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sezione lavoro; sentenza 1° marzo 1985, n. 1768; Pres. Grimaldi, Est. Tondo, P. M. Amirante (concl....

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sezione lavoro; sentenza 1° marzo 1985, n. 1768; Pres. Grimaldi, Est. Tondo, P. M. Amirante (concl. conf.); I.n.p.s. (Avv. Romoli, Lironcurti) c. Soc. Xilopan (Avv. Mereu, Massoni). Conferma Trib. Pavia 14 giugno 1979 Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 6 (GIUGNO 1985), pp. 1693/1694-1697/1698 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23178533 . Accessed: 24/06/2014 22:39 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.107 on Tue, 24 Jun 2014 22:39:31 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 1° marzo 1985, n. 1768; Pres. Grimaldi, Est. Tondo, P. M. Amirante(concl. conf.); I.n.p.s. (Avv. Romoli, Lironcurti) c. Soc. Xilopan (Avv. Mereu, Massoni).Conferma Trib. Pavia 14 giugno 1979Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 6 (GIUGNO 1985), pp. 1693/1694-1697/1698Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178533 .

Accessed: 24/06/2014 22:39

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

in dottrina) con orientamenti diversi e contrastanti: all'uopo è

sufficiente richiamarsi a quanto evidenziato e citato dalle parti nelle richiamate « note autorizzate ». Una cosa, però, è certa: se nel nostro ordinamento non fosse consentito al g.i. della causa di merito di riesaminare l'ordinanza con cui il pretore, ex art. 700

c.p.c., ha emanato il provvedimento di urgenza, si configurerebbe la possibilità di esistenza e di produttività di effetti ad un prov vedimento praticamente intangibile, contro o nei confronti del

quale non sarebbe possibile alcun rimedio. E se, per ipotesi, il

pretore avesse pronunciato senza che fossero esistiti i presupposti che il legislatore chiaramente enuncia in subiecta materia il prov vedimento cosi emanato potrebbe tranquillamente continuare a

produrre i suoi effetti illegittimi fino alla sentenza definitiva.

Sarebbe, comunque e se non andiamo errati, l'unico provvedi mento giudiziario non suscettibile di modifica fino all'esaurimento

della causa del merito. Orbene, se tutto quanto detto fosse

possibile, non poche sarebbero le perplessità sul piano giuridico. Del resto le stesse argomentazioni con le quali le attrici difendo

no la intangibilità e immodificabilità del provvedimento di urgen za del pretore, prestano il fianco a non poche critiche, tutte sotto

il profilo del garantismo processuale cui il nostro codice di rito

si A uniformato.

Dire, infatti, che l'ordinanza emanata ex art. 700 c.p.c. non è

suscettibile di riesame, quando, invece, un riesame sarebbe possi bile se la stessa ordinanza fosse stata emessa dallo stesso gi. ex

art. 701 c.p.c., come, sotto tale ultimo aspetto, la stessa Cassazio

ne ha più volte ritenuto (si confronti, per tutte, la sentenza 4

gennaio 1966, n. 62, id., 1966, I, 1088: « le ordinanze di' urgenza «mesce dal gi., ai sensi dell'art. 701 c.p.c. al pari delle ordinanze

che ammettono mezzi istruttori, sono modificabili o revocabili dal

giudice che le ha pronunciate ») significherebbe porre su piani diversi due provvedimenti che, per natura, sono identici tra di

loro (ordinanze di urgenza) e che si differenziano solo in

relazione al giudice che li ha emanati (pretore o g.i.): il che si

tradurrebbe in una palese differenza di trattamento che, come

tale, coinvolgerebbe temi di natura costituzionale. Ed inoltre: se

in entrambi i casi la natura dei provvedimenti è identica (ripetesi:

ordinanza) non si possono applicare delle regole per un provve dimento e non applicarle per l'altro. Se di ordinanza si tratta

deve trovare applicazione, in entrambi i casi, l'art. 177 c.p.c., con

i limiti e/o le esclusioni di cui si numeri 1), 2), 3) e 4) del 3°

comma.

