sezione lavoro; sentenza 1° luglio 1999, n. 6726; Pres. Buccarelli, Est. Celentano, P.M. Buonajuto(concl. conf.); Inps (Avv. Fabiani, Gorga) c. Mazzoni (Avv. Del Rosso). Cassa Trib. Firenze 1°agosto 1997 e decide nel meritoSource: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 10 (OTTOBRE 1999), pp. 2843/2844-2847/2848Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194896 .
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2843 PARTE PRIMA 2844
ta prodotta e poi ritirata, poteva avere rilievo, sotto altro profi
lo, in ordine alla tempestività di un eventuale disconoscimento,
che comportava la comparizione del convenuto, mai avvenuta
nel giudizio di primo grado, ma non implicava la notifica del
verbale di causa in cui si dava atto dell'avvenuta produzione della scrittura già indicata ed anche trascritta nell'atto di ci
tazione.
Il principio innanzi affermato non si pone sostanzialmente
in contrasto con la precedente sentenza 6980/97 di questa corte
(id., 1998, I, 2252), nella parte in cui, richiamando la sentenza
additiva della Corte costituzionale 250/86 (id., 1987, I, 1), ha
testualmente affermato: «la necessità della notificazione al con
tumace del verbale sorge (dunque) soltanto allorché la detta scrit
tura privata non sia stata indicata in atti precedentemente noti
ficati . . .»; ed ha poi aggiunto che il concetto è stato chiarito
dalla successiva sentenza 317/89 della Corte costituzionale, che
ha precisato «come l'illegittimità costituzionale parziale dell'art.
292 c.p.c. sia limitata alla mancata previsione di notifica al con
tumace del verbale in cui si dà atto della produzione della scrit
tura privata 'non indicata in atti notificati in precedenza'». La
stessa sentenza 6980/97 ha, però, concluso che, «affinché la
scrittura privata prodotta dall'attore a sostegno della domanda
possa considerarsi riconosciuta ai sensi dell'art. 215, n. 1, c.p.c., è necessario che la scrittura sia indicata nell'atto di citazione
e prodotta contestualmente alla costituzione in giudizio dell'at
tore». La ritenuta esigenza che la scrittura sia prodotta conte
stualmente alla costituzione in giudizio non sembra, però, sor
retta da quanto poco prima argomentato nella (stessa) sentenza.
Dalla conclusiva affermazione cui essa è pervenuta ritiene, per
ciò, di doversi discostare il collegio, perché come innanzi osser
vato, l'art. 292, 1° comma, c.p.c., in riferimento all'art. 215, n. 1, stesso codice, è stato emendato dalla sentenza additiva
della Corte costituzionale 317/89 «nella parte in cui non preve de la notifica al contumace del verbale in cui si dà atto della
produzione della scrittura privata non indicata in atti notificati
in precedenza» e nella sentenza citata la Corte costituzionale
ha ritenuto necessaria l'indicazione della scrittura, non anche
la contestuale produzione; sicché la norma resta emendata nel
senso voluto dalla stessa corte.
Peraltro, la censura è sostanzialmente inconsistente, perché è priva di pratico rilievo in questa sede. Infatti, non risulta, né lo deduce la ricorrente, che la Vanacore, costituendosi nel
processo di secondo grado, abbia disconosciuto la scrittura esi
stente agli atti, tanto che la corte di merito ha rilevato in moti
vazione che essa è stata posta in grado in ogni fase del processo di disconoscere la scrittura. Pertanto, la pretesa irritualità sa
rebbe, comunque, superata ed assorbita dal successivo omesso
disconoscimento, ai sensi dell'art. 293 c.p.c., da parte dell'inte
ressata nel giudizio di appello (cfr. Cass. 15 marzo 1995, n.
3037, id., Rep. 1995, voce Contumacia civile, n. 8). Poiché la scrittura fu certamente prodotta nel corso del processo di primo
grado, la Vanacore doveva effettuare il disconoscimento con
l'atto di appello. In definitiva il ricorso va rigettato.
