sezione lavoro; sentenza 1° marzo 1984, n. 1457; Pres. Pennacchia, Est. De Martini, P.M.Pandolfelli (concl. conf.); Soc. Agenzia ippica Porta Rossa e altro (Avv. Dell'Anno, G. B. Leone)c. Largo (Avv. Mori). Conferma Trib. Firenze 27 maggio 1980Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 5 (MAGGIO 1985), pp. 1485/1486-1497/1498Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177904 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Quest'ultimo proponeva appello che veniva rigettato dal Tribu
nale di Ragusa con sentenza dell'8 aprile 1980.
Ha ricorso per cassazione l'Arone, deducendo due motivi. Ha
resistito con controricorso l'AngiriMo, che ha anche depositato
memoria.
disconosca siffatta tutela al mezzadro, a meno di non mettere in crisi
la distinzione stessa tra spoglio e molestia (crisi di cui vi è sensibile
traccia in giurisprudenza, non a caso proprio nei conflitti tra possesso re e detentore: sul punto v. Liotta, op. cit., 146 ss.) al fine di
aggirare il limite alla legittimazione attiva esistente per il detentore ai
sensi dell'art. 1170 c.c. In realtà, come si è già più volte ribadito, in questa controversia
l'oggetto della tutela non è la situazione di fatto, il rapporto con il
bene cui si è tradizionalmente ancorato il concetto di possesso e quello di detenzione. In questa specifica ipotesi l'oggetto della tutela è dilettamente l'attività: la regola di cui all'art. 6 riguarda l'attività
imprenditiva che sulla base del rapporto con il bene può esplicarsi da
parte del concedente e del concessionario. In questo senso potrebbe farsi riferimento alla tutela possessoria solo se si assegna al fatto stesso dello svolgimento dell'attività economica su di un bene o su di una azienda lo spessore di una situazione soggettiva possessoria: per questa originale prospettiva teorica v. Messinetti, op. cit., 534, il
quale, attribuendo all'attività il posto centrale che nella configurazione delle situazioni soggettive è occupato dal bene, elimina ogni distinzione tra possesso e detenzione nella tutela dell'attività rispetto ai terzi e nei
rapporti interni tra gli stessi protagonisti della medesima attività economica.
Ma al di là di questo isolato, quanto suggestivo, nuovo indirizzo
teorico, deve ribadirsi, alla luce dell'attuale quadro interpretativo, che
gli strumenti di tutela cui ricorrere in caso di conflitto che può sorgere nell'ambito del rapporto contrattuale tra concedente e concessionario vanno ricercati al di fuori di quelli predisposti per la tutela del
possesso e della detenzione: in particolare per l'applicazione dell'art. 700 c.p.c. v. Cass. 7 dicembre 1973, n. 3347, Foro it., Rep. 1975, voce
Provvedimenti d'urgenza, n. 64, in una ipotesi di azione promossa dal
concedente nei confronti del mezzadro che aveva abbandonato la
coltivazione del fondo; Pret. Matera 25 aprile 1959, id., Rep. 1960, voce cit., n. 16, a tutela delle molestie subite dal conduttore da parte del concedente; Trib. Milano 15 febbraio 1955, id., 1955, I, 932, con
nota di Montesano, relativa ad un caso di omissioni della coltura da
parte del concessionario.
Il ricorso agli strumenti di cui agli art. 1168 e 1170, oltre che
costituire frutto di una confusione concettuale, non solo introduce —
alla luce della disciplina codificata — una disparità di tutela tra i due
contendenti, ma inquina la relazione tra giudizio possessorio e giudizio
petitorio posto che il primo non si differenzia più dal secondo sullo
specifico piano dell'oggetto della tutela, ma svolge, in tal guisa, la
funzione di anticipare in via cautelare gli effetti del giudizio petitorio.
A questo specifico riguardo l'esperienza giuridica d'oltralpe può dirsi
esemplare. Infatti, a fronte di una sistemazione codicistica che ha
escluso la tutela possessoria al detentore, la giurisprudenza francese —
in particolare quella della Cassazione — se da un lato ha ammesso
tale soggetto a fruire della tutela prevista per il possessore in caso di
spoglio, dall'altro ha costantemente e prevalentemente ribadito l'inap
plicabilità dei rimedi possessori ai conflitti interni tra due soggetti
legati da vincolo contrattuale e alla cui base vi sia la violazione degli
stessi, affidando la tutela al provvedimento d'urgenza. Sul punto la
copiosa giurisprudenza (tra le tante v. Cass. 18 gennaio 1949, in Rev.
trim, droit civ., 1950, 522; 6 ottobre 1959, D., 539; 22 febbraio 1965,
id., 1966, 37, con nota di Esmein; 28 novembre 1969, id., 1970, 84,
con nota di E. F.) si basa su di un indirizzo dottrinale suggerito in
particolare da Solus, in Rev. trim, droit civ., 1950, 76 e
1956, 560. Indirizzo, peraltro, che appare confermato nella 1. 9 luglio
1975 che ha riformato le azioni possessorie e in virtù della quale l'art.
2282 code civil nel riconoscere anche al detentore la protezione contro
10 spoglio e la molestia, a proposito di queste ultime accorda la tutela
contre tout autre que celui qui il tient ses droits: sul punto,
Guarnieri, Una legge francese sulle azioni possessorie, in Riv. dir.
civ., 1980, I, 313, il quale giustamente collega quest'ultimo inciso
dell'articolo ora menzionato all'orientamento giurisprudenziale e dottri
nale sopra richiamato; in termini critici su tale capoverso v. però le
considerazioni presenti in Rev. trim, droit civ., 1975, 807.
D'altra parte non è meno significativo rimarcare che a fronte di
questo orientamento prevalente (in base al quale va esclusa l'applica
zione della tutela possessoria in conflitti derivanti dalla violazione di
regole contrattuali potendosi far ricorso al provvedimento cautelare in
via d'urgenza) nella dottrina meno disposta ad avallare siffatto indiriz
zo vi sia piena consapevolezza sia della diversa funzione che la tutela
possessoria assumerebbe se chiamata ad operare in siffatti conflitti, sia
delle inevitabili conseguenze sul piano del rispetto della regola rela
tiva al non cumulo tra giudizio possessorio e giudizio petitorio.
Ci si riferisce in particolare alla posizione assunta in dottrina da
Michelet, op. cit., 223 ss., in cui risulta palese il tentativo di
razionalizzare quella che nella nostra indagine appare come una
discutibile curvatura delle azioni possessorie: infatti si suggerisce l'introduzione di un référé-possessoire tale da trasformare la tutela
possessoria in un provvedimento cautelare anticipatorio degli effetti del
giudizio petitorio. A. Jannarelli
11 Foro Italiano — 1985.
Motivi della decisione. — Con due motivi dedotti, strettamente
collegati fra loro e perciò da esaminare insieme, il ricorrente
denunzia violazione dell'art. 6 1. 15 settembre 1964 n. 756 e
dell'art. 1168 c.c., nonché omesso esame di punti decisivi della
controversia, per avere i giudici del merito ordinato la reintegra richiesta dalla controparte: a) erroneamente ritenendo antigiuridi ca l'iniziativa del concedente, il quale, nel sostituire « una coltura
ad un'altra voluta dal mezzadro, non aveva di certo inteso
paralizzare le finalità del rapporto, che sono quelle della divisione
del prodotto » (primo motivo), b) omettendo di esaminare « la
correlazione» fra il disposto dell'art. 6 1. n. 756/64 e «lo
spossessamento denunziato, sotto il profilo materiale e psicologi co » (secondo motivo).
Le doglianze cosi sintetizzate sono prive di fondamento. Mo
dificando il disposto dell'art. 2145, cpv., c.c., l'art. 6 1. n. 756/64 ha attribuito al mezzadro il diritto di collaborare con il conce
dente nella direzione dell'impresa. Il contenuto di codesta colla
borazione risulta dalla stessa norma, in base alla quale infatti « le
parti concordano tutte le decisioni di rilevante interesse secondo
le esigenze della buona tecnica agraria » e, « in caso di disaccor
do, è data facoltà a ciascuna delle parti di chiedere il parere al
capo dell'ispettorato provinciale dell'agricoltura ».
Dunque, pur non essendo negabile che il concedente rimanga tuttora genericamente in posizione di prevalenza rispetto al mez
zadro nell'esercizio del potere di direzione dell'impresa agricola, è
certo tuttavia ch'egli non possa assumere, in contrasto con la
volontà del mezzadro e prima d'avere ottenuto il parere come
sopra richiesto, « decisioni di rilevante interesse » nella direzione
stessa, senza così sconfinare in un'attività contra ius. E « decisio
ne di rilevante interesse » va sicuramente considerata quella di
immutare un ordinamento colturale per molti anni praticato concordemente dalle parti del rapporto e che, secondo l'apprez zamento di fatto espresso dai giudici del merito, nella specie si
basava sull'avvicendamento della seminazione a grano con la
coltura a carciofeto.
Nessuna censura merita, quindi, il tribunale per avere confer mato il giudizio del pretore circa l'antigiuridicità dell'iniziativa
dell'Arane, volta ad impiantare d'autorità una coltura di cavolfio ri nel fondo in cui il mezzadro s'apprestava alla seminazione del
grano rispettando il normale avvicendamento colturale.