Ma l'art. 177 c.p.c., come sottolineano le attrici, fa testuale

riferimento al giudice « che ha emanato l'ordinanza », al quale è,

poi, riconosciuto il potere di modificarla o revocarla. La dizione

letterale della norma è effettivamente in questo senso; ma trattasi

di questione meramente formale, giacché lo spirito della stessa, come si evince dalla sua intestazione (« Effetto e revoca delle

ordinanze ») è nel senso che la caratteristica di tale tipo di

provvedimenti è, appunto, la modificabilità o la revocabilità e,

cioè, il « riesame ». Se, quindi, il provvedimento di urgenza del pretore è, come il provvedimento, un'ordinanza, quel prov vedimento deve soggiacere alle regole di modificabilità o re

vocabilità di cui alla richiamata norma, e questo sia perché è

da escludere che l'ordinanza emessa ex art. 700 c.p.c. sia privile

giata rispetto a quella emessa ex art. 701 c.p.c., sia perché sarebbe inammissibile che al cittadino nei confronti del quale è

stato emesso un provvedimento di urgenza da parte del pretore (e, quindi, ante causam) non venisse riconosciuto un diritto (che

poi è una garanzia) che, invece, è riconosciuto al cittadino nei

confronti del quale è stato emesso analogo provvedimento da

parte, però, del g.i.

Non si possono, ora, affidare le sorti di una vicenda procesuale a simili regole del caso o della fortuna. A dirimere, comunque,

qualsiasi questione è, per fortuna, intervenuta la sentenza a

sezioni unite della Cassazione del 5 maggio 1981, n. 2774 (id.,

1981, I, 1252), che per i motivi sopra spiegati non potrebbe mai

considerarsi, come erroneamente sostengono le attrici, un obiter

dictum.

Per quanto si riferisce all'oggetto del riesame del g.i. della

causa di merito, sulla ordinanza emanata ex art. 700 c.p.c., le

argomentazioni delle attrici, riportate in narrativa sub 2), si

superano agevolmente con la considerazione che se un riesame è

ammesso, questo deve essere della stessa portata e della stessa

natura del riesame previsto dal richiamato art. 177 c.p.c. E,

quindi, anche sotto tale aspetto va precisato che i limiti che, secondo la tesi che qui si contesta, dovrebbe, comunque, incon

trare il g.i., non sarebbero concepibili, giacché, in caso contrario, si profilerebbero le identiche situazioni di disparità di trattamento

in precedenza evidenziate.

Il Foro Italiano — 1985.

L'unico limite (che, però, riguarda tutte le ordinanze istruttorie) è quello che non venga pregiudicata la decisione della causa. Per

il resto si ricorda l'orientamento giurisprudenziale (ormai consoli

dato: v., da ultimo, Cass. 21 marzo 1977, n. 1096, id., Rep. 1977, voce Sentenza civile, n. Ili) secondo cui « il potere del giudice di

revocare o modificare le ordinanze può essere esercitato non solo

per circostanze sopravvenute, ma anche per la nuova valutazione

di circostanze preesistenti ». Ebbene i convenuti richiedono al g.i. un riesame sulla sussistenza dei presupposti di che all'art. 700

c.p.c. Va, peraltro, precisato che quanto sostenuto nelle « note

autorizzate » A.c.i. del 9 novembre 1983, 9 ss. non può essere

considerato dal g.i., in quanto sono ivi trattate questioni che

ineriscono al merito della causa, esame, questo, che è precluso all'istruttore.

Orbene il pretore ha motivato la ordinanza del 23 luglio 1982

soffermandosi in particolare sulla particolare posizione di privile

gio, nei confronti delle altre agenzie automobilistiche, dell'Auto

mobile club di Grosseto, che, senza particolari oneri, ha potuto e

può attingere dal P.R.A. i nominativi dei proprietari delle auto

da revisionare, e sul conseguenziale « sviamento » della clientela

dalle altre agenzie. Nessuna parola, invece, il pretore ha speso per dimostrare la sus

sistenza, dn concreto, di un grave nocumento imminente ed irrepara

bile, come tale da salvaguardare in attesa della decisione, nel

merito, della causa. Vi è, quindi, una omissione (chiaramente

involontaria) di motivazione, ammenoché non si volesse sostenere

che il nocumento in questione sarebbe insito nello stesso compor tamento dell'A.c.i. Grosseto. Il che, ovviamente, non è. E, quindi, il g.i. deve colmare questa lacuna dell'ordinanza del pretore, onde

confermarla se il nocumento di cui alla norma in concreto

sussista e revocarla in caso contrario. Va, a questo punto, evidenziato che le attrici, nelle note del 1° giugno 1983, iden

tificano (erroneamente) il nocumento di cui si parla, in concetti

tipici di altri istituti di cautela processuale: jumus boni iuris e

periculum in mora. Ma il concetto di « grave e irreparabile nocumento » coinvolge ben altri temi, che non sono stati trattati

dal pretore e neppure accennati dall'UNASCA.

