomentazioni non possono non valere anche per

il processo del lavoro nel quale permane l'esigenza — di ordine

generale — che la rinunzia possa determinare l'estinzione del

processo, non appena notificata alla controparte che, in quel

momento non risulti ancora costituita, situazione, questa che

deve ritenersi sussistente nella presente fattispecie in cui — co

me evidenziato in narrativa — la rinunzia è pervenuta all'appel

lata in un momento in cui non risulta che la medesima parte

avrebbe ancora potuto costituirsi nelle forme prescritte dall'art.

436 c.p.c. Non risulta, infatti, né in sentenza, né nel controri

corso, che la costituzione dell'appellata sia avvenuta prima del

la notifica dell'avvenuta rinunzia all'impugnazione da parte del

ministero dell'interno, e, quindi, non può che ritenersi a questo

momento assente la controparte dal giudizio.

Deve, pertanto, concludersi che l'estinzione del processo di

appello ha comportato il passaggio in giudicato della sentenza

di primo grado, sicché, ricorrendo l'ipotesi prevista dall'art. 382,

2° comma, ultimo alinea, la sentenza del Tribunale di Brescia

va cassata senza rinvio.

Il Foro Italiano — 1998.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 17 giu

gno 1998, n. 6055; Pres. Longo, Est. Vittoria, P.M. P. Det

tori (conci, conf.); Allegrini (Aw. Aguglia, Arrotta) c. Cec

carelli (Aw. Tangari). Conferma App. Roma 20 giugno 1995.

Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso

dall'abitazione — Indennità di avviamento — Omessa corre

sponsione — Opposizione all'esecuzione per rilascio — Com

petenza (Cod. proc. civ., art. 615; 1. 27 luglio 1978 n. 392,

disciplina delle locazioni di immobili urbani, art. 34, 45, 69).

Rientra nella sfera di competenza per materia del pretore, ai

sensi dell'art. 45 I. 392/78 (nel testo vigente anteriormente

all'entrata in vigore della novella del codice di rito ex I.

353/90), l'opposizione all'esecuzione per rilascio di immobile proposta dal conduttore deducendo che l'esecuzione non può essere promossa o proseguita perché egli ha diritto all'inden

nità per la perdita dell'avviamento e questa non è stata paga

ta, qualora la controversia si incentri sul punto dell'avere o

no l'opponente diritto a tale indennità. (1)

(1) La Corte di legittimità ribadisce con argomentata motivazione quan to già affermato, dopo alcune iniziali incertezze, in numerosi preceden ti, evidenziando come l'opposizione del conduttore all'esecuzione per

rilascio, ove sia motivata dalla mancata corresponsione dell'indennità

di avviamento ex art. 34 (e 69) 1. 392/78 che egli ritenga spettargli,

implichi una controversia sul diritto a tale indennità, di competenza del pretore ex art. 45 stessa legge, ancorché ad essa non si accompagni una espressa domanda diretta all'accertamento del diritto medesimo:

v. Cass. 22 febbraio 1996, n. 1372, Foro it., Rep. 1996, voce Locazio

ne, n. 372; 2 giugno 1993, n. 6135, id., Rep. 1994, voce Esecuzione

forzata in genere, n. 30; 28 giugno 1993, n. 7138, id., Rep. 1993, voce

cit., n. 38 (secondo la quale non vale ad escludere la competenza del

pretore ex art. 45, cit. la circostanza che sia stata già accertata in altro

giudizio l'insussistenza del diritto del conduttore all'indennità di avvia

mento, potendo essa formare eventualmente oggetto di eccezione di co

sa giudicata); 18 gennaio 1988, n. 336, id., 1988, I, 3351, con nota

di richiami di D. Piombo. Contra, per l'applicabilità nell'ipotesi consi

derata degli ordinari criteri di competenza per valore, v., invece, tra

le pronunzie di merito, Pret. Prato 7 maggio 1994, id., Rep. 1996, voce

Locazione, n. 400, e ord. 3 giugno 1993, id., Rep. 1993, voce cit., n. 496.

Cass. 23 agosto 1990, n. 8625, id., 1991, 1, 1163 (annotata da C.

Lepore, in Rass. equo canone, 1991, 15) ha ritenuto che la competenza

per materia del pretore (già) prevista dall'art. 45 1. 392/78, in tema

di controversie relative all'indennità di avviamento, riguardi anche il

giudizio di convalida dell'offerta reale dell'indennità eventualmente ef

fettuata dal locatore. Analogamente, per l'operatività della speciale com

petenza pretorile in caso di ricorso per decreto ingiuntivo di pagamento delle somme dovute a tale titolo, con le conseguenti ricadute in termini

di modalità e di rito applicabili al giudizio di opposizione ex art. 645

c.p.c., v. Pret. Verona 22 febbraio 1995, Foro it., Rep. 1995, voce

cit., n. 482 (riportata anche — come emessa 1*8 febbraio 1995 — in

Arch, locazioni, 1996, 258), e, da ultimo, Cass. 2 gennaio 1998, n.

8, che sarà riportata in un prossimo fascicolo.

Si rammenta che, in seguito all'entrata in vigore — al 30 aprile 1995 — della riforma del codice di rito, ex 1. 353/90 e successive modifiche,

le controversie in materia di locazioni di immobili urbani appartengo

no, nella loro generalità, alla competenza per materia del pretore (del

luogo in cui si trova l'immobile) (v. art. 8 e 447 bis c.p.c. novellati).

Per riferimenti sull'ampiezza ed i limiti di tale sfera di competenza, cfr. Trib. Milano 16 gennaio 1997, Foro it., 1997, I, 1617, con nota

di richiami; Trib. Firenze 21 maggio 1996, 27 maggio 1995, e Pret.

Bologna, ord. 14 novembre 1995, ibid., 3704, con nota di E. Fabiani.

Mette conto ricordare, per altro verso, che, in base alla disposizione

dell'ultimo comma dell'art. 34 1. 392/78 (aggiunto dall'art. 9 d.l. 551/88, convertito nella 1. 61/89), il locatore, ove si attenga alle prescrizioni

da essa previste, può procedere all'esecuzione del provvedimento di ri

lascio dell'immobile locato anche quando l'indennità di avviamento do

vuta al conduttore non sia stata ancora determinata in modo definitivo:

al riguardo, v. Cass. 17 ottobre 1992, n. 11415, e Pret. Verona, ord.

22 febbraio 1993, id., 1993, I, 1525, con nota di richiami di D. Piombo,

nonché Corte cost. 4 giugno 1993, n. 273, ibid., 2406.

Sulla posizione del conduttore avente diritto all'indennità di avvia

mento ex art. 34 (o 69) 1. 392/78, nel periodo tra la cessazione (de

iure) del rapporto di locazione e la corresponsione dell'indennità stessa,

v. da ultimo (in senso tra loro difforme) Cass. 10 luglio 1997, n. 6270,

id., 1998, I, 151, e 17 ottobre 1995, n. 10820, id., 1995, I, 3123, con

note di D. Piombo.

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