D'altronde tale iniziativa, come gli stessi giudici del merito hanno accertato, s'è realizzata attraverso l'utilizzazione di mano
dopera estranea ed ha paralizzato completamente l'esercizio, da
parte del mezzadro, del potere di fatto relativo appunto alla
suddetta semina: cosi interrompendo violentemente la di lui
detenzione del fondo sotto specie della sottrazione dell'attributo
fondamentale di questa, che consiste appunto nella coltivazione
del fondo medesimo secondo il prestabilito ordinamento colturale.
Né può seriamente sostenersi che tanto sia stato operato senza
il c.d. animus spoliandi. Infatti tale elemento è insito nella volon tarietà stessa di operare un'immutazione di fatto contrastata dal
possessore (o dal detentore), senza che sia necessaria l'intenzione
specifica di recare pregiudizio a costui e senza che giovi allo
spoliator la convinzione di esercitare un proprio diritto, giusta la costante giurisprudenza di questo Supremo collegio, cui i
giudici del merito si sono perfettamente conformati in proposito, cosi come altresì nell'attribuire al mezzadro la detenzione qua lificata del fondo e perciò la legittimazione a chiedere la tutela ex art. 1168, 2° comma, ex. anche contro il concedente.
Pertanto il ricorso va rigettato in toto. (Omissis)
A. Jannarelli
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 1° marzo
1984, n. 1457; Pres. Pennacchia, Est. De Martini, P.M. Pan
dolfelli (conci, conf.); Soc. Agenzia ippica Porta Rossa e altro
(Avv. Dell'Anno, G. B. Leone) c. Largo (Avv. Mori). Con
ferma Trib. Firenze 27 maggio 1980.
Lavoro (rapporto) — Lavoro subordinato — Qualificazione —
Volontà delle parti — Sufficienza — Fattispecie (Cod. civ., art.
2094, 2222).
È sufficiente, ai fini della qualificazione del rapporto di la
voro subordinato, l'accordo tra le parti, a nulla rilevando la
mancata previsione pattizia di sanzioni disciplinari in relazione
ad eventuali inadempimenti o inesatti adempimenti del presta tore (nella specie si trattava di rapporto di lavoro di
« sportellinista » addetta alla raccolta delle scommesse in un'a
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1487 PARTE PRIMA 1488
genzia ippica con impegno lavorativo saltuario, la cui presta zione di lavoro era facilmente sostituibile, da parte del datore, con altri soggetti). (1)
II
PRETURA DI BARI; sentenza 5 novembre 1984; Giud. Curzio; Bocento e Iurilli (Avv. Volpe, Losito, Orlando) c. I.n.a.
(Avv. Carrieri) e I.n.p.s. (Avv. Bruni).
Lavoro (rapporto) — Produttore di assicurazione — Natura
subordinata del rapporto — Identificazione del datore di lavoro — Fattispecie (Cod. civ., art. 2094).
Il produttore di assicurazione, che svolge attività di procacciatore di affari in modo continuativo per un'agenzia di assicurazioni, è dipendente dell'istituto assicurativo (nella specie, due produt tori di assicurazioni, che avevano svolto per molti anni la
attività di procacciatori, sono stati ritenuti dipendenti dell'I.n.a., essendo stati reputati simulati i contratti stipulati tra i produt tori e l'agente di assicurazione). (2)
I
Motivi della decisione. — (Omissis). Con il primo motivo di
impugnazione, le società ricorrenti, denunciando la violazione
(1) In termini, Cass. 17 agosto 1983, n. 5366, Foro it., Rep. 1983, voce Lavoro (rapporto), n. 395, in tema di rapporto di lavoro di « sportellinisti » presso una sala per scommesse su corse ippiche.
La decisione in epigrafe si pone all'interno dell'indirizzo giurispru denziale dominante, secondo il quale l'elemento distintivo fondamentale tra lavoro autonomo e lavoro subordinato è costituito dalla subordi nazione. In tal senso, da ultimo, v. Cass. 3 luglio 1984, n. 3897, id., Mass., 785; 10 luglio 1984, n. 4035, ibid., 818; 14 luglio 1984, n.
4125, ibid., 835; 20 aprile 1983, n. 2728, id., Rep. 1983, voce cit., n. 412.
Inoltre cfr. Cass. 20 settembre 1979, n. 4855 (sulla natura subordina
ta del rapporto di prestazione domestica ad ore) e Cass. 4 luglio 1979, n. 3802 (sulla natura del rapporto di ufficiale esattoriale), id., 1982, I, 248 ss. con nota di richiami.
Per la giurisprudenza di merito, in un caso di specie piuttosto
particolare, v. Pret. Firenze 30 giugno 1982, id., 1983, I, 817, con nota
di richiami (in tema di rapporto di lavoro dell'orchestrale).
Jn dottrina, sulla vexata quaestio dei criteri distintivi tra lavoro
autonomo e subordinato v. da ultimo Ichino, Il tempo della prestazio
ne nel rapporto di lavoro, Milano, 1984, il, 25 ss., con particolare
riferimento alla «continuità della prestazione»; Suppiej, Il rapporto
di lavoro (costituzione e svolgimento), Padova, 1982, 41 ss.; G.
Santoro Passarelli, Il lavoro « parasubordinato », Milano, 1979,
42 ss.
V., inoltre, per le interferenze tra lavoro autonomo e subordinato e,
in particolare, sulla « continuità » e sulla « coordinazione » della
prestazione di lavoro autonomo ai sensi dell'art. 409, n. 3, c.p.c.,
Pedrazzoli, Prestazione d'opera e parasubordinazione, in Riv. it. dir.
lav., 1984, 'I, 506 ss. Per un interessante caso di specie, v. Trib. Pistoia 12 gennaio 1982,
id., 1983, 876, con nota di Oliviero, La qualificazione della prestazio
ne di lavoro del professionista. (2) Cfr., in tema di produttore di affari, Cass. 8 ottobre 1983, n.
5849, Foro it., Rep. 1983, voce Agenzia, nn. 8, 19, 37 e voce
Lavoro (rapporto), n. 392, e in Resp. civ., 1984, 200, che ha escluso la
configurabilità del rapporto di lavoro subordinato sulla scorta dei
criteri elaborati dalla giurisprudenza (soprattutto per insussistenza del
vincolo della subordinazione). Sui produttori di affari assicurativi, v. Cass. 29 novembre 1973, n.
3292, Foro it., 1974, I, 691, con nota di richiami, nella quale, con
riferimento alla posizione del produttore, si afferma ch'essa « non si
atteggia ... secondo uno schema unitario » potendo concretizzarsi sia in
un rapporto di lavoro autonomo sia subordinato (distinzione presente
nel contratto collettivo corporativo del 25 maggio 1939 per la discipli
na dei rapporti tra le agenzie assicurative ed i produttori); Cass. 9
maggio 1984, n. 2840, id., 1984, I, 2514, secondo cui è correttamente
motivata la sentenza del giudice di merito che abbia ritenuto non
costituire condotta antisindacale l'affidamento da parte del datore di
incarichi di lavoro autonomo e la richiesta di sottoscrizione di lettere
con le quali i lavoratori (qualificati come « produttori liberi di
assicurazione ») escludevano la natura subordinata del rapporto, sul
presupposto che i medesimi avrebbero potuto far valere i loro diritti
mediante l'instaurazione di controversie individuali di lavoro.
La sentenza in epigrafe sembra, viceversa, escludere in radice la
possibilità di configurazione di un rapporto di lavoro autonomo tra il
produttore e l'agente di assicurazione a causa dei penetranti poteri di
direzione e di controllo dell'istituto assicuratore (I.n.a.) sull'attività dei
produttori. In dottrina, sulla figura del procacciatore di affari assicurativi,
Baldi, Il contratto di agenzia, Milano, 1981, 244; Ghezzi, Contratto
d'agenzia, in Commentario, a cura di Scialoja e Branca, BolognaJRoma, 1970, 246, 247 (nota 2).
Il Foro Italiano — 1985.
dell'art. 2099 c.c. e la falsa applicazione dell'art. 2222 dello stesso
codice (sub art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), nonché l'omissione ed
insufficienza della motivazione sul punto decisivo costituito sia
dalla « caratterizzazione soggettiva dell'art. 2094 c.c., data dal
vincalo di subordinazione », sia dal contenuto della domanda,
lamentano che il Tribunale di Firenze, partendo dall'erroneo pre
supposto che esse agenzie avessero ammesso che la prestazione della Largo si fosse svolta in condizioni di subordinazione, e con
motivazione « sibillina » abbia del tutto dimenticato che la do
manda dell'attrice era diretta ad ottenere una declaratoria di
sussistenza del rapporto di lavoro subordinato, implicante, nell'as
senza, l'accertamento dell'obbligo della « collaborazione », per cui
il tribunale stesso avrebbe dovuto limitarsi ad affermare o negare
l'esistenza, nel caso, di tale obbligo. Chiariscono che, per i c.d.
« diurnisti », per i quali viene riconosciuto al lavoratore il potere di rifiutare la prestazione richiestagli, senza necessità di giustifi
cazione, viene a mancare proprio la continuità del vincolo di
subordinazione, essenziale per la configurazione di un tipico
rapporto di lavoro subordinato; si dolgono inoltre che il giudice non abbia fondato principalmente la sua indagine sui criteri
differenzianti, nelle caratteristiche fondamentali, il lavoro auto
nomo da quello subordinato.
Con il secondo motivo, sotto ili profilo della violazione dell'art.