Ritiene il g.i. che può anche ammettersi la sussistenza di un

grave danno per l'UNASCA a seguito della concorrenza dell'Au

tomobil club (se ed in quanto tale concorrenza dovesse essere

ritenuta « sleale »). E se grave risulterà il nocumento, i convenuti

ne risponderanno in proporzione della comprovata gravità. Ma certamente non siamo di fronte ad un nocumento imminen

te ed irreparabile (si tenga presente che l'art. 700 c.p.c. usa la

locazione « e »: « pregiudizio imminente e irreparabile ») dove

« pregiudizio » è « grave danno ».

Irreparabile è ciò che non è suscettibile di essere riparato; è

ciò che determina (se il danno lamentato dovesse derivare da

colpa altrui) una situazione non più risanabile. Nella pratica

quotidiana l'art. 700 si applica, ad esempio, nei casi di gravi lesioni ad edifici (con pericolo di crollo) ovvero a fatti in

relazione ai quali, se dovessero produrre efletti, non sarebbe, poi,

possibile il ripristino dello status quo antea. Ora, nel caso di

specie il danno dell'UNASCA è un danno patrimoniale, che sarà

adeguatamente « riparato » con un congruo risarcimento, qualora la domanda delle attrici dovesse essere accolta. Si tenga presente che l'UNASCA agisce contro l'Automobil club per ottenere pro

prio il risarcimento dei danni che sostiene di aver subito. Per di

più tale danno, una volta quantificato, potrà essere rivalutato e

questa è un'ulteriore conferma della riparabilità del nocumento

lamentato dell'UNASCA. Non si comprendono, quindi, le ragioni in base alle quali dovrebbe, in un regime di libertà, essere vietato

all'A.c.i. di Grosseto l'espletamento di una determinata attività

solo perché l'UNASCA la ritenga sleale e prima che, sulla

dedotta slealtà, si sia pronunciato definitivamente il tribunale.

Non sussistendo, conclusivamente, il presupposto del nocumen

to irreparabile, la ordinanza del pretore deve essere revocata.

Il giudizio procederà, quindi, per il merito e le parti compari ranno all'udienza di cui appresso.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 1° marzo

1985, n. 1768; Pres. Grimaldi, Est. Tondo, P. M. Amirante

(conci, conf.); I.n.pjs. (Avv. Romoli, Lironcurti) c. Soc.

Xilopan (Avv. Mereu, Massoni). Conferma Trib. Pavia 14

giugno 1979.

Previdenza sociale — Contributi — Sgravio — Lavoro « supple mentare » (Cod. civ., art. 2107, 2108; r.d.l. 15 marzo 1923 n.

692, limitazioni dell'orario di lavoro per gli operai e impiegati

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1695 PARTE PRIMA 1696

delle aziende industriali o commerciali di qualunque natura, art.

1; d.l. 5 luglio 1971 n. 431, provvedimenti straordinari per lo sgravio degli oneri sociali a favore delle imprese artigiane e delle piccole e medie imprese industriali, art. 1; 1. 4 agosto 1971 n. 590, conversione in legge con modificazioni del d.l.

5 luglio 1971 n. 431, art. unico; d.l. 1° luglio 1972 n. 286,

proroga dello sgravio degli oneri sociali a favore delle imprese

artigiane e delle piccole e medie imprese industriali previsto dal d.l. 5 luglio 1971 n. 431, convertito, con modificazioni, in

1. 4 agosto 1971 n. 590, art. 1; 1. 8 agosto 1972 n. 463, con

versione in legge, con modificazioni, del d.l. 1° luglio 1972

n. 286, art. unico).

Lo sgravio contributivo di cui alla l. 590 del 1971, che ha

convertito con modificazioni il d.l. 431 del 1971, ed alla l. 463

del 1972, chi ha convertito con modificazioni il d.l. 286 del 1972,

comprende le retribuzioni relative al lavoro dei dipendenti

svolto oltre le 40 ore settimanali ma nel limite delle 48 ore

settimanali, non considerato straordinario dalla contrattazione

collettiva (nella specie, c.c.n.l. 1° novembre 1970 per gli addetti

all'industria del legno e del sughero). (1)

Svolgimento del processo. — Con sentenza del 14 giugno 1978 il

Tribunale di Pavia, pronunciando sull'appello proposto dal

l'I.n.p.s., nei confronti della s.p.a. Xilopan, avverso la sentenza

del Pretore di Pavia 17 marzo 1978, rigettava il gravame e

dichiarava che all'appellata spetta lo sgravio di cui al d.l. 5 luglio

1971 n. 431 anche sulla percentuale delle retribuzioni relative al

lavoro svolto oltre le 40 ore settimanali, ma nel limite delle 48

ore settimanali, sicché la contraria pretesa dell'I.n.p.s., riferentesi

al periodo 1° agosto 1971-30 giugno 1973, era in effetti in

fondata.