Il Foro Italiano — 1999.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 1° luglio
1999, n. 6726; Pres. Buccarelli, Est. Celentano, P.M. Buo
najuto (conci, conf.); Inps (Avv. Fabiani, Gorga) c. Mazzo
ni (Avv. Del Rosso). Cassa Trib. Firenze 1° agosto 1997 e
decide nel merito.
Previdenza e assistenza sociale — Lavoratori a domicilio — In
dennità di mobilità — Esclusione (Cod. civ., art. 2128; 1. 18
dicembre 1973 n. 877, nuove norme per la tutela del lavoro
a domicilio, art. 9; 1. 23 luglio 1991 n. 223, norme in materia
di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazio
ne, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento
al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavo
ro, art. 7, 9, 16).
L'indennità di mobilità di cui all'art. 16 l. n. 223 del 1991 non
compete ai lavoratori a domicilio, sia per la mancanza della
continuatività come elemento normale di tale rapporto, sia
per l'inapplicabilità ai lavoratori a domicilio di tutti quanti
gli obblighi previsti per i lavoratori iscritti nelle liste di mobi lità dall'art. 9 l. n. 223 del 1991. (1)
Svolgimento del processo. — Con sentenza del 12-27 febbraio
1997 il Pretore di Firenze respingeva la domanda proposta dalla
sig. Gabriella Mazzoni nei confronti dell'Inps per ottenere l'in
dennità di mobilità sul presupposto di aver prestato attività co
me lavorante a domicilio della Maglieria Pisani s.a.s. dal 12
maggio 1993 al 13 marzo 1995 e di essere stata licenziata per cessazione dell'attività aziendale a seguito di procedura ex art.
4 e 24 1. n. 223 del 1991.
Osservava il pretore che il diritto all'indennità di mobilità
presuppone l'applicabilità delle norme sulla cassa integrazione
straordinaria, norme non operanti per il lavoro a domicilio; ag
giungeva che a tale tipo di rapporto manca quella garanzia di
continuatività costituente requisito richiesto dall'art. 16 1. n. 223
del 1991.
In accoglimento dell'appello proposto dalla Mazzoni la deci
sione di primo grado veniva riformata dal Tribunale di Firenze
con sentenza del 30 luglio-l° agosto 1997.
I giudici di secondo grado argomentavano che l'indennità di
mobilità ha sostituito l'indennità di disoccupazione, già spet tante ai lavoratori a domicilio, e che l'esclusione di costoro dal
la cassa integrazione (art. 9 1. n. 877 del 1973) è norma eccezio
nale, come tale di rigorosa interpretazione e quindi non estensi
bile al prestatore di lavoro a domicilio definitivamente licenziato; che nel sistema di cui all'art. 16 1. n. 223 del 1991 la determina
zione dell'ambito applicativo della disciplina si àncora alle ca
ratteristiche delle imprese e non anche a quelle del rapporto di lavoro del dipendente; che il lavoratore a domicilio si qualifi ca per la specialità del rapporto ed è estraneo alle categorie di «operaio, impiegato o quadro» utilizzate dal citato art. 16
con riferimento all'art. 2095 c.c.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre l'Inps, formulando
un unico articolato motivo.
La sig. Mazzoni resiste con controricorso.
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo l'Inps denun
cia violazione e falsa applicazione degli art. 7 e 16 1. 23 luglio 1991 n. 223, con riferimento all'art. 9 1. 18 dicembre 1973 n.
877, nonché vizio di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.). Sostiene che ai lavoratori a domicilio non spetta l'indennità
di mobilità perché questa, ai sensi dell'art. 7, 1° comma, 1. n.
(1) Conforme alla riportata sentenza, Pret. Venezia 3 dicembre 1994, Foro it., Rep. 1996, voce Previdenza sociale, n. 486.