2094 c.c. e della omessa o soltanto apparente motivazione, le
agenzie deducono che del tutto arbitraria appare l'interpretazione data dai giudici del merito alle difese di esse convenute, ap
pellanti, le quali, in realtà avevano sempre contestato l'esisten
za di qualsiasi rapporto con vincolo di subordinazione, stante la
rilevata totale libertà dell'attrice di rendere o meno la sua
prestazione lavorativa, senza obbligo di giustificazione per la
mancata resa, con facoltà di rifiutarla anche nel corso dell'impie
go pattizio, onde non poteva sicuramente parlarsi di riconosci
mento, da parte di esse, dell'inserimento della medesima nell'or
ganizzazione dell'impresa, e tanto meno della prestazione di una
collaborazione subordinata.
Con il terzo motivo del ricorso si censura la sentenza impu gnata per violazione e falsa applicazione degli art. 2094, 1321 e
1372 c.c. e per omessa motivazione sul punto decisivo costituito dalla prospettata possibilità di « giungere », tra le parti, ad accordi sulla prestazione di attività lavorativa, senza che, per ciò
solo, si debba indispensabilmente ritenere la sussistenza di un rap
porto di lavoro subordinato tra le stesse, soprattutto se tra le clau
sole di tale accordo vi sia quella autorizzante il rifiuto della presta zione senza necessità di giustificazione alcuna (mancanza dell'obbli
go di collaborazione), nonché per violazione del medesimo art.
2094, c.c. e dell'art. 115 c.p.c., per essere il tribunale pervenuto alla
sua decisione sulla base « della generalizzazione del tipo di rappor
to, esteso irritualmente a quello estraneo tra le parti », con insuffi
ciente motivazione circa le fonti di prova, nonché ancora per
violazione dell'art. 2697 c.c. (art. 360, n. 5, c.p.c.) con riferimento
alle norme di legge già richiamate, per omessa motivazione sulla
richiesta di prova testimoniale articolata sin con la comparsa di
costituzione in primo grado e riproposta in appello. Con il quarto motivo, le ricorrenti si dolgono che erroneamente
il giudice abbia negato il dovuto rilievo alle assenze dal lavoro
della Largo, deponenti chiaramente per l'insussistenza del vincolo
di subordinazione (violazione dell'art. 2094 c.c. e vizio di motiva
zione su punto decisivo). Con il quinto motivo, infine, viene denunciata l'omessa motiva
zione della sentenza del tribunale sul punto decisivo costituito
dalla facoltà dei « diurnisti » di rifiutare senza giustificazione ed
in qualsiasi momento la prestazione promessa, e si osserva che
non poteva perciò, nella fattispecie, farsi utile richiamo alla 1. n.
230/62, che presuppone, per la sua applicabilità, pur sempre l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato (violazione art.
2094 c.c. ed 1 e 2 1. n. 230/62 sub art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.). Gli esposti motivi di impugnazione, che possono ben essere
sottoposti a valutazione congiunta, stante l'evidente, stretta con
nessione tra gli stessi e le facilmente riscontrabili ripetizioni in
alcuni di essi, e neppure sempre sotto diversa prospettazione almeno formale, di censure già, nella loro sostanza, contenute in
altri, non meritano di essere attesi.
Di fronte all'accertamento, svolto dai giudici del merito in
linea di fatto (sulla base di tutte le risultanze probatorie in atti
ed anche valorizzando determinate affermazioni e considerazioni
fatte e svolte dalle medesime convenute, circa la condizione
subordinata delle prestazioni, affermazioni e considerazioni che
qui non vengono nella loro portata oggettiva negate, ma solo
contestate negli effetti da esse tratti e svalutate nel loro effettivo
significato portante — v. il tenore del secondo motivo —, onde,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
tra l'altro, appare qui irrilevante la denuncia di violazione
dell'art. 2697 c.c., di cui al terzo motivo) che vi era stato un
preciso accordo tra le parti, implicante determinate prestazioni di energie lavorative, da parte di una di esse, ed un compenso economico in corrispettivo delle medesime, da parte dell'altra,
utilizzante tali prestazioni, inserite strumentalmente e capillarmen te nell'organizzazione imprenditoriale, accordo prefissante in ter
mini concreti l'orario di lavoro settimanale, le modalità ed i
turai, cui attenersi nella prestazione delle opere ed il luogo del
loro svolgimento, entro la sfera territoriale aziendale e sotto il
controllo diretto e la sorveglianza del datore di lavoro, non si
vede davvero come possa contestarsi, alla parte la quale volonta
riamente ha assunto l'obbligazione di collaborazione nell'impresa
nel senso rilevato, la qualifica di prestatore di lavoro subordinato,
negli estremi per essa stabiliti dall'art. 2094 c.c. (eventual mente nel profilo idi rapporto derivante da più contratti a
termine), e possa conseguentemente negarsi la sussistenza ed il
vigore, tra i contraenti, di un rapporto di lavoro di tale specifico
tipo.
Del tutto ininfluente, in proposito, appare l'argomento, addotto
dalle ricorrenti, tendente a disconoscere l'elemento della subordi
nazione, per mancanza di un vero e proprio obbligo alila collabo
razione nell'impresa, con esolusione perciò anche dell'inserimento
del soggetto nell'organizzazione di questa, non essendo state
previste nell'accordo suddetto (né, comunque, concretamente mai
applicate) particolari responsabilità, né sanzioni disciplinari per il
prestatore di opere che rifiutasse di rendere le attività promesse o
le interrompesse nell'arco di tempo dell'impegno pattizio o addi
rittura ned corso della loro resa: l'argomento, infatti, non consi
dera che il contratto si conclude immediatamente con l'accordo
finale deKe partì sulle reciproche obbligazioni con lo stesso
assunte, che il relativo rapporto obbligatorio sorge connatural
mente e contestualmente, a parte l'accidentale presenza di deter
minate condizioni temporali o normative, con l'accordo stesso, nei
termini, con le modalità e nei tempi in esso stabiliti (art. 1326 ss.
c.c.), e che l'eventuale inadempimento o il ritardo nell'adempimento o il differenziato modo o tempo di renderlo può determinare la rea
zione della parte creditrice nell'obbligazione, a norma degli art.
1453 ss. c.c., ma ciò rimane rigorosamente circoscritto nell'ambito
delle facoltà rimesse alla libera determinazione della stessa, onde
una mancata reazione non può certo, nel campo del diritto, snatu
rare il contratto intervenuto nella sua sostanziale tipicità; e, dal pun to di vista delle essenzialità negoziale, neppure considera che detta
sostanziale tipicità nemmeno può rimanere sconvolta o scomposta dal fatto che, nella convenzione privata, non si siano in alcuna
maniera previste sanzioni o responsabilità dipendenti da una
situazione di mancata o ritardata o anomala adempienza agli
obblighi assunti, dato che, 'accertata l'esistenza e validità dell'ac
cordo e del contenuto delle obbligazioni dal medesimo scaturenti, ciò è sufficiente per la definizione e l'inquadramento nell'ambito
dell'ordinamento giuridico del contratto stesso, con l'effetto della
applicabilità al rapporto con esso costituito delle norme di legge,
imperative o .anche meramente dispositive, regolanti la fattispecie così individuata, rimanendo indifferente qualsiasi volontà delle
parti, pure se eventualmente trasparente dall'accordo (soprattutto nella materia in questione, nella quale il sinallagma contrattuale,
pur rimanendo il substrato fondamentale del rapporto, resta sotto
posto a molteplici interventi interpretativi o rigidamente imperati vi stabiliti o imposti dalla legge o dalla sovrastante contrattazione
collettiva, se applicabile), nel senso di intendere, assurdamente, non « obbligatorie » in senso tecnico le obbligazioni assunte
(legate non al concetto di' « coazione », bensì a quello di « possi bilità di coazione»): indubbiamente la fittizàetà di quel dato
contratto tipico potrebbe essere fatta valere, da colui che ne ha
interesse, nei modi e con gli strumenti dalle leggi previsti, per i
casi di distorsione o non corrispondenza della effettiva volontà
negoziale con la manifestazione contrattualmente espressa e con
10 schema adottato, ma, in mancanza di ciò, la parte, a sua volta
controinteressata, può ben azionare davanti al giudice i diritti a
lei spettanti sulla base del contratto medesimo, come inquadrato nella legislazione vigente.
Quanto alla lamentata omessa motivazione (v. terzo motivo) sulla mancata ammissione della prova per testi, che si assume
articolata già in primo grado e riproposta in appello, su circo
stanze che si affermano decisive, deve rilevarsi che proprio tale
decisività delle stesse non può essere in questa sede in alcun
modo controHata, stante il difetto assoluto di un'utile specifica
zione, nel testo del ricorso, delle circostanze medesime, per cui la
censura, cosi come proposta, si dimostra sicuramente sterile.
11 Foro Italiano — 1985 — Parte I- 96.
Dalla semplice, completa lettura, poi, della sentenza impugnata
rimangono con evidenza neutralizzate le polverizzanti denunzie di
cui ial quarto ed al quinto motivo, relative, rispettivamente, al
negativo rilievo dato alle assenze dal lavoro della Largo ed al
richiamo fatto alla 1. n. 230/62, argomenti questi di cui il
tribunale si è in realtà occupato con motivazione del tutto
congrua e pienamente convincente.