Riteneva infatti il tribunale che, alla stregua del c.c.n.l. 1°

(1) Conf. Cass. 14 ottobre 1983, n. 6022, Foro it., Rep. 1983, voce

Previdenza sociale, n. 280; 1° giugno 1983, n. 3737, ibid., n. 284; 23

aprile 1983, n. 2511, ibid., n. 295; 26 gennaio 1983, n. 722, ibid., n.

292; 26 gennaio 1983, n. 734, ibid., n. 293; 21 novembre 1982, n.

6203, id., Rep. 1982, voce cit., n. 260.

Cass. 12 giugno 1982, n. 3580 e 27 aprile 1982, n. 2608, ibid.,

nn. 252, 253, hanno enunciato lo stesso principio riguardo l'analoga

problematica posta dalla 1. 1089/68. Cass. 25 agosto 1981, n. 5001, id., Rep. 1981, voce cit., n. 248, ha

affermato la necessità, ai fini dell'accertamento della natura di straor

dinario delle prestazioni in questione, di un'indagine sulla loro ecce

zionalità, e non obbligatorietà, e sul collegamento della maggiorazione della retribuzione all'elemento del lavoro usurante. Per Cass. 10 aprile

1982, n. 2219, id., Rep. 1982, voce cit., n. 257, e in Giust. civ., 1982,

I, 2084, con nota di B. Sconocchia, l'eccezionalità non ha invece

nessun rilievo, se nella contrattazione collettiva è mantenuta la distin

zione tra lavoro straordinario e supplementare (fattispecie soggetta alla

citata 1. 1089/68). Nella giurisprudenza di merito, cfr., in senso conforme alla pronun

cia in epigrafe, Trib. Modena 26 novembre 1979, Foro it., Rep. 1980, voce cit., n. 303; Trib. Pavia 13 settembre 1978, id., Rep. 1978, voce

cit., n. 195; Pret. Bergamo 30 dicembre 1977, ibid., n. 196; Trib.

Vercelli 23 aprile 1977, ibid., n. 197; Pret. Padova 30 novembre 1977,

id., Rep. 1979, voce cit., n. 310, e in Prev. soc., 1979, 591, con nota

critica di G. Romoli, Una tendenza involutiva del concetto di orario

normale di lavoro-, Trib. Parma 20 gennaio 1977, Foro it., Rep. 1977, voce cit., n. 175.

Cfr., ma in riferimento alla 1. 1089/68, Trib. Milano 14 mag

gio 1977, id., Rep. 1978, voce cit., n. 198; Pret. Campobasso 5

ottobre 1976, id., Rep. 1977, voce cit., n. 177. Trib. Milano 20 luglio 1981, id., Rep. 1982, voce cit., n. 264,

attraverso un'indagine specifica sul contratto collettivo dei chimici del

1966, è pervenuta alla conclusione della natura di prestazione straordi

naria del lavoro supplementare, essenzialmente in base alla considera

zione che in tale contratto è prevista la maggiorazione per il lavoro

svolto oltre le 44 ore settimanali. In senso contrario alla decisione in epigrafe, sempre nella giuri

sprudenza di merito, Trib. Salerno 15 dicembre 1981, ibid., n. 263; Pret. Bologna 14 febbraio 1978, id., Rep. 1979, voce cit., n. 308, e in

Prev. soc., 1979, 571, con nota di Romoli. Sulla 1. 1089/68, v. Trib.

Frosinone 18 giugno 1980, Foro it., Rep. 1982, voce cit., n. 269, e in

Nuovo diritto, 1980, 501, con nota di A. Bursese (che ha pure statuito la nullità della contrattazione collettiva che ha considerato il

lavoro supplementare diversamente dallo straordinario); Pret. Pescara

27 marzo 1979, Foro it., Rep. 1980, voce cit., n. 291 (in motivazione); Pret. Foggia 12 settembre 1977, id., Rep. 1979, voce cit., n. 311, e in Prev. soc., 1979, 572, con la citata nota di Romoli; Pret. Frosinone 1°

febbraio 1978, Foro it., Rep. 1979, voce cit., n. 309, e in Prev. soc.,

1979, 589, con nota di Romoli.