Contra (per il diritto dei lavoratori a domicilio all'indennità di mobi lità di cui alla 1. 223/91), Cass. 18 maggio 1999, n. 4812, id., 1999, I, 1772, con nota di richiami, e, da ultimo, Trib. Parma 4 novembre
1997, e 10 dicembre 1996, id., Rep. 1998, voce cit., nn. 411, 414. Il contrasto delineatosi nella sezione lavoro della Corte di cassazione,
con due decisioni depositate nel giro di un mese, non può che «appro dare» al più presto alle sezioni unite della Cassazione, per i rilevanti interessi «in gioco»: il riconoscimento o meno dell'indennità di mobili tà ai lavoratori a domicilio ha risvolti sia per le casse dello Stato (per il numero dei lavoratori interessati e per il periodo indennizzabile con la mobilità, che può arrivare a trentasei mesi), che per le imprese (in quanto sono tenute a versare all'ente previdenziale, per ogni lavoratore
posto in mobilità, una somma pari a sei volte il trattamento mensile di mobilità spettante).
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
223 del 1991, ammonta ad una percentuale del trattamento straor
dinario di integrazione salariale percepito o spettante nel perio do immediatamente precedente la risoluzione del rapporto di
lavoro; e per l'art. 9 1. n. 877 del 1973 ai lavoratori a domicilio
non si applicano le norme previdenziali in materia di integrazio ne salariale.
Aggiunge che per l'art. 16 1. n. 223 del 1991 l'indennità di
mobilità compete, nel caso di disoccupazione derivante da li
cenziamento per riduzione di personale, al «. . . lavoratore, ope
raio, impiegato o quadro . . .»; in tale tassativa elencazione non
è compreso il lavoratore a domicilio.
E proprio la specialità del rapporto di lavoro a domicilio, utilizzata dal tribunale per superare l'argomento testuale del
l'art. 16, non consentirebbe che il lavoratore a domicilio possa essere destinatario dell'indennità di mobilità.
Il lavoratore a domicilio infatti, a differenza della generalità dei lavoratori subordinati, non è assoggettabile ad alcun con
trollo sull'osservanza dell'orario, con attenuazione del requisito della subordinazione.
Gli altri caratteri del lavoro a domicilio (dall'aiuto accessorio
dei membri della famiglia conviventi e a carico all'esecuzione
di lavoro per conto di uno o più imprenditori) confermerebbero
la non estensibilità ai lavoratori a domicilio della provvidenza dell'indennità di mobilità.
La disciplina di detta prestazione presuppone, secondo il ri
corrente, l'effettivo inserimento del prestatore di lavoro nell'or
ganizzazione dell'impresa, e cioè presso aziende, stabilimenti o
reparti, elemento questo — desumibile dalla previsione del re
quisito di un periodo minimo annuale di anzianità aziendale, di cui almeno sei mesi di lavoro effettivamente prestato — che
non è dato invece riscontrare nel rapporto di lavoro a domici
lio, non sempre caratterizzato dalla continuità delle prestazioni lavorative.
La possibilità che ha il lavoratore a domicilio di svolgere la
propria attività per più imprenditori contestualmente costitui
rebbe circostanza che snatura, ai fini di cui trattasi, il rapporto
previdenziale di riferimento utile per l'erogazione dell'indennità.
Il ricorso è fondato.
L'art. 16 1. 23 luglio 1991 n. 223, nel testo risultante a segui to della sentenza 423/95 della Corte costituzionale (.Foro it.,
1995, I, 2350), statuisce che, in caso di disoccupazione derivan
te da licenziamento per riduzione di personale ai sensi dell'art.
24 da parte delle imprese, diverse da quelle edili, rientranti nel
campo di applicazione della disciplina dell'intervento straordi
nario di integrazione salariale, il lavoratore, operaio, impiegato o quadro, qualora possa far valere un'anzianità aziendale di
almeno dodici mesi, di cui almeno sei di lavoro effettivamente
prestato, ivi compresi i periodi di sospensione dal lavoro deri
vanti da ferie, festività, infortuni, gravidanza o puerperio, con
un rapporto di lavoro a carattere continuativo e comunque non
a termine, ha diritto all'indennità di mobilità ai sensi dell'art. 7.