Va aggiunto che neppure potrebbe sostenersi che sarebbe nel
caso mancato l'obbligo, convenzionale e pratico, del prestatore di
lavoro di mantenersi a disposizione dell'imprenditore tra ogni sua
prestazione e la successiva, intervallata nel tempo, onde non si
sarebbe mai potuta configurare come sussistente la condizione
della continuità del rapporto obbligatorio, per un periodo deter
minato o indeterminato, quale elemento caratterizzante e pregnan te proprio del rapporto di lavoro subordinato nel suo aspetto
tipico, con conseguente esclusione dell'effettivo inserimento stabile
del soggetto 'nell'organizzazione dell'azienda, dato che detta con
dizione, sia pure come disponibilità del lavoratore nei limiti dei
turni pattuiti e con la facoltà di facile sostituzione di un
dipendente con un altro, ma sempre con sicuro inserimento di
ognuno nella complessiva organizzazione dell'attività imprendito riale è stata ritenuta, nella specie, pienamente sussistente dal
giudice del merito, attraverso una opportuna ricostruzione dei
fatti di causa, seguita da un congruo accertamento degli impegni contrattualmente assunti dalle parti e delle reciproche, precise posizioni obbligatorie: non essendo certamente la mera saltuarietà della prestazione di lavoro (v. tra le altre, le sentenze di questa corte 12 marzo 1980, n. 1659, 26 marzo 1980, n. 2020, Foro it.,
Rep. 1980, voce Lavoro (rapporto), nn. 285, 251, e 28 maggio 1982, n. 3299, id., Rep. 1982, voce cit., n. 300), nelle sue
poliedriche possibilità di manifestarsi, in presenza dell'accennata
disponibilità subordinata, incensurabilmente ritenuta in sede di
merito, di per sé e da sola idonea a fare escludere l'esistenza del contratto e del relativo rapporto di lavoro subordinato, non
rimane qui alcun appropriato e logico appoggio alla indicata tesi, forse solo di sfuggita ventilata dalla società ricorrente.
Il ricorso deve essere pertanto totalmente respinto. (Omissis)
II
Motivi della decisione. — Il problema centrale della contro
versia è quello di stabilire se i periodi di lavoro precedenti alle date in cui l'I.n.a. ha assunto i ricorrenti (e cioè il periodo dal 1°
novembre 1949 al 30 giugno 1962 per il Boccuto e dal 1° gen naio 1949 e dal 31 luglio 1963 per il Iurilli) sono, o meno, di
lavoro subordinato svolto alle dipendenze dell'I .n.a.
Per affrontare adeguatamente il problema è necessario analizza
re la struttura formale del rapporto di lavoro dei ricorrenti e confrontarlo con la realtà effettiva quale è emersa dai documenti
allegati' dalle parti e dalla istruttoria svolta. In quel periodo (49-62), formalmente, i ricorrenti hanno
svolto il lavoro consistente nella produzione di contratti; di
assicurazione deH'I.n.a., per una prima fase alla dipendenza dei « produttori » Massari e Manzari, poi alle dipendenze di agenzie.
La produzione di polizze I.n.a. senza essere formalmente alle
dipendenze dell'I jn.a. è giuridicamente possibile in base all'orga nizzazione dell'istituto.
Al pari di altre compagnie assicuratrici, l'I.n.a. ricorre, per l'acquisizione di contratti di assicurazione, ad agenzie in econo mia (o a gestione diretta) e ad agenzie a gestione libera. In
quest'ultimo caso l'agente non è altro che un imprenditore il
quale esercita un'attività economica organizzata consistente nella
produzione, in ima determinata zona, di contratti di assicurazione
per conto del preponente dietro corresponsione di una provvi
gione. Questo tipo di organizzazione non è in contrasto con norme
di legge. Infatti l'organizzazione per agenzie, prevista dallo statu
to dell'I AMt. che è costituito da un regio decreto, è inquadrabile
negli schemi del contratto di agenzia (art. 1742-1753 c.c.). Lo statuto dell'I.n.a. (r.d. 20 maggio 1926 n. 933) prevede e
disciplina le agenzie nel titolo quarto (art 12, 13 e 14). Premesso
che in ogni provincia deve essere istituita un'agenzia generale, lo
Statuto sancisce che gli agenti generali: « organizzano sul territo
rio loro assegnato la produzione ed amministrano il portafoglio servendosi di agenti locali, di produzione e degli uffici, enti o
persone autorizzati »; « rispondono degli agenti locali dei produt tori e delle altre persone che da essi dipendono »; « devono
istituire agenzie locali in tutti i capoluoghi di circondario o di
mandamento »; « nominano gli agenti locali previo assenso dell'i
stituto ».
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1491 PARTE PRIMA 1492
Questa organizzazione per agenzie, generali e locali, pur essen do stata dettata nel '26, rientra abbastanza agevolmente negli schemi del contratto di agenzia definito per la prima volta solo dall'art. 1742 c.c. del 1942 (secondo il quale, con tale contratto, « una parte assume stabilmente l'incarico di promuovere, per conto dell'altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in
una zona determinata »). Richiamato questo istituto, l'I.n.a. ha articolato la propria difesa sostenendo che, dal 49 al 62, il Boccuto ed il Iurilli hanno svolto attività di procacciatori di affari per agenti generali o per soggetti che erano a loro volta
produttori di agenti generali. Rispetto a questi rapporti l'I.n.a. ha
eccepito la sua sostanziale estraneità.
La ricostruzione della concreta vicenda lavorativa di Luigi Boccuto e Giuseppe Iurilli dimostra però come questa « estranei
tà » dell'I.n^a. sia fortemente contraddetta dalla realtà dei rappor ti e come, quindi, gli schemi formali adottati sulla base delle
norme dello statuto I.n.a. e del codice civile siano stati sottoposti nella realtà dei fatti a delle torsioni tali da non consentire più il
comodo (per l'I.n.a.) inquadramento negli istituti giuridici su
richiamati. Non si vuole certo sostenere che ogni forma di
controllo del preponente nei confronti di coloro che lavoravano
per l'agenzia sia incompatibile con il contratto di agenzia, ma se
il controllo diventa costante ed è esteso a tutti i punti qualifican ti di una vicenda lavorativa e se in alcuni momenti centrali, non
è più solo controllo, ma è decisione direttamente incidente in
modo preciso e determinante su quella vicenda, allora lo schema
formale non regge più e il rapporto deve essere riconosciuto per
quello che è: un rapporto di lavoro diretto tra l'I.n.a. e il
collaboratore dell'agenzia. Ciò è quanto è accaduto nelle due vicende parallele del
Boccuto e del Iurilli ned periodo di tempo tra il 1949 e il 1962.
Nel corso dell'interrogatorio libero delle parti e della prova
testimoniale questa presenza incisiva dell'I.n.a. è emersa sotto
molteplici profili e in modo costante durante tutto l'arco di
tempo del rapporto, anzi sin dalla fase precedente alla sua
instaurazione, f! emerso infatti che l'I.n.a. è presente in modo
determinante sin dalla fase pre-contrattuale e cioè nei c.d. corsi
di preassunzione. A tali corsi si accede, ha spiegato il teste
Peluso, compilando « moduli prestampati dall'I .n.a. » in cui, oltre
alle domande, vengono integrate schede informative e il « curricu
lum » del candidato. Il corso può essere tenuto dall'agente, ma
anche in tal oaso non manca la presenza del rappresentante deirijn.a. Oppure il corso è organizzato dalla direzione generale dell'Lnja. che lo affida iall'agente di zona o, in altri casi, ad un
funzionario dell'Ln.a. (così 1 teste Chiantera, il quale ha precisa to di aver tenuto corsi nel periodo fra il 1956 e il 1959 in cui
era, appunto, dipendente dell'Ln.a.). Per questi corsi — ha precisato il teste — « la direzione
centrale » corrispondeva al responsabile 1. 90.000 mensili per tutta
la durata del corso ed ai partecipanti la somma di circa lire
30.000 ad mese ».
Dopo il corso si sostiene un esame svolto da una commissione
composta dall'agente che lo ha gestito, dall'istruttore e dal titolare
del centro ispettivo dell'I .n.a. (teste-Peluso). Il teste Chiantera ha
precisato che la commissione era presieduta « da un alto funzio
nario della direzione generale ». Entrambi i testi che si sono
pronunciati sull'argomento concordano quindi nel segnalare una
presenza assolutamente centrale e condizionante dell'I.n.a. al
momento della selezione del personale.
Negli anni più bui — quelli del resto in cui iniziarono il loro
lavoro Iurilli e Boccuto — la presenza deH'I.n.a. poteva inoltre
assumere connotati anche meno sofisticati: « come agente genera le di Monopoli — ha dichiarato il teste Chiantera — mi è
capitato idi ricevere segnalazioni dal centro sulla indesiderabilità
ai fini dell'assunzione di alcuni elementi ».
Corso, esame, finalmente il posto; l'assunzione avviene tramite
la c.d. lettera d'incarico che viene, questa si, scritta dall'agente. Ma anche questo compito, formale e puramente burocratico
(perchè l'ari è stato già deciso), non viene lasciato integralmente
all'agente. Ci vuole il benestare dell'Ln.a. (vedi interrogatorio del
procuratore speciale I.n.a. del 28 febbraio 1980).
L'agente deve cioè inviare la lettera d'incarico alla direzione
che verifica la sussistenza dei requisiti necessari (teste-Peluso). Fatta questa verifica la direzione rilascia il benestare, indicando il
numero di codice e fa richiesta di invio di fotografia di ricono
scimento. Ricevuta tale fotografia la direzione rilascia un tes
serino di riconoscimento che viene dato al collaboratore. Pres
so la direzione generale viene formato il « fascicolo perso nale » (teste Peluso, titolare del centro ispettivo di Napoli). Il contratto può quindi essere stipulato perché vi è il benestare.
Il Foro Italiano — 1985.
Ma persino alla stipulazione materiale, che, dopo tutto ciò, ha un
significato meramente esecutivo, è « sovente » presente un ispetto re dell'I.n.a. (teste-Chiantera).