Sull'argomento, v. la rassegna di giurisprudenza di A. Luciani, La

giurisprudenza in materia di sgravi contributivi, in Lavoro e prev. oggi, 1983, 752, spec. 768-771.

Il Foro Italiano — 1985. _

novembre 1970 per gli addetti alle industrie del legno e del

sughero, cui il cit. d.l. n. 431 del 1971 fa riferimento per la individuazione della nozione di « straordinario », non è considera

to tale il lavoro compiuto tra le 40 e le 48 ore settimanali, e che

anche per esso competeva dunque lo sgravio in questione.

Avverso questa sentenza l'I.n.p.s. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo di annullamento. L'intimata

ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione. — Con l'unico motivo, l'istituto ricor

rente — denunciando violazione e falsa applicazione degli art. 2107 e 2108 c.c., 1 r.d.l. 15 marzo 1923 n. 692, delle norme

sull'orario di lavoro dei contratti collettivi di lavoro di categoria, del d.l. 5 luglio 1971 n. 431, conv. in 1. 4 agosto 1971 n. 590, del

d.l. 1° luglio 1972 n. 286, conv. in 1. 8 agosto 1972 n. 463, nonché vizio di motivazione (in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5,

c.p.c.) — deduce che la sentenza impugnata, limitandosi ad una

interpretazione letterale, peraltro contraddittoria, ha violato i

principi relativi alla distinzione tra lavoro ordinario e straordina

rio, negando il carattere straordinario del lavoro prestato oltre il limite contrattuale delle 40 ore, nonostante che tale limite fosse stato stabilito in considerazione della natura usurante dello stesso

lavoro, attestata dal fatto stesso del riconoscimento contrattuale di una maggiorazione del relativo compenso.

Premesso che con il ricorso per cassazione non è deducibile la violazione e falsa applicazione di contratti collettivi postcorpora tivi non dichiarati efficaci erga omnss e che, inoltre, il vizio di motivazione di cui al n. 5 dell'art. 360 c.p.c. non è proponibile con riferimento alla soluzione di questioni di diritto, potendo la relativa motivazione essere in ipotesi corretta a norma dell'art.

384, 2° comma, stesso codice, si deve subito osservare che il ricorso è, nella residua sua parte, infondato, come questa corte ha già ritenuto con le sentenze n. 5001 del 23 agosto 1981 (Foro it., Rep. 1981, voce Previdenza sociale, n. 248), n. 6203 del 21 novembre 1981 (id., Rep. 1982, voce cit., n. 260) e n. 2511 del 23

aprile 1983 (id., Rep. 1983, voce cit., n. 295).

Se è infatti esatto che la distinzione tra lavoro normale e la voro straordinario, in ipotesi di riduzione dell'orario di lavoro al

di sotto del limite stabilito dal r.d.l. n. 692/23, si deve individua

re nella particolare « usuranza » dell'attività lavorativa, che abbia costituito ragione della riduzione stessa, o, ancora più pianamen te, nell'attribuzione della maggiorazione, fissata dalla legge per il

lavoro straordinario, quanto alle ore lavorative prestate oltre

l'orario contrattualmente ridotto (v. sent. 9 ottobre 1967, n. 2340, id.,

1967, I, 2520; 24 ottobre 1974, n. 3110 id., 1974, I, 3300; 22

dicembre 1976, n. 4715, id., Rep. 1976, voce Lavoro (rapporto), n.

516), parimenti certo è che il d.l. 5 luglio 1971 n. 431 (attribuen do uno sgravio nella misura del 5 % delle retribuzioni assoggetta te alla contribuzione per l'assicurazione obbligatoria contro la

disoccupazione, al netto dei compensi per lavoro considerato straordinario dai contratti collettivi e, in mancanza, dalla legge) non fa riferimento ad un'astratta nozione di straordinario ricava bile dai principi sopra ricordati, ma, in via principale, al « lavoro

considerato straordinario dai contratti collettivi », sicché indub biamente decisiva è la qualificazione che questi ultimi contratti

hanno dato al lavoro prestato oltre l'orario contrattuale, ma nei limiti di quello legale.