L'analisi della norma evidenzia che il legislatore ha significa tivamente fatto riferimento ai lavoratori — operai, impiegati o quadri — legati all'azienda da un rapporto «a carattere conti
nuativo», preferendo richiamarsi al rapporto di lavoro a carat
tere continuativo piuttosto che al rapporto di lavoro «a tempo
indeterminato», espressione questa pure usata in importanti leggi
lavoristiche, quale, ad esempio, la 1. 15 luglio 1966 n. 604 sui
licenziamenti individuali.
Ed ha inoltre posto l'accento su un minimo di anzianità
«aziendale».
Tale scelta evidenzia l'importanza del «contenuto» del rap
porto ai fini della fruizione dell'indennità in questione. Ora sono proprio le caratteristiche e il contenuto del rappor
to di lavoro a domicilio che rendono problematica la sua inclu
sione tra i rapporti di lavoro oggetto della tutela di cui agli
art. 7 e 16 1. 223/91.
Appare opportuno, al riguardo, richiamare le principali linee
della disciplina del lavoro a domicilio quale dettata dalla 1. 18
dicembre 1973 n. 877.
È lavoratore a domicilio chiunque, con vincolo di subordina
zione, esegue nel proprio domicilio o in locale di cui abbia la
disponibilità, anche con l'aiuto accessorio di membri della sua
famiglia conviventi e a carico ma con esclusione di mano d'ope ra salariata e di apprendisti lavoro retribuito per conto di uno
Il Foro Italiano — 1999.
o più imprenditori, utilizzando materie prime o accessorie e at
trezzature proprie o dello stesso imprenditore, anche se fornite
per il tramite di terzi (art. 1, come modificato dall'art. 2 1.
16 dicembre 1980 n. 858). Il lavoratore a domicilio deve essere munito, a cura dell'im
prenditore, di uno speciale libretto di controllo che deve conte
nere la data e l'ora di consegna del «lavoro affidato» dall'im
prenditore (art. 10); deve essere retribuito sulla base di tariffe
di cottimo pieno, comprensive di ogni spettanza, e quindi con
le maggiorazioni a titolo di indennità per lavoro festivo, ferie,
gratifica natalizia e indennità di anzianità (art. 8). La legge poi consente al lavoratore a domicilio di eseguire
lavoro per conto proprio o di terzi in concorrenza con l'impren
ditore, a meno che questi non gli affidi una quantità di lavoro
atto a procurargli una prestazione continuativa corrispondente all'orario normale di lavoro (art. 11, 2° comma).
L'art. 9 estende ai lavoratori a domicilio le norme vigenti
per i lavoratori subordinati in materia di assicurazioni sociali
e di assegni familiari, fatta eccezione per quelle in materia di
integrazione salariale.
L'art. 2, 2° comma, dispone infine che «è fatto divieto alle
aziende interessate da programmi di ristrutturazione, riorganiz zazione e di conversione che abbiano comportato licenziamenti
o sospensioni dal lavoro, di affidare lavoro a domicilio per la
durata di un anno rispettivamente dall'ultimo provvedimento di licenziamento e dalla cessazione delle sospensioni».
Dalle disposizioni sopra esaminate risulta chiaramente che il
rapporto di lavoro a domicilio difetta di quella continuatività
richiamata dall'art. 16 1. 223/91, unitamente ad altri requisiti,
per individuare i lavoratori (operai, impiegati e quadri) benefi
ciari dell'indennità di mobilità. Il datore di lavoro, infatti, non è tenuto ad affidare al lavo
ratore a domicilio un minimo di lavoro nell'arco del mese o
dell'anno; potrebbe, al limite, continuare a tenere iscritto un
lavoratore a domicilio nell'apposito registro di cui all'art. 3,
5° comma, 1. 877/73, senza affidargli più lavoro.