In tutta questa prima fase relativa all'assunzione può quindi concludersi che l'agente firma la lettera d'incarico e svolge una
più o meno partecipe collaborazione, ma chi seleziona, decide e controlla è la direzione generale dell'I.n.a.
Le cose non cambiano nel corso del rapporto. I compensi ai produttori vengono corrisposti dall'agente, ma
— ha precisato di procuratore speciale dell'I.n.a. avv. De Vita —
l'agente comunica alla direzione generale le spese relative a tali
compensi e H.n.a. corrisponde un contributo alle agenzie in relazione « alle eccessività dei carichi di spesa ». L'I.n.a. fornisce inoltre dei contributi fissi in varie fasi (il teste Chiantera ha indicato alcune cifre corrisposte periodicamente dall'I .n,a. agli agenti in relazione a ciascun produttore ed ha affermato che l'I.n.a. versa anche il contributo per gli oneri sociali; conforme il teste Volpintesta).
Deve poi sottolinearsi che l'I.n.a. ha sempre riservato a sé
l'aspetto economico maggiormente incidente sulla vitalità del
rapporto: gli incentivi. Il « libro d'onore » tenuto dall'I.n.a., di cui
hanno parlato numerosi testi, ha infatti proprio la funzione di
registrare i collaboratori che abbiano svolto un elevato volume di
affari, collegandovi la corresponsione di un « premio trimestrale »
(teste-Peluso). Non mancano poi premi di produzione « extra »
corrisposti dai centri ispettivi dell'I.nja. (teste-Chiantera). È pre vista persino una patetica, ma certamente produttiva, medaglia d'oro, che 1'I.n.a. corrisponde ai produttori al superamento di una
certa anzianità.
Vi è poi anche un meccanismo tutto particolare per quanto attiene all'indennità di anzianità da corrispondere ai produttori. Lo ha descritto il procuratore speciale dell'I.n.a., avv. De Vita, in
questi termini: «gli agenti dell'istituto hanno tutti delle polizze assicurative con l'istituto per il pagamento dell'indennità di riso
luzione del rapporto verso i dipendenti dell'istituto stesso. Si
tratta di polizze sostitutive dell'iscrizione al fondo indennità
impiegati, stipulate anche da società estranee all'ente. Non so dire
se dette polizze sono obbligatorie per gli agenti e se sui relativi
premi vi sia il contributo del 5 % da parte dell'I.n.a. ».
Da tale affermazione emerge che l'I.n.a. ha predisposto anche
uno schema formale per corrispondere un'equivalente dell'inden
nità di anzianità ai produttori degli agenti. Invero l'avv. De Vita
ha parlato di « dipendenti dell'istituto stesso », ma si tratta
evidentemente di un lapsus freudiano o, più semplicemente, di una
banale confusione tra categorie di soggetti differenti sulla carta, ma omogenee nella realtà effettiva dei rapporti, sino al punto che persino un avvocato, alto dirigente dell'istituto e suo procura tore speciale, non è riuscito, nel procedere del suo discorso, a
conservare la distinzione.
Del resto il procuratore speciale De Vita, già nell'interrogatorio libero precedente alla riunione delle cause (del 28 febbraio 1980,
nella causa Iurilli), aveva apertamente ammesso che tra i dipen
denti daU'Ln.a. e i produttori degli agenti vi era una distinzione
formale cui corrispondeva un diverso trattamento economico, ma
nella realtà dei rapporti vi era omogeneità. L'avv. De Vita ha
infatti affermato: « la posizione del produttore direttamente di
pendente dall'istituto e destinato presso un'agenzia è privilegiata, come trattamento e inquadramento, rispetto a quella del produt tore di agenzia, rispetto al quale d'altra parte dovrebbe avere una
maggiore qualificazione professionale, salva l'eventuale coinciden
za di attività sul mercato ». Quindi nelle « agenzie in cui
operano produttori I.n.a. e produttori dell'agente » la distinzione
è solamente formale, mentre l'attività produttiva è la stessa.
Un aspetto particolarmente saliente ai fini della qualificazione del rapporto è quello ulteriore concernente i poteri dell'imprendi tore.
Liart. 2094 c.c. infatti, dopo aver puntualizzato che il rapporto di lavoro ha natura subordinata quando il prestatore si obbliga « mediante retribuzione » a « collaborare nell'impresa », precisa che ciò deve avvenire « prestando il proprio lavoro intellettuale o
manuale alle dipendenze e sotto la1 direzione dell'imprenditore ».
I temi prima esaminati hanno già fornito indicazioni precise che inducono a ritenere sussistente il requisito cardine dell'art. 2094 e indicano che il soggetto titolare, nella realtà del rapporto ai di là delle più o meno elaborate forme utilizzate, è l'istituto
nazionale delle assicurazioni.
Ma ogni dubbio viene escluso considerando gli aspetti concer nenti il controllo sull'attività produttiva e il più incidente tra i
poteri dell'imprenditore sui suoi dipendenti: quello di trasferirli da una città ad un'altra.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Dei controlli ha parlato il teste Volpintesta (impiegato del
l'I.n.a. dal 1942) il quale ha precisato che « in sede di esecuzione
del piano di produzione l'I .n.a. attraverso gli ispettorati regionali
viene informato sull'attività dei singoli produttori, attraverso i
documenti che testimoniano l'attività organizzativa dell'agenzia ».
Inoltre, ha aggiunto: « Il compito dell'ispettore regionale è
quello di verificare l'andamento produttivo stimolando l'agente e,
almeno come avveniva un volta (ai fini della decisione interessa
il periodo 49-62), controllando direttamente anche il produttore
sempre in presenza dell'agente; non posso in via specifica riferi
re se tale tipo di intervento sia stato svolto a suo tempo anche
nei confronti di Boccuto e Iurilli fra il 1950 e il 1953. Ricordo
che una volta capitava spesso che per queste finalità l'ispettore
regionale imponesse all'agente di convocare tutti i componenti
l'organizzazione produttiva per le esigenze del servizio e l'incre
mento della produzione. Si trattava di una prassi e di iniziative
che rientrano nei compiti dell'ispettore ».
Anche il teste Chiantera è stato analitico sul punto: « Fatta
eccezione per i produttori di IV gruppo — ha dichiarato — sui
quali in qualche modo gli agenti generali esercitavano i più ampi
poteri, per tutti gli altri produttori le interferenze del centro
ispettivo erano costanti. Per esempio anche nel caso in cui si
fossero dovute denunciare delle irregolarità occorreva il placet del centro ispettivo; inoltre, altro esempio, se c'era da cor
rispondere un premio extra, al di là cioè di quelli ordinari
legati alla produttività, essi venivano elargiti direttamente
dal centro ispettivo all'interessato ». « Gli ispettori del centro
regionale — ha infine dichiarato il teste — verificavano le nostre
schede di produzione e talora ci esortavano e ci stimolavano ai
fini produttivi ». In sintesi gli ispettori dell'I.n.a. esercitavano
quindi le seguenti operazioni di controllo: 1) esaminavano le
schede personali dei produttori, i documenti attestanti la produ
zione; 2) controllavano la corrispondenza con i piani di produ
zione; 3) esortavano e stimolavano ai fini produttivi; 4) elargiva no premi extra di produttività; 5) imponevano all'agente la
convocazione dei produttori dinanzi a sé; 6) davano il placet
per la denuncia di eventuali irregolarità. Manca solo la comminatoria di sanzioni disciplinari formali,
ma la convocazione di tutti i collaboratori e le esortazioni fornite
in quelle occasioni inducono necessariamente a pensare anche a
probabili rimproveri verbali per chi presentasse schede di lavoro
insufficienti. Per il resto, un'organizzazione del tipo di quella
descritta non ha bisogno di sanzioni disciplinari, posto che il
produttore che non produce abbastanza, come si vedrà, può essere in ogni momento escluso dal circuito o trasferito da
Cosenza ad Arezzo.
Quest'ultima osservazione conduce direttamente a considerare
l'aspetto più pregnante del potere imprenditoriale dell'I.n.a. nei
confronti dei produttori Boccuto e Iurilli tra il 1949 e il 1962.
Seguendo il vagare di questi due lavoratori per l'Italia, in anni
duri (49-62), in cui viaggiare e trasferirsi a distanza di pochi mesi
era ben diverso da oggi, si ha la precisa visione del fatto che, al
di là delle forme giuridiche utilizzate, il centro del potere decisionale che organizzava, condizionava e controllava il loro
lavoro era collocato nella struttura nazionale dell'I.n.a. e che, al
di là dei rapporti formali intrattenuti, di volta in volta, con il
subagente Massari, con il gestore della « squadra volante » o con
l'agente generale di Cosenza o di Brindisi, costoro producevano
per l'I.n.a. e dipendevano dalla struttura I.n.a.
£ necessario a questo punto avvicinarsi di più alle due storie
personali parallele, storie di lavoro duro in anni di vita dura per buona parte degli italiani, ma anche di ingenti profitti per chi è
riuscito a collocarsi negli snodi delle intermediazioni di manodo
pera e per chi si è avvalso di tali intermediazioni.