Nella specie, la sopra indicata contrattazione collettiva di

categoria, pur stabilendo la riduzione dell'orario settimanale a 40

ore, considera tuttavia lavoro straordinario solo quello espletato oltre le 48 ore, prevedendo per esso una maggiorazione di retribuzione più alta (50 %) rispetto a' quella stabilita per il c.d. lavoro supplementare (30 %), vale a dire per il lavoro prestato nei limiti delle 48 ore.

Analoga è del resto, come osservato dal giudice del merito, la

disciplina dettata dai contratti collettivi relativi alle più importan ti categorie di dipendenti industriali; contratti che, pur operando riduzioni di orario, uniformemente stabiliscono che « è considera to lavoro straordinario quello effettuato oltre l'orario previsto dal r.d.l. 15 marzo 1923 n. 692 », con ciò evidenziando la possibile difformità della qualificazione adottata rispetto alla nozione legale di straordinario, nonché il convenzionale superamento di tale eventuale difformità. Ed il legislatore del 1971, letteralmente

recependo l'anzidetta ripetuta dizione, ha indubbiamente inteso

riferirsi, ai fini dell'esclusione dello sgravio, alla corrispondente nozione contrattuale di straordinario.

Contro questa interpretazione non è decisivo il rilievo — sul

quale l'I.n.p.s. particolarmente insiste — dell'accordata maggiora zione della retribuzione. È stato infatti già considerato (v. sent. n.

6203/81, cit.) che le parti collettive, nel momento stesso in cui hanno previsto la maggiorazione, hanno tuttavia attestato che il

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

c.d. lavoro supplementare non è « considerato » straordinario e

non è dunque come tale retribuito, e che, del resto, in piena coerenza, la maggiorazione per esso riconosciuta non è quella fissata per il lavoro prestato oltre l'orario legale, ma è a questa inferiore.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 27

febbraio 1985, n. 1720; Pres. Mirabelli, Est. Iannotta, P. M.

Tamburrino (conci, conf.); Prisco (Avv. Della Pietra) c. Soc.

Palumbo (Avv. Rotunno, Giuliani). Cassa App. Potenza 23

ottobre 1980.

Contratto in genere — Preliminare di vendita di immobile da

costruire — Vizi e difformità della cosa — Esecuzione specifica

dell'obbligo di concludere il contratto — Contestuale azione per la riduzione del prezzo — Ammissibilità (Cod. civ., art. 1490,

1494, 2932).

Il promittente acquirente di immobile da costruire ad opera del venditore può domandare, contestualmente all'esecuzione

specifica dell'obbligo di concludere il contratto, la riduzione del

prezzo per la presenza di vizi e difformità nella cosa. (1)

(1) Pregevole sentenza delle sezioni unite, che ' fanno il punto ' su

uno dei problemi più discussi in tema di esecuzione specifica dell'ob

bligo di concludere il contratto. La questione concerne l'ammissibilità di una tutela, per cosi dire, allargata, del promissario nel caso in cui il promittente venditore assuma, con contratto preliminare, l'obbligo non soltanto di prestare il consenso in sede di definitivo — sin qui non vi sarebbero differenze con la posizione giuridica obbligatoria del

promittente compratore — ma anche, e fondamentalmente, quello di realizzare la cosa oggetto della futura prestazione traslativa (o quanto meno di contribuire alla sua realizzazione). L'insegnamento che si evince dall'odierna pronuncia conduce a ritenere che la pluralità delle

obbligazioni assunte dal promittente — carattere che ha indotto la

giurisprudenza a definire « complesso » il contratto preliminare del tipo in esame — legittima, in ipotesi di inadempimento, una pronuncia costitutiva ex art. 2932 c.c., adattata al risultato concreto dell'attività del costruttore, promittente venditore del bene stesso (anche se la corte si cura di precisare che il '

tipo ' di preliminare risulta indifferente ai

fini della soluzione finale). Posto in questi termini il problema, è possibile misurarne la distanza