Il che equivale, di fatto, ad un licenziamento (istituto che,
di conseguenza, assume rilevanza pratica minima nei confronti
del lavoratore a domicilio, anche per la problematicità dell'ap
plicazione effettiva della c.d. tutela reale, con la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, nei riguardi del lavoratore
a domicilio illegittimamente licenziato). Del resto questa corte ha ritenuto che al rapporto di lavoro
subordinato a domicilio non sono in via generale applicabili le norme dettate dalle 1. n. 604 del 1966 e n. 300 del 1970 in
tema di estinzione del rapporto di lavoro (Cass. 17 marzo 1981,
n. 1570, id., 1981, I, 1949; 22 gennaio 1987, n. 615, id., Rep.
1987, voce Lavoro (rapporto), n. 679). La mancanza di un obbligo datoriale di affidare un minimo
di lavoro spiega anche l'esonero del lavoratore a domicilio dal
divieto di concorrenza, divieto previsto soltanto quando l'im
prenditore gli affidi una quantità di lavoro atto a procurargli una prestazione continuativa corrispondente all'orario normale
di lavoro (art. 11). La continuatività del lavoro è prevista dal legislatore solo co
me elemento accidentale del rapporto di lavoro a domicilio; e
anche quando c'è, può venir meno in qualsiasi momento senza
conseguenze per il datore di lavoro.
Particolarmente significativa è, poi, la disposizione di cui al
l'art. 2, 2° comma, della legge, che dimostra come il legislatore intenda tutelare il lavoro nell'azienda a preferenza di quello a
domicilio. Il datore di lavoro, infatti, non può affidare lavoro a domici
lio per tutta la durata dei programmi di ristrutturazione o con
versione che abbiano comportato licenziamenti o sospensioni
dal lavoro, e ancora per un anno dall'ultimo licenziamento e
dalla cessazione delle sospensioni. Vi è poi da aggiungere che scopo primario della 1. 223/91
è quello di assicurare la c.d. mobilità ai lavoratori licenziati,
cioè l'inclusione in privilegiate liste di disoccupazione che con
sentano lo spostamento di lavoratori con un notevole bagaglio di professionalità acquisito dalle imprese recedenti a quelle ab
bisognevoli di personale qualificato. Di conseguenza, iscrizione nelle liste di mobilità e fruizione
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2847 PARTE PRIMA 2848
dell'indennità di mobilità costituiscono elementi strettamente col
legati. L'art. 9 della legge prevede, tra l'altro, che il lavoratore è
cancellato dalle liste di mobilità — e decade dall'indennità rela
tiva — quando rifiuti di essere avviato ad un corso di formazio
ne professionale, oppure quando rifiuti un lavoro professional mente equivalente o che presenti omogeneità con il precedente, 0 anche quando non accetti, in mancanza di un lavoro equiva lente ed «omogeneo», di essere impiegato nei c.d. lavori social
mente utili; sempre che tali attività si svolgano in un luogo di
stante non più di cinquanta chilometri, o comunque raggiungi bile in sessanta minuti con mezzi pubblici, dalla residenza del
lavoratore.
L'applicazione di tali regole ad un lavoratore a domicilio —
che, per definizione, lavora nel proprio domicilio o in locale
di cui abbia la disponibilità, e lavora nella misura in cui il dato
re di lavoro gli affida lavoro da eseguire — risulta impossibile; a meno che non si voglia sostenere che il lavoratore a domicilio
in mobilità ha l'obbligo sia di frequentare corsi di formazione
professionale sia di trasformare il proprio speciale rapporto di
lavoro in un ordinario rapporto di lavoro subordinato.