Luigi Boccuto comincia a produrre polizze I.n.a. nel novembre
1949, in Bari, presso l'organizzazione Massari; pochi mesi dopo si
trova a Cosenza presso l'organizzazione Manzari. Analogo traccia
to segue Giuseppe Iurilli, che anzi ha iniziato qualche mese
prima. Del lavoro dei due a Cosenza ha parlato il teste Volpinte sta: « Nel 1950 — ha detto — venne a Cosenza una di quelle ' organizzazioni volanti
' di produttori cui si usava rivolgersi un
tempo per varare certe campagne settoriali. Queste organizzazioni venivano chiamate dall'agente con l'intesa dell'ispettore regionale I.n.a. proprio in vista di queste campagne assicurative. Cosi fu
nel 1950 quando fu chiamata l'organizzazione di cui capo risulta
va tale Manzari Francesco e di cui facevano parte tra gli altri
come produttori Iurilli e Boccuto ».
Il teste (che lavorava per l'agenzia di Cosenza all'epoca) ha
quindi descritto il lavoro dei due ed ha spiegato che l'agenzia non aveva bisogno di controllare se lavorassero anche per altri,
Il Foro Italiano — 1985.
perché ciò non sarebbe stato possìbile « per la mole del lavoro »,
in altri termini Boccuto e Iurilli lavoravano a tempo pieno. Il
teste ha inoltre sottolineato che solo di due ricorrenti lavoravano,
ricercando la clientela e promuovendo i contratti, mentre il
Manzari era « il responsabile », elencava il loro lavoro in prospet ti che consegnava all'agente I.n.a. di Cosenza percependo il
relativo compenso a percentuale. Ma il Manzari era cosi poco
necessario, che quando andò via il Boccuto e il Iurilli rimasero a
lavorare in Cosenza. Niente potrebbe rendere meglio il carattere
tutto fittizio dell'intermediatore Manzari. L'unica funzione sociale
di questa figura è quella di evitare al vero datore di lavoro gli
aspetti negativi di tale posizione, intascando una percentuale in
corrispettivo.
Dopo Cosenza, Boccuto e Iurilli vengono inviati (non certo dal
Manzari che era già andato via, né dall'agente di Cosenza che
non ha tale potere, né dalla loro voglia di girare il mondo) l'uno a Brindisi e l'altro in Umbria.
Boccuto, a Brindisi, lavora per l'agente generale di quella città.
Dopo essere stato a Brindisi sino al 1956, viene nominato « agente viaggiante » e svolge la sua attività tra Fasano, Ostuni e altre cittadine delle province di Brindisi e di Lecce.
Iurilli va in varie città dell'Umbria e in varie città della Toscana dove ritrova il Manzari, il quale continua anche
qui a non lavorare. In proposito il teste Pastacaldi, riferen do della situazione a Pistoia nel 1955-1956, ha dato atto del fatto che « benché ufficialmente apparisse il detto Manzari, sostan zialmente fu il Iurilli a svolgere il lavoro... Per il suo lavoro il Iurilli veniva periodicamente pagato dall'agente; l'eccedenza veni va versata al Manzari ».
Dopo essere stato trasferito da Perugia a Foligno, da Foligno a
Rieti, quindi a Temi, a Pistoia, Grosseto, Arezzo e Cremona, nel 1957 Iurilli viene mandato a Teramo dove lavora sino al 1961, anno in cui viene mandato a Matera (il 1° settembre 1961).
Questa vicenda di mobilità, intricata e pesante per chi l'ha
vissuta, non può essere spiegata senza riconoscere nella struttura deU'I.n.a. il relativo potere decisionale. Essa prescinde ed è certo al di là dei poteri degli agenti, per definizione limitati a zone circoscritte del territorio nazionale, né può, per la sua persistenza nel tempo, essere attribuita ad un libero dispiegarsi delle forze del mercato del lavoro. È la struttura dell'I.n.a. che « accerta » le
esigenze di personale nelle varie zone e in relazione a ciò « sposta » un produttore da Cosenza a Brindisi o da Perugia a Cremona. Formalmente il produttore passa da un'agenzia ad
un'altra, in realtà però cambia solo il filtro, ma egli rimane alle
dipendenze e sotto la direzione dell'I.n.a.
Ed infatti, per i periodi di vacatio, anche il filtro formale viene messo da parte. Il procuratore speciale dell'I.n.a. avv. De Vita ha
spiegato che « in caso di passaggio di agenzia interviene la
gestione interinale dell'I.n.a. con passaggio dei dipendenti dall'a
gente temporaneamente alle dirette dipendenza deU'I.n.a. ».
Si conclude qui l'esame dei momenti qualificanti del rapporto di lavoro. Ciascuno dei punti esaminati dimostra che nelle
fattispecie in esame sono rinvenibili tutti gli elementi fondamenta li richiesti dall'art. 2094 c.c. per definire il lavoratore subordinato e cioè: l'onerosità (« mediante retribuzione »), la continuità (che si
desume dal contesto della norma e, in negativo, dall'art. 2222 c.c.), la « collaborazione nell'impresa » e la subordinazione (« prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore »).
L'onerosità è pacifica. Il fatto che il pagamento sia avvenuto a
provvigioni non incide negativamente sulla qualificazione del
rapporto come subordinato, secondo un ormai consolidato e unitario orientamento giurisprudenziale (cfr. Cass. 14 giugno 1979, n. 3353, Foro it., 1979, I, 2897). Sussiste la collaborazione, nel senso — precisato dalla giurisprudenza — di inserzione del
prestatore nell'organizzazione dell'impresa (distinguendo la colla borazione nella impresa dalla generica collaborazione all'impresa) si è visto infatti come i ricorrenti siano stati parte integrante del circuito organizzativo dell'I.n.a. in più posizioni e punti del medesimo a seconda del periodo.
Sussiste poi la continuità, elemento fortemente caratterizzante. Ciò tanto sotto il profilo della esclusività del rapporto (in più punti — come si è visto — è emerso che Boccuto e Iurilli erano
impegnati a tempo pieno) quanto sotto il profilo della sua
persistenza per anni come attività continua non risolvibile in una o più opere. Il requisito è emerso anche nella sua accezione più complessa (elaborata dalla dottrina: v. Ghera, Diritto del lavoro, Bari, 1983, p. 39 ss.) come continuità dell'ingerenza del datore di
lavoro che trasforma il generico potere di controllo del creditore
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1495 PARTE PRIMA 1496
di lavoro autonomo nello specifico potere direttivo del datore di lavoro subordinato.
Sul potere direttivo con le sue esplicazioni più evidenti nel
potere di controllo e di trasferire il lavoratore da un punto all'altro dell'organizzazione produttiva ci si è ampiamente diffusi.
All'ulteriore domanda, concernente l'individuazione del datore di lavoro, non si può poi, in base alle risultanze di tale esame analitico, dare altra risposta che la seguente: I.n.a.
La titolarità attiva di tutti gli elementi su richiamati è inquivo cabilmente, come si è visto, dell'I.n.a.
Era l'Ln.a. che trasferiva, era l'Ln.a. che controllava con i suoi
ispettori l'entità del lavoro, era l'I.n.a. che dirigeva la formazione, era l'Ln.a. che corrispondeva gli incentivi e assicurava con
compensi aggiuntivi il pagamento della retribuzione quando l'a
gente non aveva fondi sufficienti, era l'Ln.a. che selezionava, ecc.
L'agente è certo un imprenditore autonomo che ha stipulato con l'Ln.a. un contratto di agenzia. Avrà probabilmente avuto
propri beni aziendali, propri dipendenti (dattilografi o altro) e anche propri collaboratori esterni. Ma per Boccuto e Iurilli e per i produttori a tempo pieno che hanno una storia lavorativa simile alla loro l'agente è solo un intermediatore, un interposto. Il vero
titolare della posizione giuridica di datore di lavoro è l'I.n.a.
Per accertare ciò anche sul piano giuridico non è necessario ricorrere alla 1. 23 ottobre 1960 n. 1369 (che riguarda invero situazioni più sofisticate), ma è sufficiente applicare le norme del codice civile sulla simulazione soggettiva e oggettiva e sul lavoro subordinato. Queste ultime, individuando i criteri della subordina
zione, indicano anche correlativamente i criteri per riconoscere i
soggetti titolari del rapporto, mentre è quasi superfluo ricordare
che, secondo giurisprudenza costante, per qualificare il rapporto
bisogna considerare, indipendentemente dal nomen iuris usato, la
sua oggettiva sostanza ed il suo reale contenuto (v. Cass. 14
giugno 1979, n. 3353, cit., e da ultimo: Cass. 14 ottobre 1983, n.
6025, n. 6010, m. 6008, n. 5946, id., Rep. 1983, voce Lavoro
(rapporto), nn. 382, 389-391).
Per giungere ad una diversa conclusione bisognerebbe ritenere
che tutti i poteri e i controlli esercitati dall'I.n.a. sui produttori Turilli e Boccuto siano una particolare estrinsecazione dei poteri del committente nei confronti dell'agente. La sussistenza di un
potere di controllo da parte del committente non è invero
incompatibile con il contratto di agenzia. L'art. 1746 c.c. sancisce
che l'agente « deve adempiere l'incarico affidatogli in conformità
delle istruzioni ricevute » il che legittima un certo controllo
sull'attività dell'agente. Ma la disciplina del contratto di agenzia non consente niente di
più e tutte le interferenze, i controlli, le decisioni, i poteri prima
esaminati, esercitati dall'I.n.a. (non sugli agenti ma) sui produttori Boccuto e Iurilli travalicano di gran lunga quanto è ammesso
dalle norme che regolano il contratto di agenzia e sono inquadra bili unicamente nella definizione dell'art. 2094 c.c.