(pur non eccessiva) che lo separa dalla diversa questione relativa alla

proponibilità dell'azione di garanzia per i vizi della cosa anteriormente alla stipula del definitivo, in presenza di un contratto preliminare caratterizzato dalla consegna anticipata della cosa. Nondimeno, l'inse

gnamento di Cass. 28 novembre 1976, n. 4478, Foro it., 1977, I, 669, con annotazione adesiva di A. Lener (cui faceva eco, a breve, Cass. 5

agosto 1977, n. 3560, ibid., 2462), secondo la quale la presenza di vizi della cosa consegnata abilita il promissario a domandare, alternativa mente alla risoluzione del preliminare per inadempimento del promit tente, la condanna di quest'ultimo ad eliminare a proprie spese i vizi della cosa, costituisce il precedente, l'archetipo, si direbbe, cui la

giurisprudenza successiva si è sempre rifatta nel tentativo di ricostruire un sistema di protezione del promittente acquirente che dia spazio a rimedi di segno positivo in suo favore, nel senso della conservazione

dell'affare, tenendo fede, per quanto possibile, alla base di scambio

(rapporto cosa-prezzo) già pattuita. L'idea di fondo era destinata, di li a poco, a sortire esiti positivi anche nell'ipotesi, simile a quella esaminata dalla sentenza in epigrafe, in cui l'immobile fosse stato costruito in difformità dalle pattuizioni originarie. Confermando le aspettative di chi aveva salutato con favore la decisione innovativa di Cass. 4478/76 (cfr., sul punto, le considerazioni di Lener in margine alla sentenza citata), Cass. 23 aprile 1980, n. 2679, id., 1981, I, 177, perveniva al risultato fatto proprio ora dalle sezioni unite sviluppando le conseguenze del discorso iniziato con le decisioni su citate (da notare, a titolo di curiosità, come le sentenze si ascrivano tutte alla medesima II sezione e due di esse rechino la firma dello stesso

estensore). La corte affermava senza mezzi termini la possibilità di « concedere l'esecuzione specifica alle condizioni previste nel contratto

preliminare e contemporaneamente emettere una pronuncia accessoria con la quale si dichiari il diritto del promissario all'indennizzo per le difformità della cosa; alla quale ipotesi è equivalente l'altra che ammette addirittura l'adattamento della pronuncia costitutiva alle reali condizioni della cosa ». La motivazione è ampia e si segnala soprattut to per la serrata critica condotta nei confronti del preteso principio di

intangibilità della pronuncia ex art. 2932, ovvero dell'immutabilità delle condizioni contenute nel preliminare. Il punto è decisivo. Una pre messa si rende tuttavia necessaria: chi provi a scandagliare la situazione della giurisprudenza che si è direttamente pronunciata sul

punto, per tentare di far luce sulla portata effettiva del principio in

questione, non potrà che constatare la netta contrapposizione fra

massime che ribadiscono (pur guardandosi bene dal fornire lumi sulle

Il Foro Italiano — 1985.

Svolgimento del processo. — Con due scritture private del 19

gennaio 1976, integranti un'unica convenzione, la s.a.s. Palumbo

vendite immobiliari, con sede in Sapri, si obbligava a vendere a

Prisco Alberto, che a sua volta si obbligava ad acquistare, un

lotto di terreno di circa 600 mq., distinto con il n. 126/a.p.t., facente parte del complesso di Torre Normanna in località

Capitello del comune di Ispani, nonché la villetta di tipo B,

composta di soggiorno, due letti, cucina e bagno, che sarebbe

fattispecie esaminate e sul decisum sostanziale) la preclusione di ogni intervento modificativo in sede di esecuzione coattiva dell'obbligo di contrarre (v., fra le più recenti, Cass. 24 giugno 1983, n. 4342, id., Rep. 1983, voce Contratto in genere, n. 266; 9 dicembre 1982, n.

6370, id., Rep. 1982, voce cit., n. 136; 24 maggio 1980, n. 3412, id., Rep. 1980, voce cit., n. 136; 24 febbraio 1979, n. 1224, id., Rep. 1979, voce cit., n. 158; cfr. anche Cass. 9 giugno 1981, n. 3722, id., Rep. 1981, voce Vendita, n. 31) e decisioni di segno antitetico che, valutati gli interessi delle parti (ma prevalentemente del promittente acquirente), ammettono la possibilità di far luogo ad una correzione della controprestazione (v. Cass. 16 dicembre 1981, n. 6671, id., Rep. 1983, voce Contratto in genere, n. 265; 28 maggio 1983, n. 3692, ibid., n. 263; 5 giugno 1979, n. 3179, id., 1980, I, 1094).