Per tutto quanto esposto va affermato che l'indennità di mo
bilità di cui all'art. 16 1. n. 223 del 1991 non compete ai lavora
tori a domicilio, sia per la mancanza della continuatività come
elemento normale di tale rapporto, sia per l'inapplicabilità ai
lavoratori a domicilio di tutti quanti gli obblighi previsti per 1 lavoratori iscritti nelle liste di mobilità dall'art. 9 1. 223/91.
Il ricorso va pertanto accolto, la sentenza impugnata va cas
sata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la
causa va decisa nel merito con il rigetto della domanda propo sta dalla sig. Gabriella Mazzoni nei confronti dell'Inps.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 30 giu
gno 1999, n. 363/SU; Pres. Cantillo, Est. Vella, P.M. Nardi
(conci, diff.); Soc. Mazzanti (Avv. Rizzi) c. O.T.V., Consor
zio per lo sviluppo della Valle del Biferno. Regolamento pre ventivo di giurisdizione.
Contratti e obbligazioni della pubblica amministrazione — Enti
pubblici economici — Appalti pubblici di lavori — Gara di
rilievo comunitario — Controversie — Giurisdizione ammini
strativa esclusiva — Fattispecie (Direttiva 21 dicembre 1989
n. 89/665/Cee del consiglio, che coordina le disposizioni legis
lative, regolamentari ed amministrative relative all'applica zione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione
degli appalti pubblici di forniture e lavori; direttiva 17 set
tembre 1990 n. 90/531/Cee del consiglio, relativa alle proce dure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia,
degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti
che operano nel settore delle telecomunicazioni; 1. 5 ottobre
1991 n. 317, interventi per l'innovazione e lo sviluppo delle
piccole imprese, art. 36; 1. 19 febbraio 1992 n. 142, disposi zioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'apparte nenza dell'Italia alle Comunità europee - legge comunitaria
per il 1991, art. 13; direttiva 25 febbraio 1992 n. 92/13/Cee
del consiglio, che coordina le disposizioni legislative, regola mentari ed amministrative relative all'applicazione delle nor
me comunitarie in materia di procedure di appalti degli enti
erogatori di acqua e di energia e degli enti che forniscono
servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore
delle telecomunicazioni; direttiva 18 giugno 1992 n. 92/50/Cee
del consiglio, che coordina le procedure di aggiudicazione de
gli appalti pubblici di servizi, art. 50; 1. 19 dicembre 1992
Il Foro Italiano — 1999.
n. 489, disposizioni in materia di attuazione di direttive co
munitarie relative al mercato interno).
Rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo le con
troversie concernenti le gare d'appalto di rilievo comunitario
bandite da un ente pubblico economico (nella specie, da un
consorzio di sviluppo industriale). (1)
Svolgimento del processo. — Il Consorzio di sviluppo indu
striale della Valle del Biferno, con bando pubblicato sulla Gaz
zetta ufficiale, indisse una gara a licitazione privata per l'aggiu dicazione dell'appalto dei lavori di adeguamento funzionale e
ampliamento dell'impianto di depurazione consortile. Sulla ba
se della graduatoria delle offerte il comitato direttivo del con
sorzio, con provvedimento del 9 dicembre 1996, aggiudicò l'ap
palto alla società Mazzanti. Contro questo provvedimento la
ditta O.T.V., filiale italiana, altra partecipante alla gara, pro
pose ricorso al Tar Molise.
In questo procedimento si costituirono sia il consorzio, sia
la società Mazzanti che ha, poi, proposto ricorso per regola mento preventivo di giurisdizione.
La ditta O.T.V. e il consorzio non si sono costituiti.