Deve infine precisarsi che questa vasta gamma di poteri im
prenditoriali (tipici del datore di lavoro) esercitati dall'Ln.a. nei
confronti dei ricorrenti, non è fondata e legittimata neanche dalle
norme dello statuto I.n.a. (il cui contenuto, per la parte concer
nente le agenzie, è stato in precedenza esaminato e deve essere
qui richiamato). Lo statuto I.n.a., come si è visto, non prevede né autorizza
ingerenze di poteri di tale genere ed entità.
Queste modifiche del contenuto dei rapporti sono attribuibili
invero allo statuto (che è un regio decreto e potrebbe costituire
una norma speciale rispetto alla disciplina del lavoro subordinato
dettata dal codice civile e dalla legislazione successiva, salva la
necessità di interpretarlo coordinandolo con la legislazione più recente e con la Costituzione), ma ai capitolati I.n.a.-agenzie, ad
alcune previsioni del contratto collettivo corporativo del 25 mag
gio 1939 (stipulato tra la federazione nazionale fascista degli
agenti di assicurazione, dei lavoratori delle aziende di assicurazio
ni e dei produttori di assicurazione) e, soprattutto, alle prassi
plasmatesi nel corso di decenni.
Le trasformazioni trovano quindi la propria origine in fonti di
regolamentazione giuridica che non possono introdurre legittima mente deroghe o modifiche alle norme di legge, alle quali
rimangono rigidamente subordinate.
I ricorrenti, pertanto, devono essere riconosciuti per quello che
in realtà sono stati: lavoratori subordinati alle dipendenze del
l'I.n.a. dal 1° novembre 1949 (Luigi Boccuto) e dal 1° gennaio 1949 (Giuseppe Iurilli).
La retrodatazione del rapporto di lavoro subordinato comporta la condanna dell'I.n.a. al riconoscimento dell'anzianità pregressa e
quindi la condanna a corrispondere le differenze retributive
Il Foro Italiano — 1985.
derivanti dal ricalcolo dei livelli salariali operato tenendo conto
degli scatti di anzianità.
In base a quanto stabilito dall'art. 429, 3° comma, c.p.c., su
tali somme dovranno essere determinati il maggior danno subito
dai lavoratori per la diminuzione di valore del suo credito, in
base agli indici ISTAT sulla svalutazione monetaria, oltre agli interessi legali. La quantificazione è rinviata alla sentenza definiti
va.
Parimenti l'I.nja. deve essere condannata a regolarizzare, in
relazione alla retrodatazione del rapporto di lavoro, la posizione assicurativa e previdenziale del Boccuto e del Iurilli. L'I.n.p.s. chiamata in causa è tenuta a ricevere le contribuzioni che
risulteranno dovute, nonché le relative sanzioni civili.
L'eccezione di prescrizione dei crediti da lavoro sollevata
dall'I.n.a. deve essere disattesa, perché non è stata suffragata sotto
il profilo dell'onere della prova. I ricorrenti, dipendenti deH'Ln.a. al momento della proposizione
dei ricorsi, a sostegno delle loro pretese propongono prove sui
fatti costitutivi dei loro diritti. L'I .n.a. eccepisce la prescrizione,
opponendo il fatto estintivo del tempo trascorso.
I ricorrenti oppongono, a loro volta, che la prescrizione di
diritti inerenti al rapporto di lavoro decorre a far data dalla
cessazione del rapporto, richiamando il principio affermato dalla
sentenza della Corte costituzionale 10 giugno 1966, n. 63 (id.,
1966, I, 985).
Rispetto a tale principio la successiva giurisprudenza della
Corte costituzionale (in particolare 12 dicembre 1972, n. 174,
id., 1973, I, 22) ha sancito che esso opera a meno che non si
dimostri che la regolamentazione dello specifico rapporto di lavoro
prevede la tutela reale contro i licenziamenti. Gravava quindi sul resistente l'onere di provare che i dipendenti Boccuto e Iurilli
sono tutelati con garanzia « reale » contro i licenziamenti, perché al loro rapporto si applica la disciplina dettata dagli art. 18 e 35
1. 20 maggio 1970 n. 300.
Questo onere probatorio, divenuto particolarmente gravoso dopo una recente decisione delle sezioni unite della Corte di cassazione
(17 ottobre 1983, n. 6068, id., 1984, I, 143), non è stato assolto.
Deve essere poi disattesa anche la eccezione di « giudicato interno », sollevata daH'Ln.a. all'udienza del 16 dicembre 1982.
L'istituto afferma che il Pretore di Bari, nel dichiarare, con la
sentenza del 23 dicembre 1977, la sua incompetenza territoriale
avrebbe compiuto valutazioni sulla natura del rapporto che sareb
bero passate in giudicato non essendo state impugnate.
Bisogna ricordare in proposito che la sentenza (emessa ai sensi
dell'art. 420, 4° comma, c.p.c.) si occupava solo della competen za. Contro di essa è stato proposto ricorso per regolamento di
competenza e la Corte di cassazione ha dato ragione ai ricorrenti,
accogliendo il ricorso e dichiarando che giudice competente era il
Pretore di Bari.
Nel motivare la decisione il Pretore di Bari, che non è andato
al di là dell'interrogatorio libero, ha formulato alcune valutazioni
sulla natura dei rapporti. Ma tali valutazioni erano inequivocabil mente funzionali solo a risolvere il problema della competen za. E non avrebbe potuto essere diversamente, perché, altrimenti, si
giungerebbe all'assurdo logico e giuridico di ritenere che un
giudice nell'atto di dichiarare che non è competente a giu dicare una controversia possa però in realtà decidere tale
controversia. Ritenere, poi, che i ricorrenti avrebbero dovuto
impugnare quella sentenza oltre che sul punto della compe tenza anche in ordine a tali valutazioni apodittiche conte
nute nella motivazione, significa proporre una regola la cui
realizzazione comporterebbe uno sdradioamento totale di ogni certezza nei meccanismi di impugnazione e di determinazione del
passaggio in giudicato delle decisioni.
La domanda concernente il riconoscimento delle mansioni supe riori deve essere rigettata.
Entrambi i ricorrenti sono inquadrati come ispettori di produ
zione, categoria A, II gruppo e chiedono il riconoscimento della
qualifica di ispettori di organizzazione produttiva I gruppo, dal
27 febbraio 1964 e dal 1° luglio 1963. I contratti collettivi, succedutisi nel tempo applicabili al rapporto, cosi' definiscono le
due figure (art. 2):
« 1 gruppo: ispettori di organizzazione produttiva: personale,
comunque denominato, avente rapporto di lavoro continuativo e
subordinato, con incarico di organizzazione della produzione in un
determinato territorio e altresì con il compito di sovrintendere ed
assistere l'organizzazione stessa.
Il gruppo-, ispettori di produzione: categoria A: personale,
comunque denominato, avente rapporto di lavoro continuativo e
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
subordinato, consistente nell'incarico promiscuo di produzione per sonale o in collaborazione e di organizzazione ».
Il criterio distintivo tra le due posizioni è quindi costituito dal
fatto che, mentre il primo è un lavoratore subordinato che ha
esolusivamente il compito di organizzare il lavoro di altri e di
sovrintendere ed assistere l'organizzazione, il secondo è un lavora
tore con incarico « promiscuo »: organizza e produce. Ciò implica
che il compito organizzativo è ridotto, ha una portata minore e
non assorbe integralmente l'ispettore, il quale può dedicare la
residua parte del suo tempo alla produzione personale o in
collaborazione con altri.
L'istruttoria svolta ha indicato che il Boccuto e Iurilli, pur avendo
svolto anche compiti organizzativi, non sono mai andati al di là
di questo lavoro promiscuo. L'organizzazione del lavoro altrui non
ha mai assorbito integralmente il loro lavoro e hanno sempre
continuato anche a produrre in proprio. Decisive sono le dichiarazioni del teste Guisci che ha lavorato
con il Boccuto a Martina Franca nel periodo 1968-1973 e dei testi
Breschi e Pastacaldi che hanno dato conto del lavoro di Iurilli a
Pistoia nel 1973.
Tutti costoro hanno precisato che i ricorrenti, oltre ad organiz zare il lavoro di altri (reperire, istruire e coordinare gli agenti),
producevano contratti in proprio e ciò non solo ai fini di
istruzione dei nuovi agenti. Mancano quindi i presupposti di fatto
per il riconoscimento della qualifica richiesta.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III cavile; sentenza 27 feb
braio 1984, n. 1393; Pres. Bile, Est. Taddeucci, P.M. La Valva
(conci, conf.); Giacconi e Virgili (Avv. Venarucci) c. Ditta
Madonna (Avv. G. Guarino) e Ferrovie dello Stato (Avv. dello
Stato De Francisco). Cassa App. Ancona 15 novembre 1980.
Responsabilità civile — Attività pericolosa esercitata dalla p.a. —
Responsabilità — Sussistenza — Fattispecie (Cod. civ., art. 2050).
La presunzione di colpa, di cui all'art. 2050 c.c., per danni
derivanti dall'esercizio di attività pericolosa opera anche nei
confronti della p.a. (nella specie, si è ritenuta attività pericolosa
la gestione, da parte delle ferrovie dello Stato, di una sotto
stazione elettrica, dotata di sezionatori di corrente ad alta
tensione, destinata a fornire energia elettrica per il traffico
ferroviario). (1)
(1) La sentenza leggesi in Foro it., 1984, I, 1280, con nota di
richiami; ne riproduciamo la massima per pubblicare la nota di M.
Comporti.
* * *
Presunzioni di responsabilità e pubblica amministrazione: verso
l'eliminazione di privilegi ingiustificati.