Con Cass. 29 marzo 1983, n. 1932, id., 1983, I, 1053, quest'ultima tendenza sembra aver preso piede definitivamente. Il collegio risolveva la singolare ipotesi caratterizzata dalla venuta ad esistenza del bene

promesso in vendita in misura superiore a quella contrattata conceden do l'esecuzione specifica ex art. 2932 al promissario disposto ad

integrare mediante conguaglio il corrispettivo, già concordato, di una

permuta di cosa presente contro cosa futura. Quanto al meccanismo di correzione del corrispettivo, non era difficile rinvenirlo nelle norme che

regolano le divergenze quantitative in tema di vendita immobiliare

(art. 1537 e 1538 c.c.), la cui applicabilità (anche) al preliminare consentiva alla corte da un lato di '

salvare ' il contratto nel rispetto

sostanziale del rapporto di scambio pattuito, dall'altro di riaffermare in termini più o meno espliciti che il principio di intangibilità (la cui esistenza stessa rimane assai dubbia) delle condizioni del preliminare non può certo valere quale limite ad una giusta tutela del contraente in bonis (per lo più l'acquirente), né a fortiori quale incentivo

all'inadempimento (per lo più del promitìtente venditore). Azione di esatto adempimento, e cioè di condanna all'eliminazione

dei vizi e delle difformità; domanda di riduzione del prezzo, ove

questo sia ancora dovuto (non a caso, il risultato cui indirettamente

perverrà il promissario nel caso in cui il promittente venditore non

provveda all'eliminazione dei vizi e questo abbia dato luogo ad iniziativa del primo), ovvero di un indennizzo in qualche misura

compensativo per l'acquirente della cosa viziata; offerta, infine, di

un'equa integrazione del corrispettivo in favore del venditore costrutto re '

ultradiligente '

(di un bene che risulta di maggior pregio rispetto alle pattuizioni originarie): si offrono tutti quali mezzi idonei a realizzare una tutela forte (o almeno più forte) per il promissario di

un immobile da costruire in sede di esecuzione coattiva dell'obbligo di concludere il contratto.

L'interesse del promittente acquirente alla conservazione dell'affare

rappresenta senza dubbio il supporto più valido ad un indirizzo

giurisprudenziale che trova ora il placet delle sezioni unite ma che in

epoca meno recente avrebbe potuto giovarsi dell'opinione della più autorevole dottrina in argomento (sarà sufficiente rammentare Rubino, La compravendita1, in Trattato, a cura di Cicu e Messineo, Milano, 1971, 42, nota 21 ter, nonché, successivamente, Bianca, La vendita e la

permuta, in Trattato, diretto da Vassalli, Torino, 1972, 139; Id., Dirit to civile. Il contratto, Milano, 1984, 200).

Il limite, se cosi può dirsi, all'operazione integrativa e/o correttiva in occasione (e in concomitanza) della sentenza destinata a realizzare coattivamente il trasferimento, è dato dall'identità strutturale della cosa posta in essere; ma vai la pena di osservare che tale formula, nel demandare all'apprezzamento giudiziale il sindacato sull'opportunità di dar ingresso alla duplice azione, sembra comunque circoscrivere l'ino

peratività dei rimedi suddetti a casi davvero marginali (se non addirittura ' di scuola ').

La tendenza giurisprudenziale avallata dalle sezioni unite vale piuttosto a conferire alla sequenza preliminare - definitivo o, se si

preferisce, alla fattispecie preliminare - sentenza costitutiva, un carattere in un certo senso dinamico, che non contraddice la ricostru zione teorica corrente del rapporto fra i due diversi momenti della medesima vicenda contrattuale ed offre, anzi, un significativo riscontro

pratico alla giustificazione dell'impegno preliminare quale strumento di controllo delle sopravvenienze (per riprendere la nota formula adottata da Gabrielli, Il contratto preliminare, Milano, 1970, 159 ss., ma a

rigore riferita dall'a. al definitivo, e penetrata ormai anche nella manualistica; Trimarchi, Istituzioni di diritto privato6, Milano, 1983, 323); la sentenza ex art. 2932 rimane quindi l'unico mezzo correttivo del rapporto, non più attuabile alle condizioni originariamente stabilite.

Superata cosi la barriera dell'intangibilità del regolamento di interessi, che conduceva alla drastica alternativa per il promissario fra accettare il bene affetto da vizi o da irregolarità (o comunque non conforme alla previsione contrattuale) pagando il prezzo risultante dal prelimina re (sicché la declamata immutabilità veniva sostanzialmente a risolversi nel mantenimento del prezzo, ove — è quasi superfluo aggiungerlo —

le difformità avessero inciso sulla cosa in peius?) ovvero domandare

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