Motivi della decisione. — Si sostiene con il ricorso che, es
sendo il Consorzio di sviluppo industriale della Valle del Bifer
no un ente pubblico economico ai sensi dell'art. 36, 4° comma, 1. 5 ottobre 1991 n. 317, le controversie relative (come quella in esame) alle gare per il conferimento di appalti da esso indet
ti, sono soggette alla giurisdizione dell'a.g.o. in quanto, ad ec
cezione dei provvedimenti generali di autorganizzazione, gli atti
(1) Con la sentenza in epigrafe, la Suprema corte conferma l'orienta mento — recentemente espresso da Cass., sez. un., 13 febbraio 1999, n. 64/SU, Foro it., 1999, I, 2275, con nota di F. Fracchia, Appalti pubblici al di sopra della soglia comunitaria, giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo e art. 33 d.leg. 80/98 — favorevole al riconosci mento della giurisdizione del giudice amministrativo in tema di contro versie relative agli appalti pubblici di importo superiore alla soglia co munitaria disciplinati dalla normativa europea. Viene infatti ribadito che dette controversie rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, indipendentemente dalla circostanza che la gara sia in detta da un soggetto (nel caso esaminato dalla pronuncia in epigrafe, si tratta di un consorzio di sviluppo industriale, qualificato come ente
pubblico; Cass., sez. un., 13 febbraio 1999, n. 64/SU, cit., si occupava di un'azienda speciale) che rivesta la qualifica di concessionario.
La Suprema corte, in precedenza, riteneva che la giurisdizione del
giudice amministrativo in ordine alle controversie relative all'aggiudica zione di appalti pubblici indetti da ente pubblico economico sussistesse nei soli casi in cui l'ente stesso agisse in qualità di concessionario di ente pubblico non economico: v. Cass., sez. un., 28 agosto 1998, n.
8541, id., Rep. 1998, voce Opere pubbliche, n. 202; 9 luglio 1997, n.
6225, id., 1997, I, 3194, con nota di richiami. La giurisprudenza ammi
nistrativa, viceversa, riconosce sussistente la giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo accentuando il profilo dell'applicabilità della
disciplina pubblicistica alla procedura di scelta posta in essere dall'ente
pubblico economico: v. Tar Piemonte, sez. II, 10 luglio 1997, n. 371, id., Rep. 1997, voce Contratti della p.a., n. 390; Tar Lazio, sez. Ili, 31 gennaio 1994, n. 160, id., Rep. 1994, voce cit., n. 210; 15 novembre
1991, n. 1922, id., Rep. 1992, voce cit., n. 161 (nel senso della sussi stenza della giurisdizione del giudice ordinario, però, v. Tar Puglia, sede Lecce, sez. II, ord. 7 maggio 1996, n. 339, id., Rep. 1997, voce
Giurisdizione civile, n. 103, e Tar Lazio, sez. Ili, 3 dicembre 1984, n. 670, id., Rep. 1985, voce Contratti della p.a., n. 21).
Si noti che, con le due ultime decisioni, la Suprema corte non si è semplicemente conformata all'orientamento espresso dalla giurispru denza amministrativa (in ordine al quale v., altresì, Cons. Stato, sez.
VI, 28 ottobre 1998, n. 1478, e 16 settembre 1998, n. 1267, id., 1999, III, 178, con nota di R. Garofoli, Sviluppi in tema di giurisdizione amministrativa e regole costituzionali: organo indiretto, nozione comu nitaria di amministrazione aggiudicatrice, riparto per blocchi di materie
(d.leg. 80/98)): essa, ispirandosi alla disciplina comunitaria ed a quella nazionale di recepimento (in parte però superata dal d.leg. 80/98), af ferma infatti la sussistenza non già della giurisdizione generale di legit timità del giudice amministrativo, bensì della giurisdizione esclusiva. Come sottolineato in nota a Cass. n. 64/SU del 1999, detta soluzione
pare coerente con la tesi — ma tale aspetto non è oggetto di peculiari approfondimenti da parte delle due pronunce — secondo cui le norme dell'ordinamento comunitario proteggono situazioni giuridiche (diffe renti dall'interesse legittimo) di diritto soggettivo o, meglio, aventi ca ratteri analoghi rispetto a tale ultima situazione.
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