1. - La recente sentenza 27 febbraio 1984, n. 1393 con cui la
sezione III civile della Corte di cassazione ha stabilito il nuovo
principio che la presunzione di responsabilità di cui all'art. 2050 c.c.
per danni derivanti dall'esercizio di attività pericolose opera anche nei
confronti della p.a. (1) ha certamente una portata storica, e può ben
essere valutata da tutta la dottrina come una conquista di civiltà e
come una tappa importantissima per l'eliminazione di privilegi della
p.a., del tutto ingiustificati in un moderno Stato di diritto.
È nota la vicenda dell'orientamento giurisprudenziale sulla applica zione della norma di cui all'art. 2050 alla p.a. Ad una prima corrente
dei giudici di merito nettamente favorevole a tale applicazione (2),
(1) Vedi il testo di tale sentenza in Foro it., 1984, I, 1280 ss., con
nota di richiami, che giudica « di notevole rilievo e meritevole di
approvazione il principio enunciato dalla sentenza ».
(2) Trib. Milano 21 dicembre 1950, Foro it., Rep. 1950, voce
Responsabilità civile, n. 102; Trib. Firenze 3 gennaio 1952, id., Rep.
1952, voce cit., n. 192; e Trib. L'Aquila 23 febbraio 1956, id., Rep. 1956, voce cit., n. 219, per esercitazioni di tiro e lancio di bombe da
parte di reparti militari: ipotesi di scoppio di bombe a mano o
proiettili non rastrellati (per i quali sarebbe meglio invocabile la
norma di cui all'art. 2051, trattandosi di danni derivanti non dall'eser cizio di attività, nella fase dinamica, ma da cose in custodia, nella fase statica); Trib. Roma 17 giugno 1953, id., Rep. 1953, voce cit., n. 167 (sinistro causato da atterraggio fuori campo di aerei militari); Trib. Milano 26 ottobre 1950, id., Rep. 1951, voce cit., n. 163; App. Milano 4 agosto 1953, id., 1953, I, 1680 (sull'esercizio delle polverie re); Trib. Firenze 15 gennaio 1953, Giur. tose., 1953, 293 e App. Firenze 25 settembre 1954 (scoppio di nave); Trib. Perugia 28 marzo
1955, Foro it., Rep. 1955, voce cit., nn. 194-197 (esercitazione scolasti ca pericolosa).
Il Foro Italiano — 1985.
faceva seguito una corrente sfavorevole, divenuta poi dominante a
seguito del costante orientamento della Corte di cassazione, e partico larmente della sentenza delle sezioni unite civili 23 febbraio 1956, n.
507, destinata a fissare principi che avrebbero retto per quasi un ventennio (3).
Tali principi, che erano stati vivacemente contestati da ampia e
quasi unanime dottrina (4), e da qualche rara sentenza dei giudici di
merito (5), si sono dimostrati alla lunga insostenibili, sicché la Cassa zione ha ritenuto giunto il momento di cambiare orientamento.
Tale mutamento è avvenuto in due tempi: anzitutto la terza sezione
della Corte di cassazione, con sentenza 27 gennaio 1982, n. 537 (6),
pur senza « contestare nella loro enunciazione astratta e generale i
principi suddetti », che possono trovare una loro giustificazione nel
quadro delle attività militari o di polizia, ha rilevato che tali principi mal si adattano al caso di specie allora in esame (gestione di linee elettriche ad alta tensione da parte dell'E.n.el.), in cui « si tratta non di valutare attività che sono imposte alla p.a. da imprescindibile necessità della collettività..., né di sindacare la idoneità e la sufficienza dei mezzi e delle misure poste in essere dall'amministrazio ne nell'organizzare i suoi servizi..., ma più modestamente di valutare il rispetto e l'osservanza delle leggi della fisica e di norme dettate esclusivamente dalla evoluzione scientifica, nel compimento di attività di carattere squisitamente tecnico».
In conseguenza, la corte, dopo aver mosso taluni rilievi sia sulla sindacabilità da parte dell'a.g.o. della discrezionalità tecnica della p.a., sia sul testo e sulla ratio della norma dell'art. 2050 (rilievi che per il loro carattere più generale che particolare, sembrano trascendere la natura di sentenza di specie dichiaratamente voluta dalla stessa corte), ha comunque enunciato, nel caso in decisione, il principio di diritto, secondo cui « allorché, nello svolgimento dell'attività di gestione di una linea elettrica ad alta tensione, costituente attività pericolosa, l'E.n.el. cagioni danno a un terzo, è tenuto, ex art. 2050 c.c., al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure tecniche idonee ad evitare il danno ».
La sentenza è stata giustamente salutata da parte della dottrina come indice di un importante ed auspicato revirement giurisprudenzia le (7), anche se non è mancato chi ha tentato di circoscrivere la portata della sentenza stessa rilevando che questa sarebbe diretta a restringere il campo delle attività svolte dalla p.a. cui non sarebbe applicabile l'art. 2050 c.c. (8).
(3) Cass. 26 agosto 1953, n. 2866, Foro it., Rep. 1953, voce Responsabilità civile, n. 179 (sminamento del terreno minato durante la guerra); 8 luglio 1955, n. 2136, id., Rep. 1955, voce cit., n. 187; 23 febbraio 1956, n. 507 e n. 509, id., 1956, I, 507 (attività militari); 8 novembre 1957, n. 4370, id., 1957, I, 1929 (scoppio di nave a seguito di trasporto di munizioni); App. Perugia 28 novembre 1957, id., Rep. 1959, voce cit., nn. 216-218 (deposito di munizioni di guerra: ma l'ipotesi dovrebbe rientrare sotto l'art. 2051); App. L'Aquila 27 marzo 1957, id., Rep. 1958, voce cit., n. 280 (esercitazioni a fuoco).
Successivamente cfr. Cass. 4 gennaio 1964, n. 3, e 12 ottobre 1964, n. 2575, id., Rep. 1964, voce cit., nn. 274, 114; 20 luglio 1966, n. 1974, e 22 giugno 1966, n. 1604, id., Rep. 1966, voce Ferrovie, nn. 103, 107.
Fra i giudici di merito: App. Napoli 31 marzo 1969, Temi, 1971, 299; App. Milano 17 marzo 1972, Foro pad., 1972, I, 295; 12 aprile 1974, Arch. resp. civ., 1974, 471; App. L'Aquila 29 gennaio 1957, Riv. giur. abruzz., 1958, 309; App. Firenze 8 febbraio 1965, Arch, resp. civ., 1966, 403.
(4) Casetta, Gli enti pubblici e l'art. 2050 c.c., in Giur. it., 1956, I, 1, 890; Id., L'illecito degli enti pubblici, Milano, 1957, 91 ss., 183 ss.; Alessi, La responsabilità della p.a., Milano, 220 ss.; Qua gliarello, Sulla responsabilità da illecito nel vigente codice civile, Napoli, 1957, 78; Delconte, Responsabilità per l'esercizio di attività pericolose, in Temi, 1957, 566; Borselli, La responsabilità della p.a. nell'esercizio delle attività pericolose, in Nuova rassegna, 1958, 241; Protetti, Sull'applicabilità alla p.a. della presunzione di colpa stabilita dall'art. 2050 c.c., in Riv. giur. umbro-abruzzese, 1958, 309; Casella, Danni di guerra e responsabilità per colpa, in Temi, 1950, 627; Brasiello, I limiti della responsabilità per danni, Milano, 1959, 73; Floris, Il concetto di attività pericolosa secondo l'art. 2050 c.c. ed applicabilità anche alla p.a., ecc., in Arch. resp. civ., 1961, 70; Comporti, Esposizione al pericolo e responsabilità civile, Napoli, 1965, 328 ss.; Messinetti, In tema di illecito degli enti pubblici, in Riv. giur. umbro-abruzzese, 1956, 632; Gerì, Responsabilità civile per danni da cose e animali, Milano, 1962, 204; Duni, Lo Stato e la responsabi lità patrimoniale, Milano, 1968, 580; Pogliani, Responsabilità e risar cimento da illecito civile2, Milano, 1969, 147; Bocchiola, Sull'applica bilità dell'art. 2050 c.c. alla p.a., in Temi, 1971, 299; Alibrandi, Sull'applicabilità delle presunzioni di responsabilità di cui agli art. 2050, 2051 e 2053 c.c. nei confronti della p.a., in Arch. resp. civ., 1974, 471; Caputo, La responsabilità della p.a. nell'esercizio di attività pericolose, in Giur. merito, 1976, I, 437; Bronzetti, Esercizio di attività pericolose e responsabilità della p.a., in Arch, civ., 1978, 931.
Per un totale ripensamento del problema della responsabilità civile della p.a., alla luce anche degli orientamenti di diritto comparato, cfr. Santilli, La responsabilità civile della p.a., 1981 (ed. provv.).
i(5) Cfr., ad esempio, Trib. Ancona 9 aprile 1975, Giur. merito, 1976, I, 437; Pret. Patti 12 giugno 1963, Temi, 1963, 313.
(6) In Foro it., 1982, I, 674. (7) Alpa, Attività pericolosa e responsabilità dell'E.n.el. Verso la
erosione di privilegi della p.a.?, in Giust. civ., 1982, I, 919; Bessone, La p.a. e la responsabilità verso i terzi per i danni causati da attività pericolosa, in Foro pad., 1982, I, 25; Biletta, La responsabilità civile della p.a., in Dir. e pratica assic., 1981, 445.
(8) Monateri, Art. 2050 e parametri giuridici di controllo sull'attivi tà della p.a., in Resp. civ., 1982, 380.
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